TREBISONDA SUL MAR PONTICO
SALUTA I CAVALIERI IMPERIALI
L’ambasciatore ser Filelfo è scortato dai cavalieri di Alessio IV di Trebisonda fino al grande castello, costruito sulla cima di un alto colle che si erge sul mare e sulle terre del Ponto.
La famiglia imperiale, quella dei Comneni, ha regnato sul popolo della Grande Chiesa di Costantinopoli prima della sua profanazione da parte dei Latini della IV Crociata. Ogni sovrano comneno usa, nella stesura dei documenti ufficiali, il titolo di Imperatore e Autocrate di tutto l’Oriente, l’Iberia e delle provincie trans marine. Il suo titolo abituale è Il Grande Comneno.
La parentela con l’imperatore Manuele II dei Paleologi è sentita come aspirazione recondita per una eventuale ascesa al trono della città fondata da Costantino il Grande.
Le relazioni politiche tra i due imperatori, che esprimono la loro fede nella Santa Sapienza con la stessa lingua degli antichi filosofi della Grecia, sono sempre improntate al reciproco rispetto e all’ascolto della parola del sacro testo, proclamata dal patriarca Giuseppe II.
I saccheggi, le guerre civili e gli assedi della capitale dell’Impero romano d’Oriente, hanno permesso alla città del Ponto Eusino di prosperare e di emulare lo sfarzo e la grandiosità raggiunta dall’imperatore Giustiniano che aveva perpetuato l’imperium di Augusto nella Nuova Roma.
Il messaggero del bailo della Serenissima e i due giovani mercanti, Marco e Francesco, percorrono, sui destrieri arabi, bardati con le insegne della casa imperiale, le strade pavimentate e affiancate da case con le cupole scintillanti sotto i raggi del tiepido sole d’ottobre.
Gli abitanti salutano festosamente i cavalieri che avanzano con il vessillo dell’aquila d’orata dei Comneni e inneggiano al loro Signore: “Viva il nostro imperatore!”.
Le fanciulle, avvolte nei variopinti vestiti di seta orientale, lasciano cadere dalle finestre delle case tanti piccoli fazzoletti colorati che creano un’atmosfera di sogno per gli ospiti venuti dalle lontane città dell’Occidente.
Le campane a festa indicano che è mezzogiorno ed è domenica. La città è piena di donne e uomini che frequentano i mercati rionali e la fiera campionaria, nella parte basa della città, separata da alte mura e da poderosi bastioni dalla zona portuale.
L’abitato tra l’approdo delle navi e il castello dell’imperatore è suddiviso in tre zone separate da mura e da profondi burroni percorsi da piccoli fiumi, su cui vengono manovrati grandi ponti levatoi tra i cancelli dei bastioni perimetrali.
La zona commerciale, fuori del grande muro della città bassa, parallelo all’ormeggio delle navi, dispone di uno spazio per le carovane nella parte Nord Orientale, vicino alla valle dei conciatori di pelle, percorsa da un fiume che fiancheggia la strada commerciale del Sud- Est. La struttura che accoglie i mercanti è circondata da un muro e dispone di stalle, di magazzini per custodire le mercanzie, di un albergo, di una grande fontana e di una piccola moschea.
Non molto distante dal centro carovaniero si erge la costruzione ben fortificata del fondaco-magazzino dei mercanti genovesi che controllano con perizia e con grandi profitti il traffico commerciale della città in concorrenza con i Veneziani.
I mercanti della Serenissima Repubblica hanno innalzato un fondaco protetto da spesse mura vicino a un monastero nella parte Nord Occidentale del porto. La loro attività commerciale è garantita da trattati stipulati tra il Grande Comneno e il Senato della Repubblica di San Marco.
Il signore della città cerca di mantenere il giusto equilibrio tra le fazioni dei grandi mercanti dell’Occidente e impone il rispetto delle leggi per consentire la regolarità dei traffici commerciali tra l’Oriente e la città di Costantinopoli.
L’astuzia politica e la genialità dei governati comneni hanno permesso al piccolo impero non solo di sopravvivere alle invasioni dei mongoli di Gengis Khan e all’irruenza devastatrice di Tamerlano, ma di arginare le pretese di dominio e sciogliere la durezza degli animi dei capi tribù turcomanni che hanno occupato le montagne del Ponto per il pascolo delle loro pecore.
Le principesse più belle della città, scendono dal castello imperiale e vanno in sposa ai figli dei capi tribù degli emiri turchi che si impegnano a difendere la città dalle mire espansionistiche del sultano ottomano di Adrianopoli e a salvaguardare l’incolumità delle carovane che giungono dall’Oriente.
P.S. Brano tratto da “Storie Venete” di Francesco Liparulo. Vedi galeaveneta.blogspot.com su yahoo.it
0 commenti:
Posta un commento