mercoledì 16 aprile 2008

MERCANTI VENEZIANI A COSTANTINOPOLI - Cap. IX

Il palazzo del vecchio aristocratico
Un gruppo di remigi della Capitana scendono a passo veloce dalla galea lungo la passerella con la loro mercanzia. Il sole di ottobre e la speranza di fare buoni affari li rendono loquaci per la strada che li conduce al quartiere di Santa Eufemia, dove intendono vendere i loro oggetti. Qualcuno di loro è già riuscito nei giorni precedenti a mostrare sul banchetto le collane e i braccialetti di Murano. Virgilio, il prodiere più influente del gruppo, conduce i suoi compagni nel quartiere vicino al grande ippodromo di Costantinopoli.
Le merci, esposte sotto i portici del Decumano e nei negozi della grande arteria commerciale che tutti chiamano Mesè, li invogliano ad accelerare il passo per mostrare gli oggetti portati dalla loro patria.
“Virgilio, non correre – esclama il giovane Tommaso – perché ti viene l’affanno. La mercanzia e il banchetto per l’esposizione hanno un peso che ci costringe a non correre. Non vedi che Marin non riesce a tenere il passo? Tu conosci la strada ed è opportuno stare tutti in gruppo perché alcuni di noi non conoscono il quartiere a cui siamo diretti”.
“Ci conviene arrivare alla piazza del quartiere prima dell’ora sesta – esclama il veterano del gruppo – perché le donne, interessate alla nostra merce, cominciano a ritirarsi per preparare il cibo per i loro uomini”.
Il vicolo del Carro veloce è una laterale della Mesè che, attraverso la piazza della chiesa di Sant’Eufemia, porta all’ippodromo della città. La strada, che un tempo era molto frequentata per gli amanti delle corse di cavalli, è anche percorsa, verso l’ora nona, da Francesco Filelfo, inviato con Marco e Francesco, come rappresentante del bailo, al banchetto del ricco Oikantropos. I due giovani veneziani sono accompagnati dal trace Rodopios, conosciuto dagli aristocratici di Sant’Eufemia come l’uomo fidato del bailo.
Il quartiere è ancora sede delle dimore degli aristocratici che amministravano i grandi latifondi prima delle conquiste dell’esercito ottomano. I grandi proprietari erano stati costretti dall’imperatore a risiedere nella capitale e a partecipare alle riunioni del Senato. La loro presenza era ritenuta obbligatoria in tutte le cerimonie pubbliche per le loro cariche onorifiche.
La riduzione dell’Impero ha costretto molti aristocratici a vivere come semplici funzionari governativi. I più fortunati sono coloro che riescono ad ottenere la gestione dei grandi monopoli dei Paleologi. Alcuni di loro posseggono in città estese proprietà immobiliari, date in affitto ai popolani in grado di pagare gli esosi affitti richiesti. Si tratta di laboratori per artigiani, negozi per bottegai e case per i popolani.
I più ricchi del quartiere si riuniscono spesso nella dimora di Oikantropos. Le terre della sua famiglia, nella vicina Tracia, sono state occupate dal sultano e la fonte attuale della sua ricchezza è data dai lucrosi proventi immobiliari. Ogni martedì, gli esponenti di spicco del Partito dei Vecchi Aristocratici vengono invitati al suo banchetto conviviale per far festa e per discutere su alcuni argomenti filosofici. I commensali di lingua greca sono tutti appartenenti alle famiglie che disponevano dei latifondi, passati sotto il governo ottomano di Adrianopoli. Tra gli invitati ci sono anche i più ricchi mercanti del quartiere arabo ed il Kadi del quartiere turco. Il santo Patriarca Giuseppe viene sempre invitato ma il Primate della Grande Chiesa di Costantinopoli invia il suo tesoriere laico, responsabile della raccolta delle elemosine per le opere di carità.
La casa dell’uomo più ricco del quartiere è vicino alla chiesa di Sant’Eufemia e per raggiungerla gli ospiti passano per il grande spiazzo, pavimentato da grossi lastroni di pietra, antistante l’ingresso del tempio. La piazza, adornata da una fontana che riceve l’acqua da una grande cisterna vicina, è il luogo in cui accorrono gli abitanti del quartiere per gli acquisti o per qualsiasi necessità. Il tenore di vita dei residenti si manifesta attraverso gli atteggiamenti degli uomini e delle donne che la frequentano per qualsiasi necessità. Il luogo è frequentato dai venditori ambulanti che occasionalmente espongono la loro merce e tra questi si mescolano tutti coloro che intendono comprare o vendere qualcosa lontano dal severo controllo degli agenti delle tasse.
Alcuni venditori, sotto il portico semicircolare antistante la chiesa, destano la curiosità di Marco e Francesco.
“Rodopios, fermiamoci un attimo – esclama Marco – per salutare i nostri amici della Capitana che espongono la loro merce sui banchetti. Vedo il prodiere Virgilio e i suoi amici”.
“Sono lieto di vedere i giovani balestrieri della mia galea – esclama il rematore - e di comunicarvi che gli affari vanno molto bene. Le popolane del quartiere scambiano i loro oggetti d’oro con le collane di Murano che luccicano sotto il sole e abbelliscono le loro ampie scollature. I miei amici, Tommaso e Marin, sono stati invitati a mostrare la loro merce nelle abitazioni di alcune donne per scambiarla con gli oggetti preziosi, custoditi nelle loro cassapanche”.
“Se le donne si avvicinano per ammirare la vostra merce – afferma Francesco – significa che riuscite a capire la lingua greca dei residenti”.
“Le donne di questo quartiere – risponde il prodiere – conoscono molte parole latine e anche il nostro veneziano, perché lavorano nei case dei mercanti. Sembra che in questa città le popolane siano in grado di esprimersi in varie lingue, senza aver ricevuto alcuna istruzione particolare. Da tanti secoli sono abituate a comprare dai venditori che provengono dall’Occidente e da quelli che provengono dall’Est. Alcune di loro conoscono anche la lingua araba e il linguaggio dei Turchi”.
“Non c’è da meravigliarsi – interviene Rodopios – se gli abitanti di questa città conoscono molte lingue. Costantinopoli è il centro del mondo e tutti gli uomini che la visitano o vi giungono per affari si sentono accolti dai residenti con le stesse parole amichevoli che si usano nelle loro lontane terre. Se il cuore è aperto all’amicizia, anche la mente si apre ad accettare la lingua e ad impararla per esprimere accoglienza e gioia di vivere. La facilità con cui i mercanti stranieri riescono a vendere la loro merce scaturisce proprio dalla predisposizione interiore degli abitanti ad accettare tutto ciò che proviene dalle altre culture”.
“Se questa città – afferma Marco - è conosciuta per la sua ospitalità, nessuno dovrebbe assediarla”.
“Hai ragione – risponde il trace – e ogni gesto ostile contro la città è uno scandalo per tutti coloro che vengono accolti dentro le sua mura. Gli abitanti della colonia turca si riuniscono ogni venerdì nella loro moschea e pregano perché la città sia risparmiata da qualsiasi atto ostile che danneggia la loro attività commerciale e non permette alle loro famiglie di vivere in pace. Il loro kadi è molto amico del bailo e viene invitato in tutti i ricevimenti degli aristocratici, perché è un uomo saggio e rispetta le tradizioni dei Latini e le istituzioni della cultura ellenistica”.
“Se i Turchi abitano in questa città – afferma Francesco – e frequentano le dimore dei ricchi aristocratici che parlano in greco, non capisco l’ostilità del loro imperatore che tiene sotto assedio questa città”.
“Sei ancora troppo giovane – risponde Rodopios – e non puoi capire i motivi che spingono gli uomini forti a risolvere le controversie territoriali con la guerra”.
“Noi Veneziani – afferma il prodiere Virgilio – vogliamo solo commerciare e vivere in pace con tutti. Questa città dà la possibilità di poter vendere i prodotti della nostra patria e di conoscere tante belle donne”.
“So cosa vogliono i marinai – esclama Rodopios – e ti auguro di incontrare una donna che possa comprare tutte le tue collane e possa conquistare anche il tuo cuore”.
“Il sole inizia a tramontare – continua il trace – e dobbiamo affrettarci per giungere alla dimora di Oikantropos”.
La dimora del ricco aristocratico è tra l’antico muro di Settimio Severo e il lato Sud-Occidentale dell’ippodromo. Le abitazioni dei popolani sono adiacenti al muro perimetrale della casa. Alcune case sono state ricavate dalle innumerevoli stalle di cavalli che nella zona abbondavano, quando l’imperatore amava assistere alle corse ed essere acclamato dalla folla. Le recenti guerre hanno impedito al Tesoro imperiale di sovvenzionare gli spettacoli. Molte taverne sono state chiuse ed il fiume di iperperi d’oro, che un tempo inondava il quartiere, non fluisce più per i suoi vicoli stretti e maleodoranti.
Rodopios precede gli inviati dal governatore della colonia dei Veneziani. Gli eunuchi, all’ingresso della grande casa, invitano gli ospiti ad entrare nella sala dell’atrio per le abluzioni di rito e ad indossare le tuniche di seta, ricamate con fili d’oro e d’argento, previste per i grandi banchetti. Gli invitati sostano vicino alle colonne che sorreggono il tetto dell’atrio, per rendere omaggio al padrone di casa, un uomo alto sulla sessantina che riceve gli amici nel suo studio.
La sua famiglia, appartenente alla classe dei Consiglieri dell’Impero, è originaria delle regioni della Tracia dove possedeva immense distese di terre, conquistate dagli Ottomani. Le immense ricchezze accumulate nei secoli hanno permesso ai suoi avi di acquistare delle proprietà immobiliari all’interno della città e di gestire alcuni monopoli imperiali. Gli imperatori della casa paleologa li hanno sempre designati come magistrati militari e civili. La riduzione dell’Impero ha limitato anche la sfera di influenza di Oikantropos che è il rappresentante nel Senato degli interessi degli Antichi Aristocratici. La sua voce è sempre ascoltata nelle grandi assemblee senatoriali e le sue parole sono oggetto di riflessione tra i ministri del Governo imperiale, perché rivelano spesso gli umori nascosti negli strati sociali del popolo.
Il rappresentante del bailo e i giovani mercanti vengono ricevuti con tutti gli onori nello studio di Oikantropos.
“Benvenuti nella mia casa – esclama a braccia aperte l’aristocratico – sappiate che gli amici di ser Emo sono per me gli ospiti più graditi che mi onoro di avere vicino durante l’intrattenimento conviviale. So che il segretario del bailo è un profondo conoscitore della nostra cultura. Il suo amore per le opere dei grandi filosofi e soprattutto per i testi delle antiche opere teatrali ci è noto da tanto tempo. Gli uomini colti dell’Occidente sono sempre bene accolti quando amano conoscere le nostre antiche tradizioni e sentirle come parte costitutive delle loro consuetudini. La conversazione si fa più spedita quando si condividono gli stessi amori per l’arte e per le istituzioni giuridiche che gli imperatori del passato ci hanno lasciato in custodia per lasciarle intatte alle future generazioni.
Sulle terre dell’Impero passano continuamente degli uomini in armi con un’altra cultura e con l’intento di impadronirsi della nostra città. Le sacre immagini della Vergine ci hanno sempre protetto e continueranno a proteggerci finché saranno accesi i ceri votivi. I nostri figli possono dormire tranquilli e dedicarsi alla cura del corpo e dello spirito. I principi guerrieri di altri popoli sono accolti purché rispettino le nostre usanze e lascino le rendite terriere a coloro che si mostrano ossequiosi nei loro confronti. Le conquiste durano nel tempo se le proprietà vengono lasciate in gestione a coloro che sanno farle fruttare e trasformarle in rendite apprezzabili da qualsiasi amministrazione imperiale. Non conta chi è l’imperatore, ma coloro che sanno ricavare dalle terre le rendite più proficue per rimpinguare le casse del tesoro imperiale. Gli aristocratici che sanno trarre profitti dalla gestione dei latifondi sono una garanzia sicura per mantenere un esercito e per dominare i popoli. Molti aristocratici dell’Impero sono rimasti nelle loro terre dopo la conquista ottomana. Il sultano ha destato nei loro animi una grande simpatia perché ha lasciato ai vecchi proprietari la gestione dei latifondi per ricavare le rendite necessarie a mantenere la loro corte di Adrianopoli.
Anche il nostro coimperatore dovrebbe mostrarsi amico del sultano che possiede quasi tutte le terre dell’Impero romano d’Oriente e non favorire un’altro pretendente al trono degli Ottomani. I principi paleologi non hanno imparato l’arte di mediare di cui i Veneziani sono maestri presso tutte le corti. Gli aristocratici della Serenissima trovano sempre il modo di risolvere le controversie e rimuovere tutti gli ostacoli che impediscono le relazioni politiche tra i governanti. I trattati di pace sono la premessa per il libero scambio dei prodotti commerciali. Mi riprometto di far visita a ser Emo per conoscere il suo parere su alcune questioni importanti che riguardano il recente comportamento del reggente Giovanni”.
Ser Filelfo, rinomato per la sua vasta cultura greco-ellenistica, viene accompagnato con i suoi amici ad occupare un triclinio marmoreo, ricoperto di morbidi cuscini di seta, attorno ad una delle tante tavole preparate nella grande sala. Il locale è sormontato da una cupola che appoggia su un tamburo, retto da colonne marmoree.
Dal vicino portico, i suonatori della Tracia rallegrano gli invitati con musiche e canti che rievocano le antiche tradizioni dei popoli che abitano i territori conquistati dal sultano. Gli aristocratici, che non posseggono più le rendite dei lori domini, sentono con nostalgia i canti delle loro terre d’origine.
Le vivande e i vini delle vicine isole della Propontide e dell’Egeo rallegrano gli animi ed inducono i convitati ad aprire il loro spirito alla ricerca dei consensi e all’appagamento intellettuale dei lunghi ragionamenti di circostanza. Una fila interminabile di servi, proveniente dalle cucine, si snoda lungo il peristilio per riempire le tavole di vassoi sempre pieni di carni arrostite e insaporite con le spezie più ricercate. I ceri dei candelabri sono accesi per dare luce a tutti i locali della casa.
“Il Grande Logoteta ha chiesto a tutti i senatori – sussurra Oikantropos nell’orecchio del ricco Teicantros, disteso al suo fianco sul grande triclinio – un incremento delle entrate del Tesoro imperiale con un ingente balzello sul materiale edilizio. Il Partito degli Antichi Aristocratici, che mi ha eletto suo portavoce nelle discussioni dell’Assemblea senatoriale, non concorda con l’aumento proposto dal primo ministro, perché le case e i locali commerciali, dati in affitto, hanno subito già dieci rincari negli ultimi sei mesi, per far fronte all’assedio del sultano. Le abitazioni e le botteghe richiedono continue manutenzioni che vanno a gravare sui fitti”.
“La concessione imperiale della gestione del monopolio sulle costruzioni pubbliche e private – risponde sottovoce il commensale – mi è costata un occhio della testa e bisogna far fronte alle riparazioni delle mura terrestri e dei bastioni, danneggiati negli ultimi assalti. I lavori pubblici devono essere sostenuti da tutti coloro che posseggono proprietà immobiliari e provvedono alla loro manutenzione”.
“I popolani si lamentano che le case date in affitto sono fatiscenti - afferma il padrone di casa – e i fitti sono esosi. Tutto il peso delle pubbliche riparazioni sta gravando sulle spalle degli aristocratici che sostengono le loro famiglie con le modeste rendite immobiliari. Il responsabile dell’amministrazione imperiale dovrebbe reperire i fondi, per le riparazioni degli edifici pubblici, con maggiori aumenti sulla compravendita delle stoffe. I mercanti di tessuti di lana e di seta sono diventati i più ricchi della città con la chiusura delle porte terrestri e con le modifiche del monopolio imperiale della lavorazione della seta. La lana non giunge più dalla Bulgaria e l’importazione dei bozzoli si è interrotta con le conquiste ottomane. Gli operai del quartiere, che lavoravano nelle industrie imperiali vicino alla reggia, sono rimasti senza lavoro e mi chiedono di procrastinare il pagamento dell’affitto della loro casa”.
“Il basileus Manuele II – afferma Oikantropos - è sempre riuscito a sollevare il tenore di vita degli abitanti del quartiere con delle donazioni specifiche al Patriarca, per le esigenze delle famiglie più povere. Il coimperatore Giovanni VIII ha dimenticato l’esempio di suo padre e i popolani si sentono ogni giorno abbandonati al loro destino di povertà. Le mie rendite non mi consentono di far fronte alle esigenze di lavoro di tutti gli abitanti del quartiere, perché posso dare una paga soltanto a chi serve nella mia casa”.
La speranza degli abitanti è quella di ricevere un lavoro o un sostegno dagli aristocratici che si sono arricchiti con le terre dell’Impero. Il malcontento di coloro che non hanno più le rendite fondiarie si riversa sui popolani che per vivere sono costretti a sostenere le loro rivendicazioni. Il malumore serpeggia anche nel popolo che contrasta le scelte politiche e culturali della casa imperiale.
L’imperatore e il reggente, per mantenere il loro potere contro l’invasione dell’esercito ottomano, si rivolgono al papa Martino V e ai Signori dell’Occidente. Le questioni patrimoniali dei vecchi aristocratici prendono il sopravvento sulle scelte politiche, perché influiscono quelle che riguardano il benessere comune di tutta la città. Le dialettiche mistiche dei santi padri della Chiesa vengono sfruttate da alcuni aristocratici per attirare dalla loro parte i poveri.
Il popolo non vuole l’intervento di un esercito latino perché ricorda le razzie e le distruzioni perpetrate nei secoli precedenti dai crociati che assalirono, per bramosia di ricchezza, la loro città e non andarono a liberare il Santo Sepolcro. Il risentimento degli abitanti per quei saccheggi è come una ferita profonda che non si rimargina perché si tramanda di generazione in generazione.
Le ferite, inflitte dai fratelli che hanno la stessa cultura storica e gli stessi fondamenti giuridici, sono tradimenti che riguardano il profondo dello spirito di un popolo. Soltanto chi è in grado di scrutare nelle sue profondità è in grado di lenire la memoria della sua offesa o di trovare la strada della conciliazione. L’imperatore e il santo Patriarca Giuseppe vorrebbero cancellare l’onta subita dalla città ma il popolo non è ancora pronto.
Si attende l’intervento della Santa Irene che riunirà tutti i popoli interessati alla conciliazione sotto la grande cupola della Santa Sapienza. Lo spirito di un popolo è imperscrutabile da uno o più uomini e può essere sanato dalle sue ferite se si lascia guidare dallo Spirito del Figlio della Vergine che indica la strada da seguire per il conseguimento del bene comune a tutti gli uomini.
Nel palazzo del capo del Partito degli Antichi Aristocratici, il desiderio di ricchezza di alcuni uomini, già beneficiati dalla magnanimità del basileus, contrasta con la povertà dei popolani del quartiere che cercano un lavoro per sostenere le proprie famiglie durante l’assedio dell’esercito del sultano.
Attorno ad ogni tavolo, i commensali, sdraiati sul loro triclinio, gustano le prelibate vivande e si dilettano a conversare con i vicini sulla situazione della città o sulle vicende personali dei membri della famiglia imperiale. Attorno al tavolo, attiguo a quello di Oikantropos, sono presenti anche le nobili donne, appartenenti alle famiglie aristocratiche più influenti della città. La sposa del padrone di casa, Alexandra, è adagiata sul divano con la sorella Licia e la nipote Pontina.
Marco e Francesco sono proprio vicini al loro triclinio. La loro collocazione è stata indicata dalla signora della casa perché desidera conoscere le novità dell’Occidente. Il segretario del bailo, Francesco Filelfo, conoscitore della cultura e della lingua degli ospiti, cerca di agevolare il dialogo tra le donne e i due giovani che fanno fatica a capire la lingua greca.
“Il bailo ha sempre accolto l’invito del mio consorte – dice Alexandra a ser Filelfo – ed oggi vedo che ci ha inviato due nobili mercanti per fare compagnia alle giovani donne di questo banchetto. Ho saputo che la consorte di Teodoro II, nipote del papa, è sbarcata la settimana scorsa da una galea veneziana e ha destato tanta meraviglia nel palazzo delle Blacherne per la sua bellezza. Gli eunuchi del palazzo imperiale fanno a gara per servirla e rimangono affascinati davanti al suo portamento disinvolto nel seguire il cerimoniale di corte. Si dice che le donne dei Signori dell’Occidente studiano come i grandi dotti e conoscono le opere degli antichi filosofi. La loro cultura è tale da influenzare anche i cortigiani più raffinati. Il suo consorte è diventato un mecenate perché sta attirando nel suo palazzo i migliori artisti dell’Impero per rendere la capitale del Despotato della Morea piena di monumenti come la città sede dell’imperatore.
I nostri edifici pubblici vanno in rovina perché mancano i fondi, mentre una lontana città dell’Impero riceve i fondi per ingrandirsi e abbellirsi. I consiglieri del Patriarca sono preoccupati e si lamentano perché il coimperatore non elargisce le sovvenzioni alle chiese per le esigenze dei poveri. Suo padre Manuele II ha sempre concesso grandi donazioni alla chiesa del Pantocratore per le opere assistenziali”.
“Sono grato a ser Emo – risponde il segretario – per avermi dato l’opportunità di partecipare a questo banchetto insieme a Marco e Francesco, inviati dai loro genitori presso la casa del bailo per imparare l’arte della mercatura e conoscere gli uomini e le donne che animano il grande emporio commerciale di questa città.
La Serenissima fa imbarcare a proprie spese i giovani patrizi sulle galee come balestrieri per abituarli alla vita del mare. Il loro addestramento diventa proficuo con la conoscenza delle usanze dei popoli con cui Venezia scambia i propri prodotti.
La dimora di Oikantropos è considerata dal bailo una palestra di vita e fonte di conoscenza dei costumi, delle usanze e delle istituzioni dell’Impero. Qui si apprendono le norme di convivenza dei popoli che in Occidente e in Oriente riconoscono il sistema giuridico, tramandato dagli imperatori romani e riconosciuto dai sacri Padri che nei secoli hanno custodito e guidato con saggezza lo spirito dei credenti nella Santa Sapienza.
In questa casa si danno convegno gli aristocratici per decidere quello che deve essere discusso nelle assemblee del Senato e portato a conoscenza dell’imperatore per le sue deliberazioni. Si tratta di ottenere il consenso degli uomini più eminenti sulle questioni che riguardano il futuro di questa città.
I giovani patrizi della città di San Marco, che partecipano alle riunioni conviviali, hanno l’occasione di conoscere le donne di questa città che a fianco dei loro uomini traducono le dure leggi del diritto in norme di vita quotidiana per le relazioni tra coloro che vogliono vivere in pace e progredire nella crescita dello spirito umano. Gli uomini colti e i saggi dell’Occidente hanno sempre ascoltato le parole e gli insegnamenti degli spiriti eletti che si riunivano sotto la protezione dell’imperatore per dirimere le controversie devozionali. I governanti latini applicano le norme del diritto romano garantite in questa città. Le manifestazioni della cultura ellenistica sono studiate in tutte le loro corti.
I mercanti riportano in patria gli usi, i costumi e il modo di vestire delle donne e degli uomini di questa città. Le donne delle nobili famiglie, scelte come consorti dei Principi paleologi, sono già state educate secondo la cultura del popolo che parla la lingua greca e conoscono le norme di vita delle corte delle Blacherne.”
“La tua preparazione culturale – continua la padrona di casa – ci è nota e il mio consorte ha appreso con gioia la tua partecipazione al posto di ser Emo, impegnato in una riunione urgente del Consiglio della colonia, per risolvere le questioni commerciali, nate con l’assedio della città. Il mio consorte è preoccupato per le scelte del coimperatore che non facilitano le buone relazioni con il sultano. Il matrimonio del reggente con una nobildonna del Monferrato e quello di suo fratello Teodoro con la nipote del papa suscitano apprensione negli aristocratici che temono una seconda invasione dell’esercito dei Latini.
Il Partito degli Antichi Aristocratici, costituito da coloro che hanno perso le rendite delle terre conquistate dagli Ottomani, preferisce trovare degli accordi con il sultano per ottenere la gestione delle terre perdute. La scelta delle unioni dei Principi di casa paleologa con le nobildonne dell’Occidente non favorisce i buoni rapporti con i conquistatori che si sentono traditi dall’imperatore che ha stipulato con loro trattati di pace. L’assedio e la povertà dei quartieri della città dipendono dal comportamento del coimperatore ostile al sultano e agli interessi di tutti gli aristocratici”.
“Il comportamento delle spose latine – risponde ser Filelfo – è sempre stato favorevole alla salvezza della città e alla salvaguardia delle istituzioni dell’Impero. L’intraprendenza della basilissa, la reggente Anna di Savoia, nonna di Manuele II, salvò il trono all’imperatore Giovanni V e alla casa dei Paleologi. L’ingresso di Cleofe dei Malatesta e di Maria di Monferrato nella famiglia imperiale porterà dei benefici al popolo che parla la lingua greca. Il mecenatismo di Teodoro, suggerito dalla colta consorte, è segno che la cultura ellenistica è viva e si rinnova con gli apporti degli artisti dell’Impero che esprimono le loro doti artistiche secondo i modelli della cultura tramandata nei secoli dagli uomini saggi di questa città. Costantinopoli vive grazie all’amore di coloro che sanno rinnovare la sua cultura nell’arte e nei nuovi monumenti. La povertà non deriva da coloro che amano le istituzioni giuridiche romane e la cultura ellenistica ma dalla paura di coloro che non vogliono cercare la vera via della salvezza della città che consiste nell’affermazione della sua autonoma attraverso la stesura di trattati di pace e di accordi commerciali. Questa capitale è nata come centro di pace, come emporio di un grande Impero, dove tutti gli uomini possono scambiare i loro prodotti. Le città dell’Occidente sono pronte a salvaguardare la sua indipendenza anche con ingenti spese di denaro e con il sacrificio dei propri figli”.
“Le tue parole sono lodevoli - afferma Alexandra – e non bastano a difendere la città. La sua salvezza dipende dai suoi abitanti che non posseggono più le grandi rendite terriere per sostenere il Tesoro imperiale. Le tasse e le soprattasse sui prodotti importati ed esportati non sono sufficienti a mantenere il decoro della reggia e la sopravvivenza degli abitanti. La ricchezza proveniente dallo scambio delle merci è dirottata nelle città che inviano i loro mercanti. I monopoli imperiali impediscono a chi ha denaro di investire nelle imprese produttive. L’unica rendita proficua è quella degli immobili che si danno in affitto a chi non ha la possibilità di acquistarli. La colpa è dei principi della casa imperiale che non concedono agli uomini la libertà di produrre secondo le capacità individuali. Tanti commensali presenti non sanno come spendere il loro denaro accumulato con le rendite terriere e si rivolgono a Oikantropos per cercare una soluzione anche al di fuori della città. L’imperatore non è in grado di assicurare agli aristocratici quella fonte di ricchezza che rende grandi e potenti le famiglie nobili delle città dell’Occidente. Se i Paleologi non sono in grado di assicurare il decoro di una capitale imperiale, gli uomini emergenti della città hanno il dovere di cercare un’altra casa potente in grado di riportarla agli antichi splendori con un esercito potente”.
“Questa città – ribatte ser Filelfo – non è solo la capitale di un impero che deve reggersi sulla ricchezza o su dei soldati ben pagati, ma il centro di una cultura millenaria. Per più di un millennio le popolazioni dell’Occidente e dell’Oriente hanno utilizzato il Mediterraneo come via di scambio commerciale ed hanno condiviso le leggi romane promulgate sotto il segno del Grande Costantino. Tutto questo retaggio rischia di cadere nelle mani di un Principe guerriero che possiede tante ricchezze da mantenere un grande esercito, ma proviene da un’altra cultura”.
“Si dice che i principi della casa imperiale ottomana – sostiene la donna – vengono allevati da uomini saggi. I loro maestri conoscono le norme della convivenza pacifica e le leggi della natura che devono essere rispettati da tutti gli uomini. Se la città fosse amministrata sotto il patrocinio ottomano, gli uomini ricchi potrebbero investire il loro denaro nelle imprese commerciali per versare le dovute tasse al Tesoro e ritornare a gestire le terre che possedevano un tempo le loro famiglie. Quello che interessa agli aristocratici è di mantenere il loro tenore di vita nella capitale ed eliminare la povertà che aumenta in ogni quartiere. Qualunque sovrano va bene per Costantinopoli purché assicuri la pace e la libertà di produrre la ricchezza necessaria a mantenere la popolazione di una capitale. I timori dei Latini non ci interessano perché le loro città sono lontane e i loro Signori pensano a salvaguardare solo i loro possedimenti. Le richieste di aiuto di Manuele II non sono state accolte dall’Occidente. La prosperità di questa città dipende dall’azione mediatrice dei suoi abitanti più ragguardevoli”.
“Una città non può basare la sua sopravvivenza sulla ricchezza di alcuni uomini – incalza ser Filelfo – ma deve tener conto delle sue tradizioni più profonde e della sua storia. Le madri allevano i figli secondo i canoni condivisi dalle generazioni precedenti e trasmettono i loro valori che sono alla base della vita di una comunità. La loro trasmissione costituisce la via per realizzare il bene comune, necessario a mantenere coesi tutti gli abitanti. La ricchezza di una città non è costituita soltanto dalla quantità di oro o di cibo ma soprattutto dalla libertà dei suoi abitanti di poter realizzare l’elevazione spirituale di ognuno che chiede di essere libero di aprirsi alle esperienze dei suoi simili. La venuta di un imperatore che promuove una cultura che si basa su altri canoni di esperienza produce dei traumi nella popolazione e interrompe il flusso dei valori che si trasmette da una generazione all’altra. Non è sufficiente che un nuovo imperatore sia stato allevato secondo le regole dei saggi o secondo le norme della natura, ma occorre che tutti i suoi sostenitori siano garanti del mantenimento dei costumi condivisi da un’intera città. Colui che possiede il potere di governare lo può esercitare soltanto se è appoggiato da uomini che condividono le sue stesse idee. La storia ci insegna che ogni governante deve avere la stessa cultura del suo popolo per amministrare la giustizia, altrimenti l’anarchia dilagherà in ogni istituzione e gli uomini non potranno più vivere in pace”.
“Si dice che i sultani – controbatte Alexandra – concedano, nei territori conquistati, un’ampia libertà ai sudditi che vogliono seguire le loro tradizioni, purché paghino le tasse e non propaghino idee diverse dalla cultura dei loro conquistatori. I sacri ordini monastici hanno fatto atto di sottomissione al sultano, hanno mantenuto le loro proprietà e sono liberi di officiare tutte le funzioni nelle loro chiese. Le terre sono state restituite ai legittimi proprietari che possono esigere le loro rendite purché versino una quota all’Amministrazione ottomana. Mi sembra che sia riconosciuta la libertà a chi abbia dimostrato di accettare la giurisdizione dell’Imperatore degli Ottomani”.
“Quello che dici – afferma ser Filelfo – è vero ma i cambiamenti istituzionali non avvengono con modalità pacifiche e non è detto che i ricchi beneficiati da un imperatore possano esserlo anche da un altro che agisce secondo una cultura diversa e si propone fini diversi. La famiglia paleologa ha lottato per restituire al basileus il trono che era stato usurpato dai Latini. L’attuale Anninistrazione imperiale ha concesso dei privilegi importanti alle Repubbliche marinare dell’Occidente che dominano con le loro galee le rotte commerciali del Mediterraneo. La loro potenza si basa sulla ricchezza che nasce dal controllo del mercato di questa città che è il crocevia dove i mercanti scambiano le loro mercanzie. Questa città produce ricchezza e potenza per tanti popoli che sono disposti a difendere i loro interessi ad ogni costo. I benefici, ottenuti dal governo imperiale, sono stati acquisiti con grossi pagamenti in oro o con la promessa di difendere la casa regnante contro gli usurpatori e contro qualsiasi esercito nemico. Le loro navi presidiano gli ingressi di tutti i porti e i loro capitani sorvegliano le porte terrestri e marittime della città. Le questioni degli aristocratici di lingua greca dovrebbero essere risolte all’interno della città senza ricorrere all’arbitrato di un principe forte e potente che favorirebbe soltanto i suoi sostenitori”.
“Le esigenze degli aristocratici che hanno perso le rendite fondiarie – afferma Alexandra - e la povertà dei popolani sono oggetto di discussione in Senato. La causa del malessere urbano sta nel controllo capillare di ogni attività produttiva e nell’imposizione delle percentuali di guadagno per qualsiasi lavoro o rendita. L’imperatore è il signore di tutto e concede a chi vuole la possibilità di diventare ricco. Le uniche fonti di ricchezza sono le gestioni dei monopoli e chi non è favorito perde con il tempo anche le ricchezza che aveva accumulato in precedenza. Le cariche imperiali vengono concesse agli eunuchi e agli abitanti che sono in grado di studiare e pagare i propri maestri. Si tratta di uomini appartenenti ai ceti medi della scala sociale di cui l’Amministrazione ha piena fiducia per il loro attaccamento alle istituzioni. Molti amministratori dei beni imperiali provengono dal clero o dagli ordini monastici della città, perché la loro preparazione culturale e la loro dedizione alla sacra persona dell’imperatore è garantita dal Patriarca. Solo i prescelti ricevono abbondanti ricompense e possono permettersi di riempire le loro casse di iperperi d’oro. In qualche città dell’Impero i ceti produttivi si sono fatti sentire e si sono opposti compatti ai despoti che appartengono alla casa paleologa. Nella nostra città il Prefetto, di nomina imperiale, possiede una fitta rete di uomini fidati che si mescolano tra il popolo e ascoltano qualsiasi parola proferita contro la sacra persona del basileus o contro la gestione amministrativa delle proprietà imperiali. Anche le mie parole sono controllate e sono oggetto di attento esame da parte degli ufficiali della sicurezza”. “Le tue parole – afferma il segretario del bailo – descrivono una situazione preoccupante che preannuncia una guerra civile tra i fautori degli aristocratici che si sono arricchiti con il possesso delle terre imperiali e i nuovi aristocratici che gestiscono tutti i rami dell’amministrazione paleologa. In apparenza, a parte qualche negozio o laboratorio che viene chiuso per mancanza di richieste specifiche da parte dei popolani o di penuria di fondi, necessari a mantenere un piccolo esercizio commerciale, tutto sembra normale e la città è percorsa da un fiume di ricchezza per le merci che vengono sbarcate e per quelle che riempiono le stive delle navi pronte a partire lungo le rotte dell’Occidente e i porti del Ponto Eusino. Le carovane di cammelli portano le preziose merci dall’Arabia e dalle lontana India. Il Leone alato di San Marco si mostra splendente sotto i raggi del sole in tutti i porti dell’Impero. Nessuna nave pirata osa attaccare le galee della Serenissima, dopo la recente pace con il Governo ottomano di Adrianopoli. I principi e i mercanti turchi costruiscono i loro palazzi fuori della colonia del Kadi e fanno a gara con quelli dei banchieri e dei ricchi mercanti di Venezia che hanno iniziato a costruire sontuose dimore nel quartiere delle Blacherne