sabato 31 luglio 2010

Si rafforza la leadership nel PdL

SOLIDARIETÀ SUSSIDIARIETÀ
VALORI PER GLI ITALIANI
Si parla di rottura tra Berlusconi e Fini e di scissione nel partito.
"Berlusconi deve governare fino al termine della legislatura - sostengono gli elettori del PdL - perchè così hanno voluto gli Italiani".
Il Popolo della Libertà va rafforzato e questo presuppone che tutti i suoi componenti abbiano piena coscienza di far parte di un grande partito nazionale, attenti alla sua coesione interna.
"C'è un leader che guida la coalizione - ha detto il senatore Giuseppe Pisanu - e quello è il Presidente del Consiglio. Noi dobbiamo sostenerlo fino alla fine della legislatura. Ma non dobbiamo nemmeno nascondere che ci sono dei problemi aperti sui quali è necessario discutere".
Il potere della leadership nel PdL è trasparente.
"Abbiamo i numeri per andare avanti - sostiene Berlusconi - come abbiamo ben chiaro il programma da completare e siamo nelle condizioni di governare più sereni e nella chiarezza. Abbiamo avanti tre anni nei quali, superate le emergenze e accantonate le polemiche inutili, ci dedicheremo con determinazione alle riforme: la grande riforma della giustizia, la riforma fiscale per diminuire le tasse, la riforma dell'architettura istituzionale dello Stato. Abbiamo promesso agli Italiani un Paese più moderno, più libero, più sicuro, più prospero, meno oppresso dal fisco e dalla burocrazia. Vogliamo riuscire a realizzarlo entro la fine di questa legislatura".
“La libertà non è sinonimo di individualismo – ha scritto in una nota il Presidente del PdL – non significa libertà di fare ciò che più ci aggrada. La libertà è vera libertà quando è relazione con gli altri, cioè rivendica non solo i legittimi diritti, ma si fa carico dei doveri anche nei confronti degli altri. Questo è il nostro sentimento di libertà”.
Per il leader del partito, la libertà è l’essenza dell’uomo, l’essenza della nostra intelligenza e del nostro cuore, l’essenza della capacità di amare, l’essenza della nostra capacità di operare.
"La condivisione di principi comuni e il vincolo di solidarietà con i propri colleghi di partito - ripete Silvio Berlusconi - sono fondamenti imprescindibili dell'appartenenza a una forza politica".
“Accanto al bene individuale – scrive Benedetto XVI nella lettera enciclica “Caritas in Veritate”- c’è un bene legato al vivere sociale delle persone che è il bene comune. È il bene di quel “noi tutti”, formato da individui, famiglie e gruppi intermedi che si uniscono in comunità sociale. Volere il bene comune e adoperarsi per esso è esigenza di giustizia e di amore”.
La società politica è destinata essenzialmente allo sviluppo delle condizioni di ambiente che portino tutti i cittadini a un grado di vita materiale, intellettuale e morale conveniente al bene e alla pace sociale.
La comunità politica contribuisce, così come la comunità familiare, a procurare nella persona gli inizi di quella crescita che la persona conduce al suo termine. Occorre che la società abbia un'anima fatta di buona volontà, di relazione, di rispetto e di amore da persona a persona e tra persona e comunità che possono dare alla vita del corpo politico un carattere veramente umano.
Si tratta di costruire una società il cui centro non è l'individuo, ma la persona che si realizza liberamente nella comunità civile.
L'idea dinamica dominante in questo ideale concreto è quella della libertà e della realizzazione della dignità umana.
I Promotori della Libertà si impegnano a realizzare questo ideale di società civile fondata sul rispetto dell’uomo esistenziale e concreto, dei suoi diritti, sulla fede nel progresso interno della vita e della storia del popolo italiano e sulla forza della libertà.
La libertà per Berlusconi deve essere anche libertà nell'economia che deve svilupparsi secondo i principi della libera iniziativa, del libero mercato, della competizione.
Il mercato deve tener conto di tutti, perché così può essere non solo morale ma anche efficiente, in quanto non si può escludere dal benessere, abbandonare nell’emarginazione, nella malattia e nella miseria una parte importante dei cittadini.
La libertà è anche quella di far valere il principio di sussidiarietà che sprona i cittadini a controllare lo Stato per farlo intervenire soltanto quando essi non possono raggiungere con le loro forze e istituzioni i beni e servizi a cui tengono. L'applicazione significa che lo Stato non deve togliere alla famiglia quei compiti che essa può svolgere da sola o associata con altre famiglie e deve garantirle il suo sostegno, assicurando l’aiuto di cui ha bisogno per assumere le sue responsabilità.
Soltanto la costituzione di una società “a misura di famiglia” può garantirla dalle derive individualistiche perché la persona e i suoi bisogni sono al centro dell’attenzione delle autorità politiche.
La missione per i testimoni del popolo è quella di agire per poter partecipare alla costruzione di un Paese dove non ci siano cittadini di serie B, un Paese dove nessuno possa avere paura se al governo c’è il suo avversario politico, cioè un Paese dove ciascuno possa seguire la propria vocazione, possa realizzarsi e dare il meglio di sé, dove lo Stato non espropri i cittadini di ciò che sono riusciti a conquistare attraverso il lavoro e sacrifici di una vita. Si tratta di realizzare uno Stato dove ciascuno possa tenere aperta la porta della speranza e tenere alta la bandiera della libertà.
I testimoni della libertà agiscono per una società fondata sulla libertà, sullo sviluppo economico, sulla solidarietà, cioè una società basata sui valori del cristianesimo, sulla famiglia naturale fondata sul matrimonio, formata dall’unione di un uomo e di una donna, nella quale far nascere e far crescere i figli.
Si tratta di promuovere una Patria nella quale tutti gli Italiani si riconoscono e che tutti amano, perché è la casa comune di tutti, senza distinzioni.
I cittadini con il loro voto riconoscono l'agire di Silvio Berlusconi per una società politica in cui vince l’amore e gli manifestano la loro fiducia affinché possa “realizzare le riforme necessarie per l'ammodernamento e lo sviluppo del Paese".

mercoledì 28 luglio 2010

venerdì 16 luglio 2010

MERCANTI VENEZIANI A COSTANTINOPOLI Cap. XXI

Il kadì del sultano
Il basileus Manuele II ha concesso piena autonomia ai mercanti ottomani di Costantinopoli. Il loro governatore è stato scelto dal sultano Yildirim Bayezid I, per le sue capacità di impresario logistico nelle conquiste dei vasti territori dei Serbi e dei Bulgari.
Il funzionario turco è conosciuto in città come il kadì del sultano. Il suo palazzo si erge maestoso sulla via che unisce la Mesè al porto del Corno d'Oro, nelle vicinanze del mercato del Leomakellon, dietro le mura marittime dell’Heptaskalon. La dimora del rappresentante del governo di Adrianopoli è alle pendici del quarto colle della città.
Mehemet, discendente da una ricca famiglia di giudici di Brussa, è il garante degli interessi dei Turchi ed invita i credenti ad obbedire a Dio, al suo Messaggero e a quelli che detengono l’autorità. Il kadì fa osservare la legge, attenedosi alla Parola rivelata del Corano.
Il quartiere musulmano, ad Ovest di quello veneziano, si abbellisce ogni giorno di nuove case che ostentano il raggiungimento di un benessere diffuso per tutti i residenti. Gli Ottomani e quelli che seguono l’esempio del Profeta si lasciano guidare dal Kadì che promuove ordine e sicurezza tra le vie del suo rione.
Tutti i capitani delle imbarcazioni turche, che attraccano alle banchine del porto, sentono il dovere di pagare il giusto tributo, per il trasporto delle marcanzie, agli esattori del governatore locale, incaricato dal Gran Logoteta di percepire non solo la tassa del basileus ma anche di trarre la gabella per il mantenimento delle strade rionali e per il sostentamento dei poveri, alloggiati nell’edificio adiacente alla moschea.
I mercanti del Levante, dell’Africa e dell’Asia Minore, all’arrivo e alla partenza delle navi, si recano a far visita a Mehemet, per testimoniare la loro riconoscenza al giudice del sultano o ascoltare il suo parere per la composizione delle controversie sullo scambio e la compravendita delle merci .
L’edificio del rappresentante della corte ottomana è ben visibile dagli approdi per lo splendore delle sue cupole dorate. È una costruzione in pietra e mattoni, abbellita con finestre i cui davanzali marmorei spiccano sotto i raggi del sole. Gli amministratori della colonia spesso aprono le imposte per scorgere nel porto del Corno d’Oro le navi commerciali che inalberano i vessilli degli emiri. Gli ufficiali di dogana sanno sempre quante imbarcazioni attraccano o partono cariche di mercanzie preziose.
La via che conduce al palazzo del kadì è sempre affollata di donne e uomini che con passo celere entrano nell’edificio del giudice ed escono pieni di ammirazione e gratitudine per l’accoglienza ricevuta. Mehemet è sempre disponibile ad esaudire non solo le richieste della sua gente ma anche degli altri residenti che intendono avere buone relazioni con la comunità turca e portare a buon fine qualsiasi attività commerciale.
I mercanti della città del basileus, romei di lingua greca, latini, saraceni, arabi, armeni, russi, giudei e di altre nazionalità, si sentono rassicurati dalla presenza del Kadì del sultano e si rivolgono con fiducia ai suoi uomini, per ottenere i lasciapassare che permettono di uscire dalle porte della città ed entrare nei territori del Grande Emiro Murad II. Il salvacondotto è indispensabile per tutti coloro che escono dalle mura terrestri per non essere assaliti, derubati e fatti schiavi dalle milizie turche.
Il monastero del Cristo Pantokrator si trova a breve distanza della strada che unisce il quartiere musulmano alla grande arteria commerciale della Mesè. Il complesso è anche sede di un ospedale per uomini e donne, con annessa scuola di medicina, per la cura degli ammalati, una biblioteca, un grande ricovero per poveri e bisognosi, un bagno con acqua proveniente dall’acquedotto della città, un luogo di accoglienza per bambini abbandonati ed orfani.
Le famiglie imperiali dei Comneni e dei Paleologi, gli arconti, proprietari di terre prima della conquista ottomana, hanno sempre dimostrato con donazioni e sovvenzioni il loro attaccamento al tempio e agli altri edifici.
Il sacro luogo è anche centro di aggregazione di tutti gli aristocratici contrari all’unione con i Latini dell’Occidente e favorevoli a un compromesso con il sultano. La basilissa Elena Dragas, dopo il ritiro di Manuele II in Santa Maria Peribleptos, dimostra la sua devozione con frequenti visite alla chiesa del monastero. Si tratta di un posto dove si riuniscono gli uomini più influenti dell’Impero romano d’Oriente per gli studi di medicina, per le attività culturali e per le grandi decisioni, legate alla vita e alla sopravvivenza di Costantinopoli.
Il ricco Oikantropos, senatore autorevole, capo del Partito degli antichi aristocratici, rappresentante degli arconti moderati e contrari alla guerra contro il sultano, è un assiduo frequentatore delle sedute e delle discussioni tra i sapienti monaci e gli uomini più ricchi della città.
Nei grandi refettori e sotto i portici del complesso, religiosi dotti e responsabili delle sorti dei cittadini cercano di risolvere i problemi connessi ai continui assedi, alla chiusura dei laboratori degli artigiani, alla scarsità di risorse per le famiglie dei popolani e alle diminuzioni di proventi per le chiese.
Il Patriarca, gli uomini responsabili dei luoghi di culto e i religiosi dei monasteri devono provvedere alla manutenzione dei loro edifici, al vitto dei poveri, alle spese degli ospizi per la degenza dei malati, al seppellimento dei morti, ai rimedi per arginare e tenere lontano le pestilenze dalle case e dalle vie, al soccorso dei bisognosi che non hanno nulla per sfamare i loro figli.
Il basileus e i suoi figli non vivono più nella sovrabbondanza dei proventi commerciali del passato e devono interessarsi con il Grande Logoteta dei mercenari che esigono il pagamento delle loro prestazioni con iperperi d’oro. La difesa della città dipende dalla loro continua vigilanza alle porte e sui bastioni della città continuamente assediata.
Le mura difensive hanno bisogno di riparazioni urgenti e l’erario non è in grado di iniziare i lavori. Manuele II e suo figlio Giovanni lasciano al Patriarca e ai responsabili dei monasteri l’incombenza di provvedere ai bisogni dei poveri e al decoro dei loro quartieri. Le opere di carità e di benessere dei cittadini sono lasciate alla Chiesa.
La ricchezza e la disponibilità di denaro, non più prerogative esclusive del basileus che incarna l’autorità della legge e il potere di dispensare monopoli e privilegi, appartengono a coloro che sanno gestire i guadagni, investendoli in quei beni che rendono un ulteriori profitti.
I rischi e le fatiche di chi deve viaggiare per terra e per mare vengono riconosciuti nel giusto corrispettivo della rivendita o dello scambio delle merci e dei metalli preziosi, fusi in lingotti o coniati dai vari popoli.
Anche i re e i principi bussano alle porte dei mercanti e dei banchieri che offrono i loro denari. L'oro e l'argento servono per pagare gli uomini che combattono e i fabbri che forgiano le armi, indispensabili per procacciarsi o mantenere il possesso delle terre e il dominio delle città.
Anche per le guerre di difesa occorrono tanti ducati e iperperi d'oro. Soltanto i governanti che possono disporne in abbondanza sono sicuri di assicurare la pace ai loro sudditi e di respingere gli assalitori.
I Turchi-Ottomani sono valenti guerrieri e molti hanno imparato l’arte del commercio. I seguaci di Maometto sono diventati indispensabili intermediari nei grandi flussi di scambio e di copravendita di tutte le ricchezze e i manufatti dei popoli dell’Asia e dell’Africa. I residenti del quartiere musulmano dicono: “È la nostra città, l’hanno desiderata tutti i credenti ed ora l’abitiamo per sempre”.
La vicinanza del Pantokrator al quartiere musulmano permette all’igumene, responsabile del complesso monastico, di cogliere l’occasione della presenza del kadì del sultano e predispone nell’ospedale dei posti per i malati delle ricche famiglie turche.
Mehemet e sua moglie soffrono di reumatismi e sono ben lieti di ricevere le cure dei medici o comprare i farmaci preparati dai monaci nei loro laboratori.
Il rappresentante del governo imperiale di Adrianopoli è accolto con tutti gli onori quando giunge con il suo seguito di alti funzionari, perché sa apprezzare l’accoglieza, l’esperienza e la dedizione dei monaci. Il portinaio del Pantokrator, quando sente lo scalpitìo del cavallo di Mehemet, avverte frate Basilio, responsabile del monastero. Si tratta di accogliere con devozione l’uomo che, con le sue donazioni personali, permette ai monaci e ai loro aiutanti di continuare, in un momento di crisi, quell'attività di socorso e di cura per tutti i poveri e i malati.
Il coimperatore Giovanni VIII spende tutti i denari, versati nelle casse imperiali, per difendere la città dagli attacchi esterni del sultano di Adrianopoli; il governatore del quartiere ottomano dà con generosità gran parte delle sua ricchezza, per mantenere il complesso monastico.
Il Grande Emiro vuole abbattere le mura terrestri e dall’interno il suo kadì cerca di tenere in piedi la città della carità.
I Romèi nel momento del bisogno vedono che i loro concittadini ottomani si arricchiscono e spendono le loro fortune per la comunità, assediata da guerrieri turchi che vogliono imporre con la spada la loro legge.
La generosità del kadì lenisce i dolori e le privazioni dei popolani. Si percepisce un’atteggiamento di rassegnazione e di speranza per un avvenire migliore e, nello stesso tempo, ci si compiace dell’aiuto di coloro che traggono le loro ricchezze dall’espansione della dominazione ottomana.
L’opulenza dei mercanti del quartiere musulmano è visibile non solo per la grande arteria commerciale della Mesè ma anche per tutte le vie che la collegano al Corno d’Oro. La colonia turco-ottomana non solo fa da cerniera tra il distretto delle Blacherne, sede del potere della corte dei Paleologi, e il quartiere veneziano, ma diventa anche il centro di interessi finanziari tra i banchieri del distretto di Galata e i commercianti del Foro di Costantino.
Il giudice Mehemet è diventato negli ultimi tempi il modello di riscontro tra i cittadini moderati, favorevoli alla supremazia del sultano e i gruppi radicali, capeggiati dal coimperatore Giovanni, che vogliono scompaginare il grande dominio di Murad II.
I residenti, beneficiati dal commercio con gli emiri dell’Asia Minore e i governanti ottomani dei Balcani, parlano a favore di una sottomissione all'autorità del sultano che garantirebbe libertà religiosa e abolizione dei privilegi concessi agli Occidentali.
Tra i moderati, oltre gli arconti del partito di Oikantropos, ci sono anche i rappresentanti dell’alto clero e i monaci che hanno sempre tratto le loro rendite dalle fattorie fuori città o dagli immobili urbani, utilizzati come laboratori nei quartieri o come magazzini nelle zone portuali.
Nel complesso del Pantokrator si ritrovano gli aristocratici che non accettano l’intervento di Martino V nelle scelte dei Romèi. I signori dell’Occidente, obbedienti al papa, continuano a organizzare crociate contro l’esercito degli Ottomani. Il sultano scatena le ire dei suoi pascià nella Macedonia e spinge i corsari saraceni a devastare le isole dell’Egeo, le coste della Morea e della Dalmazia.
Il terrore dei guerrieri della IV Crociata, partiti per liberare il Santo Sepolcro e traviati dalla cupidigia per rubare gli oggetti d’oro e d’argento delle chiese di Costantinopoli o depredare i monumenti e le case dei suoi abitanti, è sempre ricordato per giustificare l'avversione alle ingerenze del Patriarca di Roma.
I Franchi e i Latini, partiti da Venezia per uno slancio di generosità e il conseguimento di un nobile fine per la liberazione dei sacri luoghi della Palestina, si sono lasciati spingere dalle loro passioni e hanno sprigionato la loro sfrenata libidine di ricchezza e di potere sulla città della Santa Pace. La devastazione subita dalla città è una ferita sanguinate che non si rimargina.
La Grande Chiesa, inorridita, ha visto i sacrileghi crociati profanare i simboli della fede e spezzare l’altare del sacrificio. I sacri ministri invano hanno proteso il Figlio innocente della Vergine ai guerrieri latini, scomunicati per le loro nefandezze. Sul seggio del Patriarca si è assiso il miliziano blasfemo, provocando l’indignazione e la costernazione del papa. I sacrileghi guerrieri si sono divisi i sacri paramenti e i loro capi si sono spartiti il suolo dell'Impero romano d'Oriente.
Gli antiunionisti ricordano e non vogliono il ripristino del dominio dei Latini. L’edificio più grande del monastero è già stato occupato dai loro principi che hanno fatto mercato delle sacre icone, espressione dello spirito mistico dei religiosi. Gli oggetti più preziosi sono stati venduti dal regnante franco.
I dominatori stranieri hanno prelevato e trasportato nelle loro dimore e negli edifici pubblici delle loro città le preziose manifatture della fede del popolo. Le ragioni di commercio o di legale compravendita non bastano a giustificare il depauperamento degli edifici religiosi.
Gli oggetti di voto e di devozione che hanno ornato gli altari, manifestazione spontanea di sentimenti religiosi di un popolo, espressione tangibile di spiritualita vissuta, testimonianza della fede dei Romèi, sono andati ad impreziosire gli edifici di lontane contrade.
I popoli dell’Ovest si sono arricchiti di una nuova linfa vitale, fatta di ammirazione estatica di fronte alle sacre immagini di Costantinopoli, di una rinnovata fede, di fronte all'espressione visiva e profondamente sentita delle anime dei mistici dell’Oriente. Dall’Est è giunta di nuovo una certezza di verità soltanto per gli spiriti liberi dall'egoismo e dal possesso sfrenato delle ricchezze.
Le signorie occidentali hanno acquisito con la spada i tesori della città della Santa Sapienza e non si impegnano per la sua difesa contro le incessanti conquiste ottomane.
Venezia è certa che la ricchezza della città del basileus non dipende soltanto dai tesori delle sue chiese e dei suoi monumenti ma anche dall'operosità commerciale e artigianale dei suoi abitani.
La Repubblica di San Marco trae motivo di interesse e di nuovo slancio dal possesso delle ricchezze, conquistate con la IV Crociata, per investire le sue fortune nella difesa della città di Manuele II, considerata emporio insostituibile del Mediterraneo e fonte inesauribile di ricchezza. I senatori legano il loro destino alla sopravvivenza dell'Imperto romano d'Oriente. La cultura, gli apparati strutturali e manifesti del potere del basileus vengono ereditati dai nobili e trasmessi a tutta la città lagunare che vive e prospera solcando i mari e percorrendo le vie carovaniere dell’Asia e dell’Africa.
La tradizione della corte imperiale della reggia delle Blacherne si trasferisce a Venezia dove la sovrabbondanza di ricchezza e l’ingente flusso di oro permettono ai suoi abitanti di estendere il dominio non solo sul mare ma anche sulla terraferma.
La restaurazione dell’autorità del basileus Michele VIII Paleologo e dei suoi discendenti, fino a Manuele II e alla sua consorte, di nobile famiglia serba, ha dato al popolo la possibilità di manifestare la propria devozione alla Vergine e alla gloria di suo Figlio. Nuove e preziose offerte votive hanno sostituito gli antichi oggetti del culto, portati via dai crociati.
L’insediamento monastico del Pantokrator ha avuto particolare sostegno negli ultimi anni dalla famiglia imperiale. Ora, il complesso, ingrandito con le strutture per la cura dei corpi e per l'approfondimento delle ricerche filosofiche degli uomini colti, non è più soltanto luogo di elevazione spirituale o di guarigione degli ammalati ma è diventato anche un centro fondamentale di questioni sociali per coloro che si oppongono alle pretese dominatrici degli Occidentali.
L'antica aristocrazia antiunionista vuole contrastare il radicale atteggiamento antiturco del coimperatore Giovanni VIII e desidera un’autonomia dalla dominazione commerciale delle repubbliche marinare dell’Occidente.
Arconti, alti prelati, igumeni, uomini di pensiero e maestri delle arti nobili, decidono di diffondere nuovi sentimenti di accondiscendenza alle pretese del sultano e di fomentare il malcontento tra le masse popolane per l’ospitalità concessa al giovane principe Mustafà che vuole sostituirsi al fratello, legittimo imperatore di Adrianopoli.
I propagatori delle nuove idee, ben prezzolati e motivati con promesse di ulteriori ricompense, vengono fatti girare per i mercati e per tutti i locali pubblici di ritrovo e di divertimento. Si fa sussurrare che è meglio il governo di un sultano che vince e lascia vivere nel decoro coloro che si sottomettono alla sua legge.
I mercanti stranieri che entrano in città e girano per le piazze dicono di essere trattati bene dai nuovi padroni che agevolano con ordinanze e capitolazioni, affisse nei luoghi pubbici, le attività necessarie al movimento delle merci e alla diffusione del benessere. Il popolo del sultano della Rumelia e dei Balcani plaude alle nuove leggi per il rifornimento dei generi necessari alla vita quotidiana e per l’apertura dei negozi. Con il nuovo ordine ottomano la vita continua, dopo le scorribande dei guerrieri vincitori, desiderosi di bottino e di ruberie nelle case. Si riprende a lavorare nei campi con i nuovi signori che si avvalgono dei servigi dei vecchi sudditi del basileus per la gestione delle fattorie.
L’erario del sultano necessita di ingenti introiti per mezzo di una tassazione, rispondente ai bisogni dell’Aministrazione ottomana. Il Grande Emiro di Adrianopoli lascia gestire i suoi territori conquistati a coloro che si sottomettono e sanno amministrare le case e gli opifici a beneficio della sua corte. I vecchi padroni diventano fattori e consulenti dei pascià del sultano. La sua espansione continua e deve essere alimentata da risorse continue per mantenere i guerrieri pronti alle opere di conquista e di sottomissione.
Il sultano ha bisogno di un uomo fidato nel grande emporio di Costantinopoli e questo è Mehemet, kadì fedele e intelligente che sa districarsi nel mercato degli interessi tra Occidente e Oriente.
Il giudice ottomano è amico degli uomini più influenti della città che orientano a proprio favore le dispute cortigiane o che decidono il movimento dei flussi commerciali e finanziari nei consigli delle grandi imprese della città. Mercanti, banchieri, arconti che gestiscono i monopoli imperiali, fanno a gara per invitarlo ai loro banchetti. Anche la basilissa consiglia il figlio Giovanni di riservare nei banchetti della reggia un posto al suo tavolo per il governatore della colonia ottomana.
Il Pantokrator, centro di interesse spirituale, sanitario e sociale, diventa luogo prescelto dove si manifesta la magnanimità del kadì e di tutti i ricchi mercanti del quartiere musulmano.
La scuola di medicina e i laboratori di farmacia e di erboristeria sono frequentati non solo da uomini e donne di lingua greca ma anche da altri residenti ricchi che possono pagare il soggiorno, le attività di studio e di pratica per apprendere l’arte della cura e del sollievo dei corpi.
L’ospedale è gestito dai monaci e dalle monache che si avvalgono dell’aiuto e dell’esperienza di medici e infermieri che hanno imparato a curare le malattie, secondo le antiche tradizioni della cultura greco-romana e delle varie scuole arabe di Bagdad e dell’Egitto.
L’insediamento costituisce una struttura articolata in vari settori della medicina per accogliere tutti gli abitanti della città affetti da malattie o bisognosi di cure particolari. I costi vengono sostenuti dalla generosità dei mercanti e dei banchieri più sensibili alle esigenze della propria gente.
La disponibilità dei religiosi, di accogliere esponenti di culture appartenenti alle varie nazionalità presenti nei quartieri, è motivo di continue elargizioni spontanee da parte dei turchi ottomani che si sentono accolti e ben voluti da uomini e donne che vivono nell’amore, secondo il nuovo comandamento del Figlio della Vergine.
I seguaci del Profeta che bussano al monastero sanno di trovarsi tra veri amici che non tengono conto dell’azione del sultano che incita i suoi guerrieri alla conquista della città del basileus. Tutti i residenti della città soffrono per le restrizioni imposte dal Prefetto per lo stato d’assedio e il responsabile è il Grande Emiro di Adrianopoli che vuole punire i Paleologi.
L’igumene Basilio, dotto monaco responsabile della disciplina dei religiosi, scelto dal basileus, con l’approvazione del Patriarca, si avvale dei suoi confratelli più esperti per la conduzione dell’ospedale e dei laboratori, provvedendo al reperimento dei fondi necessari per il mantenimento e la vita di tutto il complesso monastico, compreso il cenobio delle monache che svolgono la loro opera di carità per le donne ricoverate nel luogo di cura.
L’eminente monaco, affiancato dal suo tesoriere Demetrio, attende l’arrivo di Mehemet che ha l’abitudine di recarsi all’ospedale, dopo la preghiera nella moschea del suo quartiere. Il musulmano sente l’esigenza di ottemperare alla Parola rivelata del Corano, facendosi accompagnare al Pantokrator per visitare i suoi connazionali ammalati e per informarsi sulle opere di manutenzione delle strutture sanitarie, per le quali offre sempre con generosità il suo contributo.
“Sono veramente lieto – dice l’igumene appena scorge il kadì – di rivederti e ringraziarti per la tua generosità. Il monaco Demetrio ha ricevuto questa mattina il tuo segretario Mustafà che gli ha consegnato un cofanetto pieno di ducati d’oro della Repubblica di San Marco. Il padiglione della scuola dei giovani medici e infermieri ha bisogno di un tetto nuovo. Il tuo dono giunge proprio nel momento giusto”.
“Il tuo monastero - risponde Mehemet – è argomento di dibattito nei simposi dei dotti e nei ricevimenti dei principi ottomani. Anche il sultano è informato di quello che accade in questo monastero.
L’accoglienza dei malati e dei bisognosi, le cure e l’ospitalità, offerte a maschi e femmine, secondo le loro necessità, da monaci e monache che non tengono conto della fede dei loro assistiti, sono fatti di saggezza e di buon senso per i savi e gli studiosi dei Sacri Libri.
Le argomentazioni e le stesse parole dei commensali dei convivi o degli esperti delle regole giuste, sul comportamento da tenersi nelle relazioni tra coloro che osservano religioni diverse, non mi hanno mai convinto.
Io seguo l’esempio del Profeta Muhammad e mi attengo alla parola rivelata del Libro: Così rivela a te e a coloro che ti precedettero Iddio, il Possente, il Saggio. Eseguite la preghiera, corrispondete l'obolo e curvatevi insieme con quelli che si curvano. Perchè raccomandare agli altri la pietà, dimendicandovi di farne obbligo a voi stessi? Proprio voi che recitate la Scrittura? Pio è chi crede in Dio; che offre il suo denaro, per quanto lo ami, ai parenti, agli orfani, ai poveri, al viaggiatore, ai mendicanti. A ognuno di voi noi abbiamo dato norma e una via. Coloro che spendono le loro ricchezze per la causa di Dio sono come un granello che produce sette spighe ognuna con cento granelli...Coloro che daranno in elemosina, per l'amor di Dio, quelli sì che riavranno il doppio ".
“ Noi siamo monaci – afferma Basilio – e seguiamo la mitezza e la misericordia del nostro Maestro”.
“Ognuno ha la sua direzione verso cui si rivolge – dice il kadì – ed io amo recitare la parola del Corano: … I maggiori simpatizzanti verso i credenti li troverai in coloro che dicono noi siamo cristiani ”. Ciò perchè fra essi vi sono preti e monaci, e perchè essi non sono superbi ”.
“Io sono un ieromonaco – dice l’igumene – e i religiosi dotti di questo monastero hanno comunicato al basileus e al Patriarca il mio nome per amministrare questo complesso ed essere il loro priore, in sostituzione del defunto monaco Teodoro che per tanti hanni ha sostenuto il peso e la responsabilità di provvedere al mantenimento di questo sacro insediamento.
Un tempo gli arconti della Tracia manifestavano la loro devozione al Pantokrator e si sottomettevano alla famiglia imperiale con doni in oggetti d’oro per ornare le pareti della chiesa. Una parte delle loro ricchezze veniva versata nelle casse del monastero per il mantenimento dell’ospedale e per il sostentamento delle centinaia di religiosi che si dedicavano alle opere di pietà e di misericordia, per la salute delle anime e dei corpi di tutti quelli che bussavano alla porta di questo comlesso.
Le conquiste del sultano hanno interrotto il principale sostentamento di questo centro perché dall’esterno non giungono più i versamenti in denaro degli arconti proprietari di terre e amministratori di città per conto dell’imperatore. Le guerre civili e gli assedi si abbattono come catastrofi non solo sul popolo, che trae sostentamento dall’attività commerciale e artigianale, ma soprattutto sui luoghi dove vivono i religiosi che si dedicano alla preghiera e alle attività di aiuto e assistenza dei più poveri”.
“Il tuo monastero – sostiene Mehemet – è sempre frequentato dai principi dei Paleologi e dagli aristocratici più influenti del senato imperiale. La mia presenza è testimonianza di attaccamento a un’istituzione benefica per tutti gli abitanti della città.
I residenti turchi, pur vivendo in autonomia sotto la mia giurisdizione, voluta dal sultano, sono onorati di essere ospitati e curati dai monaci cristiani che per loro hanno un particolare atteggiamento di benevolenza e di affetto proprio perché appartengono ad un’altra nazionalità e ad un’altra fede”.
“È vero - risponde Basilio – spesso qui convengono gli esponenti moderati dell’aristocrazia per uno scambio di opinioni, rispondente ai loro bisogni di vivere in pace, cercare una via per uscire dall’attuale stato di assedio e di blocco di tutte le attività commerciali.
L’attuale crisi non permette il sostentamento dei popolani e degli artigiani, costretti a bussare alle porte dei ricchi per un lavoro giornaliero, alle dipendenze dei loro servi, e sostenere le incombenze più umili delle loro case. La devozione all’icona dell’imperatore non è più sentita dalla gente dei quartieri poveri. I piccoli oboli non vengono più versati alle chiese per le spese dei ceri e per la pulizia dei pavimenti.
Non è possibile lasciare che le cose si evolvano spontaneamente ed occorre porre rimedio a un situazione insostenibile. In questa città ci sono coloro che prosperano con il commercio mentre altri non riescono nemmeno a prendere gli spiccioli che possono cadere dai banchi dei ricchi mercanti, uomini abituati a maneggiare senza scrupoli immense fortune in monete d’oro e d’argento.
La ricchezza della città è nelle mani dei mercanti stranieri che fanno a gara per ottenere esenzioni e privilegi. I banchieri veneziani hanno ottenuto il controllo sul monopolio della coniazione imperiale delle monete d’oro e d’argento. Il commercio delle materie pregiate e delle manifatture lussuose è nelle loro mani. Le loro navi trasportano solo merci pregiate che consentono ai mercanti della Serenissima Repubblica di riempire sacchi di ducati e iperperi, ottenendo crediti in cambiali da spendere in Occidente o nei mercati di Tabriz e di Trebisonda.
I nostri mercanti riescono a sopravvivere con le mediazioni o con il commercio al minuto che rende soltanto agli uomini più intraprendenti, capaci di districarsi tra le consorterie e le associazioni di maestri d'arte e di impresari stranieri”.
“Ci sono tanti arconti – sostiene il kadì – in grado di tener testa alle astuzie e alle intraprendenze dei mercanti e banchieri veneziani. Alcuni sono diventati amici delle signorie italiane, ottenendo titolo alla loro cittadinanza per commerciare sotto le loro bandiere. Le famiglie della vecchia aristocrazia, private dei loro possedimenti terrieri, hanno mantenuto in città le loro rendite di immobili e si fanno pagare ingenti somme dai mercanti turchi per l’affitto dei magazzini che si affacciano sul Corno d’Oro. I redditi cospicui permettono ai possessori di questi immobili di investire il loro denaro in altre attività commerciali.
Il sultano è sempre generoso con i sudditi del basileus che impegnano le loro fortune nei noli o nelle costruzioni delle imbarcazioni. Il piccolo commercio della Propontide e lungo le sponde del Mar Pontico non interesa ai capitani veneziani, comandanti di ciurme e balestrieri sulle grandi galee di mercato. I generi di prima necessità per il popolo e i materiali per le costruzioni delle case urbane sono sono ancora sotto il controllo di Romei che hanno imparato l’idioma dei mercanti turchi con i quali fanno buoni affari.
Da quando gli Ottomani sono venuti in aiuto di Giovanni VI Cantacuzeno, acclamato basileus dalle sue milizie della Tracia, i principi turchi sono diventati ospiti graditi della corte di Paleologi e visitatori acclamati dal popolo. I generali e i pascià di Adrianopoli inviano in città i loro sottoposti per l’acquisto delle pregiate manifatture degli artigiani. Grandi somme vengono elargite agli orefici e agli argentieri per l’acquisto di gioielli e di oggetti pregiati, per ornare le braccia e le chiome delle loro donne. Le monete dei guerrieri ottomani si riversano in mille rivoli tra i quartieri della città.
I popolani e i mercanti di lingua greca traggono beneficio dalla presenza ottomana e sono consapevoli che gli Occidentali mirano soltanto ad ottenere forti percentuali di guadagno dalle imprese per arricchire le loro signorie o trasferire i proventi su altri mercati dell’Oriente.
La città è assediata militarmente dal’esercito del sultano ma i piccoli commercianti riescono con le loro amicizie e con la conoscenza del territorio a stipulare buoni contratti che permettono sia alle loro famiglie un decoroso benessere sia di far ricadere parte dei loro guadagni sugli uomini addetti al trasporto e all’immagazzinnaggio dei prodotti.
I residenti turchi sono cittadini affidabili che vogliono convivere in armonia con i loro amici del luogo. Io amministro la giustizia nel mio quartiere, per conto del sultano e per concessione del basileus. Le controversie con i Romèi sono sempre composte con soddisfazione e consenso dei presenti”.
“Il ricco Oikantropos - afferma il religioso - viene spesso in questo monastero, accompagnato dai suoi amici, per chiedere consiglio ai monaci più dotti e per le decisioni più importanti, lontano dai cortigiani di Giovanni VIII.
Il coimperatore vuole liberarsi dalle prepotenze delle milizie ottomane che hanno sottomesso tutte le popolazioni dei Balcani. Il suo scopo è quello di liberare i territori della Tracia dalle scorribande dei pascià del sultano e ripristinare il commercio in tutti i territori che si affacciano sul Mare della Propontide.
L’agire di Giovanni è considerato troppo radicale dagli aristocratici del partito di Oikantropos perchè le sue scelte non consentono di ripristinare la pace tra Murad II e il basileus.
Anch’io ritengo che sia indispensabile trovare una via pacifica per risolvere la vertenza tra il sultano e il figlio di Manuele II. I monaci di questo complesso sono tutti concordi con gli arconti moderati e vogliono favorire una riconciliazione, aprendo un dialogo tra i mercanti ottomani e gli aristocratici, responsabili del benessere della città, per mitigare il risentimento del Grande Emiro. La sua vendetta, per l’ospitalità data dai Paleologi al fratello Mustafà, si è tramutata in un danno per tutto il popolo”.
“Il sultano - sostiene il kadì – è sempre minacciato da nuovi pretendenti, prima lo zio Mustafà, adesso, anche il fratello più giovane trama alle sue spalle e fomenta la rivolta tra le tribù turche.
La ribellione è appoggiata apertamente da Giovanni Paleologo e dagli aristocratici della sua amministrazione. La sua avversione non è soltanto limitata alle mire espansionistiche di Murad II ma provoca la corte ottomana e gli alti prelati locali perchè riceve messi religiosi del papa. Martino V intende estendere la sua autorità di Primo Patriarca con la proclamazione di nuove crociate contro i Turchi.
La coalizione delle signorie occidentali e la discesa in campo di un esercito contro l’espansione ottomana nei Balcani preoccupa il sultano che non è riuscito ancora a far accettare la sua supremazia sugli emirati turchi e sulle eminenti famiglie dei Serbi e dei Bulgari.
Il coimperatore intende emulare il suo genitore e prepara un viaggio in Occidente per sensibilizzare i regnanti ad eliminare la presenza turca nelle terre danubiane. Tedeschi e Ungheresi, influenzati dal Vescovo di Roma e dai suoi alti prelati, preparano una grande offensiva per eliminare la presenza turca dai territori conquistati.
Giovanni VIII promette titoli imperiali ai principi italiani per riavere la Tracia e liberare Costantinopoli dall’assedio. Il condottiero delle Blacherne sostiene di essere ancora forte e di ottenere l’appoggio incondizionato dei suoi fratelli che dispongono di ampi possedimenti nel Peloponneso. La Morea è ben salda sotto la sua famiglia e gli arconti locali sono in grado di finanziare un esercito in grado di contrastare le milizie dei pascià turchi che devastano la Macedonia e la Tracia.
I mercanti veneziani finanziano i suoi mercenari e mantengono la sua corte per continuare a godere dei loro privilegi. Il potere incontrastato sui mari delle loro navi li rende miopi perchè non si rendono conto che le vie terrestri sono presidiate dagli Ottomani e le rotte marine sono sorvegliate notte e giorno dalle imbarcazioni dei pirati e dei corsari turchi.
Ogni carovana è ispezionata e costretta a pagare un dazio per il transito. Ogni imbarcazione è oggetto di arrembaggio se non è in grado di difendersi in modo autonomo con uomini armati e pronti al combattimento. I capitani saraceni hanno spie in tutti i porti del Ponto e della Propontide. Ogni carico di merce pregiata, in partenza dagli scali marittimi controllati dagli amici del basileus, viene riferito all’autorità turca più vicina che provvede ad inviare una nave corsara, per intercettare l'imbarcazione e imprigionare i naviganti che saranno venduti al mercato degli schiavi.
Le coste della Bitinia e lo stretto del Bosforo pullulano di piccole e veloci imbarcazioni, comandate da uomini assoggettati al dominio turco e pronti a morire per avere un titolo onorifico dell’Amministrazione di Adrianopoli.
Gli esperti marinai delle città costiere dell’Asia minore, diventati tributari del governo ottomano, hanno coperto il loro capo con vistosi turbanti. Si tratta di sudditi devoti che si sono improvvisati capitani audaci, pronti a sacrificare le ciurme di schiavi e rematori, comprati al mercato, pur di dimostrare la loro bravura nell’arte del comando e nell’acquisizione dei ricchi bottini, strappati ai vascelli dell’Occidente.
Anche loro hanno imparato a chinare il capo verso la città del Profeta, diventando credenti che osservano la parola rivelata del Corano. Il sultano sa premiare tutti coloro che collaborano nei territori conquistati all’applicazione della sua legge, contribuendo e facilitando il compito degli amministratori ottomani. I religiosi delle altre fedi sono liberi di continuare la loro attività, riconoscendo le nuove autorità e versando le tasse alle loro amministrazioni.
Il bailo veneziano fa sapere che la Repubblica di San Marco rispetta i patti stipulati con il defunto sultano Mehemet I e non si schiera apertamente contro Murad II. Le sue parole non lasciano adito a discussioni ma i banchieri residenti della sua colonia sostengono di essere autonomi e di finanziare ogni emiro che promette nuovi privilegi.
Il denaro dei mercanti sostiene le pretese dei capi tribù turchi nei confronti della corte di Adrianopoli. Il ribelle Mustafà è sicuro degli investimenti, promessi dagli uomini dei banchi, per l’acquisto di equipaggiamenti necessari ai suoi combattenti. La sua tracotanza è condivisa da altri turchi padroni di terre e di antiche fortezze. I loro possedimenti sono merce di scambio per i sacchi di ducati d’oro e d’argento necessari per arruolare uomini ed armarli. Le strade carovaniere dell’Anatolia sono percorse da manipoli di armati comandati da guerrieri che si schierano per i due contendenti ottomani. Gli stretti che dal Mar Pontico portano al Mar Egeo sono attraversati da imbarcazioni carichi di milizie pronte al combattimento.
Il Grande Emiro, per colpire alle spalle il Paleologo, invia i suoi pascià ad attaccare le città della Macedonia e i suoi corsari a depredare le città e ad attaccare i castelli lungo le coste della Morea, presidiate dalle milizie del despota Todoro II, figlio del basileus. Il suo scopo è quello di evitare la formazione di un esercito diretto a difendere il Nord del Peloponneso e sconfinare nei possedimenti dei baroni latini, sostenuti dall’Amministrazione di Adrianopli contro le mire espansionistiche di Giovanni VIII e dei suoi fratelli. Corsari e pirati turchi collaborano per attaccare anche le fortezze e gli approdi veneziani lungo i litorali della Dalmazia e le coste del Mar Egeo”.
“I senatori della Serenissima Repubblica – dichiara il monaco – non tollereranno gli attacchi alle loro strutture portuali fortificate lungo le rotte commerciali del Mediterraneo”.
“Il mio signore – dice Mehemet - è deciso a sferrare una grande offensiva per eliminare tute le strutture difensive dei sostenitori dell’Impero romano d’Oriente ed isolare la città di Costantino. È giunto il momento di riconoscere la supremazia del sultano dei Romèi su tutti i territori conquistati ed aprire le porte della città del basileus, per rendere il giusto tributo d’omagggio al Grande Emiro, comandante di invincibili guerrieri ottomani.
L’esercito più potente non conosce sconfitta e i raggruppamenti di mercenari latini, capeggiati dai loro principi tedeschi e polacchi non riusciranno a sconfiggere gli Ottomani.
Anche la Repubblica di San Marco capirà che è più conveniente la neutralità nel momento di in cui la spada ottomana decide del destino di tutti i popoli che hanno riconosciuto la potestà imperiale dei Paleologi.
Il vessillo della famiglia dei Paleologi prima o poi cadrà e sarà innalzato l’emblema del condottiero degli Ottomani in grado di rifondare un nuovo impero. Gli aristocratici di lingua greca sono stanchi di servire un basileus che non è in grado di condurre un esercito a sicura vittoria ma intento a proteggersi, ricorrendo all’oro di Venezia e alle armi di altri sovrani dell’Occidente, desiderosi di conferme regali o aspiranti a nuove supremazie territoriali.
Il sultano è in grado di valorizzare questa città, ponendola al centro di un grande dominio turco che unisce tutti i popoli del Mediterraneo. L’imperium romano finirà e una nuova capitale risorgerà dalle sue ceneri, centro di traffici e sede di un’unica giustizia, uguale per tutte le nazioni che si sottomettono”.

mercoledì 7 luglio 2010

venerdì 2 luglio 2010

VENEZIANI A COSTANTINOPOLI

Capitolo settimo
I mercanti della galea
La Capitana, galea grossa da mercato, affidata al nobile ser Giovanni, è attraccata al molo del distretto di Perama in attesa di ripartire carica di mercanzia per Venezia. Gli ufficiali hanno trovato alloggio presso le abitazioni dei mercanti residenti nella colonia di San Marco. I sottufficiali ed il resto dell'equipaggio si sono sistemati nelle stive della nave, in attesa dì riempirle di merce pregiata.
Ogni giorno il capitanio sale a bordo per sensibilizzare i sottufficiali a mantenere in ordine le attrezzature e ad effettuare le riparazioni necessarie a tenere in sicurezza la nave per il viaggio di ritorno. Molti marinai vengono chiamati dai mercanti della colonia per piccoli servizi collegati al commercio interno della città.
La distribuzione degli alimenti, al mattino e alla sera, è il momento in cui l'equipaggio si riunisce per commentare gli avvenimenti della giornata o per pianificare qualche piccolo affare commerciale. Il patrono della nave, ser Pietro, ha disposto di tenere la cambusa piena di alimenti freschi, comprati al mercato del distretto.
Un profumo di pesce arrostito si spande sul ponte di poppa e tra i banchi della galea all'ora del tramonto. É il momento del rancio.
"Questa mattina è salito a bordo il nostro patrono - esclama il comito Andrea - e mi ha raccontato di aver partecipato ieri sera ad un grande banchetto nella reggia dell'imperatore".
"Raccontaci tutto quello che hai sentito - dice Simone, capo dei balestrieri - e non dimenticare di far distribuire il vino, fatto portare questa mattina dal nostro capitanio. Si tratta di un dono del bailo per tutto l'equipaggio".
"Un corteo di carrozze principesche entra nella reggia - riferisce il sottuffíciale - e tra queste c'è anche quella di ser Benedetto con il Leone di San Marco, dipinto sulle portiere. Da una carrozza dorata scende un giovane principe turco con un grande turbante e una scimitarra. Il suo seguito è costituito da cavalieri in sella a focosi cavalli. Una schiera di schiavi con delle casse d'argento entra nella reggia".
"Non pensare a mangiare, vai avanti - esclama il cuciniere - e raccontaci tutto quello che hai sentito".
"Il palazzo del banchetto - riprende il comito - è diviso in tante sale. La prima sala con la cupola è quella dell'imperatore ed è piena di principi e principesse sdraiati su divani attorno a grandi tavole. Le altre sale sono più piccole e sono piene di mercanti e di donne con vesti sontuose e piene di gioielli e di pietre preziose".
"Non bere troppo - esclama il balestriere Biaxio - e vai avanti con il racconto, Vogliamo conoscere le conversazioni dei mercanti e quelle delle donne con le grandi collane d'oro".
"Attorno al tavolo di ser Pietro - riprende Andrea - ci sono i divani dei mercanti che riforniscono le botteghe di gioielli, aperte sulla Mesè nelle vicinanze della Grande Chiesa della Santa Sofia. I gioiellieri comprano i loro oggetti d'oro e accettano anche i manufatti d'oro dei cittadini che hanno bisogno di denari in periodi meno fortunati. La compravendita al minuto di collane e bracciali è aumentata negli ultimi mesi, perché molti cittadini hanno bisogno di denaro contante per pagare le tasse.
Il nobile commissionario mi ha confidato che si fanno buoni affari questi giorni ed è disposto a comperare tutte le pietre preziose svendute dagli abitanti del distretto dell'antica reggia. Il luogo è favorevole per il piccolo commercio dei marinai e le taverne sono piene di mediatori che conoscono coloro che vogliono disfarsi del gioiello di famiglia in cambio di una giusta offerta. Ci sono delle donne disposte a cedere una collana d'oro in cambio di una collana di vetro di Murano e di poche monete d'argento".
"Come é possibile - dice il prodiere Virgilio - che vi siano dei poveri in questa città dove passano tutte le ricchezze del mondo? Tutti dovrebbero essere ricchi e felici. Io ho ancora la mia mercanzia da scambiare in qualche affare."Andrea, non interrompere il racconto - afferma Biaxio - e continua a riferire quello che hai sentito. Sembra che il momento sia favorevole per i nostri piccoli commerci. Anch'io ho la possibilità dì vendere le due pezze di lana inglese o di scambiarle con qualche gioiello".
"Nella sala del banchetto - riferisce il sottufficiale - ci sono molti ricchi aristocratici proprietari delle case popolari dei quartiere di Sant’ Eufemia, vicino all’ippodromo. Uno di questi, un certo Oikantropos si lamenta per il calo delle rendite immobiliari. Le famiglie non hanno più la possibilità di pagare il fitto. Molte donne sono rimaste vedove. I loro mariti sono morti durante i sanguinosi assalti alle mura terrestri. La loro bellezza è ancora appariscente e cercano un nuovo marito che possa aiutarle per mantenere la famiglia.
Ci sono botteghe di artigiani che cercano uomini capaci di lavorare il legno e i metalli. Nel quartiere si vende di tutto perché servono i denari contanti per l'acquisto degli alimenti. Si trovano anche molte famiglie disposte a sposare le proprie figlie a stranieri che dispongono di denaro sufficiente per mettere su casa. Il ricchi mercanti dei quartiere delle Blacherne assumono le donne, provenienti dalle case popolari, per i lavori di lavanderia o di aiuto nelle cucine".
“Per noi - esclama il giovane remigio Marin - questo è proprio il posto giusto per trovare una buona sistemazione e lasciare le fatiche e i rischi della navigazione. Questa città è grande e può diventare per noi una seconda patria. Per anni ho tinto le pezze di lana nella contrada di San Geremia. Ho portato con me una pezza di fustagno per venderla e mettere su famiglia. Il mestiere che ho imparato da giovane qui può cambiare la mia vita. Al mercato del porto, ho sentito che le industrie della seta, di proprietà dell'imperatore, assumono personale qualificato per la tinteggiatura dei tessuti e pagano con iperperi d'oro coloro che sanno dirigere il ciclo completo della trattazione delle stoffe grezze".
"Anch'io voglio smettere di fare il vogatore - afferma il remigio Tommaso - e trovare una bella donna con cui fare tanti figli. Conosco il mestiere del remer che ho imparato nell'isola di San Biagio. Anche qui si costruiscono navi. Il prodiere Virgilio ha saputo da mastro Zuane che un ricco mercante della colonia turca cerca uomini che sappiano lavorare il legno per l'allestimento delle galee. Si dice che i turchi sanno pagare bene i loro lavoranti negli arsenali che si affacciano sul Mar Pontico. Per noi popolani il commercio serve solo ad arrotondare la paga del rematore. Io sono un uomo libero e non devo scontare nessuna pena. La costrizione a vivere, durante i viaggi, al banco di voga su cui devo mangiare, dormire ed espletare tutte le funzioni organiche, non mi fa diventare ricco. Preferisco stabilirmi in questa città e lavorare per chi sa ricompensare in modo proficuo il mio lavoro".
"Non voglio ostacolarvi - interrompe il comito - e ritengo che sia più proficuo fare dei buoni affari con la mercanzia che abbiamo portato e cercare di scambiarla con le spezie che ripagano tutte le nostre fatiche. Siamo qui per commerciare e trovare l'occasione per fare qualche buon investimento per il futuro. Noi veneziani abbiamo imparato ad aspettare e cogliere il momento opportuno.
Il Mediterraneo è vitale per noi, ci dà la possibilità di vivere, ci fa scegliere la strada che ci permette di incontrare altri popoli e di conoscere le loro culture. La nostra popolazione ha conservato la propria cultura latina e l'ha arricchita con quella greca per mezzo della navigazione. Il bisogno di sopravvivere con il commercio del sale ci ha permesso di mantenere i contatti con il centro della cultura greco-latina. Questa città ci permette di mantenere le nostre famiglie e di confrontare la nostra cultura con tutte le altre.
Le nostre istituzioni sono sopravvissute nei secoli perché i mercanti veneziani hanno saputo confrontarsi ed accogliere le varie culture dell'Oriente. Il confronto delle culture si concretizza con lo scambio dei prodotti. Il commercio diventa arricchimento spirituale e produce il bene comune che si riversa su tutti. Il Leone di San Marco è diventato grande e potente perché sì è alimentato con la sapienza degli uomini dotti di Costantinopoli.
Questo centro commerciale ci permette dì vivere in libertà e di mantenere le nostre famiglie. La cosa più importante è ritornare in patria con qualcosa da cui la nostra città possa trarre un vantaggio tale da ricompensare i nostri sforzi. La felicità consiste nel vedere il sorriso dei nostri familiari che aspettano una nave carica di merce. Nelle prossime festività di fine anno, i mercati avranno i banchi pieni delle nostre merci. Ognuno trarrà il giusto vantaggio".
"Io ho portato dei prodotti delle nostre industrie - afferma il balestriere Antonio - e non conosco le strade di questa città. Nella mia città cammino con disinvoltura e so dove recarmi per fare un buon affare. Qui diventa difficile la comunicazione con gli abitanti che parlano la lingua greca".
"Al mercante non occorre conoscere tutte le lingue dei popoli - sostiene Andrea - ma mostrare la propria merce. Ser Pietro conosce tanti mercanti, residenti della colonia, disposti a comprare le nostre merci e ad offrirci la possibilità di diventare piccoli commissionari con la vendita delle loro merci nei mercati della città. Il suo scopo è di riempire questa galea di mercanzia ed è disposto anche a concedere piccoli prestiti per acquistare gioielli dai privati. Se la nave sarà riempita prima della data fissata per la partenza, il caratista darà a tutti un premio che sarà pagato all'arrivo a Venezia.
Nel commercio occorre comprare al più presto per vendere in anticipo in modo da poter strappare il prezzo più alto e per investire subito i denari riscossi in un nuovo affare. Domani mattina, il patrono ci indicherà la strada e il modo di piazzare la nostra mercanzia e di impiegare con profitto il tempo per qualche buon affare".
Mentre le guardie vigilano sulla sicurezza della galea, gli uomini della Capitana si addormentano, sognando di diventare ricchi con qualche colpo di fortuna.I balestrieri e i marinai dell'ultimo turno di guardia provvedono, all'alba, a svegliare tutti i piccoli mercanti della galea per il nuovo giorno. Il battito del tamburo segnala la presenza a bordo del capitanio e del patrono. L'equipaggio, dopo la distribuzione del pane e dei companatico, ascolta gli ufficiali responsabili della galea. Il comito impone il silenzio per ascoltare ser Giovanni e ser Pietro.
"Siamo qui per fare commercio - inizia il capitanio - e per rendere grande e prospera Venezia. Il Leone di San Marco, raffigurato su questo stendardo, ci protegge. La Serenissima ci aspetta a Natale, per riempire i banchi dei nostri mercati e le botteghe. Le nostre famiglie aspettano il ritorno di questa galea. Le aspettative delle donne e dei nostri figli non saranno deluse se ciascuno di noi sa investire bene il proprio denaro e acquisire quella mercanzia pregiata che ci permette di vivere felici e sicuri nelle nostre case. Questa città ci dà l'occasione di sperimentare e di concretizzare il nostro spirito commerciale.
Ognuno di noi ha la capacità di destare, con perizia e ingegno, la curiosità dei residenti sulle merci dell'Occidente. I manufatti inglesi e francesi sono pagati bene. I prodotti delle città lombarde e toscane sono ricercati perché rispondono alle esigenze della popolazione. I tessuti sono fatti con maestria e tengono caldo durante l'inverno. La lavorazione dei metalli e del vetro dei nostri artigiani è apprezzata e pagata con moneta d'argento.
Se qualcuno vuole rimanere in questa città, sarà affidato alla protezione del bailo che provvederà alla sua sistemazione. La colonia è piena di piccoli mercanti che hanno fatto fortuna e che vogliono ritornare sotto il campanile di San Marco. Il desiderio di rivedere la città della laguna, dopo aver fatto fortuna in Oriente, è nascosto nel cuore e nella mente di ogni mercante. Le fatiche e i pericoli del mare si affrontano non solo per mantenere la famiglia ma anche per trascorrere il resto della vita felici, con una grande casa e con una bottega fiorente e piena di clienti facoltosi".
"Le parole del capitanio - esclama ser Pietro - sono chiare. La Serenissima Repubblica ha offerto questa galea ai mercanti che hanno investito i loro ducati per garantire a loro e a voi tutti un giusto guadagno. L'allestimento e la concessione della nave ai caratisti, per un viaggio di andata e ritorno, è la dimostrazione che Venezia ha fiducia nei suoi figli, considerati commercianti abili e coraggiosi.
Il mare non fa paura alla città che si è offerta senza paura alle sue rotte. Il patto perenne che i suoi abitanti rinnovano ogni anno si basa sul rispetto delle leggi della natura. La fedeltà della Serenissima al suo mare è ricompensata con ricchezza e fortuna. Il Leone alato di San Marco la protegge e il suo sguardo infonde coraggio nella popolazione che trae dal mare il suo benessere. Ogni animo nobile è riconoscente al suo protettore e sa distribuire ai meno fortunati il surplus della sua ricchezza.
Su tutti gli abitanti della città si riversa la ricchezza accumulata dai patrizi, segno di devozione e di ringraziamento per la Santa Sapienza che illumina le menti e fa vibrare il cuore degli uomini e lo rende magnanimo per chi condivide i rischi dell’attività commerciale. Ognuno di voi contribuisce alla buona riuscita del viaggio e al buon esito dell’impresa, affidando le proprie capacità a coloro che hanno più esperienza nella compravendita della mercanzia.
Io sono un mercante di spezie e di gioielli. La mia attività richiede l’aiuto di altri mercanti e di operatori nel settore del movimento delle merci. Io sono anche un agente commissionario di altri mercanti residenti, rimasti a controllare il mercato di Rialto. Ho collaborato per noleggiare la nave e per l’acquisto di ingenti quantitativi di merci pregiate. Anche se rischio la vita e le mie ricchezze, sono fiducioso di ritornare a casa con un giusto guadagno, perché mi sento protetto dal gonfalone della Serenissima e mi sento in compagnia di compatrioti che conoscono il mare e sanno come trattare il carico prezioso di una nave.
Non abbiate paura di scendere a terra e di vendere i vostri oggetti, nascosti nelle casse e sotto i banchi di voga. Gli abitanti di questa città conoscono il valore intrinseco dei nostri prodotti e la loro affidabilità. Tutto ciò che è veneziano o portato dai Veneziani ha il marchio della garanzia, dato dall’esperienza e dalla serietà della nostra gente che sa offrire e riscuotere fiducia, ritenuta indispensabile nel mondo del commercio. Questa città è la nostra seconda patria e il suo mercato è strettamente legato ai mercati della nostra città che da esso trae sicurezza e ricchezza. Anche voi potete sentirvi strettamente uniti alla grandezza e allo splendore di questo grande emporio. Chi si sente di far parte del mercato di Costantinopoli sa di vivere e di operare secondo le leggi e i costumi dell'Impero romano che la nostra città ha ereditato e contribuisce a perpetuare con il consenso e la lungimiranza della Serenissima Repubblica".
"Ci sono alcuni dell'equipaggio che desiderano essere liberi nell'attività del piccolo commercio - afferma il comito - ed altri che vorrebbero entrare nella distribuzione gestita dai mercanti residenti".
"Chi vuole affidarsi alla propria fantasia - risponde il nobile mercante - ed è sicuro della propria abilità di contattare direttamente gli abitanti, può scegliere il luogo più rispondente ai propri desideri. La città è ripartita in tanti distretti e in ognuno vi sono delle colonie di residenti. Le colonie degli Occidentali sono piene di mercanti e abitanti che hanno poco interesse a comprare i nostri prodotti, perché li ricevono dai loro compatrioti.La nostra merce è ricercata dai residenti che parlano la lingua greca dei loro padri e soprattutto dagli abitanti del quartiere turco e di quello arabo. I loro mercanti sono i più interessati alla nostra merce perché sono diventati i veri grandi intermediari di tutto il commercio. L'Oriente e l'Occidente trovano in questo periodo un punto di contatto per l'opera degli Arabi che hanno una cultura assimilata da tutti i popoli dell'Est. Questo popolo intelligente ha fatto sentire la sua influenza in Africa e in tante città della penisola iberica.
Le recenti conquiste degli Ottomani hanno portato in auge tanti mercanti turchi. L'espansione dell'Impero ottomano ha favorito la loro ascesa. Le chiavi dei nodi commerciali sono nelle loro mani e bisogna ricorrere alla loro intermediazione per far passare le merci. Chi è amico dei turchi è sicuro di girare e commerciare con tutta tranquillità e di fare buoni affari. La loro cultura è in piena crescita ed aspira ad arricchirsi dei contributi di tutti gli uomini, capaci di utilizzare il loro ingegno per realizzare cose sempre più grandi e belle. Il popolo turco ha l'energia fisica per conquistare le città ed imporre la propria supremazia. I loro capi aspirano ad eccellere anche nelle arti e a dimostrare la propria grandezza nei costumi. I loro principi vogliono mostrarsi ricercati nel modo di vestire ed apparire magnanimi e intelligenti. La nostra arte e i nostri prodotti, che contengono un alto grado di abilità e di ingegno, sono molto apprezzati dai nuovi conquistatori. Gli abitanti della colonia turca vogliono essere all'altezza degli altri residenti e fare a gara nel comprare le cose più care e più preziose.
Se uno di voi vuole diventare subito ricco, può provare a vendere la propria merce nel loro mercato. Il giorno più propizio per esporre la merce è quello della festa, quando gli uomini e le donne vogliono apparire ben vestiti, per esprimere la gioia racchiusa nei loro cuori e si fermano più volentieri davanti ai vostri banchetti di vendita.
"Le nostre navi vengono assalite dai saraceni e dai pirati turchi - esclama il balestriere Antonio - ed abbiamo paura di entrare nei loro quartieri per vendere la nostra mercanzia".
"La pirateria è esercitata dai predoni del mare - risponde ser Pietro - e in questa città tutti rispettano le leggi dell'Impero romano d'Oriente che sono riconosciute e condivise da tutti i mercanti di questo grande emporio. Costantinopoli appartiene a tutti coloro che rispettano le leggi garantite dall’imperatore e vogliono vivere in pace.
I mercanti arabi hanno iniziato a scambiare le loro merci con gli abitanti di questa città molto prima del nostro arrivo. I nostri padri erano sudditi dell'imperatore mentre gli Arabi avevano già costituito fiorenti regni. Non bisogna aver paura di un popolo che possiede una grande cultura ed ha contribuito alla scoperta di nuovi saperi nei vari campi dell'arte e della tecnica. La ricchezza dei loro regni ci è nota da tanti secoli e i nostri mercanti hanno portato le loro mercanzie in tante città arabe.
Un mercante non deve mai temere i rappresentanti degli altri popoli perché il commercio rende tutti uguali nelle trattazione del dare e del ricevere. Lo scambio delle merci è sempre fatto nel rispetto delle norme che garantiscono l'ospitalità e l'amicizia. I residenti del quartiere turco sono sempre pronti ad accogliere i mercanti veneziani perché sono diventati sempre più ricchi con l'espansione del loro impero. I principi e i mercanti turchi, invitati alla reggia, sono quelli che mostrano le vesti e i gioielli più preziosi. Il loro desiderio, di apparire all'altezza delle conquiste dei sultani, li spinge a ricercare le cose più belle e a contattare i nostri mercanti per acquistare le merci dell'Occidente.
La Serenissima vuole mantenere con i sultani uno stretto rapporto commerciale ed è sempre disposta alla mediazione ed alla pace per far circolare le merci. Qualsiasi merce della nostra città va a ruba nel loro quartiere perché è fatta con maestria dai nostri artigiani. Le donne turche comprano volentieri i prodotti degli orefici e anche gli oggetti di vetro di Murano. I tessuti di seta orientale, con i ricami in oro e argento dei nostri sarti, sono pagati con gli iperperi d'oro dell'imperatore e anche con i nostri ducati d'oro".
"Questa galea - interviene ser Giovanni - è sempre la vostra dimora e deve essere curata e mantenuta in perfetto stato per la prossima partenza. La vostra attività commerciale nei vari quartieri della città è sempre saltuaria e occasionale perché non siete dei residenti. L'ospitalità degli abitanti è sacra e chi la riceve deve essere riconoscente e rispettare le norme del Prefetto. La giurisdizione della Serenissima, attraverso la funzione del ballo, è riconosciuta dall'imperatore ed severa per chi non rispetta le regole del commercio o le leggi della città".
Le parole di ser Pietro danno a tutto l'equipaggio sicurezza e incitamento per l'attività commerciale. Il patrono si sente responsabile del viaggio perché è uno dei caratisti che hanno investito molti ducati per noleggiare e allestire la nave dell'Arsenale. Il mantenimento degli uomini rientra nelle spese della galea che dovranno essere decurtate al ritorno da tutti i profitti. Le loro speranze di guadagno, oltre la paga dovuta per il servizio reso, sono legate alla buona riuscita dell'impresa. Le raccomandazioni del nobile mercante sono ritenute necessarie per gli uomini abituati alla dura vita di bordo. Il nuovo contesto urbano, molto diverso dalla loro città di provenienza, disorienta i piccoli commercianti occasionali. Le diversità delle culture dei residenti nei vari quartieri e delle leggi vigenti nella città richiedono delle raccomandazioni da parte dei responsabili della galea, per evitare che i rematori e i marinai possano rimanere impigliati nella fitta rete di controlli e di sanzioni del governo imperiale.
Si costituiscono piccoli gruppi di mercanti con a capo un responsabile. Due gruppi di dodici persone, costituiti da marinai e remigi, si offrono volontari per lavorare nell'organizzazione commerciale di ser Domenico e di ser Giacomo. Il patrono si offre come loro garante e intermediario presso i due nobili che dispongono di grossi magazzini nei pressi del porto. Il primo gruppo è sotto la responsabilità del nocchiero Battista ed il secondo gruppo riconosce il nocchiero Aluvixe come capo responsabile.
Simone, capo dei balestrieri, organizza un gruppo di dieci uomini per vendere la mercanzia nel grande mercato lungo la riva del Corno d'Oro e nei quartieri dei greci. I suoi amici più fidati sono Alvise ed Antonio, esperti nell'uso della balestra e della spada. La loro bravura nell'uso delle armi pareggia la loro scaltrezza nella vendita dei piccoli oggetti preziosi.
Il prodiere Virgilio, abituato ad emergere tra i remigi, costituisce un gruppo di dieci amici, desiderosi di diventare ricchi con la loro mercanzia di piccoli oggetti d'oro e di vetro. Si tratta di un gruppo di uomini che hanno già fatto esperienza di commercio nei porti di approdo, lungo la rotta seguita dalla loro galea. Il loro capo conosce già i piccoli trucchi per piazzare la merce e per attirare i clienti del mercato del porto. L'affiatamento tra compatrioti dà ad ognuno di loro quella sicurezza che permette di avere un comportamento deciso nei piccoli affari.
Il patrono, dietro richiesta dei capigruppo, concede al maestro d'ascia Zuane e ai pennesi Agostino e Piero, addetti alla custodia del materiale di consumo e di riserva, di soddisfare le richieste dei piccoli mercanti di galea che vogliono disporre di piccoli banchetti, fatti con il materiale di risulta delle riparazioni della galea. Molti rematori preferiscono costituire piccoli gruppetti, liberi di girare in cerca di fortuna. Ognuno ha il suo piccolo laboratorio ambulante, fatto di una tavoletta sostenuta da sottili assi, per porvi sopra la merce in esposizione.
Sull'ora della sesta e con il sole di ottobre ancora caldo, il nocchiero Battista si presenta al comito e si fa portare ala presenza del patrono.
"Il mio gruppo è pronto a seguirvi - dice il marinaio a ser Pietro - per essere accompagnati dal nobile ser Domenico e offrirgli la nostra disponibilità nell'attività commerciale che riterrà opportuno affidarci".
"Anch'io sono pronto e lieto di essere utile a chi con coraggio e dedizione sa mostrarsi disponibile per il commercio. Anche il marinaio Aluvixe ci può seguire con il suo gruppo per il magazzino di ser Giacomo".
Il nobile mercante scende dalla galea seguito da due gruppi di uomini allegri e fiduciosi di andare incontro alla loro fortuna. Una fila di veneziani, con il proprio fardello sulle spalle, percorre la piccola passerella che unisce la galea al molo della città che hanno tanto desiderato durante un lungo viaggio. Il sogno si sta realizzando e la gioia pervade i loro animi desiderosi di fortuna e di ricchezza. Una baldanza si sprigiona dai loro corpi vigorosi ed infonde in tutti gli altri uomini dell'equipaggio una grande gioia. Un solo grido prorompe dagli uomini di bordo: "Viva San Marco".
Il magazzino di ser Domenico è a duecento passi dal porto, all'interno delle mura marittime del Corno d'Oro. Si tratta di un edificio in mattoni, all'estremità Ovest del rione di San Marco, adiacente alla casa del nobile mercante. Gli uomini della galea, preceduti dal patrono, arrivano davanti alla costruzione commerciale e vedono una lunga fila di bastasi, con i loro carichi sulle spalle, entrare attraverso il vano del portone. 1 due guardiani all'ingresso accolgono con rispetto il caratista veneziano e lo introducono alla presenza del loro padrone.
"Benvenuto, Pietro, in questo luogo - esclama il mercante - dove sono catalogate e scaffalate tutte le merci che provengono dall'Occidente e dall’Oriente. Vicino alla porta d’ingresso ci sono quelle pronte ad essere stivate sulle nostre galee per tutte le rotte che conosciamo. La merce della tua galea è stata già catalogata e in parte già distribuita ai drappieri della città".
"Sono lieto di rivederti, Domenico, e di constatare che porti bene i tuoi quarant'anni. Molti si lamentano per l'assedio, ma vedo che il tuo magazzino si riempie e si svuota in continuazione. Fuori la porta ci sono carri pieni di merce, racchiusa negli involucri da viaggio su cui sono dipinti i simboli del destinatario".
"In questo momento - afferma il mercante residente - i trasportatori del porto stanno portando le mercanzie che provengono da Trebisonda che riesce a mantenersi indipendente dalle annessioni del nuovo impero degli Ottomani. Il trasporto delle merci orientali lungo le rive del Ponto Eusino e attraverso il Bosforo sta diventando oneroso. L'Anatolia è sotto il governo di Adrianopoli e il sultano fa controllare tutte le vie carovaniere interne e le rotte lungo la costa settentrionale. Il passaggio delle merci richiede l'intermediazione di mercanti turchi che conoscono i loro funzionari governativi. I dazi e i noli non sono più quelli di una volta perché bisogna pagare nuove tasse e trattare con nuovi esattori".
"La tua esperienza nel commercio - replica il patrono - riesce a superare questo ostacolo con la lungimiranza della Serenissima. Venezia stipula continui accordi commerciali anche con i signori dell'Egitto e dell'Arabia, per far arrivare le merci orientali dal Sud, lungo il Mar Rosso, fino alle coste del Levante. Se una via viene chiusa per motivi di guerra o di altra natura, un'altra strada viene aperta con la stipulazione di contratti che agevolano il passaggio dei nostri mercanti".
"Pietro, sei sempre ottimista ed hai sempre fiducia nei nostri governanti. La responsabilità di onorare il pagamento degli acquisti, fatti dai nostri agenti commissionari in Oriente, ricade sempre sulle nostre spalle e il fallimento di un'impresa è sempre dietro l'angolo. I mezzi di trasporto per mare richiedono marinai coraggiosi e le carovane devono essere difese da uomini valorosi che sanno impugnare le armi contro i predoni. Il coraggio e il valore, impiegati dagli uomini che proteggono le mercanzie in viaggio, rientrano nei costi che vanno sottratti agli utili o fatti pagare dagli acquirenti. La concorrenza genovese e aragonese nel Mediterraneo è aumentata negli ultimi anni, per soddisfare le richieste dei signori dell'Occidente che hanno consolidato i loro domini. Gli ambasciatori occidentali stipulano accordi commerciali favorevoli ai loro mercanti che percorrono strade agevolate per il loro commercio".
"Ti ho portato dodici uomini fidati della Capitana che possono aiutarti, per un cero periodo, a superare le difficoltà della concorrenza, perché sono abituati ad affrontare tutti i pericoli della navigazione e a difendere con le armi tutto quello che a loro viene affidato. Il nocchiero Battista è rispettato dai suoi amici per la sua lunga esperienza e per la sua abilità nell'uso delle armi di bordo. La partenza della loro galea è prevista nel mese di novembre".
"Ti sono grato, Pietro, di aver pensato alle difficoltà che affronta la nostra attività in una città assediata che dispone solo della libertà delle rotte salvaguardate dalle navi amiche. I marinai specializzati delle galee della Serenissima potranno servirmi per governare le imbarcazioni dirette nei porti vicini che non sono stati occupati dagli Ottomani. L'avanzata dell'esercito del sultano nei territori del basileus costringe le città costiere a disfarsi delle flotte e i loro uomini di mare si offrono per servire i nuovi conquistatori che allestiscono delle navi per dominare anche sul mare. L'imperatore turco vuole estendere il suo dominio anche nel Mediterraneo per imporre i suoi dazi alle navi commerciali".
"Sono sicuro che li ricompenserai in modo adeguato per i loro servigi. La loro disponibilità dipende dalla tua magnanimità e dall'incarico di fiducia che assegni ad ognuno di loro. Il tempo che intercorre per la partenza della loro galea può essere utilizzato in modo proficuo per loro e anche per te. Nei momenti difficili, abbiamo bisogno di uomini disponibili al nostro fianco per superare tutti gli ostacoli che si incontrano nelle imprese commerciali".
"Ti auguro buona fortuna, Domenico, tornerò presto a farti visita - aggiunge il patrono - perché, adesso, ho premura di accompagnare un altro gruppo di marinai dal mio amico ser Giacomo".
Il secondo magazzino, scelto dal patrono per il nocchiero Aluvixe e i suoi amici, si trova a circa trecento passi ad Est del quartiere veneziano. L'edificio è aperto sul grande asse viario che attraversa la città da Nord a Sud e incrocia la Mesè, nelle vicinanze del Foro di Costantino. È una costruzione in pietra e mattoni, vicino alle mura marittime e al grande mercato del porto imperiale. La sua posizione garantisce al proprietario una preminenza nel rifornimento di tutte le botteghe della grande strada commerciale, vicino all'antico palazzo imperiale.
I drappieri che vestono i funzionari e i dipendenti governativi hanno i loro laboratori, che si alternano a quelli dei grandi gioiellieri, nelle immediate vicinanze della Grande Chiesa, luogo di culto delle cerimonie, celebrate dal Patriarca di Costantinopoli e presiedute dall’imperatore. Il loro punto di riferimento è ser Giacomo che riceve tutte le stoffe dell'Occidente e tratta anche spezie e pietre preziose dell'Oriente. La strada, adiacente al suo magazzino, è frequentata dai clienti dei grandi negozi che si aprono sulla piazza circolare, fatta costruire dal fondatore della città.
L'incontro di ser Pietro e il nobile mercante lascia stupiti i marinai della Capitana, perché assistano a un abbraccio fraterno tra due veneziani che hanno tante cose in comune e ricordano l'amicizia delle loro famiglie.
Ser Giacomo, dopo il caloroso saluto, inizia il suo discorso: "Mio fratello Antonio, caratista come te nella stesa impresa, mi ha inviato una lettera da Venezia, tramite corriere, e mi ha preannunciato il tuo arrivo, pregandomi di darti tutto l'aiuto per il carico di ritorno della galea. Mi prega di garantire le tue lettere di cambio presso il banco di ser Francesco. Mi fa sapere che la città è sempre in festa e che c'è una piccola preoccupazione per la salute del nostro principe".
"Ti sono grato per la tua amicizia - afferma il patrono - e ti confermo che la Serenissima non ha mai raggiunto tanta prosperità. La munificenza del doge, Tommaso Mocenigo, è nota in tutto il Veneto. Nonostante la sua veneranda età di ottanta anni, il Principe è riuscito ad ottenere l'alleanza dei signori della Lombardia, ad estendere la protezione del Leone di San Marco sul Friuli e ad eliminare, con il suo Capitano del Golfo, la pirateria lungo le coste della Dalmazia. Venezia è la Signora dell'Adriatico e le sue galee solcano in sicurezza il nostro mare fino ai confini dell'Africa e alle rive del Levante".
"Ti sei reso conto, Pietro, delle condizioni di questa città. I suoi abitanti incominciano a risentire della morsa che si stringe ogni anno attorno alle sue mura e che impedisce la libera circolazione delle merci. Una volta il nome del basileus era venerato su tutte le strade e ogni città apriva le porte ai suoi messi imperiali. Oggi le vie sono occupate dai guerrieri venuti dall'Est e le porte terrestri di Costantinopoli sono mantenute chiuse per i continui assalti degli Ottomani che vogliono impadronirsi di questo grande emporio. L'imperatore non riesce più ad equilibrare i bracci della bilancia commerciale tra l'Est e l'Ovest. Lo sguardo ed il braccio teso della statua dell’antico imperatore, situato sulla colonna davanti alla Grande Chiesa, non è riuscito ad impedire l’invasione dei guerrieri venuti dall'Oriente.
"Le mura e le porte - afferma il patrono - servono a proteggere i difensori finché l'ingegno e l'astuzia dei guerrieri assalitori non trovano un'arma più potente per abbattere l'ostacolo che impedisce di conquistare la città. Una grande forza, supportata dall'intelligenza di coloro che la posseggono e credono nella propria invincibilità, riesce sempre a vincere chi spera solo di difendersi dietro un muro. La città sembra ben protetta dai suoi soldati che reggeranno l'impeto dell'esercito ottomano".
"Sei molto fiducioso, Pietro, ma i mercenari, pagati con le tasse riscosse, non possono sostenere le continue ondate dei soldati turchi, comandati dai condottieri intelligenti e decisi a impadronirsi delle ricchezze della famiglia imperiale. Soltanto chi vive del commercio di questa città può combattere con coraggio i suoi nemici, perché ha necessità di mantenere la propria famiglia con il movimento delle mercanzie. L’imperatore non è sostenuto da tutti gli aristocratici, perché molti di loro sono immersi nel godimento delle ricchezze o nei passatempi dei simposi, dove le parole si mescolano ai pensieri di cose arcane. La riduzione dell'antico impero alla sola capitale e a qualche piccolo possedimento impedisce all'imperatore di raccogliere un esercito che possa sbaragliare i suoi nemici".
"Non preoccuparti, Giacomo, il Leone di San Marco sa distendere le sue ali per proteggere la città. La Serenissima invia i suoi figli per proteggere questo mercato ed è pronta a sacrificarli per la sua difesa. Le usanze e le istituzioni veneziane scaturiscono dagli usi e costumi dell'Impero romano conservati nei secoli da Costantinopoli. I Veneziani la difenderanno in qualsiasi momento, perché la considerano come la loro seconda patria e sono disposti a battersi sulle sue mura. Il loro coraggio e la loro fede nelle istituzioni, tramandate da questa città, sono la loro forza, perché si fondano sull'aspirazione di commerciare in piena libertà e scambiare la propria ricchezza con ogni uomo che cerca il bene comune, cioè il benessere che si riversa su tutti.