giovedì 26 agosto 2010

VENEZIANI A COSTANTINOPOLI

Capitolo ottavo
Il quartiere di Sant'Eufemia
Il complesso di edifici, vicino al grande Ippodromo di Costantinopoli, è ridestato all’alba dal rullio dei tamburi che precedono l’annuncio del banditore del Prefetto della città. Gli abitanti, ricchi e poveri, aprono le finestre delle loro case e ascoltano la voce dell’uomo che annuncia: “L’imperatore al tramonto passerà attraverso la Mesè per recarsi nella Chiesa della Santa Pace”.
Il tempio è stato fatto costruire da Costantino il Grande ed è stato dedicato alla Santa Irene. Il nome è inteso dagli abitanti come la Santa Pace del Cristo che l’antico imperatore portò per tutti i popoli che riconoscevano il Diritto di Roma.
La città ha bisogno di pace per salvaguardare la sua esistenza, minacciata dall’esercito turco di Murad II. Il sultano vuole vendicarsi perché il coimperatore ha ospitato il fratello Mustafà che pretende il suo trono.
La processione di Manuele II è un evento importante per tutti, perché permette agli aristocratici di partecipare al corteo e ai poveri di ottenere le offerte che i ricchi elargiscono lungo la strada percorsa dal corteo.
Il quartiere, ricco di taverne nel passato perché attraversato da tutti coloro che si recavano all’ippodromo, si è impoverito negli ultimi anni. Gli imperatori non autorizzano le corse di cavalli perché assillati dalle guerre civili e dai continui assedi dei Turchi. Gli aristocratici facoltosi e i funzionari governativi hanno abbandonato il quartiere e fatto costruire i loro palazzi nel distretto delle Blacherne, dove si trova la nuova reggia del basileus.
Le vecchie dimore dei ricchi sono fatiscenti e date in affitto ai meno facoltosi. I popolani vivono nelle case di proprietà dei vecchi funzionari governativi che da esse traggono enormi profitti. Le rendite immobiliari, provenienti dalle case date in affitto ai meno abbienti, crescono continuamente per i continui sfratti e per la poca manutenzione, necessaria per l’abitabilità. Coloro che entrano nelle case provvedono in proprio alle riparazioni del tetto. Il pagamento dell’affitto è esoso perché i residenti diventano sempre più poveri per il ristagno del piccolo commercio che una volta riempiva le loro tasche di monete d’argento e di iperperi d’oro.
Le piccole botteghe di artigiani, aperte lungo l’arteria commerciale della Mesè, vengono chiuse perché non affluisce più dall’entroterra la mercanzia a buon prezzo, richiesta da chi non dispone di molto denaro. I bottegai e i piccoli artigiani che non dispongono più di un lavoro autonomo sono costretti a offrire la loro esperienza ai laboratori dei mercanti agiati. Le richieste di lavoro per mantenere una famiglia diventano sempre più numerose.
Le vedove dispongono di un piccolo sussidio governativo per il servizio alle armi reso dai loro uomini, morti sulle mura durante i sanguinosi attacchi dello scoro mese di agosto. A stento riescono a mantenere le loro famiglie. La presenza di piccoli da allevare o di figlie da maritare con una dote spingono le giovani madri ad offrirsi per qualsiasi lavoro.
Gli aristocratici che abitano nel quartiere non dispongono più delle terre conquistate dagli Ottomani e non hanno più gli incarichi governativi, dati in appalto ai più ricchi che dispongono di grossi quantitativi di iperperi d’oro. Il loro malcontento cresce continuamente ed è alimentato dai più ricchi che hanno costituito il Partito degli Antichi Aristocratici. Gli appalti governativi vengono rilasciati a coloro che sono fedeli alla famiglia imperiale e offrono le loro ricchezze per sostenere le spese militari.
Il luogo di raccolta, per coloro che offrono le proprie braccia alle offerte di lavoro, è dato dalla piccola piazza antistante la Chiesa di Sant’Eufemia. Il luogo sacro è affidato a padre Demetrio, un sant’uomo del clero che dipende direttamente dal Patriarca che officia nella Grande Chiesa della Santa Sofia. Coloro che non riescono a trovare lavoro si affidano alla carità elargita dal religioso, in nome del Primate dell’Impero.
Gli squilli di trombe che provengono dalla Mesè, attirano, lungo la grande arteria, tutti i residenti del quartiere di Sant’Eufemia che vogliono vedere il loro imperatore. I grandi portici non sono stati addobbati con gli arazzi colorati che si usano per i cortei trionfali degli imperatori. Si tratta di una processione di carattere religioso diretta al tempio della Santa Pace. La strada è illuminata da ceri, fatti depositare dal Prefetto sui cornicioni dei portici.
Una lunga fila di dignitari e funzionari dell’Impero accompagna il basileus Manuele II, scortato da nobili cavalieri. L’imperatore veste il sacro indumento della penitenza ed avanza a capo scoperto sotto un baldacchino mobile di seta purpurea, sorretto da quattro aste. La strada è pavimentata con petali di fiori e un profumo d’incenso si diffonde lungo il percorso. Tutti i nobili del corteo portano una grande candela in segno di devozione e sono affiancati da servi che dispensano la carità a coloro che lungo il tragitto ne fanno richiesta con la mano tesa.
Nel corteo, secondo le disposizioni imperiali, è presente il bailo della Serenissima con i funzionari della colonia ser Ludovico, ser Marin, i segretari Francesco Filelfo e Giovanni Crisolora, i due giovani mercanti Marco e Francesco.
“Ser Marin, scorgo su margine destro della strada – dice sottovoce Marco - degli uomini della Capitana tra la gente”.
“Il comandante della nave – risponde il funzionario – mi ha fatto sapere che alcuni remigi si sono recati questa mattina nel quartiere di Sant’Eufemia, per vendere la loro mercanzia e per fare qualche piccolo affare. Si dice che ci sono molti residenti che vogliono vendere i loro oggetti d’oro per mantenere le famiglie. La città è sotto assedio e la povertà dilaga nei quartieri dei popolani. Si vedono molti uomini e donne che tendono la mano per ottenere le monete con l’effigie dell’imperatore”.
“Come è possibile che una città così ricca – sussurra Francesco - sia piena di poveri? I governanti dovrebbero provvedere a sostenere le famiglie povere”.
“Il sostegno delle famiglie bisognose di aiuti – risponde ser Ludovico - è di competenza dei Sacri Ordini Monastici della città. Anche queste istituzioni religiose hanno subito forti perdite con la conquista delle terre da parte dell’esercito del sultano. I monaci ricevono grandi donazioni dall’imperatore e con questi denari fanno fronte al loro mantenimento e alle opere di carità. Le guerre civili, la perdita di vaste regioni dell’Impero ed i continui assedi, hanno ridotto le elargizioni imperiali. Il Patriarca ed il suo clero sono preoccupati per il dilagare della povertà tra il popolo e fanno appello agli aristocratici facoltosi per sostenere i poveri. L’indigenza toglie agli uomini la libertà di soddisfare i bisogni dello spirito e li allontana dai sacri riti che si celebrano nelle chiese della città”.
“Non ho visto – dice Marco – nessun grande prelato nella processione”.
“Il Primate Giuseppe – risponde Filelfo – attende in preghiera l’arrivo dell’imperatore sul dato Ovest della Grande Chiesa, per scortarlo al vicino tempio della Santa Irene. Durante la sosta nella Chiesa della Santa Sophia, il basileus accende il Grande Cero Votivo come segno di devozione a Colui che è la Vera Via della Vita per la sopravvivenza della città. La Sacra Immagine della Vergine, situata nel grande abside del tempio, mostra all’imperatore la strada da percorrere per salvare il popolo di Costantinopoli”.
Il corteo entra nella chiesa della Santa Irene e Marco sussurra di nuovo al segretario del bailo: “Perché Manuele II lascia la Grande Chiesa per recarsi in questa piccola chiesa che non ha le sacre immagini sulle pareti? Noto soltanto una piccola croce”.
La risposta dello studioso della cultura ellenistica rivela una grande realtà: “Questo piccolo segno indica la via della vera salvezza, non solo di questa città ma anche di tutti gli uomini che cercano la libertà di potersi aprire a tutti i propri simili per raggiungere il vero bene comune. Questo è possibile se c’è la pace fondata sul Diritto romano che si è diffuso in tutto l’Impero. Costantino il Grande vinse l’esercito dei pagani perché credette in questo piccolo segno che rappresenta Gesù Cristo che porta la vera pace. Tutto si basa sulla convinzione che gli uomini sono delle persone simili a Colui che si apre tutto all’amore del Figlio ed è ricambiato in questa relazione che genera lo Spirito dell’unico vero Dio a cui ogni uomo è simile.”
“Tutto questo che dici – incalza il giovane veneziano – quando e dove è stato proclamato? Le tue parole mi ricordano la preghiera che recito ogni domenica durante il rito sacro. Non ho mai capito in che cosa possa consistere questa somiglianza. Nell’essere umano ci sono tanti difetti e ogni persona è differente dall’altra. Soltanto dei consanguinei appaiono simili, come i figli di uno stesso padre e di una stessa madre. Si tratta di una similitudine che scaturisce dalle leggi della natura. Mi è stato insegnato fin da bambino che gli uomini sono stati creati simili a Dio in quanto dotati di un’anima spirituale. Si tratta di una verità della nostra fede”.
“In questo luogo - risponde Filelfo – si tenne il 1° Concilio di Costantinopoli, più di mille anni fa, indetto dall’imperatore Teodosio. Centocinquanta vescovi si radunarono in questo tempio e proclamarono che Dio è uno solo nella sua sostanza e nella sua potenza. I santi padri evidenziarono che Gesù ci ha rivelato di essere il Figlio del Padre e che Dio è Padre e Figlio e che il loro reciproco amore genera lo Spirito. L’umanità ha appreso che Dio si differenzia nelle relazioni d’amore di Padre e Figlio e Spirito, cioè in queste Tre Persone. Dio è dono d’amore e l’uomo è immagine di Dio in quanto persona, cioè relazione d’amore per gli altri che sono simili a Dio”.
“Se l’uomo - continua Marco - è un essere che si apre come modalità d’amore ai suoi simili, perché ci sono sempre le guerre? C’è qualcosa che mi sfugge”.
“Capisco la tua perplessità – replica il segretario – e ti ricordo che l’uomo nasce libero. La capacità di aprirsi agli altri simili richiede la sua volontà, cioè il desiderio di amare che è la vera pace. Se l’uomo non vive in pace non può crescere nella sua persona, cioè nella sua apertura agli altri uomini. La pace è il desiderio che l’uomo ha di donare e di ricevere la libertà di raggiungere il bene comune che è il vero appagamento materiale e spirituale. Non basta desiderare la vera pace, cioè non basta conoscere la via, ma occorre una forza vitale, senza la quale non si può fare nulla. Nel Vangelo è scritto: "Senza di me non potete fare nulla". L’imperatore è venuto qui per implorare Colui che è la Pace affinché la possa donare a tutti gli uomini che vogliono vivere e progredire nel benessere”.
Dopo il rito dell’ingresso, il santo Patriarca Giuseppe intona l’Inno della Pace e un profumo d’incenso si innalza verso la grande cupola. Il basileus supplica il Figlio della Vergine Orante perché Costantinopoli possa vivere in pace con tutti i popoli. La sua preghiera conferma la fede del popolo credente nel segno che è la vera via della sopravvivenza della città. Fuori del tempio ci sono molti poveri che aspettano l’uscita degli aristocratici ricchi per ottenere un’altra elargizione di denaro.
Al termine del rito, Manuele II, salito su una grande carrozza imperiale, ritorna al monastero dedicato alla Vergine Ammirabile, accompagnato dai principi della casa regnante e da loro amici.
I collaboratori del bailo, scortati dai suoi servi che illuminano la strada, fanno ritorno alla colonia di San Marco. Durante il tragitto Marco chiede a ser Marin: “Sento spesso parlare del quartiere di Sant’Eufemia dove i remigi della Capitana si recano per vendere la loro mercanzia e sono curioso di vedere da vicino chi sono i suoi residenti”.
“Questo tuo desiderio - risponde il funzionario – ti fa onore ed accresce la tua esperienza. Ogni mercante dovrebbe conoscere le usanze e lo stato della comunità con cui vuole commerciare. Domani mattina, chiederò al bailo di farti accompagnare da Rodopios per le vie del quartiere più povero della città”.
“Come mai – incalza il giovane mercante – i popolani vicino al complesso imperiale dell’antica reggia, fatta costruire e arricchita dai discendenti del Grande Costantino, sono ritenuti i più poveri della città? C’è un contrasto tra la ricchezza degli aristocratici dentro la chiesa della Divina Pace e i popolani fuori dal tempio. Se gli uomini nascono tutti uguali, in quanto capaci di relazionarsi liberamente ai propri simili, non dovrebbero esserci differenze tra i sudditi dell’imperatore. Colui che è ritenuto il rappresentante della potenza di Dio dovrebbe consentire a tutti di raggiungere liberamente un livello di benessere soddisfacente”.
“La povertà - risponde ser Marin - nasce dal fatto che l’imperatore non è più in grado di assicurare ad ogni residente la percentuale di guadagno prevista dalle leggi per ogni attività o servizio reso alla comunità. Le guerre civili e gli assedi gli impediscono di garantire alla città quel bene comune che possa riversarsi su tutte le famiglie”.
“Durante la processione alla chiesa della Santa Pace – sostiene Marco - ho notato che alcuni servi distribuivano anche monete d’argento ai poveri. I loro padroni sono ricchi e possono permettersi di elargire tutto il denaro che vogliono”.
“Il tuo sguardo – continua il funzionario della colonia – ha colto una discrepanza nella gestione della ricchezza della città. La sua amministrazione avviene secondo regole che sono state fissate nel passato e non si adeguano con flessibilità alla nuova situazione dell’Impero, ridotto a poche città e a un piccolo dominio nel Peloponneso. Le casse dello stato vengono riempite attraverso i monopoli concessi dall’imperatore ad alcuni sudditi che diventano i nuovi aristocratici emergenti che accumulano tutte le ricchezze provenienti dalle attività commerciali e dai proventi immobiliari della città. Una volta i ricchi erano coloro che possedevano le terre e potevano trarre in proprio tutte le ricchezze con l’obbligo di garantire la sicurezza del territorio e di fornire soldati ed equipaggiamenti militari per la difesa dei confini dell’Impero e per la sopravvivenza della sua capitale. Le cariche governative costituivano soltanto un ornamento per questi ricchi aristocratici. Oggi tutto è cambiato e l’amministrazione imperiale può fare affidamento soltanto sulla capitale. In città si fronteggiano nell’ombra i due gruppi di aristocratici. L’elargizione di denaro che hai notato è fatta dai sudditi che gestivano le terre del basileus e che sono padroni degli immobili della città”.
“Se la città continua ad essere percorsa da un fiume di ricchezza – dice Marco - l’imperatore dovrebbe dare ad ognuno la possibilità di attingervi in modo autonomo e secondo le necessità familiari. Il governo della Serenissima Repubblica garantisce ad ogni veneziano la libertà di poter esprimere in piena libertà le sue capacità in qualsiasi arte o servizio per la città e di trarvi il giusto guadagno”.
“Nella città di San Marco – risponde ser Marin - ci sono tutti gli uomini più nobili che provvedono in comune accordo a liberalizzare le capacità individuali e a permettere ad ognuno di contribuire al benessere della comunità. Se qualche famiglia cerca di accentrare il flusso dei guadagni, il Senato impone con leggi severe la piena libertà dei commerci e delle attività imprenditoriali. Qui, invece, tutte le attività sono regolate dalla famiglia imperiale che gestisce attraverso i suoi monopoli tutta la ricchezza.
Colui che riesce ad accaparrarsi la gestione autonoma di un’attività redditizia, per conto dei Paleologi, diventa ricco ed assume il rango di funzionario aristocratico, in grado di disporre di tutti gli uomini e del loro lavoro per il monopolio governativo. La povertà di tante famiglie, che non dispongono di grosse cifre di denaro per un proficuo investimento, deriva proprio da questo modo autoritario e monopolistico di gestire tutto ciò che produce denaro. Colui che ha solo le proprie braccia per provvedere ai bisogni familiari deve sottostare alle percentuali di guadagno fissate per ogni attività lavorativa e non può mai elevare il proprio tenore di vita”.
“Se l’imperatore non garantisce il benessere comune per tutti i sudditi – sostiene il giovane veneziano - rischia di soddisfare soltanto alcuni e di creare il malcontento in chi non può mantenere il proprio benessere ed è costretto a limitare le proprie capacità di vivere in modo più consono alle proprie esigenze familiari”.
“Hai colto nel segno, Marco, il malcontento - dice ser Marin - inizia a serpeggiare soprattutto tra coloro che una volta potevano arricchirsi all’ombra della reggia ed oggi sono esclusi dalle scelte imperiali. Coloro che hanno perso i grandi latifondi non hanno più la possibilità di arricchirsi e si sono riuniti nel Partito degli Antichi Aristocratici. La compagine dei ricchi dell’Impero si oppone alla politica instaurata dal basileus di contenere l’espansione turca con la richiesta di aiuti all’Occidente. Le loro mire sono quelle di riprendere il possesso delle terre perdute e sono disposti a favorire anche l’ascesa al trono imperiale di Costantinopoli di un principe amico del sultano”.
“L’indigenza dei popolani – incalza il giovane - potrebbe essere eliminata con le ricchezze che acquisiscono i funzionari governativi”.
“I loro guadagni – sostiene il funzionario - sono sotto il controllo delle leggi della città e rispondono a quote e percentuali determinate dall’imperatore. La differenza tra gli antichi aristocratici e i burocrati imperiali sta proprio nel fatto che i latifondisti potevano disporre a piacimento dei loro possedimenti e ricavarne tutto quello che era permesso alla loro cupidigia di guadagno. I funzionari imperiali hanno un limite nel loro arricchimento che proviene dalla gestione dei monopoli dei Paleologi”.
“Se la città – sostiene Marco - è il centro di tutti i commerci e dell’industria dei prodotti di lusso, si potrebbero innalzare le percentuali di guadagno a coloro che offrono le loro braccia per il lavoro manuale e dare una certa libertà nei ricavi agli uomini che cercano le soluzioni ottimali per le loro imprese.
Nelle città dell’Occidente il lavoro manuale è pagato in relazione alle capacità degli artigiani e alla loro maestria. Coloro che sanno lavorare con diligenza e ingegno i materiali della natura possono anche diventare ricchi, come si verifica nella città di San Marco e in tante città della Lombardia e della Toscana. Tante famiglie di artigiani creano delle piccole industrie ed acquisiscono lauti guadagni di cui una parte viene riversata sui popolani che vi hanno partecipato. Il latifondo non è più l’unica fonte di ricchezza e le città si riempiono di nuovi ricchi che costruiscono splenditi palazzi e danno lavoro e benessere agli altri residenti”.
“Apprezzo i tuoi ragionamenti – dichiara ser Marin – e ritengo che l’imperatore debba permettere ai sudditi residenti di lingua greca una maggiore libertà nelle attività artigianali, nei commerci e nei servizi resi alla comunità, in modo che possano acquisire maggiori percentuali di guadagno e bilanciare le riduzioni di tasse concesse ai mercanti e agli artigiani stranieri. La concessione dei privilegi ai mercanti non residenti va a scapito degli abitanti stabili della città. La libertà di poter guadagnare come gli stranieri, che fanno le stesse attività, è molto significativo perché è indice di giustizia. I sudditi chiedono giustizia nelle percentuali di guadagno, cioè la libertà di poter trarre un profitto in misura equa rispetto a chi è favorito dai contratti commerciali con gli stati esteri. La richiesta diventa urgente per far fronte ai continui disagi degli assedi e alla diminuzione della merce proveniente dai paesi invasi dall’esercito turco.
Se il basileus e i suoi funzionari aristocratici non sono in grado di eliminare la povertà dei popolani, devono dare loro una maggiore libertà nelle loro attività lavorative, in modo che ognuno possa liberamente trovare in se stesso quella spinta creativa per far fronte alle proprie necessità familiari”.
“Questa città - sostiene Marco - ha conservato e continua a tramandare il Diritto romano che garantisce l’applicazione della giustizia. La presenza di tanti poveri sta a significare che l’imperatore non rende giustizia a chi non è più in grado di tenere un laboratorio o svolgere un’attività lavorativa autonoma per le innumerevoli tasse e gabelle che aumentano ogni giorno per mantenere i mercenari sulle mura della città. I mercanti stranieri hanno la possibilità di fare buoni affari perché pagano meno tasse”.
“La tua osservazione è giusta – afferma il funzionario – ma è anche necessario concedere delle agevolazioni commerciali ai rappresentanti di altri popoli i cui governi offrono protezione alla città. La Serenissima garantisce con le sue galee la sicurezza del porto e impedisce ai pirati di assalire le navi lungo le rotte commerciali. Il governo imperiale permette l’esistenza sul suolo urbano di una colonia veneta, governata dal bailo con una giurisdizione autonoma. I mercanti di San Marco hanno uno sconto sui noli e sulle tasse previste per le mercanzie trasportate dalle navi.
La questione della povertà dovrebbe essere risolta con l’eliminazione dei monopoli imperiali che soffocano il libero commercio e con il ripristino della giustizia tra i ceti produttivi. L’imperatore dovrebbe garantire un maggiore guadagno a chi produce meglio e a chi rischia la propria vita al servizio della comunità. La responsabilità richiesta agli uomini che servono l’amministrazione governativa dovrebbe essere remunerata equamente, per impedire il dilagare della corruzione che arricchisce i più furbi e toglie agli onesti di ricevere la giusta ricompensa”.
“Nelle taverne c’è tanta allegria – interviene il giovane Francesco – e tanti iperperi d’oro passano da una mano all’altra nel gioco d’azzardo. Nessuno parla di povertà o di guerra, ma solo di guadagni. Sembra che l’assedio interessi solo i piccoli commercianti o i piccoli artigiani che vedono ridotto il flusso dei rifornimenti. Ser Benedetto ci ha raccontato che nella reggia si fa festa e durante i banchetti l’imperatore distribuisce gli incarichi ai grandi funzionari per i monopoli industriali e commerciali di proprietà della famiglia regnante. Gli aristocratici beneficiati portano in dono delle casse piene di monete d’oro e scrigni pieni di pietre preziose”.
“Le tue percezioni giovanili - afferma ser Ludovico – hanno un fondamento di verità. Questa città dovrebbe far diventare tutti i residenti ricchi, perché è un crocevia di commerci e di attività industriali. Le mercanzie più preziose, agognate da tutti gli abitanti dei paesi ricchi passano per l’emporio di questa città. Tutti i prodotti di lusso che ornano i corpi dei principi e arricchiscono le loro dimore sono confezionati nelle industrie monopolizzate della famiglia imperiale. La porpora, ornamento dei re e dei principi viene prodotta in questa città. I piccoli commercianti e i piccoli artigiani dovrebbero ricevere una parte dei lauti profitti degli aristocratici e dei funzionari imperiali, perché svolgono le loro attività in supporto alle manifatture e ai prodotti più costosi. Gli uomini che offrono le loro braccia per i servizi attinenti alle varie produzioni e per il movimento di tutta questa ricchezza, dovrebbero ricevere almeno una piccola percentuale di guadagno, sufficiente a mantenere a far fronte ai bisogni primordiali e secondari delle famiglie residenti in città. Tutti i mercanti dell’Occidente e dell’Oriente vengono in questa città e ritornano ricchi nei loro paesi. I residenti di Costantinopoli sono soggetti a una politica imperiale che è rimasta immutata nei vari secoli e non riesce ad adeguarsi ai nuovi tempi. I privati, che non entrano nel giro degli affari governativi, non riescono a far emergere una loro attività privata perché sono sobillati da tasse, sopratasse e balzelli vari che nascono ogni giorno per far fronte alle richieste dei mercenari”.
“Secondo il mio parere - sostiene Francesco - la povertà non dovrebbe esistere in questa città d’oro. Nei paesi dell’Occidente c’è un dinamismo e un fervore in ogni famiglia. Tutti si ingegnano per fare soldi e nascono grandi mecenati tra coloro che diventano ricchi. I mercanti fanno a gara per costruire i palazzi più belli e per indossare gli abiti più sfarzosi. I nuovi ricchi prestano i loro soldi ai nobili e danno lavoro non solo ai residenti delle loro città, ma chiamano anche gli uomini delle contrade e delle campagne per abbellire le loro dimore con monumenti e giardini. Tutti lavorano e guadagnano per mantenere decorosamente le loro famiglie.In questa città, invece, le statue degli antichi imperatori cadono dai piedistalli, le arcate dei fori imperiali cedono per le infiltrazioni piovane e i palazzi pubblici diventano fatiscenti per l’incuria. L’antica reggia di Costantino il Grande cade in rovina e il quartiere di Sant’Eufemia, vicino al grande Ippodromo imperiale, è pieno di povere famiglie, mentre nelle strade fluisce la ricchezza del grande emporio di Costantinopoli”.
“Il contrasto tra la ricchezza e la povertà – afferma ser Ludovico - è davanti agli occhi di qualsiasi attento osservatore. Lo splendore della reggia delle Blacherne contrasta con il degrado dell’antico centro di Costantinopoli. La sede politica e amministrativa si è spostata e l’imperatore guarda ad Occidente per salvare il suo Impero. La sua protezione è nelle mani di coloro che un tempo erano i suoi sudditi, ereditati dalla Roma dei Cesari.Il basileus ritorna ad attingere il suo potere nella città eterna, fonte del Diritto romano, dove risiede il successore di chi custodisce le chiavi del Regno. L’impero dei successori di Costantino si e ridotto a questa città d’oro che non ha più la capacità di donare il benessere comune a tutti i suoi figli. Le tasse e i vari balzelli non riescono a far fronte al mantenimento di un esercito di mercenari. L’efficiente burocrazia imperiale diventa ogni giorno più esosa nelle pretese di pagamento e anche i funzionari del bailo sono costretti a sorvegliare con maggiore diligenza la riscossione delle tasse della colonia, per fra fronte alle esigenze delle casse dello stato imperiale. Il Grande Logoteta invia con maggiore frequenza i messi della burocrazia, per esigere i tributi dei residenti veneti e i ducati d’oro provenienti dal movimento delle mercanzie, trasportate sulle navi che inalberano lo stendardo del Leone alato di San Marco”.
“Se ci sono tanti aristocratici ricchi – afferma Francesco – l’imperatore potrebbe chiedere a loro delle contribuzioni straordinarie per bilanciare le ingenti spese di guerra e non continuare a premere sulla popolazione della città”.
“Il tuo suggerimento – afferma il funzionario - è giusto e trova un riscontro nel comportamento del Senato della Serenissima Repubblica. Gli amministratori della città di San Marco hanno sempre adottato questo metodo nei momenti di pericolo. I Veneziani nobili hanno sempre risposto generosamente con le loro sostanze per sostenere le spese di guerra ed hanno fatto a gara per dimostrare la loro devozione a San Marco, provvedendo alla fondazione di Istituzioni preposte per il sostegno delle famiglie povere e per il mantenimento degli orfani.
Il basileus non è eletto dal popolo di Costantinopoli e provvede a beneficiare soltanto i suoi funzionari che riempiono le casse dello stato. I burocrati dell’Impero hanno il dovere di bilanciare le spese con uguali entrate che provengono dalle tasse e dalle gabelle, imposte ai residenti e a chi usufruisce del suolo pubblico per i suoi commerci ed affari. La povertà non interessa ai funzionari ma è devoluta alla carità del clero e dei monasteri.
Gli aristocratici che una volta facevano a gara per dimostrare la loro magnanimità si sono rinchiusi nelle loro ricche dimore, in attesa di un principe che restituisca i loro possedimenti terrieri, conquistati dall’esercito del sultano. Le loro borse si sono chiuse per i bisognosi e si aprono soltanto per ottenere la gestione dei monopoli dei Paleologi. Le sontuose dimore dei ricchi, circondate da alte mura, sono affiancate dalle case basse dei popolani e la loro miseria non è percepita da chi pensa solo alla propria ricchezza o passa il tempo nei profondi ragionamenti per trovare le soluzioni ai problemi filosofici. I loro figli non sono allevati per combattere o per difendere le mura della città perché questa incombenza è lasciata ai Principi della casa regnante e ai loro mercenari. L’arte della guerra non rientra nei pensieri di chi ha sempre beneficiato delle concessioni imperiali.
La città è diventata la patria degli stranieri che la considerano come la loro fonte di ricchezza e di benessere. I loro governi sono interessati a mantenere la sua sopravvivenza perché è ritenuta vitale per i loro interessi. Anche Venezia è interessata alla difesa della città perché vuole mantenere il mercato che attira tutti i mercanti dell’Occidente e dell’Oriente. Costantinopoli è sempre stata la città che ha fatto sognare i re e i principi per la sua grandezza e per le sue promesse di ricchezza. Il suo imperatore ha sempre garantito il rispetto del Diritto romano condiviso da tutti i popoli”.
“Se la città è sotto assedio – dice Francesco – significa che qualche popolo si sente più forte e intende conquistarla per governare il mondo”.
“Il sultano Murad II ha l’esercito più potente – risponde il funzionario veneziano – e dispone di grossi quantitativi d’oro per pagare tutti i soldati che gli servono per estendere il suo dominio. Costantinopoli è l’unico baluardo che si oppone alle sue mire di conquista. Anche l’imperatore turco conosce il Diritto romano e vuole impiegarlo secondo i suoi fini che non coincidono con gli interessi dei Signori dell’Occidente. Il suo popolo è costituito da guerrieri che applicano i loro metodi per governare le popolazioni sottomesse.
Le città dell’Occidente hanno imparato da secoli a gestire la loro libertà e non tollerano che un altro popolo possa distruggere l’equilibrio millenario, raggiunto con l’applicazione delle leggi tramandate dai loro padri. Le norme del Diritto dell’antica Roma, conservate e garantite dal basileus, sono diventate patrimonio condiviso da tutte le città dell’Occidente. Le loro istituzioni hanno fondamenti giuridici che permettono ai loro abitanti di risolvere i loro dissidi secondo regole condivise. Il desiderio di equilibrio politico e giuridico tra i popoli dell’Occidente coalizza i loro governanti contro il sultano ottomano per la sopravvivenza di Costantinopoli. La città permette a loro il raggiungimento di quel benessere comune, ottenuto con il movimento delle merci e secondo norme commerciali e marittime condivise da tutti i popoli che convergono le loro attenzioni sul bacino del Mediterraneo. La sua difesa è intesa come la difesa degli interessi vitali di tutto l’Occidente, minacciato da un popolo guerriero che vuole imporre la sua supremazia”.
“Se l’imperatore ottomano – afferma Francesco – dispone di un esercito potente, perché gli aristocratici ricchi non si stringono attorno al loro basileus per combatterlo? Le strade pullulano di uomini vestiti di seta pregiata e adorni di pietre preziose. La loro noncuranza dell’assedio sta a significare che non amano la loro città”.
“Molti aristocratici – dice ser Marin - si sono arricchiti con i proventi dei loro possedimenti terrieri e sono venuti a costruire le loro sontuose dimore vicino alla reggia per ottenere gli incarichi governativi e i titoli imperiali. Il loro scopo è quello di ottenere i privilegi legati alla gestione dei monopoli in possesso della casa regnante. Il desiderio di ottenere le terre perdute li spinge a favorire l’ascesa al trono del basileus anche di un Principe straniero. La città non è la loro patria ma solo un luogo che permette la salvaguardia dei loro interessi. La sopravvivenza della capitale di un Impero che si sta dissolvendo non rientra nelle loro mire. Gli aristocratici, venuti dalle lontane regioni, non rischiano la vita e le ricchezze per la difesa delle sue mura.
L’imperatore Manuele II ha speso tutta la propria vita per ottenere l’autonomia della città dalle brame espansionistiche degli Ottomani. Il suo amore per gli abitanti è conosciuto da tutti i Signori dell’Occidente, perché si è recato presso le loro corti ad implorare il soccorso dovuto alla città, capitale del millenario Impero dei Romani e custode delle sue sacre Istituzioni. La sua mano si è tesa per ottenere un aiuto concreto contro le continue minacce dell’esercito ottomano che diventa sempre più minaccioso e chiede la sua sottomissione incondizionata. Il suo popolo diventa sempre più povero perché il commercio e le industrie della città vengono gestiti dai governi di altre città.
La povertà che dilaga nel quartiere di Sant’Eufemia è il sintomo che la ricchezza della città non è gestita dai suoi abitanti. Il basileus lascia la sua difesa nelle mani dei suoi figli, unici Principi interessati a difendere la città. Il coimperatore Giovanni VIII cerca di allearsi con i vari pretendenti al trono degli Ottomani per allontanare il loro sultano dalle mura della città e logorare il suo esercito. La sua tattica politica è solo un palliativo che non risolve il vero problema che è quello di avere un esercito in grado di fronteggiare il potente esercito di Murad II. La processione al tempio della Santa Irene del basileus è la dimostrazione che la salvezza della città è nelle mani di Colui che è il Signore della vera Pace. L’imperatore non dispera ed alza ogni giorno le sue braccia imploranti per chiedere l’intercessione della Vergine Odigitra che ha sempre protetto la città. La sua devozione è d’esempio a tutto il popolo che spera in un futuro migliore. La città non ha nulla da temere sotto la cupola del tempio della Santa Irene perché il suo popolo ha proclamato a tutto il mondo l’esistenza dello Spirito della Pace che porta i credenti ad aver fiducia nella Santa Sapienza di Colui che è Padre di tutti gli uomini”.
“Se la situazione della città – insiste il giovane mercante – è cosi catastrofica da spingere l’imperatore a rifugiarsi nella fede, anche la Serenissima Repubblica deve temere una probabile vittoria del sultano”.
“Il bailo ha tutte le credenziali – risponde ser Ludovico - per svolgere un’azione mediatrice tra i due imperatori. La pace è l’unica via perseguibile per mantenere l’esistenza del mercato di Costantinopoli che garantisce il libero scambio delle merci tra l’Occidente e L’Oriente. La flotta del Leone di San Marco presidia i porti lungo le rotte commerciali e garantisce il dominio dall’Adriatico al Ponto Eusino. Il basileus ha affidato a Venezia la protezione della sua famiglia e la difesa degli stretti che permettono l’accesso al Mare della Propontide. Le porte marittime sono sorvegliate esternamente dagli equipaggi delle nostre galee. La Serenissima Repubblica ha stipulato da pochi anni un trattato di pace con il governo degli Ottomani e non teme intralci alla navigazione commerciale".