MERCANTI VENEZIANI NELLA MOREA DEI PALEOLOGI
Mistrà prospera grazie all’afflusso delle merci che provengono dal porto di Monemvasia dove passano tutte le navi che percorrono le rotte commerciali del Mediterraneo orientale dirette a Costantinopoli e agli scali marittimi del Ponto Eusino. Nell’abitato, vicino allo scalo marittimo, ha la sua residenza stabile il podestà di Venezia che garantisce, con lo stendardo del Leone di San Marco, il protettorato della Serenissima sulla città che gode delle franchigie commerciali, già concesse dal basileus Andronico II. Le galee veneziane proteggono le navi commerciali dai pirati e dai corsari del sultano Murad II che tiene sotto assedio la città di Tessalonica, governata dal despota Andronico, figlio del basileus.
Ser Nicolò procede lentamente a piedi per il sentiero, tenendo nelle sua mano le briglie del cavallo che apre la lunga fila di animali da soma, carichi di mercanzie preziose. Le donne e i bambini salutano il mercante che passa sotto le loro finestre mentre sale al Palazzo.
Gli abitanti dei quartieri alti appartengono alle famiglie più ricche della città e attendono con tanta curiosità di vedere le ultime novità di tessuti di lana e di seta prodotti in Occidente. Le nobildonne vogliono conoscere le mode dei Latini, per non sfigurare alla presenza della giovane Cleofe che ama indossate gli abiti leggeri e colorati che si usano a Venezia e nelle corti delle città italiane.
La primavera ha già rivestito di foglie e di fiori variopinti gli alberi da frutto e le aiuole che adornano le case degli abitanti della città bassa. I davanzali delle finestre mostrano l’amore delle donne per i fiori e gli arbusti odorosi del luogo. L’abitato accoglie con allegria lo straniero che viene dal mare con le manifatture di terre lontane.
Il mercante si ferma davanti alla “Porta di Monemvasia” perché il cancello di ferro è chiuso e presidiato con tanti uomini armati. Il capo dei guardiani lo riconosce subito e lo saluta con rispetto: “Ser Nicolò, siete veramente coraggioso a venire a trovare il nostro despota in questo momento. Voi veneziani non vi fermate mai, pur di far arrivare al più presto la mercanzia là dove si è sicuri di ottenere un giusto e proficuo guadagno”.
“Demetrio, sono lieto di vederti - risponde il mercante – e sono curioso di sapere il motivo di questa precauzione nel mezzo di una città che dispone di poderose mura e torri perimetrali nella parte bassa, presidiate da uomini pronti a respingere qualsiasi assalto nemico”. La porta principale, vicino alla chiesa di San Demetrio, permette di entrare liberamente anche agli stranieri. Nessuno mi ha chiesto il lasciapassare né il motivo del mio ingresso”.
“Il nostro principe Teodoro – dice il capo dei guardiani – è partito da vari giorni con al seguito i suoi arconti più giovani per ostacolare l’avanzata dei Turchi sull’Istmo di Corinto. Ho ricevuto dal capitano del Kastron l’ordine di tenere il cancello chiuso e di far entrare soltanto i residenti dei quartieri alti”.
“La merce che io porto – afferma ser Nicolò – è stata già pagata ed io ho solo l’incarico di consegnarla alla signora Cleofe. Manda subito un cavaliere al castellano e fatti autorizzare per l’ingresso dei cavalli e delle bestie cariche di merci. Sono sicuro di essere atteso dalla principessa perché da lontano ho visto una chioma bionda affacciarsi dai balconi del Palazzo. Ho già servito la nobildonna dei Malatesta che è degna di stare al fianco del suo signore per il vivo interesse all’agire del governatore della città”.
“Paolo, monta in sella – grida il guardiano al suo aiutante – e vai ad avvisare il nostro comandante per l’autorizzazione al transito della carovana. Ser Nicolò è atteso dalla nostra principessa. Tu stesso scorterai il nobile veneziano alla sua residenza per agevolargli il cammino e rispondere ai servi del Palazzo”.
“Il mio cavallo è pronto – risponde il giovane – e raggiungerò la porta del castello come un dardo veloce”.
“Le sentinelle poste sulla sommità delle torrette – dice Demetrio - hanno avuto l’ordine di controllare dall’alto la pianura e di avvisare subito il capitano quando scorgono i polveroni innalzati dai cavalli al galoppo. I popolani che passano, per servire nei palazzi dei signori, spesso mi chiedono con ansia: “Il muro di Corinto, fatto costruire dal nostro imperatore, reggerà agli assalti dei guerrieri turchi? Il nostro esercito quanti soldati ha per respingere gli Ottomani? La nostra città è presidiata dai veterani che alloggiano nelle torrette delle fortificazioni con le loro donne ma i più giovani sono partiti al galoppo dietro l’arconte Frangopulo. Chi ci difenderà se i mercenari stranieri, pagati con gli iperperi, fuggono davanti all’irruenza dei guerrieri del sultano?”.
Anche il podestà di Monemvasia mi è sembrato preoccupato - afferma il mercante - per le innumerevoli navi turche che inalberano al largo lo stendardo turco. Il mare Egeo è infestato da pirati e corsari delle città costiere dell’Asia Minore, conquistate dagli Ottomani. Il sultano guida personalmente il suo esercito in battaglia e si avvale di giovani emiri che vogliono mettersi in mostra al cospetto del loro comandante e fare bottino per le loro milizie. I guerrieri turchi fanno paura perché sono smaniosi di distruggere e di impossessarsi delle ricchezze, messe in bella mostra dentro le residenze sontuose dei governanti e dei loro funzionari”.
Francesco Liparulo - Venezia
P.S. Brano tratto da “Terra di Morea” di Francesco Liparulo in “Storie Venete” di Francesco Liparulo. Vedi galeaveneta.bolgspot.com su yahoo.it
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