lunedì 30 giugno 2008

MERCANTI VENEZIANI A COSTANTINOPOLI - Cap. XII

Viaggio a Trebisonda.
La galea di ser Filippo, ricco mercante del quartiere delle Blacherne, salpa dal porto di Orion, vicino al quartiere veneziano, il 7 ottobre 1422 per Trebisonda, capitale di un piccolo impero, governato da Alessio IV che tutti chiamano "Grande Comneno".
La famiglia dei Comneni, imparentata con quella dei Paleologi che reggono l'Impero romano d'Oriente, ha fondato un favoloso regno nel XIII secolo sulle sponde meridionali del mare che chiamano "Ponto Eusino".
La città, situata su un pianoro trapezoidale e ben difesa da mura e torri, è diventata un importante centro carovaniero per il commercio della seta che proviene dalla Cina. Il porto, dotato di un grande faro, riceve le navi delle ricche città dell’Occidente ed accoglie tutti i mercanti che portano la loro mercanzia a Costantinopoli.
Venezia vi mantiene un suo funzionario, accreditato presso la corte dei Comneni. Le direttive della Serenissima vengono trasmesse al bailo di Costantinopoli che sovrintende all’operato dei consoli veneti, residenti nei porti dell’Egeo e del Ponto Eusino.
Ser Benedetto Emo, per dirimere le controversie tra il sultano Murad II ed il coimperatore Giovanni VIII Paleologo, si avvale del suo segretario, ser Francesco Filelfo, imbarcato sulla galea per Trebisonda, per consegnare una lettera del basileus Manuele II Paleologo al Gran Comneno. L'ambasciatore straordinario del bailo è accompagnato da Marco e Francesco, inviati dal loro governatore per far esperienza di commercio e per conoscere il mercato della città che accoglie le carovane dei mercanti dell’Oriente.
I due giovani hanno avuto il consenso del mercante ser Pietro, patrono della Capitana, di essere accompagnati dal prodiere Virgilio. Marco e Francesco, hanno costituito una società commerciale con la tessitrice Trixobostrina e con il ricco mercante arabo Muhammad. Sulla galea è anche imbarcato il tintore Nicola, amico di Rodopios, inviato come agente di Muhammad, per acquistare la seta grezza all’emporio di Trebisonda.
Ser Filippo, patrono della nave, è anche agente commissionario del ricco Oikantropos e della famiglia di Ser Pietro. La sua nave trasporta un carico prezioso costituito da centoventicinque sacchetti contenenti 110 mila ducati d'oro, trecento sacchetti pieni di iperperi d’oro con l’effigie del basileus, sessantaquattro borse di grossi d’argento veneziani per un valore di 36 mila ducati d'oro. Il banco di ser Francesco ha emesso a favore di ser Filippo delle carte di credito per riscuotere somme di denaro dai banchieri e per acquistare spezie presso i mercanti della città di Alessio Comneno.
La galea, costruita nei cantieri di Venezia, viene utilizzata dai mercanti di Costantinopoli per il trasporto di carichi speciali o per proteggere le grosse navi commerciali lungo le coste settentrionali dell’Asia Minore. Il suo scafo è lungo più di quaranta metri e largo quasi sei metri. La vela latina triangolare e la forza di centocinquanta rematori permettono al capitano di manovrarla con sicurezza e di tener testa a qualsiasi nave di predoni. L’armeria, posta al centro della nave, è ben fornita di elmi, scudi, corazze e dardi per i cinquantadue balestrieri ben addestrati. Il capitano, ser Giovanni, si avvale di un gruppo di uomini, forniti dal Primo Ministro dell’imperatore, per proteggere il corriere imperiale e la galea che lo trasporta. Sul ponte di prua è stata collocata un’arma segreta che lancia palle infuocate. Il suo impiego è garantito dai lanciatori di fuoco, uomini esperti e fidati dell'esercito imperiale, saliti a bordo e alloggiati nel vano prodiero. Il viaggio sulla galea è veloce e sicuro. Il suo carico è prezioso per la merce e per gli uomini che hanno l'incarico di consegnare il plico del basileus al signore di Trebisonda. Le rotte del Ponto Eusino richiedono navi equipaggiate per il combattimento.
La potenza degli Ottomani si è estesa anche sui mari e diventa sempre più minacciosa. Il Sultano di Adrianopoli possiede una propria flotta e si avvale anche dei servigi di esperti signori del mare che dispongono di piccole navi veloci per predare i natanti commerciali. Le loro imbarcazioni sono equipaggiate con vogatori cristiani delle città marittime conquistate dagli Ottomani. Il loro impiego è soltanto quello di fornire energia ai remi e non vengono impiegati per il combattimento.
La supremazia marittima, lungo le coste dell’Asia Minore e dell’Egeo, appartiene alla Serenissima Repubblica che impone il rispetto dello stendardo di San Marco. Venezia ha stipulato dei trattati con le potenze marinare ed ottenuto permessi e privilegi marittimi dai sovrani di tutti i regni che si affacciano sulle rive del Mediterraneo. Il rispetto delle convenzioni commerciali è ottenuto anche con l’esborso di ingenti somme dell’erario per la libera circolazione delle navi. I suoi mercanti sono rispettati da tutte le città costiere e le navi che naufragano non possono essere oggetto di bottino né i suoi marinai possono essere fatti schiavi. Il trattato, firmato dalla Serenissima e dall’Amministrazione ottomana per la salvaguardia delle navi che espongono lo stendardo di Venezia, non è rispettato dalle navi isolate dei predoni.
Dopo il grande fiume Halys, il capitano della galea sollecita gli ufficiali e i marinai a scrutare attentamente la riva per non farsi sorprendere dai razziatori del mare. La galea naviga lungo la costa per scorgere la luce del grande faro di Trebisonda che permette di scorgere il porto e di non perdersi nel Mare Eusino. Il vento è favorevole e la grande vela permette di navigare spediti. I rematori sono pronti a qualsiasi sforzo in caso di attacco e anche a difendere la loro nave perché la loro cattura li porterebbe ad essere venduti come schiavi.
"Attenti ai predoni - grida il comito della nave - e mano ai remi".
Un’imbarcazione, nascosta dietro il Capo Giasonio, è sbucata dalla foce di un fiume e si dirige verso la galea. Sulla costa si intravede l’antica città di Cotyora che dista più di mille stadi dalla città di Trebisonda. Mancano pochi giorni per l’approdo.
Il capitano chiama il paron: "Antonio, fai indossare le corazze e gli elmetti ai marinai e ai vogatori. Stai attento alla vela e al sartiame. Controlla che ogni balestriere abbia un numero sufficiente di dardi. Fai disporre gli scudi per proteggere i remigi e i balestrieri. Allerta il presidio imperiale per l'impiego della catapulta".
“Ludovico, stammi vicino - ordina il capitano al suo consigliere – e controlla la rotta. Si sta avvicinando la galea dei pirati e dobbiamo speronarla sul fianco”.
Il suono delle trombe e i il ritmo dei tamburi hanno chiamato tutti gli uomini della nave a difendere le loro vite.
Marco e Francesco si sono uniti ai balestrieri della poppa.
“Ser Giovanni – esclama Marco – sono pronto a usare anche la spada e colpire il predone che osa saltare sulla nostra nave”.
“Riparati dietro lo scudo – consiglia il capitano - e non mettere a repentaglio la tua giovane vita. Ser Filippo mi ha ordinato di tenere d’occhio proprio voi che accompagnate il corriere imperiale. I predoni del mare mirano a catturare i giovani che indossano le armature più lucenti per venderli come schiavi o pretendere un grosso riscatto dalle loro famiglie. Sono sicuro che a te e a Francesco non manca il coraggio di affrontare i pirati. I mercanti devono esporsi soltanto se la nave è in pericolo. I balestrieri e gli uomini della ciurma sono per il momento sufficienti a tener a bada questo gruppo di razziatori che vogliono abbordare la nostra galea”.
“I nostri padri – sostiene Francesco – ci hanno insegnato a non nasconderci, ma a essere pronti a difendere lo stendardo di San Marco. La Serenissima ci ha addestrato a stare vicino a chi combatte per la sicurezza della nave che trasporta la nostra mercanzia. La sua salvaguardia è preziosa come le nostre vite perché ci permette di vivere e di garantire la prosperità di Venezia. Il rischio è sempre presente per chi viaggia in mare e bisogna allenarsi a combattere i pirati anche se disponiamo di ripari e di armi adeguate a fronteggiare qualsiasi azione predatoria. Non serve nascondersi dietro coloro che hanno famiglia e figli, ma sostenere con generosità chi combatte per la nostra stessa causa. Il nostro spirito ci sprona a manifestare il coraggio per vincere la paura e a dimostrare la nostra saldezza morale, vicino a chi è pronto a sacrificarsi anche per noi che sembriamo privi di esperienza. L’abitudine al combattimento ci permetterà di essere sempre in guardia e di far affidamento alle esperienze che si acquisiscono in ogni momento della vita”.
“Sono pienamente d’accordo con il mio amico – incalza Marco – e desidero stare sul ponte di comando della nave per imparare l’arte del governo degli uomini che navigano e affrontano qualsiasi pericolo. I pirati non mi spaventano perché so usare bene la balestra che permette di colpirli a distanza e di non farli avvicinare alla nave. Sono veneziano e mi sento pronto a difendere la galea che mi permette di dimostrare il mio amore alla mia gente. Il bailo mi ha chiamato per accompagnare e proteggere ser Filelfo. Il mio dovere è di portare a compimento questo incarico a costo di qualsiasi rischio. Se mi nascondessi sottocoperta non dimostrerei di saper affrontare il pericolo che potrebbe compromettere lo scopo della nostra missione. Mi sento onorato di difendere il corriere imperiale e di essere all’altezza della fiducia che ser Emo ha riposto in me”.
“Il vostro coraggio – esclama ser Giovanni – non mi meraviglia perché anch’io da giovane aspiravo a dimostrare agli altri che non avevo paura di morire. Imparai a difendere la galea che trasportava la mercanzia della mia famiglia da Alessandria a Venezia. I Saraceni e i pirati scorazzavano lungo le rotte del Mediterraneo. Il loro intento era di abbordare le navi che trasportavano l’oro dei mercanti che si recavano in Egitto o nel Levante per comprare le spezie e le pietre preziose che arrivavano dall’Estremo Oriente. L’esperienza acquisita mi permette di comandare una nave e di difenderla dai pirati e dai corsari. Questa galea è equipaggiata ed armata per respingere qualsiasi abbordaggio. Ogni uomo della ciurma è stato scelto per garantire la sicurezza dell’imbarcazione che trasporta merci pregiate e soprattutto l’incolumità dei mercanti. La presenza di un corriere imperiale impone di adottare ogni precauzione per respingere qualsiasi azione piratesca. La conquista delle città costiere dell’Asia Minore da parte dellesercito degli Ottomani ci costringe ad entrare soltanto nei porti dove è presente un governatore veneziano".
"Alcuni pirati - dice il capitano - inalberano lo stendardo del sultano per scorazzare liberamente nel Mar Pontico ed abbordare le navi mercantili. La loro sottomissione ai nuovi conquistatori è un pretesto per ottenere dei privilegi o il governo di una città costiera. Molte famiglie nobili delle isole dell’Egeo devono pagare il tributo agli Ottomani. I loro figli amano coprirsi il capo con turbanti e mettersi al comando di uomini già abituati ai rischi del mare. I rematori delle loro imbarcazioni sono schiavi delle conquiste ottomane e non vengono utilizzati per la difesa degli scafi”.
“Timonieri – ordina il capitano – preparatevi a virare per colpire la galea nemica. Pronti a lanciare il fuoco con la catapulta greca. Se si avvicina colpiamola con il rostro”.
La galea dei pirati cerca di prevenire la manovra del capitano e di affiancarsi sul lato sinistro. Il presidio imperiale sul ponte di prua scaglia ininterrottamente palle di fuoco sui pirati. Il fuoco greco incendia la loro vela e crea scompiglio tra i rematori incatenati. Le palle di pece e di catrame catapultate bruciano le loro tuniche intrise di sudore. Le grida di disperazione e di sofferenza degli schiavi vengono acutizzate dalle staffilate degli aguzzini che cercano di imporre un ritmo di voga sempre più accelerato. Il capo dei pirati fa lanciare un nugolo di dardi sulla galea di ser Giovanni e ordina ai suoi guerrieri di prepararsi per l'abbordaggio della galea veneziana.
Il paron incita i prodieri a vogare con più forza: "Ser Filippo ha promeso un ducato d'oro a tutti i rematori, se riusciamo ad affondare la nave dei pitati".
Il ritmo del tamburo rincuora gli animi e li sprona a muovere con più forza i remi. La galea veneziana è più veloce e sperona la nave pirata sul lato sinistro della poppa. Il suo timone è fuori uso e la nave è ingovernabile.
“Proseguite la rotta – ordina il capitano – e non perdiamo tempo. I predatori del mare non ci daranno più fastidio. Manca soltanto qualche giorno per scorgere il grande faro del porto di Trebisonda. Un ducato d’oro al marinaio che vede per primo la sua luce”.
La ciurma, piena di orgoglio e di riconoscenza per l’uomo che sa governare bene la nave e sa essere generoso, grida: "Viva il capitano".
"Vino per tutti - ordina ser Giovanni - e riposo per i remigi. Il vento del Nord ci porterà spediti alla nostra meta".
Il capitano si rivolge al giovane Marco: “Vai giù ed annuncia a ser Filelfo che i pirati sono stati sconfitti e non c’è più nulla da temere. Il Leone di San Marco protegge con le sue ali coloro che sanno vigilare con coraggio ed essere pronti ad offrire la propria vita per l’onore della Serenissima Repubblica. Mi rallegro che i giovani veneziani sanno emulare i loro padri ed affrontare il pericolo senza temere per la loro incolumità”.
“La sua determinazione – esclama Marco – nell’affrontare con intrepidezza la nave dei pirati è per noi un esempio e un ammaestramento che ci spronano ad essere sempre più coraggiosi e a confermare le speranze dei nostri genitori”.
“Il vostro comportamento, di fronte all’imminente pericolo, supera le loro aspettative. Le mie parole non siano motivo di vana gloria ma certezza per continuare a percorrere più spediti e sicuri le rotte del mare. Chi impara a navigare senza timore può essere chiamato a far parte del Grande Consiglio della Serenissima per rendere sempre più ricca e bella la nostra patria”.
I due giovani si recano nell’alloggio dei mercanti per rincuorare il messo imperiale.
“Le tue preoccupazioni – esclama Marco – sono comprensibili e mi sento onorato della tuo richiamo alla nostra missione. Io sono consapevole dei miei limiti e prendo ogni precauzione per essere pronto a far fronte a qualsiasi ostacolo che si frapponga al buon esito del viaggio. Ho indossato la corazza e ho preso le armi per respingere qualsiasi offesa. Il suono delle trombe, per un pericolo immediato che incombe sulla sicurezza della nostra nave, mi richiama al mio dovere di veneziano che è quello di difendere il vessillo di San Marco. Il ritmo del tamburo mi sprona a vigilare e aiutare coloro che combattono per noi. Sono giovane e mi sento forte”.
“Essere considerati giovani – continua Francesco – non ci consente di tenerci al riparo nel momento del pericolo e di lasciare a chi ha più esperienza di rischiare per la nostra incolumità. Bisogna iniziare a mettersi in gioco per dimostrare a noi stessi di essere in grado di poter mettere in pratica tutti gli ammaestramenti ricevuti. L’addestramento in patria e l’esercitazioni continue durante la navigazione ci bastano per stare al fianco degli ufficiali e dei marinai per la difesa della galea. La maestria nella difesa non si improvvisa ma si acquista ogni volta che ci sentiamo in pericolo. Il fatto di essere stati chiamati ad accompagnare un ambasciatore ci rende orgogliosi e ci spinge a prendere tutte le precauzioni necessarie alla difesa e alla incolumità di chi ci è stato affidato”.
“Non capisco – dice Marco – il comportamento di questi predoni del mare che invocano un uomo di Dio per commettere atti ostili alle navi che trasportano le mercanzie in tutti i porti. Tutti sanno che il Profeta, prima di ricevere la rivelazione, era un grande mercante che conosceva le regole del commercio tra i popoli”.
“Mi congratulo con te – risponde ser Filelfo – e mi domando chi ti ha parlato del Profeta di Allah. Le tue considerazioni nascono da un animo che rispetta ciò che è ritenuto sacro”.
"Durante la sosta in Sicilia della galea "Capitana", un ricco mercante arabo è salito a bordo. Il suo viaggio è terminato a Costantinopoli. Il comportamento dell'uomo mi incuriosiva perchè si prostrava e pregava il suo Dio. Era diventato amico del consigliere del capitano, esperto delle rotte marine, per conoscere, in determinate ore della giornata, la direzione della città in cui era nato il suo Profeta. Aveva una cultura vasta e profonda. Sapeva parlare in latino e conosceva le opere dei filosofi dell'antica Grecia. I viaggiatori mi sussurravano: " È un musulmano. La sua religione è l'Islam ". Il suo fervore era di esempio a tutti noi ".
“Hai avuto modo senz’altro – continua il messaggero - di parlare con lui durante le tempeste, quando tutti i viaggiatori si riuniscono sottocoperta. Sono curioso di conoscere tutto quello che ti ha detto. Gli arabi amano parlare con i giovani dell’Occidente della loro grande civiltà, delle loro grandi costruzioni e dei loro matematici e filosofi. Il mio amico ser Aurispa, mercante di libri antichi, è molto interessato ai filosofi arabi perché traducono gli antichi testi greci”.
“Il mercante – racconta Marco – mi ha detto che la sua famiglia era originaria di Damasco ed aveva sempre scambiato tessuti di seta con i minerali della Sicilia. Un giorno gli ho chiesto: " Perché preghi più volte al giorno? ".
L’arabo così mi ha risposto: “È stato cosi rivelato al Profeta Maometto di dire: " Compi la preghiera del declinar del sole al primo calar della notte ed esegui la recitazione dell'alba, ché la recitazione dell'alba è fatta innanzi a testimoni... Volgi la tua faccia verso la Sacra Moschea ... Gloria a Dio, quando entrate nella sera e quando entrate nel mattino, e lode a Dio nei cieli e sulla terra e nel pomeriggio e quando entrate nell'ora meridiana... Ognuno agisce secondo la sua maniera... La mia preghiera, il mio culto e la mia vita e la mia morte appartengono al Signore dell'Universo...Così mi è stato ordinato, ed io sono il primo dei Musulmani... O credenti... Entrate tutti nella dedizione completa...La religione presso Dio è l'Islam... Se amate Dio, seguitemi, ché Iddio vi amerà e vi perdonerà le vostre colpe, poiché egli è perdonatore e misericordioso...Obbedite a Dio e al Profeta...Iddio comanda la giustizia, la buona condotta verso i parenti, e proibisce la turpitudine, le cose biasimevoli e la prepotenza... A chi, credente, sia maschio o sia femmina, avrà fatto del bene noi concederemo una vita beata e corrisponderemo un premio comutato in base alla migliore delle sue opere... Iddio è con i timorati e con coloro che fanno il bene”.
“Sembra che l’arabo – afferma Filelfo – ti abbia rivelato la sua sottomissione ad Allah e la sua credenza nel Corano che riporta la rivelazione fatta al Profeta dall’angelo Gabriele. Prima delle conquiste delle tribù mongole e di quelle turche, gli Arabi hanno fatto conoscere l’Islam a tutti i popoli ed hanno costituito dei grandi regni. Ora amano soltanto commerciare e vivere nel rispetto della rivelazione ricevuta da Maometto.”
“Non capisco - afferma Francesco - il timore che hanno tutti i popoli dell’Occidente per i musulmani che sono molto religiosi e riconoscono la giustizia di Dio. Il mercante di Damasco mi è sembrato una persona timorata delle cose sacre e rispettoso di tutte le leggi che permettono il libero scambio delle merci”.
"Hai colto nel segno - incalza l'inviato del basileus - e mi congratulo con te perché distingui la giustizia divina da quella degli uomini. Gli Arabi, sdopo aver conquistato grandi territori e innalzato favolose costruzioni in nome dell'Islam, hano lasciato ai Turchi il governo delle città. I nuovi guerrieri dell'Oriente, provenienti dagli sterminati territori dell'Asia, hanno abbandonato le credenze dei loro avi ed hanno riconosciuto che c'è un solo Dio".
" Dimmi, Marco, con quali appellativi l'arabo invocava il suo Dio? "
" Il mercante soleva dire: " Lode a Dio, Signore dei Mondi, - il Clemente, il Misericordioso, - Sovrano del Giorno del Giudizio... Il Clemente - ha insegnato il Corano; - ha creato l'uomo, - gli ha insegnato l'eloquio ".
“Mi hai detto che si recava a Costantinopoli e vorrei conoscere il suo pensiero sui governanti della città”.
" Il mio amico dell'Islam - afferma Marco - ha parlato molto bene del basileus: " L'imperatore Manuele II Paleologo si dimostra molto tollerante; ha permesso la costruzione delle moschee nei quartieri musulmani di Costantinopoli. Il sultano, Mehmet I Celebi ha riconosciuto la sua autorità imperiale e lo ha addidato come padre a tuti i credenti in Allah. La città della Santa Sapienza sente la voce di colui che dall'alto della torre chiama alla preghiera tutti i credenti che si radunano Nel nome di Dio Clemente e Misericordioso. Tutti si sentono sicuri dentro e fuori le mura della città. I conquistatori Ottomani scelgono una città della Tracia, Adrianopoli, come la capitale del loro impero. Le vie commerciali attraverso l'Asia Minore sono ripristinate dopo le distruzioni dei mongoli di Tamerlano".
“L’arabo – sostiene Filelfo – ha detto il vero. Le cose adesso sono cambiate perché il coimperatore Giovanni VIII, avendo appoggiato un pretendente al sultanato contro l’attuale imperatore ottomano, ha suscitato le sue ire. Il prestigio di Manuele II è crollato. Gli Ottomani hanno scatenato una grande offensiva che si ritorce contro i traffici commerciali nel Mediterraneo Orientale e nel Ponto Eusino. I pirati si sentono autorizzati ad abbordare le navi. L’ invocazione del Profeta serve solo a coprire la loro avidità di ricchezza”.
“Anche l’arabo aveva paura dei predoni del mare e diceva: " Non è lecito a un credente uccidere un credente se non per errore... Iddio non ama gli agrressori".
“Le conversazioni con il viaggiatore arabo – continua Marco – hanno eliminato i miei pregiudizi su Maometto”.
“Soltanto il dialogo sereno – sostiene l’ambasciatore - tra due uomini di diversa cultura può dirimere le incomprensioni che nascono dalla diffidenza e dall’ignoranza. Gli uomini dell’Oriente non sono diversi da noi. La loro completa dedizione al Dio di Abramo appare incomprensibile a chi non ha approfondito il Corano. Il Profeta Maometto ha il merito di aver combattuto l’idolatria e di aver fatto conoscere agli Arabi del deserto che c’è un solo Dio. Nel Libro che parla della sua rivelazione, Gesù di Nazareth è l’Inviato da Dio nato dalla Vergine Maria. L’Onnipotente si è servito e si serve di un mercante a cui è stato rivelato di essere il più grande e l’ultimo dei profeti senza togliere nulla al Verbo di Dio”.
“Il mercante arabo mi diceva che al Profeta è stato rivelato: " Ricorda Colei che custodì la propria verginità... Alitammo in essa del nostro spirito e facemmo di lei e di suo figlio un segno per l'Umanità. - Questa è la vostra Comunità: una comunità unica, ed io sono il vostro Signore...A Gesù figlio di Maria abbiamo dato prove manifeste e lo abbiamo confortato con lo Spirito Santo ". Sosteneva che a Maometto è stato ordinato di dire: " O gente della scrittura. Venite a una parola comune: di non adorare se non Iddio... Crediamo in Dio e a ciò che è stato mandato dall'alto ad Abramo, Ismaele, Isacco, Giacobbe e Tribù, e a ciò che hanno ricevuto dal loro Signore Mosè, Gesù e i Profeti; non facciamo differenza fra nessuno di essi, e siamo interamente dediti a Lui... Ognuno ha la sua direzione verso cui si rivolge. Voi dirigetevi a gara verso le buone azioni: che dovunque vi troviate Iddio vi riunirà tutti assieme. Egli è onnipotente ".
“Questo è sorprendente – esclama ser Filelfo - e non viene capito dagli uomini dell’Occidente e dell’Oriente. Il Corano esorta tutti i credenti alle buone azioni perché Iddio è il Signore di tutta l’Umanità”.
“Se i popoli dell’Est e dell’Ovest - sostiene Francesco - orientano la loro attività su dei libri sapienziali che ammettono una comune origine degli uomini, vi si potranno trovare dei punti condivisi per vivere meglio nel rispetto reciproco”.
“La strada maestra – sostiene Filelfo - è la verginità di Maria, ritenuta l’unica donna che abbia partorito un figlio senza conoscere l’intervento di un uomo. Il Profeta Isaia in nome di Dio rivela il parto dell’Emmanuele da una Vergine. L’apostolo Matteo rivela nel suo Vangelo che Gesù di Nazareth è l’Emmanuele. L’apostolo Luca scrive nel suo Vangelo che alla vergine Maria è annunciato il concepimento di un figlio e lei risponde: " Come è possibile? Non conosco uomo " .
“L’arabo – interviene Marco – mi raccontava che nel Corano è rivelato: " O Maria. Iddio ti dà la lieta novella di un Verbo da Lui. Il suo nome sarà Gesù figlio di Maria...Parola di Verità ".
“E cosa ti ha detto ancora?”.
" Al Profeta Maometto - sosteneva il mercante - è stato rivelato di ricordare Nel nome di Dio Clemente e Misericordioso ciò che Maria ha risposto all'inviato del Signore: " Come potrò avere un bambino, quando nessun uomo m'ha toccata e non sono donna disonesta? ".
“I dottori delle Sacre Scritture - sostiene ser Filelfo - non approfondiscono il carattere divino dell’evento e non chiariscono il motivo di questa verginità. La procreazione di un uomo al di fuori della normale relazione di maschio e femmina è un evento che trascende l’umanità ed entra nel novero del mistero e del sacro. Questo avvenimento deve avere uno scopo che va ricercato nel frutto del parto di Maria. Il Figlio della Vergine, pur essendo un vero uomo, manifesta una personalità che si riscontra nelle sue opere e nelle sue parole: " Non sono venuto per abolire la Legge e i Profeti... Io sono la Via, la Vita e la Verità " . Nessun uomo ha mai proferito sulla terra queste parole. I sapienti dovrebbero riflettere su ciò che manifesta il Figlio della Vergine. Tutti gli uomini hanno cercato e cercano una via per conoscere la verità della loro vita e non si rendono conto che uno di loro ha manifestato di essere la Verità”.
“Ci sono tante vie nel mondo – afferma Marco – e tanti uomini che sostengono di dire la verità, ma nessuno, al di fuori del figlio di Maria, ha mai detto di essere la Vita. Penso che la confusione nasca proprio dal fatto che gli uomini non sono concordi sul significato della vita, cioè sulla sua origine, sulla sua motivazione e sul suo scopo”.
“Ogni uomo – dice Francesco – è inserito in una società, riceve gli ammaestramenti dai suoi genitori ed è sottoposto alle leggi della sua città. La diversità dei costumi e le contrastanti opinioni non consentono di avere una concezione unica sulle cose più importanti della vita”.
“È vero – afferma l’inviato imperiale – che ci sono tante opinioni. La loro diversità nasconde una essenzialità unica, cioè l’uomo è una persona, dotata di pensiero e di libertà, che si esprime attraverso la parola e gli atti concreti. Questa essenzialità ha un unico fondamento di verità. Ognuno vuole vivere e cercare la strada per affermare la propria umanità che si corrobora nelle relazioni umane senza mai giungere, nel tempo presente, a una sua pienezza”.
“I pirati – afferma Marco - dicono di essere seguaci del Profeta e credono di essere autorizzati all’arrembaggio delle navi dei cristiani”.
“È soltanto un pretesto. Il tuo amico arabo ti ha detto quello che è scritto nel Corano ed ha condannato le loro azioni alla luce della rivelazione. Anche i cristiani praticano la pirateria nel Mediterraneo Occidentale. Questo dimostra che la religione non c’entra con le azioni dei pirati. I loro delitti sono condannati dal Vangelo”.
“L’Occidente - afferma Marco – ha paura dell’Islam”.
“È vero – risponde ser Filelfo – e questo non dipende dalla rivelazione fatta al Profeta. L’Islam è la dedizione completa a Dio, annunziata e richiesta da Maometo al popolo arabo. È parola rivelata a un uomo da Allah attraverso l’angelo Gabriele. Anche noi cristiani crediamo nell’Annunciazione fatta alla Vergine dall’arcangelo Gabriele e non abbiamo alcun dubbio sulla veridicità della Sacra Scrittura rivelata agli apostoli da Gesù. Tutto quello che viene da Dio è santo. Anche il Corano è parola che chiama alla conversione all’unico e vero Dio di tutti gli uomini. L’umiltà e la grandezza di Maometto fino ad oggi non è stata capita dall’Occidente perchè si confonde la fede dei credenti con il potere dei più forti. Anche la popolazione araba, costituita dalle tribù del deserto, pur avendo avuto il dono di un grande Profeta, prediletto da Dio, è stata sottomessa e conquistata dai guerrieri dell’Asia che si erano convertiti all’Islam”.
“Come è possibile – afferma Francesco – che il popolo del Profeta, dopo aver acquisito una grande cultura, diffusa in tutto il Mediterraneo e nelle regioni orientali, sia stato conquistato da guerrieri venuti da lontano? ”.
“Il Profeta - sostiene il dotto ambasciatore - è l’uomo di Allah, scelto per far conoscere agli Arabi che c’è un solo Dio che chiama alla conversione, cioè chiama all’Islam che è dedizione completa al Dio di Abramo. La sua missione è quella di conquistare i politeisti e indurli a distruggere gli idoli e a iniziare una nuova vita fatta di preghiere, elemosine e digiuni. La parola del Profeta è parola rivelata per la conversione dei cuori e non per conquistare territori. I capi delle tribù arabe, dopo la morte di Maometto, hanno deciso di far conoscere anche agli altri popoli la rivelazione fatta al Profeta. Le loro aspirazioni sono comprensibili e lodevoli. La comunità dei credenti in Allah si confronta con le culture degli altri popoli dell’Oriente. Le loro buone ragioni si scontrano con le altre culture e nascono incomprensioni. Il confronto delle opinioni dei regnanti porta alle offese e allo schieramento in armi degli uomini intesi a difendere i costumi tramandati dai loro avi. Il sacro si confonde con le passioni e scaturiscono guerre e conquiste.
“Tu sostieni – afferma Marco – che la religione dell’Islam non è ispiratrice delle conquiste degli Ottomani”.
"Hai detto una cosa giusta - risponde l'ambasciatore del basilus che riporta l'opera del Profeta nella sua giusta condiderazione. Maometto è l'arabo che si è dedicato completamente al suo Dio. È l'uomo che dice di essere il più grande dei profeti perché così gli è stato rivelato dall'angelo Gabriele. Le parole rivelate richiedono rispetto perchè hanno il mistero del sacro. Nessun uomo può comprenderne il significato se non viene illuminato dalla Sapienza di Dio. L'opera del Profeta mira a scuotere le tribù arabe dedite al politeismo e a spingere gli ipocriti ad agire con convinzione secondo la rivelazione. La recitazione della parola rivelata non consente di agire diversamente dalla giustizia. Il comportamento del credente è rispetto di tutto ciò che è stato creato dal Dio di Abramo. Le relazioni umane, improntate alla parola del Corano, trovano un fondamento di verità nell'adesione completa ad Allah e nel riconoscimento di quanto detto dal Profeta.. Maometto riconosce veri tutti i profeti che hanno rivelato l'unicità di Dio. La sua determinatezza e la sua fiducia, nell'accettare la sua missione, lo collocano in una posizione predominante su tutti gli uomini che hanno manifestato la volontà dell'unico Dio di riportare le sue creature a riconoscerLo come Signore degli uomini ".
"Il mercante arabo – racconta Marco – soleva parlarmi del culto esclusivo di Allah e diceva che nel Corano è scritto: " Dì: Egli, Iddio, è Uno. - Iddio l'eterno, - e non ha l'eguale ”.
" Anche noi, cristiani, abbiamo appreso nel catechismo - afferma Francesco - il Decalogo. Il Primo Comandamento: "Io sono il Signore Dio tuo. Non avrai altro Dio fuori di me ".
“Tutti noi abbiamo acquisito dalla Sacra Scrittura – afferma ser Filelfo – che c’è un solo Dio. Gesù stesso, secondo il Vangelo di Matteo, così rispose a un dottore della legge: "Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente. Questo è il più grande e il primo dei comandamenti ".
“Il Profeta – sostiene Marco – riconosce che Gesù è il Verbo di Dio”.
“Questo riconoscimento gli è stato rivelato – risponde l’ambasciatore – e ci deve indurre a onorare un uomo che dedicò tutto sé stesso ad Allah. La sua completa dedizione non deve essere confusa con l’impeto dei guerrieri o con il desiderio di potere dei Principi”. Le paure nei confronti dell’Islam sono infondate. I timori nascono con gli Ottomani che hanno l’esercito più potente”.
“Perché – chiede Francesco - i capi delle tribù turche e mongole che hanno travolto l’Impero romano d’Oriente hanno adottato la religione degli Arabi?”.
“Anche in Occidente - risponde l'ambasciatore - è successo la stessa cosa con Roma. Le tribù barbare, dopo aver sconfitto le sue legioni, si sono impossessate del suo impero ed hanno abbracciato la religione cristiana. La cultura del mondo romano è stata assorbita dalle popolazioni che provenivano dall’Est. La cultura romana ha amalgamato i vincitori con i vinti ed è servita come base per nuovi regni e domini. La religione cristiana ha eliminato le diversità sociali e sono nati tanti governi. I loro territori hanno ospitato nuovi popoli che si sono affacciati sul Mediterraneo. L’impero romano d’Occidente si è trasformato in tante entità nazionali con tanti re e Principi che fanno sentire il loro potere. La loro sottomissione alla Chiesa conferisce una riconoscimento che permette di estendere la loro autorità sugli altri popoli. L’alternanza delle loro egemonie crea un continuo stato di tensione tra le varie città. I continui conflitti di potere tra i vari Signori hanno permesso agli agglomerati urbani di erigersi ad autonomie con propri governanti. La loro sopravvivenza ha innescato nuove fonti di sussistenza del popolo. Si sono intraprese le attività commerciali che hanno reso grandi e potenti i piccoli villaggi. Anche Venezia è sorta dall’agglomerato di piccole capanne ed è diventata la città più ricca di tutto l’Occidente”.
“L’Impero romano d’Oriente – afferma Marco – esiste ancora e il suo l’imperatore è Manuele II”.
"Il basileus - risponde ser Filippo - ha perso tutti i suoi possedimenti e rischia di perdere anche Costantinopoli. Il sultano tiene sotto assedio la città e cerca di punire il coimperatore Giovanni VIII che ha osato immischiarsi nelle faccende della casa imperiale ottomana. La situazione si presenta drammatica ed ocorre arginare l'avanzata dei nuovi conquistatori che stanno costruendo un grande impero che minaccia l'Occidente e la sua cultura.