giovedì 30 giugno 2011

TERRA DI MOREA Cap.I

Il guardiano della porta
La principessa Cleofe guarda dal loggiato del suo palazzo la carovana di ser Nicolò che sale la collina per un sentiero lastricato. Il mercante, diretto alla dimora del signore di Mistrà, porta tessuti pregiati e spezie, provenienti da Monemvasia, approdo sicuro sulla costa del mar Egeo dove le galee della Repubblica di San Marco scaricano le merci, imbarcate nei porti del Mediterraneo o del Ponto Eusino.
La signora da più di due anni è la sposa di Teodoro, figlio di Manuele II Paleologo che dal 1391 è basileus di Costantinopoli e dell’Impero romano d’Oriente. Nell’estate del 1420, all’età di quindici anni, la nobildonna, figlia di Malatesta dei Malatesti, signore di Pesaro, e di Elisabetta da Varano, si è imbarca su una galea veneziana per raggiungere la città di Costantinopoli, perché promessa sposa al figlio del basileus.
La residenza emerge tra i palazzi degli arconti e dei nobili della corte di Teodoro, nominato dal padre despota di Morea già all’età di dieci anni per governare il possedimento, riconosciuto dai signori dell’Occidente e dal sultano degli Ottomani.
Il piccolo dominio della famiglia dei Paleologi è nella Laconia, regione del Peloponneso che i Latini chiamano Morea per le piantagioni dei gelsi. La capitale del Despotato è la città di Mistrà, sorta su uno sperone roccioso alle pendici della catena del Taigeto.
Sulla sommità della collina si erge la fortezza, chiamata “Kastron”, e sui fianchi scoscesi è nato l’abitato diviso in tre zone: la città superiore circondata da mura e bastioni che proteggono le residenze costruite intorno al palazzo del principe; un complesso abitativo più basso, circondato da una fortificazione costituita da una muraglia intervallata con torrette che racchiude le case, i monasteri e la cattedrale del metropolita. Un cancello di ferro, chiamato “Porta di Monemvasia” permette il passaggio interno tra i due settori fortificati.
Alla città si accede dalla parte bassa attraverso una porta principale tra alti bastioni, vicino alle mura che proteggono la Chiesa di San Demetrio, sede del metropolita della Morea. Al palazzo del principe si può accedere anche attraverso Il cancello di Nauplia, protetto da due torri quadrate della città alta.
Mistrà, sorta come capitale del Principato latino d’Achaia, riconosciuto dal Capo della Chiesa di Roma e dall’imperatore latino di Costantinopoli, ora è il centro più ricco e fiorente dell’impero del basileus che accoglie nobili, mercanti e uomini delle nobili arti che fuggono da Costantinopoli, assediata dalle milizie dei sultano degli Ottomani che risiede in Tracia, nella città di Adrianopoli.
Il Kastron domina sulla vallata percorsa dal fiume Eurota che nelle vicinanze della città lambisce i ruderi dell’antica Sparta degli eroi, cantata da Omero e celebrata nella storia dell’antica Grecia. La fortezza è il simbolo della potenza dei Paleologi nel Peloponneso e dà rifugio ai sudditi del despota in caso di incursioni ottomane o razzie dei mercenari al soldo dei baroni latini e dei Catalani che contrastano le espansioni militari del basileus e dei suoi figli. I contadini tramandano le loro paure generate dai saccheggi e massacri degli Ottomani di Bayazid.
Gli arconti della città si sono arricchiti negli ultimi anni sotto la protezione del loro despota che ha promosso lo sviluppo dell’agricoltura e dell’allevamento, concedendo un maggior numero delle sue terre ai contadini della vallata per piantare nuovi alberi ed estendendo i pascoli vicino ai boschi. Gli agricoltori e i pastori si sentono più sicuri con i presidi armati nei punti strategici della Laconia e ai confini dei possedimenti latini. La vallata è prospera per le colture del frumento, dell’orzo, dell’avena e del miglio. Le piantagioni di gelsi per l’allevamento del baco da seta permettono agli impresari dei laboratori manifatturieri di ottenere notevoli quantitativi di seta grezza che viene venduta nei mercati delle città portuali. La regione è nota anche per le estensioni di querceti che forniscono legno e ghiande. L’olio e il vino della Laconia sono rinomati e affluiscono ai porti dell’Egeo e dello Ionio.
Mistrà prospera grazie all’afflusso delle merci che provengono dal porto di Monemvasia dove passano tutte le navi che percorrono le rotte commerciali del Mediterraneo orientale dirette a Costantinopoli e agli scali marittimi del Ponto Eusino. Nell’abitato, vicino allo scalo marittimo, ha la sua residenza stabile il podestà di Venezia che garantisce, con lo stendardo del Leone di San Marco, il protettorato della Serenissima sulla città che gode delle franchigie commerciali, già concesse dal basileus Andronico II. Le galee veneziane proteggono le navi commerciali dai pirati e dai corsari del sultano Murad II che tiene sotto assedio la città di Tessalonica, governata dal despota Andronico, figlio del basileus.
Ser Nicolò procede lentamente a piedi per il sentiero, tenendo nelle sua mano le briglie del cavallo che apre la lunga fila di animali da soma, carichi di mercanzie preziose. Le donne e i bambini salutano il mercante che passa sotto le loro finestre mentre sale al Palazzo.
Gli abitanti dei quartieri alti appartengono alle famiglie più ricche della città e attendono con tanta curiosità di vedere le ultime novità di tessuti di lana e di seta prodotti in Occidente. Le nobildonne vogliono conoscere le mode dei Latini, per non sfigurare alla presenza della giovane Cleofe che ama indossate gli abiti leggeri e colorati che si usano a Venezia e nelle corti delle città italiane.
La primavera ha già rivestito di foglie e di fiori variopinti gli alberi da frutto e le aiuole che adornano le case degli abitanti della città bassa. I davanzali delle finestre mostrano l’amore delle donne per i fiori e gli arbusti odorosi del luogo. L’abitato accoglie con allegria lo straniero che viene dal mare con le manifatture di terre lontane.
Il mercante si ferma davanti alla “Porta di Monemvasia” perché il cancello di ferro è chiuso e presidiato con tanti uomini armati. Il capo dei guardiani lo riconosce subito e lo saluta con rispetto: “Ser Nicolò, siete veramente coraggioso a venire a trovare il nostro despota in questo momento. Voi veneziani non vi fermate mai, pur di far arrivare al più presto la mercanzia là dove si è sicuri di ottenere un giusto e proficuo guadagno”.
“Demetrio, sono lieto di vederti - risponde il mercante – e sono curioso di sapere il motivo di questa precauzione nel mezzo di una città che dispone di poderose mura e torri perimetrali nella parte bassa, presidiate da uomini pronti a respingere qualsiasi assalto nemico”. La porta principale, vicino alla chiesa di San Demetrio, permette di entrare liberamente anche agli stranieri. Nessuno mi ha chiesto il lasciapassare né il motivo del mio ingresso”.
“Il nostro principe Teodoro – dice il capo dei guardiani – è partito da vari giorni con al seguito i suoi arconti più giovani per ostacolare l’avanzata dei Turchi sull’Istmo di Corinto. Ho ricevuto dal capitano del Kastron l’ordine di tenere il cancello chiuso e di far entrare soltanto i residenti dei quartieri alti”.
“La merce che io porto – afferma ser Nicolò – è stata già pagata ed io ho solo l’incarico di consegnarla alla signora Cleofe. Manda subito un cavaliere al castellano e fatti autorizzare per l’ingresso dei cavalli e delle bestie cariche di merci. Sono sicuro di essere atteso dalla principessa perché da lontano ho visto una chioma bionda affacciarsi dai balconi del Palazzo. Ho già servito la nobildonna dei Malatesta che è degna di stare al fianco del suo signore per il vivo interesse all’agire del governatore della città”.
“Paolo, monta in sella – grida il guardiano al suo aiutante – e vai ad avvisare il nostro comandante per l’autorizzazione al transito della carovana. Ser Niccolò è atteso dalla nostra principessa. Tu stesso scorterai il nobile veneziano alla sua residenza per agevolargli il cammino e rispondere ai servi del Palazzo”.
“Il mio cavallo è pronto – risponde il giovane – e raggiungerò la porta del castello come un dardo veloce”.
“Le sentinelle poste sulla sommità delle torrette – dice Demetrio - hanno avuto l’ordine di controllare dall’alto la pianura e di avvisare subito il capitano quando scorgono i polveroni innalzati dai cavalli al galoppo. I popolani che passano, per servire nei palazzi dei signori, spesso mi chiedono con ansia: “Il muro di Corinto, fatto costruire dal nostro imperatore, reggerà agli assalti dei guerrieri turchi? Il nostro esercito quanti soldati ha per respingere gli Ottomani? La nostra città è presidiata dai veterani che alloggiano nelle torrette delle fortificazioni con le loro donne ma i più giovani sono partiti al galoppo dietro l’arconte Frangopulo. Chi ci difenderà se i mercenari stranieri, pagati con gli iperperi, fuggono davanti all’irruenza dei guerrieri del sultano?”.
Anche il podestà di Monemvasia mi è sembrato preoccupato - afferma il mercante - per le innumerevoli navi turche che inalberano al largo lo stendardo turco. Il mare Egeo è infestato da pirati e corsari delle città costiere dell’Asia Minore, conquistate dagli Ottomani. Il sultano guida personalmente il suo esercito in battaglia e si avvale di giovani emiri che vogliono mettersi in mostra al cospetto del loro comandante e fare bottino per le loro milizie. I guerrieri turchi fanno paura perché sono smaniosi di distruggere e di impossessarsi delle ricchezze, messe in bella mostra dentro le residenze sontuose dei governanti e dei loro funzionari”.
“La nostra città – sostiene il guardiano - ha affrontato un brutto momento con i soldati del sultano Bayezid che hanno invaso e saccheggiato le terre di Corinto e di Argo. Il despota Teodoro, zio del nostro governatore, è riuscito con il suo esercito, rinforzato da mercenari dell’Epiro e dell’Albania, ad evitare il saccheggio della nostra città. Il nostro basileus ha fatto costruire un grande muro sull’Istmo di Corinto. L’esercito del sultano saccheggia le città dell’Argolide e dell’Arcadia mentre i pirati e i corsari distruggono i castelli dei Latini lungo le coste e si impossessano delle loro terre”.
“Non temere Demetrio – dice ser Nicolò – Mistrà ha Teodoro che la protegge al Nord e le galee veneziane che presidiano i porti dello Ionio e dell’Egeo. Il podestà di Monemvasia e i provveditori di Corone e Modone hanno il compito non solo di rappresentare l’autorità del Comune dei Veneti per l’amministrazione della giustizia ma anche quello di agevolare l’approdo e l’uscita delle navi che devono percorrere le rotte del Mediterraneo, stabilite dai magistrati del Senato di San Marco. Il commercio è la linfa che fa prosperare non solo Venezia ma che fa affluire alla tua città tutte le merci necessarie a mantenere il decoro di una capitale per il dominio del figlio del basileus”.
La nostra città – sostiene il guardiano – accoglie gli uomini del clero e tutti coloro che non sopportano le angustie delle città assediate dal sultano. La porta principale, vicino alla chiesa del metropolita è aperta di giorno a coloro che vogliono trovare una sistemazione ai loro affanni ma anche a coloro che vogliono esprimere la loro arte nei luoghi sacri e nelle residenze dei mercanti e dei banchieri”.
Mistrà si ingrandisce e si abbellisce ogni giorno - dice il mercante - per irradiare nel mondo non solo il pensiero e l’arte degli antichi Greci ma anche per fornire nuove soluzioni alle ricerche degli ingegni e degli uomini di fede. Sulle galee incontro uomini dell’Occidente che vengono qui per frequentare le scuole dei dotti e imparare la lingua degli eroi di Omero. Nei palazzi delle nobili famiglie italiane, i giovani e le fanciulle imparano a leggere i testi degli antichi Romani ma anche a conoscere le parole dei filosofi di Atene e degli eroi di Sparta. Tutto questo è favorito dal commercio che fluisce come il sangue e rinvigorisce non solo i corpi con il vino, l’olio, il miele e le spezie, indispensabili a dar sapore ai cibi, ma che permette agli spiriti geniali di apprendere e di migliorare la vita degli uomini e delle donne con lo scambio delle esperienze e con la diffusione di testi sacri e profani. Uomini appassionati del mondo antico cercano i manoscritti originali delle opere dei Greci o tradotte dai dotti Arabi nelle lingue locali dell’Occidente e dell’Oriente. Le pergamene e i papiri che un tempo si vendevano nelle piazze di Alessandria e dell’antica Atene, oggi sono portati nei conventi dei Latini per essere tradotti e divulgati. Nuove scuole nascono nelle città italiane e rinnovano un pensiero che sovrabbonda di aspirazioni per nuove libertà e nuove conquiste. Gli spiriti si infiammano e le menti partoriscono nuovi modi di vivere la vita quotidiana”.
“Il popolo qui vive in ansia – aferma Demetrio – perché il sultano vuole conquistare la città di Costantino e sostituirsi al nostro imperatore che è stato scelto per governare tutti i credenti e far vivere tutti i popoli sotto giuste leggi”.
“I Veneziani hanno avuto ed hanno il privilegio di utilizzare il mercato del basileus – dice Nicolò – per l’acquisto e la vendita delle manifatture e dei prodotti della Terra che vi arrivano in abbondanza da ogni luogo. La loro città è diventata grande e predomina su tutti i mari. La fonte della ricchezza è il commercio e chi si affida alla contrattazione dei prodotti riparte da Costantinopoli con un guadagno certo che frutta ancora di più quando le mercanzie vengono trasportate in luoghi dove gli uomini e le donne sanno apprezzarle. La nostra arte consiste in questa capacità di saper offrire al richiedente quello che vuole e dove vuole nel momento in cui può offrire un prezzo congruo per ciò che ritiene indispensabile alla suo benessere”.
“Costantinopoli è sotto assedio – afferma il guardiano – e il suo mercato non riesce più a dare prosperità all’imperatore e ai suoi sudditi. Tessalonica, considerata la seconda città più ricca dell’impero non ha la possibilità di pagare chi la possa difendere. Il despotato della Morea che permette a Manuele di mantenere il suo trono perché è una terra che sa dare i suoi frutti se ben coltivata e anche metalli preziosi con cui coniare le monete e pagare i mercenari che rimpinguano le file dell’esercito e permettono di difendere la nostra terra dalle razzie e dalle incursioni ottomane”.
“La Serenissima è consapevole dell’importanza di questa terra per le sue risorse – dice il veneziano – e anche dell’attuale momento critico per l’ingerenza dekl sultano negli affari dei signori e degli arconti di questa regione. Il Senato è disposto a finanziare milizie della Dalmazia e dell’Albania per difendere non solo Costantinopoli e Tessalonica ma anche a proteggere le città costiere della Morea. Venezia è interessata a mantenere la pace nei paesi che si affacciano sul Mediterraneo per agevolare l’attività commerciale. Gli ambasciatori del Doge hanno invitato il despota, gli arconti e i baroni latini a risolvere le loro questioni di frontiera senza suscitare l’intervento del sultano. Gli Acciaiuoli del Ducato d’ Atene, gli Zaccaria che posseggono le terre del Principato latino d’Achaia come i Tocco della Contea di Cefalonia che vogliono impossessarsi di nuove terre nel Nord sono invitati dagli ambasciatori di San Marco a trovare un giusto compromesso con reciproche concessioni, invocando la mediazione del papa nelle controversie tra loro e i Paleologi”.
“È da un anno – incalza il guardiano – che le nostre donne sono invitate ad accendere i ceri votivi per la liberazione di Costantinopoli dall’assedio delle milizie ottomane. Il nostro metropolita durante il rito domenicale innalza la sua preghiera e sprona i fedeli a digiunare per far scendere la salvezza dell’impero dal Signore che ci ha donato un basileus giusto e devoto. La sua immagine è portata in processione con le sacre icone della Vergine Odighitria che ci indica la salvezza. La speranza è riposta nell’aiuto di un grande esercito che dovrebbe provenire dall’Occidente. Il nostro despota ha sposato una giovane donna che è nipote del papa. Il principe è coraggioso e saprà resistere all’esercito del sultano”.
“Il papa Martino V – dice il mercante – è stato eletto durante il Concilio di Costanza. Al sinodo ecumenico erano presenti anche i rappresentanti del basileus. Sulle galee si sussurra che ci siano stati degli accordi tra i delegati latini e i delegati di Costantinopoli. Il cardinale eletto, appartenente alla famiglia Colonna, aveva promesso agli inviati del basileus di difendere Costantinopoli dalle mire dei sultani turchi. A Venezia si sussurra che ci siano stati degli accordi tra i delegati latini e i delegati di Costantinopoli per far eleggere un papa che possa eliminare non solo le controversie tra i cardinali delle varie nazioni per l’elezione del sommo pontefice ma anche le incomprensioni tra i fedeli di Roma e di Costantinopoli. Manuele si è impegnato a far dimenticare al suo popolo l’antico saccheggio e la profanazione dei luoghi sacri perpetrati dai Crociati in cambio di una nuova Crociati contro gli Ottomani che vogliono impossessarsi della città di Costantino e del centro di tutti i commerci del Mediterraneo. Il matrimonio delle nobildonne latine con i figli dell’imperatore sono la garanzia che la salvezza è vicina”.
“Nell’attesa dell’autorizzazione del castellano – dice il guardiano – mia moglie e i suoi piccoli possono offrire da bere a te e a tutti coloro che ti aiutano nel trasporto della merce diretta alla casa della principessa”.
“Ho qui, messo da parte, una pezza di “Fiorenza de garbo” - dice Nicolò – per la tua donna. Mi sento in obbligo per l’acqua offerta ai miei uomini e alle bestie che hanno bisogno di bere per continuare a salire. I raggi del sole e il sentiero ripido impongono una sosta, prima di arrivare alla meta”.
“I miei figli – interviene Maria, moglie dell’uomo – sono stati ammaestrati dal padre a uscire sulla strada quando arrivano i mercanti, per imparare ad osservare e ascoltare gli uomini che vengono dal mare con i prodotti e le manifatture di terre lontane. Si apprendono le buone maniere e il corretto comportamento da tenere in presenza di uomini che conoscono il valore delle cose e lo sanno descrivere con le giuste parole”.
“La tua acqua è fresca - dice il veneziano – e mi ristora non sola fisicamente ma mi fa sentire anche più sereno. Il mercante lavora sempre lontano dalla propria famiglia e accoglie con riconoscenza qualsiasi gesto di amicizia che proviene da chi che riconosce l’importanza dell’accoglienza soprattutto per i mercanti che rischiano la loro vita in mare e per le strade, spinti dal desiderio di portare a destinazione ciò che è utile alla vita e al benessere delle persone. Ogni gesto di carità verso lo straniero arricchisce lo spirito di chi sa donare e anche di colui che riceve la cortesia di un gesto di amicizia. Il commercio serve anche a far unire gli spiriti e a trovare una condivisione in ciò che è bello e utile alla vita. Spesso la condivisione di interessi comuni facilita il dialogo e innesca la comprensione reciproca anche quando ci sono pregiudizi e diffidenze imposti dalla comunità sociale in cui si vive”.
“È l’acqua di San Nicola – sussurra la donna – tutti vogliono berla. La fontana è attigua alla chiesa dedicata al santo, costruita sul pendio del colle, sopra il pianoro del Palazzo del despota. Il sentiero lastricato vi passa vicino ed è percorso da tutte le giovani donne del luogo per riempire le giare e per berla in casa. I monaci del luogo accolgono con benevolenza i devoti e raccontano i miracoli del santo. La principessa Cleofe ogni settimana si reca in chiesa per pregare il santo e ad accendere un cero votivo”.
“La fonte è alimentata dalle nevi del Taigeto – sostiene Demetrio - ed è considerata benedetta da San Nicola perché non solo toglie la sete ma dà anche una sensazione di benessere. Il santo ci protegge e ci ristora con la sua acqua. Il nostro principe ha realizzato anche una condotta che dalla chiesa porta l’acqua al cancello di Monemvasia. Mercanti e ufficiali la bevono con piacere e ringraziano il santo che li rinfranca dopo una lunga salita per il pendio del colle. Il ringraziamento devozionale si manifesta con una visita al santuario e una elargizione ai monaci per la richiesta di una grazia o per essere protetti prima di iniziare un viaggio o partire per la guerra”.
“Il nome del santo – sostiene ser Nicolò – è invocato da tutti i mercanti per ottenere la sua protezione nei momenti di pericolo. Anch’io farò il mio dovere di veneziano che si onora di portare il suo nome. Il mio lavoro è quello di navigare e di percorrere le strade con la mercanzia. Il mio maggiore timore è soprattutto quello di perdere la vita in mare o per mano di briganti”.
“Il nostro pericolo – sostiene il guardiano – è oggi rappresentato dai cavalieri del sultano che dalla Tessaglia galoppano verso il territorio di Corinto. Gli Ottomani vogliono punire il nostro despota che vuole fare rispettare la legge del basileus da tutti gli abitanti della Morea. L’antica terra dei Greci appartiene al nostro imperatore e ai suoi arconti. Il diritto di governare spetta al nostro despota”.
“Murad II vuole punire il basileus e i suoi figli – afferma il mercante – perché non hanno appoggiato la sua ascesa al trono e hanno dato asilo ai suoi rivali. Le rivendicazioni territoriali dei Latini che posseggono le terre della Corinzia e dell’Achaia servono al sultano come pretesto per arricchire i suoi emiri e per finanziare il suo esercito”.
“Come si chiama questo emiro – dice Demetrio – che si avvicina a Corinto? Non basta al sultano tenere sotto assedio Costantinopoli e Tessalonica? Gli Ottomani hanno già conquistato le terre dei Bulgari e dei Serbi ed ora vogliono impossessarsi anche della terra che abbiamo ereditato dai nostri padri? La valle dell’Eurota mostra ancora le rovine di Sparta e dalle nostre torri vediamo i campi che i nostri avi hanno coltivato per trarne il giusto sostentamento. La storia tramanda le loro gesta e noi siamo fieri di essere i loro discendenti. Questa è la nostra terra, questa è la nostra patria. Il valore e l’esempio degli antichi eroi ci sostengono e ci fanno riemergere dopo ogni invasione straniera. Il nostro spirito di libertà non muore nel tempo ma si tramanda attraverso le generazioni perché è la nostra anima immortale che vivifica questo territorio”.

“Il pascià della Tessaglia – afferma il mercante – che tutti chiamano Tourakhan ha avuto l’ordine da Murad II di punire Teodoro per la sua sfrontatezza di voler includere nel suo dominio le terre dei duchi latini che pagano il tributo alla corte ottomana di Adrianopoli. I cavalieri turchi seguono il loro condottiero desiderosi di accumulare un grande bottino che viene ripartito tra la corte imperiale ottomana, il forziere del loro governatore e le ricchezze personali dei loro comandanti. Ai guerrieri spetta il ricavato della razzia nelle case degli abitanti delle città e dei villaggi che saccheggiano e bruciano. Tutti quelli che non si sottomettono alle loro credenze sono fatti schiavi e venduti nei mercati sottoposti alla giurisdizione dei governatori turchi”.
“Questo pascià - chiede Demetrio - come è riuscito a diventare così importante per il suo sultano?”.
“Turakhan, figlio di un grande condottiero del sultano Beyazed, il Pasha Yigit Elemosina, è stato addestrato dal padre - sostiene Nicolò - ad essere combattente coraggioso e intransigente durante le conquiste della Bulgaria e della Serbia. Il bey della Tessaglia appartiene a una famiglia di guerrieri che si distinguono nel combattimento per attirare l’attenzione del comandante dell’esercito turco che è il Grande Emiro di Adrianopoli che si fa chiamare il sultano di tutta La Rumelia, il sultano di tutti i sudditi che abitano le terre al Sud del Danubio e sulla sponda occidentale del Ponto Eusino. I popoli che pagavano le tasse al basileus, ora sono diventati obbedienti al sultano e tributari della sua corte”.
“Una volta – afferma il vigilante della porta - i nostri arconti mantenevano la pace e la concordia tra le popolazioni del Peloponneso. I crociati dell’Occidente bramosi d’oro e di privilegi hanno attirato su di noi le vendette dei Turchi che dall’Anatolia hanno invaso la Tracia e sottomesso i tutti I Romèi che parlano come gli antichi eroi di Sparta e di Atene. I Mongoli delle steppe hanno spinto sulle nostre coste uomini armati delle tribù turche che cercano nuove terre per le loro famiglie. Il sultano manda i suoi predoni del mare per distruggere le città della costa e per rendere schiavi i suoi abitanti. Anche la nostra terra ha conosciuto le devastazioni dei guerrieri di Bayezid ed ora siamo nell’attesa di vedere le scorribande dei seguaci di questo Turakan”.
“Prima della partenza dal porto - dice il mercante - Il podestà mi ha pregato di viaggiare speditamente e di ritornare subito, perché i magazzini sono pieni di armamenti e di equipaggiamenti per i combattenti che devono essere consegnati all’esercito del despota. Teodoro ha speso ingenti quantità di iperperi per l’assunzione di uomini adatti al combattimento, provenienti dall’Epiro e dall’Albania, per estendere il suo dominio e per arginare le continue razzie dei pirati che sbarcano sulle coste. Il basileus ha imposto da alcuni anni un aumento di tasse per la costruzione del muro sull’istmo di Corinto e per far sentire il suo imperium su tutta la Morea. L’azione del despota è sostenuta anche dal fratello Giovanni VIII che è affiancato al padre Manuele II nel governo di Costantinopoli e nel mantenimento delle rimanenti città presidiate dalle milizie imperiali”.
“Il materiale bellico scaricato a Monemvasia dalle galee di San Marco – sostiene Demetrio – potrebbe essere prelevato direttamente da uomini della nostra città e portato dove è accampato l’esercito di Teodoro. Mistrà ha impresari del luogo ben disposti ad assumere l’impegno di caricare sulle bestie le vettovaglie e le armi e consegnarle nel luogo indicato dal Gran Domestico, responsabile delle operazioni militari del despota”.
“Gli accordi commerciali stipulati a Tessalonica – sostiene Nicolò – prevedono il trasporto e la consegna direttamente sul fronte del combattimento. I rischi del trasporto per mare, lo scarico dalle navi, la conservazione nei magazzini portuali e il trasporto al luogo fissato gravano sul prezzo di acquisto delle merci. I mercanti e gli agenti commissionari provvedono a someggiare la merce e a consegnarla nello stato di massima fruizione per l’acquirente. Le vettovaglie vanno trattate per il trasporto in modo da non subire alterazioni durante il viaggio. L’equipaggiamento e l’armamento viene protetto con teli di canapa e con oli protettivi per i materiali ferrosi. Un esercito che dispone di alimenti nutrienti e ben conservati, vestiario adatto al clima della stagione in corso e ben armato con nuovo materiale bellico può resistere anche ai veterani turchi che hanno invaso la Macedonia e la Tessaglia. Le nostre navi garantiscono il trasporto delle merci nei porti stabiliti e protetti dal vessillo di San Marco. Il governo veneto ha fatto costruire solidi bastioni e fortificazioni lungo le rotte marine per fornire riparo sicuro alle imbarcazioni commerciali e all’immagazzinamento delle merci. Monemvasia è il porto di questa città e la sua difesa è assicurata da un presidio veneziano sotto la giurisdizione di un podestà che si avvale anche di un ufficiale che provvede all’arruolamento, all’addestramento e amministrazione di uomini adatti alla sicurezza del borgo e del porto”.
“Ci vuole una grande esperienza – dice il guardiano – per l’attività commerciale e i Veneziani sono rinomati nella Morea e nelle isole dell’Egeo per il loro predominio in tutto il Mediterraneo”.
“Vedo due cavalieri – dice Nicolò – che stanno scendendo dal Kastron”.
“È l’arconte della fortezza con al seguito il mio uomo - dice Demerio – per autorizzare il transito della carovana e accelerare non solo le operazioni di scarico della merce ma anche peri assicurare un ricovero di sosta per i cavalli e gli altri animali da soma. Il responsabile degli alloggi del Palazzo provvederà per i tuoi uomini. Le stradine e i sentieri della città alta devono essere sempre tenuti liberi per il passaggio rapido dei cavalieri e il movimento delle milizie”.
Il responsabile della città fortificata, il patrizio Andrea, si avvicina alla porta di Monemvasia e saluta il mercante: “Ser Nicolò, sono veramente lieto di rivederti e di far aprire per il tuo seguito questo cancello. La città è pronta per qualsiasi rappresaglia del sultano. Il nostro principe è già partito per Corinto ed io ho avuto l’incarico di organizzare la difesa dell’abitato. Le mura sono solide e gli uomini vigilano sui torrioni. I nostri soldati sono addestrati a respingere ogni assalto. Il palazzo del governo è presidiato da uomini armati e i servitori sono vigili giorno e notte dietro gli ingressi degli edifici”.
“Il turco – dice Nicolò – non oserà spingersi nella valle dell’Eurota dove riecheggiano ancora le gesta degli antichi eroi di Sparta. La tua fortezza è stata costruita in punto strategico e sulla sommità di un colle per tenere sotto controllo tutta la Morea. Le mura del tuo castello sono ben rinforzate da torri su tutti lati e costruite su rocce alte e scoscese. Nessun manipolo di assalitori può avvicinarsi senza essere prima fatto oggetto di dardi scagliati dai tuoi balestrieri”.
“Prima di arrivare alla sommità della fortificazione - dice l’arconte – il guerriero turco dovrà affrontare lo sbarramento delle due cerchia di mura e torrette. Gli uomini armati sono tutti abitanti della città e non ci sono mercenari. Ognuno combatte per la fede, la patria e la famiglia. Gli uomini mantengono il posto di guardia giorno e notte e le loro donne provvedono a rifocillarli portando dalle case tutto ciò che serve ad alleviare lo sforzo fisico della loro permanenza nei posti assegnati per la difesa della città”.

"Il mio compito – sostiene ser Nicolò – è ora di proseguire il cammino e arrivare alla meta del viaggio. Prima di bussare alla porta del Palazzo del despota, sento il bisogno di ringraziare il mio santo protettore per il buon esito del viaggio che si conclude con la consegna della merce”.
“La chiesa di San Nicola – dice il capitano del Kastron – è molto vicino ed è sempre aperta ai devoti. Il luogo è frequentato anche dagli Occidentali di rito latino che si recano dal principe per gli affari o per essere accolti come ambasciatori e inviati delle corti italiane. Gli inviati del papa o i corrieri che giungono dall’arcidiocesi di Petrasso sostano nel sacro luogo per un ringraziamento o per un offerta votiva”.

domenica 26 giugno 2011

VENEZIANI A COSTANTINOPOLI

Capitolo tredicesimo
L'inviato del Patriarca


La grande vela triangolare, con il vento favorevole del Ponto Eusino, permette alla nave di ser Filippo di proseguire speditamente verso il faro di Trebisonda. Gli occhi dei marinai sono attentamente rivolti alla costa per vedere apparire, durante la notte o attraverso le nebbie del mattino, la sua luce. Il porto è vicino e non bisogna oltrepassarlo. Ser Ludovico, consigliere del capitano, è sul ponte della galea e ordina ad Antonio, paron esperto della manovra della vela e sovrintendente dei prodieri, di incitare i marinai a guardare attentamente la costa. Un premio in ducati d’oro è stato promesso per chi vede per primo il faro.


Un grande entusiasmo e una speranza di fortuna albergano in ogni uomo della ciurma. La città del Gran Comneno Alessio è il traguardo dopo tanti giorni di sofferenza sotto le sferzate gelide dei venti autunnali del Nord. L’arrivo è anche l’inizio della prosperità per i rematori veneziani che sperano di diventare ricchi in ogni porto. La fama delle cupole d’oro dei palazzi e la ricchezza degli abitanti del grande emporio del Ponto è nota nella capitale del basileus.Il santo patriarca di Costantinopoli, Giuseppe II, ha inviato un uomo fidato al vescovo della città per ottenere dei fondi da distribuire ai poveri della capitale, assediata dal sultano ottomano. La sua autorevolezza è riconosciuta da tutti i vescovi che si identificano nelle tradizioni religiose e culturali dell’Impero romano d’Oriente, tutelate dalla famiglia del basileus e dal Gran Comneno.


La disgregazione e riduzione dei domini imperiali, a causa delle invasioni turche e mongole, non hanno scalfito la supremazia del Primate della Chiesa dell’Impero romano d’Oriente. Gli avvicendamenti dinastici, le lotte politiche e le guerre civili non hanno ridotto la devozione del popolo.La cattedrale del Patriarca, fatta ricostruire dall’imperatore Giustiniano, costituisce il centro di tutta la religiosità dell’Ecumene del basileus. La venerazione della Sapienza di Dio è diffusa nel popolo che in suo onore ha costruito un tempio in ogni grande città dell’impero.Il messaggero del Primate della Chiesa di Costantinopoli è un ieromonaco del monastero di San Giorgio ai Mangani, cioè un sacerdote consacrato al servizio divino con il nome di Demetrio. Le sue capacità sono note al Patriarca, perché accompagna sempre il suo abate che occupa il secondo posto d’onore durante le funzioni della Grande Chiesa.


Demetrio è sulla galea di ser Filippo e passa il tempo conversando con i viaggiatori di rango. Il religioso, conoscitore dei Sacri Testi e delle opere degli antichi greci, conversa brillantemente in lingua latina con i mercanti della nave.La sua famiglia è fuggita dalla città di Adrianopoli, diventata capitale dell’impero del sultano ottomano. Un tempo suo padre amministrava i possedimenti imperiali e rispondeva direttamente al Gran Logoteta del basileus. Da bambino dimostrava di possedere grandi doti intellettive e una propensione alle cose sacre.


Il santo patriarca emerito, Eutimio II, lo aveva avviato agli studi teologici e lo aveva affidato alla guida spirituale di un santo monaco, fautore dell’unione di tutti i cristiani dell’Occidente e dell’Oriente.Il monastero del religioso aveva già ospitato nel passato l’ex basileus Giovanni Cantacuzeno che si era fatto monaco assumendo il nome di Matteo. Dopo la sua morte, gli aristocratici della città si riunivano sotto i portici o sotto gli alberi del grande giardino del convento per discutere sulla necessità di favorire un avvicinamento ai Signori dell’Occidente. Il loro intento era quello di arginare l’invasione inarrestabile della potenza ottomana.Il sacro luogo, vicino alla Grande Chiesa e al centro commerciale del Foro di Costantino, ospitava i poveri e curava le malattie di coloro che non potevano pagare le prestazioni di un medico. L’abate riceveva ingenti donazioni per i poveri dai mercanti e dalle principesse della casa imperiale.Anche il ricco Oikantropos, capo del Partito dei vecchi aristocratici, si fermava a conversare con i monaci intorno alle cose più importanti dell’impero. I ricchi amministratori della reggia delle Blacherne sono i frequentatori più assidui del convento perché amano chiedere consiglio ai religiosi più anziani, conosciuti in tutta la città come uomini sapienti e saggi.


“Il capitano, ser Giovanni, mi ha riferito – dice Filelfo al sacerdote - che questa notte avvisteremo il faro di Trebisonda e, con il vento favorevole, potremo approdare domani verso mezzogiorno. I rematori hanno consumato il loro rancio e sono intenti a scrutare la costa. Noi potremo conversare fino all’ora del sonno”.


“I remigi – afferma Demetrio – non giocano ai dadi e non fanno sentire il loro vociare come le altre sere”.


“Sono curioso di conoscere – afferma l’ambasciatore – lo scopo del tuo viaggio. I religiosi non si allontanano dalla loro città quando i nemici la circondano e le famiglie si sentono in pericolo”.


“Hai ragione. Il momento è drammatico - sostiene il monaco - e le chiese sono piene di fedeli che implorano la Vergine che eleva le sue mani per chiedere la protezione dell’Altissimo. La loro città continua ad essere stretta dalla morsa degli Ottomani che hanno conquistato quasi tutta l’Asia Minore e la Tracia. Costantinopoli si mantiene in piedi grazie alla marina del Leone alato di San Marco. Il Patriarca, con il consenso del mio abate, mi ha consegnato una lettera da recapitare al metropolita di Trebisonda”.


“Anche tu, come me, sei latore di una lettera per salvare un popolo affamato. Siamo entrambi ambasciatori e testimoni per una capitale che non ha più lo splendore di una volta e non riesce più a sfamate i suoi figli. Le risorse della città si esauriscono per pagare i mercenari e per le riparazioni delle mura che sono l’ultimo baluardo ai continui assalti dei guerrieri del sultano”.


“Il Patriarca è angosciato - afferma Demetrio - perché le chiese si riempiono di supplici e di donne piangenti. Le giovani donne vedono sfiorire la loro bellezza e non ricevono offerte di matrimonio. Le fonti battesimali aspettano invano i nuovi nati. Si pensa soltanto a ciò che garantisce la sopravvivenza”.


Anche l’ambasciatore del bailo manifesta le sue preoccupazioni: “Ser Emo, rappresentante della Serenissima, mi ha confidato, prima di partire, che il papa Martino V cerca di aiutare Manuele II, favorendo legami di sangue tra i Principi eredi dell’Impero romano d’Oriente e le nobildonne che appartengono ai Signori dell’Occidente. La Chiesa di Roma, che custodisce le sacre spoglie dell’apostolo Pietro, non può più sostenere le ingerenze dei governanti nazionali nelle questioni ecclesiastiche. Il papa guarda con speranza all’imperatore per ricostituire l’Ecumene cristiano, cioè un unico grande impero. Gli eredi dei Romani devono essere uniti sotto un'unica potestà imperiale e sotto un’unica autorità ecclesiale. L’impero di Costantino il Grande potrebbe essere ricostituito. Il basileus come imperatore che governa con il segno di Cristo”.


“Come è possibile la realizzazione di questo desiderio – dice Demetrio - se i cristiani sono divisi tra di loro? Non bastano le aspirazioni dei credenti ma occorre un uomo che sia il capo di un grande esercito, come avveniva al tempo di Augusto: un governo in grado di censire tutti i popoli dall’Ovest all’Est che rispettano una sola legge. Il nostro imperatore non ha più un esercito e soccombe dinanzi alla grande potenza del sultano. Molti aristocratici sono pronti a sottomettersi al governo ottomano pur di riavere le terre perdute”.


“Il papa – sostiene ser Filelfo – è l’unica autorità che può convincere gli uomini potenti a salvaguardare la loro cultura e ad arginare l’avanzata del grande esercito turco. I principi slavi e i popoli del Danubio sono pronti a schierarsi uniti per formare un grande esercito con le nazioni occidentali. Venezia e le potenze commerciali del Mediterraneo sono pronte ad offrire a Martino V il sostegno economico e la disponibilità delle loro navi per sostenere uno sforzo unitario e compatto contro l’esercito del sultano. L’ultimo successore di Pietro è stato eletto dai vescovi, riuniti nella città di Costanza, per eliminare tutte le divisioni tra i credenti e riportare la cristianità a vivere unita in pace. La concordia tra i credenti si può ristabilire soltanto sotto la potestà di un imperatore che garantisca il rispetto del diritto romano per tutti i popoli”.


“Spesso penso al motivo del mio viaggio – afferma il monaco - e mi convinco che lo scopo del Patriarca non è soltanto quello di avere aiuti per i più poveri ma di sensibilizzare i fedeli del piccolo impero a sollecitare il Gran Comneno per unire tutti i principi delle città costiere dell’Est e del Nord del Mar Pontico. I Comneni di Trebisonda si sono imparentati con i principi e gli emiri dell’Asia Minore. Le principesse più belle della città hanno sposato emiri, fedeli di Allah e credenti nella parola rivelata al suo Profeta Maometto. Il vescovo, metropolita di Trebisonda, in stretta unione con il Patriarca, concede alle fanciulle cristiane il permesso di sposare i fedeli che si attengono alla sacra scrittura del Corano. La pace e la concordia tra le popolazioni richiedono anche il sacrificio delle più intime convinzioni. L’obbedienza delle principesse cristiane è ricompensata dalla assoluta dedizione dei loro mariti che sanno rispettare la loro cultura e la loro fede. L’amore dell’unico Dio supera gli egoismi degli uomini e dona la pace e la prosperità ai popoli che hanno fiducia nei loro governanti”.


“La politica dei matrimoni tra i principi – sostiene l’ambasciatore imperiale – è seguita anche dal papa Martino V e dal basileus. L’unione, istituzionalizzata e resa sacra con il rito della Chiesa, impegna i sovrani ad essere solidali tra loro e i loro popoli a sperare in un futuro migliore. La nascita di eredi, in grado di affrontare con maggiori disponibilità finanziarie e con il sostegno di più soldati qualsiasi minaccia militare, è garanzia di prosperità e di benessere”.


“ Quale beneficio – interviene il giovane Marco - apporta alla città questa politica del Gran Comneno? Si tratta di unioni tra popoli di culture diverse”.


“Il piccolo impero dei Comneni – risponde ser Filelfo – è tenuto in grande considerazione dalla Serenissima ed anche il papa vuole inviare i suoi delegati alla corte imperiale di Alessio.Trebisonda è un traguardo del commercio dell’Est, cioè tutto il flusso delle carovane che trasportano le merci, provenienti dalla Cina e dall’India, entra nella città, dopo aver attraversato i territori dei mongoli e dei popoli iraniani. La sua importanza è cresciuta dopo la distruzione dell’emporio di Bagdad da parte dei guerrieri di Tamerlano. Il flusso carovaniero è stato deviato verso il Mar Pontico.I mercanti veneziani hanno ingrandito la loro colonia e allacciato relazioni commerciali con i mercanti arabi e turcomanni di Tabritz. I religiosi che si recano alla corte del Signore dei Mongoli sbarcano nel porto della città e seguono le carovane verso l’Oriente.


Il Gran Comneno da alcuni anni paga un tributo all’Amministrazione degli Ottomani per mantenere buone relazioni con il capo del più grande esercito. Il sultano di Adrianopoli è interessato a mantenere in vita il piccolo impero per salvaguardare il suo dominio.


I Turchi Selgiucidi, i Turcomanni e i Mongoli dell’Asia Minore sono ancora ostili alla sua espansione. Sono passati appena vent’anni dalla sconfitta del suo avo, il sultano Beyazid. La vittoria dei guerrieri di Tamerlano ad Angora frena il suo desiderio di espansione e rende orgogliosi i capi delle tribù che hanno appoggiato l’invasione mongola.


Il Signore di Trebisonda, beneficiato dalla vittoria mongola, è diventato il perno della cerniera tra l’Impero ottomano e l’impero dei Mongoli, suddiviso in tanti principati ed emirati creati dai discendenti di Tamerlano”.


I loro domini si estendono dai territori iraniani fino ai territori della Cina del Gran Khan. Il Signore dei Mongoli è curioso di conoscere la cultura dei religiosi dell’Occidente ed è desideroso di allacciare relazioni e scambi culturali con il Capo della Chiesa di Roma”.


“Mi risulta – sostiene il monaco – che il poderoso esercito mongolo si è disciolto e nella regione sono rimasti i guerrieri delle tribù turcomanne, ostili al predominio degli Ottomani e amici del Gran Comneno. I loro capi hanno costituito un regno che si estende al Sud della Georgia fino al mare dove sfocia il fiume Eufrate. La loro capitale è la città di Tabritz, vicino al Mar Caspio. I principi turcomanni, interessati al commercio carovaniero fino al Mar Pontico, desiderano stringere relazioni con il Signore di Trebisonda che offre come pegno di amicizia e di buon vicinato le proprie figliole. La loro bellezza è nota in tutta l’Asia Minore e la Mesopotamia”.


“Sono curioso – interviene Marco – di vedere da vicino queste donne che affascinano gli emiri. La fama della loro bellezza è giunta fino a Venezia”.


“I matrimoni – chiarisce il monaco – tra le principesse imperiali e i Signori della guerra, appartenenti a tribù dell’Est, desiderose di conquiste territoriali, sono un espediente politico per evitare la distruzione del piccolo regno dei Comneni. Il Signore di Trebisonda non dispone di un esercito in grado di far fronte all’impeto di uomini armati, abituati a sostenere qualsiasi sacrificio, anche a rischiare la propria vita per ottenere un territorio per le proprie famiglie.


Si tratta di uomini delle steppe spinti verso l’Occidente da altre tribù più forti e più agguerrite. Un popolo scaccia un altro popolo e si impadronisce della sua terra. L’antica legge del più forte è considerata di diritto e non si arresta di fronte a ciò che è giusto. La giustizia di chi vive attaccato alle risorse della terra è quella di provvedere ala sopravvivenza del proprio gruppo tribale.


La pace, imposta da Costantino e dai suoi discendenti con l’applicazione della giustizia salvaguardata dall’esercito imperiale, non è riconosciuta dagli armati che sbaragliano i mercenari imperiali. La spada di chi ha l’esigenza di sfamare i propri figli conosce soltanto la giustizia naturale del più forte”.


“Le tribù che hanno conquistato Roma – afferma ser Filelfo – hanno riconosciuto la giustizia imposta dal diritto romano ed hanno accolto la cultura dei vinti. L’antica legge dei nostri padri ha accomunato le genti ed ha creato nuovi popoli che si sono riconosciuti in nuove istituzioni, basate sulla condivisione del territorio e sul rispetto delle autorità preposte alla gestione del bene comune”.


“Dell’Impero romano d’Oriente – afferma Demetrio – è rimasto il territorio metropolitano di Costantinopoli, il regno del Gran Comneno e un piccolo despotato della Morea. La cultura dei nostri padri segue la riduzione del territorio.


Un altro modo di concepire la vita della comunità si è affermato nell’Asia Minore. Le istituzioni del mondo arabo, che si sono già confrontate con quelle delle popolazioni dell’Oriente, ora vengono imposte dalle tribù turche e mongole. La cultura dell’uomo dei grandi spazi, dominati dal sole dei deserti e dalla fede del mistico Profeta di Allah, domina su tutto l’Impero romano d’Oriente. Le tradizioni dei cavalieri delle steppe si sono fuse con quelle dei carovanieri dell’Arabia. Gli animi, abituati ai rigori invernali del Nord si sono abituati a recitare le rivelazioni fatte a Maometto, mercante delle distese sabbiose dell’Est.


I campanili vengono sostituiti dai minareti e non si odono più per le strade le litanie della Vergine e dei suoi devoti. La legge del senato romano è sostituita dalla legge dei dottori della sacra scrittura del Corano. L’autorità dei santi Patriarchi dell’Oriente è venuta meno e rischia di soccombere di fronte all’avanzare incessante di nuove istituzioni. Gli antichi riti hanno abbandonato i sacri luoghi delle città e si rinnovano sui monti, lontano dal popolo del basileus.

La città di Costantino è l’ultimo baluardo che mantiene saldo il richiamo dell’antica fede della Nuova Gerusalemme. Il suo popolo implora la Vergine e spera nella sua protezione. Le sue braccia mostrano il Verbo della la Santa Sapienza. Il Patriarca sostiene le speranze dell’imperatore Manuele II ed è pronto a rinunciare al suo primato di metropolita imperiale. Il suo sguardo si volge al soglio di Pietro per sostenere la Chiesa dei santi Padri conciliari. La mia missione è quella di sostenere i fedeli con l’aiuto del vescovo di Trebisonda”.


“Le richieste del basileus - afferma il corriere imperiale - sono ascoltate dai senatori della Serenissima. Venezia offre le sue risorse per salvaguardare il predominio marittimo delle vie commerciali e sostiene qualsiasi iniziativa del papa Martino V. Il popolo di San Marco è pronto a sacrificare i suoi figli per Costantinopoli.La sua fede è ancorata all’apostolo Pietro e alla Chiesa di Roma. I suoi ordinamenti traggono le loro origini da quelli dell’Impero romano. La potestà del Serenissimo Doge è approvata da tutto il popolo veneto che mantenne salda la sua cultura e le sue istituzioni, ancorate al diritto romano. Lo stendardo del Leone di San Marco, inalberato su ogni galea veneziana, è garante di pace perché salvaguarda le vie commerciali e la diffusione delle merci che sono fonte di benessere e di pace condivisa”.


“Le tue parole – afferma il monaco – sono come un balsamo per le ferite del mio animo. La pace non si può ottenere soltanto con lo scambio delle merci, ma occorre il rispetto delle culture e il riconoscimento dei diritti che i popoli si tramandano attraverso le loro generazioni.Quando all’improvviso appaiono all’orizzonte nuovi popoli e nuovi diritti, qualsiasi ordinamento vacilla e, se non è sostenuto con la forza, crolla per far posto ad altri costumi sostenuti da spiriti più determinati e coesi. La libertà dello spirito richiede la saldezza delle membra e la forza delle braccia di chi è pronto a sacrificare la propria vita.

L’esercito di Costantino è servito per radicare una fede e ricostituire un grande impero fondato sul diritto romano. Bisanzio ha assunto il suo nome ed è diventata centro di cultura e di fede. La nuova Roma ha riconosciuto, in un grande concilio di santi Padri, la sacralità del Primato del vescovo della chiesa che custodisce le spoglie dell’apostolo Pietro. Tanti popoli hanno vissuto in pace perché hanno creduto nella pace della Santa Sapienza. La grandezza di Costantinopoli è nota a tutti i popoli della Terra ed è diventata una preda ambita dai Signori della guerra. La loro potenza non deriva dalla contemplazione del Segno del Verbo, ma soltanto dalla forza delle armi. La cultura del diritto romano, salvaguardata e custodita dal basileus, è in pericolo perché il sultano impone con le sue armi un altro tipo di cultura su tutte le terre da lui conquistate.


Non conta più il diritto della proprietà perché tutto appartiene al nuovo imperatore ottomano. Le sue concessioni non si fondano sul diritto dell’uomo a possedere la terra per garantire il sostentamento della sua famiglia. I popoli conquistati perdono il loro territorio che diventa proprietà di un solo padrone. Il diritto del più forte, che scaturisce delle armi, non garantisce il diritto della proprietà. La nuova giustizia, imposta dal vincitore, si basa sulla proprietà di un solo signore della guerra. La pace, imposta con le armi senza il diritto della proprietà, non trova la coesione di uomini liberi perché tutti si sentono privati del diritto di godere dei frutti della terra che appartiene a tutti gli uomini che si riconoscono figli di un unico Dio”.


“Le tue considerazioni – afferma ser Filelfo – sono vere ma bisogna valutare attentamente la realtà dell’Oriente che non è diversa da quello che è già accaduto in Occidente. Ai ricchi proprietari terrieri dell’antica Roma sono subentrati tanti conquistatori. I guerrieri hanno concesso ai coltivatori della terra l’usufrutto delle loro fatiche in cambio delle loro servitù. I vincitori hanno riconosciuto indispensabile il diritto romano ed hanno applicato le antiche leggi per il riconoscimento delle proprietà. La terra con il tempo è stata di nuovo suddivisa in tante proprietà che si tramandano attraverso le generazioni. La stessa cosa può accadere con le conquiste degli Ottomani. Il sultano riterrà conveniente concedere la sua proprietà ai suoi servitori”.


“Quello che accade in Oriente – sostiene il monaco – è diverso. I nuovi conquistatori non condividono la stessa cultura dei residenti. Il diritto romano riconosce ad ogni uomo quello che è giusto secondo una prassi che si è consolidata attraverso le generazioni ed è diventata la legge di tutti. I guerrieri, provenienti dalle steppe dell’Asia, hanno abbracciato la fede degli Arabi e non hanno ancora assimilato lo spirito della fede del Profeta di Allah. Il diritto della steppa non è il diritto romano della giustizia .


I popoli che appartenevano all’Impero romano d’Oriente non sono amministrati secondo la loro giustizia ma sono sottoposti ai desideri degli uomini che brandiscono la spada e riconoscono la legge del bottino di guerra. Le tribù provenienti dall’Est riconoscono soltanto il diritto che scaturisce dalla conquista e non assimilano le leggi dei vinti. Chi è conquistato non ha più una legge che lo possa difendere ed è inserito in un dominio senza una vera giustizia”.


“Le tue parole – risponde ser Filelfo – spaventano i giovani mercanti che ci ascoltano e ingenerano nei loro animi un astio e una paura per l’espansione degli Ottomani. Le potenze dell’Occidente sono in grado di sostenere il basileus contro l’avanzata dell’esercito del sultano. Il Patriarca Giuseppe è unito all’imperatore Manuele II per difendere Costantinopoli e i loro messi sono stati inviati in Oriente e anche alle potenze dell’Occidente.

I principi germanici aspettano l’esortazione del papa per la formazione di un grande esercito. I loro possedimenti sono minacciati dagli Ottomani. Venezia è interessata ai traffici marittimi e dispone di risorse che possono spingere il governo di Adrianopoli a sottoscrivere dei trattati di pace che si basano sul diritto della libera circolazione delle merci. Nel Mediterraneo è sempre in vigore la legge romana del rispetto delle attività commerciali. La libera circolazione delle merci è fonte di cultura condivisa perché si basa sullo scambio reciproco delle risorse della Terra.


Anche i conquistatori hanno bisogno del necessario per vivere e devono rinunciare alle loro prerogative di guerra. La spade possono uccidere ma non sfamano i corpi che hanno bisogno di nutrirsi per mantenere il vigore necessario ala guerra. I mercanti impongono ai Signori della guerra il rispetto dei trattati di scambio delle merci. La loro sottoscrizione crea consuetudini che si trasformano in nuove leggi condivise. Gli Ottomani hanno bisogno dell’Occidente perché il loro esercito si mantiene con i rifornimenti di ferro, legname e tessuti, trasportati con le navi delle potenze marittime. Il sultano non può fare a meno di questi approvvigionamenti”.


“Se il sultano – afferma Marco – ha bisogno di alimentare il suo esercito con i traffici marittimi, perchè Venezia non interrompe questo flusso di materiali?”.


“L’interruzione del commercio con l’Oriente – risponde il messo imperiale - impedirebbe alla Serenissima di imporre la sua supremazia sui mari e il rispetto dei trattati commerciali da parte degli Ottomani. Le loro conquiste non spaventano Venezia.

Il Doge, Principe Domenico Mocenigo, è cosciente del pericolo che incombe sull’Occidente ma non ha timore di un esercito che è stato già sconfitto dai mongoli di Tamerlano. I signori della guerra si avvicendano nella conquista delle terre, ma nessuna nave nemica può gettare la sua ancora nel bacino di San Marco. Venezia è sicura finché il suo popolo saprà percorrere liberamente le rotte marine”.


“Il sultano – afferma il monaco – permette ancora alle galee veneziane di approdare nei porti dell’Egeo e del Ponto Eusino perché non dispone ancora di una flotta capace di contrastarle efficacemente. Le sue mire sono per il momento di consolidare il suo predominio in tutta l’Asia Minore e di impadronirsi di Costantinopoli.

La città del basileus è completamente circondata e sta soffocando tra le spire insidiose dei continui assedi alle sue mura che ogni giorno si sbriciolano e i muratori non riescono a far fronte ai continui abbattimenti. La grande metropoli degli imperatori dei Romani d’Oriente si è ridotta a un piccolo paese e le sue mura diventano sempre più distanti dal centro cittadino. Il popolo delle attività manuali sta morendo perché non c’è più lavoro produttivo. Si vive alla giornata senza alcuna speranza per il futuro. I poveri che bussano ai conventi aumentano ogni giorno e il santo Patriarca è costretto a ricorrere agli altri metropoliti della sua giurisdizione per rifornire le mense dei poveri”.


“La situazione è drammatica – dice ser Filelfo – ma non bisogna disperare. La fede dei credenti è salda e il basileus è fiducioso di ricevere l’aiuto promesso dal papa Martino V. Il coimperatore si prepara per reiterare il viaggio di suo padre in Occidente e pregare sulla tomba dell’apostolo Pietro”.


“Il basileus – afferma Demetrio – a partire da Michele VIII Paleologo, restauratore dell’Impero romano d’Oriente dopo la pausa degli usurpatori Franchi, si è sempre rivolto al vescovo di Roma nei momenti di crisi. La sua autorità è ritenuta indispensabile per frenare le ingordigie dei Principi latini ed invogliarli ad agire per la salvaguardia dei Luoghi santi.L’abate del convento di San Giorgio ai Mangani, in stretta sintonia con il Patriarca, riunisce i dotti e gli aristocratici dell’impero per conoscere il loro parere sull’intervento del papa. I loro animi si infiammano in lunghe discussioni che portano alla creazione di due fronti opposti: gli Unionisti, strettamente legati all’attuale Amministrazione della città e gli Antiunionisti, rappresentanti della vecchia aristocrazia dei possedimenti terrieri. I loro diverbi nascono dalla paura di un ritorno degli antichi signori della guerra dell’Occidente che, invece di andare a difendere il Santo Sepolcro di Gerusalemme, hanno messo a ferro e fuoco Costantinopoli.


Il ricordo dei guerrieri cristiani della IV Crociata che hanno razziato l’oro delle loro chiese è ancora vivo nel profondo dei loro animi. Tutti parlano in difesa del popolo. I magnati dell’antico impero sono disposti anche per un accordo con il sultano, pur di riavere le loro terre e di ripristinare il commercio interrotto dai continui assedi degli Ottomani. L’unione dei fedeli che seguono il rito greco con i guerrieri franchi del rito latino è detestata dagli abitanti. Il loro risentimento è condiviso dai presbiteri e dai monaci che hanno visto spogliare le loro chiese dai fratelli cristiani dell’Occidente. La loro avversione si riversa sul papa che aveva proclamato la crociata. Il legame dei credenti dell’Est e dell’Ovest è stato spezzato dall’ingordigia e dalla sete di ricchezza degli uomini abituati a usare la spada e razziare tutto quello che appartiene agli altri popoli”.


“La responsabilità delle atrocità commesse dai crociati – sostiene Filelfo – è imputabile agli uomini che le hanno commesse. Il sangue versato può essere riscattato soltanto con altro sangue. La politica dei matrimoni, tra i principi di Costantinopoli e le principesse latine, favorita dal basileus Manuele II e sostenuta dal papa, può far dimenticare i torti subiti dagli abitanti di Costantinopoli. L’istituzione, che unisce con un vincolo sacro il sangue di una donna latina con quello di un principe della casa imperiale dei Paleologi, può aiutare a guarire le ferite ingiustamente causate agli uomini e alle donne della città”.


“Le lacerazioni, procurate dai Latini e dai Franchi, sono ancora profonde – afferma il monaco Demetrio - e costituiscono un substrato di terrore che alberga nella coscienza di ogni credente nelle sacre Istituzioni. La storia atroce dei delitti e l’asportazione dei sacri oggetti dalle chiese viene raccontata ad ogni bambino e bambina educati alla venerazione delle sante immagini ed al rispetto dei luoghi consacrati.

I crociati dell’Occidente sono considerati sacrileghi ed empi. L’aiuto richiesto dai nostri governanti ai principi latini è sempre economico e finanziario e non riguarda l’eventuale invio di uomini in difesa della città del basileus. Il popolo teme il ritorno dei crociati, stupratori e ladri nelle dimore dei loro fratelli che professano la stessa fede. Il loro astio è tale da considerare male minore il governo dei principi ottomani.


I matrimoni imperiali tra i principi paleologhi e le nobildonne latine, celebrati dai vescovi secondo il rito di Costantinopoli e con la benedizione del papa Martino V, sono ancora pieni di aspettative e non ancora hanno dato alla luce i loro frutti per una rappacificazione basata sul sangue di nuove generazioni. La basilissa Sofia del Monferrato non ha dato alcun erede al coimperatore Giovanni e nemmeno la basilissa Cleope di Malatesta ha allietato la casa del despota Teodoro che governa la Morea.

Il desiderio del vescovo di Roma, pastore di tutti i Cristiani, di ricostituire l’Ecumene imperiale basato sul diritto romano per tutti i credenti del Vangelo, non trova il consenso del clero e dei monaci che tramandano le spoliazioni delle chiese e il trafugamento delle sacre reliquie dei santi da parte degli uomini delle Crociate”.


“Il tempo e la fede daranno i loro frutti – sostiene ser Filelfo – ma ora bisogna arginare l’espansione ottomana e contrastare le pretese del sultano di sottomettere il basileus e di impossessarsi del grande mercato di Costantinopoli.

Il sultano ottomano Murad II possiede le città costiere dell’Egeo e la parte occidentale dell’Asia Minore. Il suo esercito è contrastato dai Mamelucchi del califfo del Cairo e dagli emiri dei Turcomanni che governano le città di Tabritz e la ricostruita Bagdad, dopo la distruzione delle orde mongole, con il benestare del Grande emiro Shah-Rukh, erede dell’impero di Tamerlano.


L’emiro turcomanno Qara Iskander, capo della tribù dei Kara Koyunlu, cioè delle “Pecore nere”, regna su tutta la regione, ad Ovest del Mar Caspio, che va dai confini meridionali della Georgia fino alle foci del Tigri e dell’Eufrate. La seta, proveniente da Samarcanda passa per Tabritz, capitale del suo dominio.Il Gran Comneno Alessio IV, vassallo di Tamerlano, paga ora i tributi al Signore turcomanno di Tabritz che si è reso indipendente dai Grandi emiri mongoli dell’Asia. L’imperatore di Trebisonda ha concesso la mano di una delle sue figlie più belle a Qara Iskander, assicurando, con la sua politica matrimoniale, la difesa della sua città, cioè del grande porto del Mar Pontico e del centro carovaniero che riceve tutto il commercio proveniente dall’Oriente.

I mercanti della seta non passano più per Bagdad, ma percorrono la via a Sud del Mar Caspio che passa per la città persiana di Tehran e raggiunge Trebisonda, dopo la sosta carovaniera di Tabritz e il pagamento dei tributi al capo dei Turcomanni.


L’imperatore comneno e l’emiro delle “Pecore nere” sono gli unici alleati che possono salvare Costantinopoli ed arginare l’avanzata dei guerrieri ottomani.


Il vescovo di Roma invia grandi doni ad Alessio per aiutare i missionari che si recano in Oriente e percorrono le vie dei mercanti della seta”.


“Sono curioso – incalza Demetrio – di conoscere quello che il segretario del bailo della Serenissima Repubblica pensa del commercio della seta”.


“Il popolo della Grande Cina, creatore delle preziose stoffe di seta, accoglie da molti anni – afferma ser Filelfo - gli uomini di fede che manifestano la cultura del diritto ed esaltano le doti più profonde dello spirito umano. La sua civiltà millenaria si confronta con orgoglio e curiosità con quella dell’Occidente perché prova una profonda condivisione e una corrispondenza tra i principi delle scritture sapienziali tramandate dai dotti dell’Oriente e quelle proclamate dai missionari.

Il confronto e lo scambio delle esperienze umane genera negli animi un reciproco rispetto e spinge ad una conoscenza sempre più concreta, favorendo il commercio dei manufatti degli artigiani cinesi e l’accoglienza generosa dei mercanti che trasportano i prodotti dei popoli dell’Ovest”.


“Il santo Patriarca di Costantinopoli – interrompe il religioso - mi ha incaricato di ottenere dal vescovo di Trebisonda la sua intercessione, per invogliare i ricchi mercanti della città a sostenere con le loro proficue offerte il popolo che invoca la Vergine della Santa Sapienza.Sono curioso di conoscere il motivo del tuo viaggio”.


“La tua richiesta – risponde l’ambasciatore imperiale – sollecita la mia ragione per un chiarimento della situazione attuale che preoccupa la Repubblica di San Marco e il papa Martino V. Il sultano ottomano, già padrone della Rumelia, cioè della Tracia e delle regioni danubiane, ha conquistato tutta l’Anatolia occidentale ed ora si prepara per sottomettere i piccoli sultanati dell’Anatolia orientale per chiedere il tributo ai mercanti che trasportano le spezie e la seta dall’Oriente per la via commerciale del Sud del Mar Caspio.


La conquista di tutta l’Anatolia, cioè il controllo ottomano di tutte le vie carovaniere lungo le quali si snoda il commercio terrestre delle spezie, potrebbe costituire un danno irreparabile per Venezia che perderebbe la fonte della sua ricchezza.


L’imperatore di Trebisonda possiede ora l’unico sbocco sul Mar Pontico del commercio orientale delle spezie. Il suo piccolo dominio è circondato dai guerrieri turcomanni che controllano tutte le vie commerciali dalla Georgia fino alle foci dell’Eufrate. Il figlio di Tamerlano, il Grande Emiro Shah Rukh, padrone di tutta l’Asia, riconosce la loro autonomia e permette al capo turcomanno dei Qara Koiunlu di riscuotere i tributi dai mercanti arabi che scambiano le merci dell’Occidente con quelle dell’Oriente nei mercati delle città persiane.


L’alleanza tra Alessio e l’emiro Qara Iskander è benvista dall’imperatore Manuele II perché trattiene l’impeto del sultano ottomano e permette l’arrivo delle merci per alimentare il mercato di Trebisonda e il grande emporio di Costantinopoli.


Trebisonda è l’ultima speranza di salvezza per i marinai che navigano tra le nebbie del Mar Pontico e per tutto il commercio dell’Occidente. Se si spegnesse la sua luce, i mercanti di Venezia dovrebbero sottomettersi agli esosi tributi degli Ottomani e perderebbero il monopolio del commercio delle spezie in tutto il bacino del Mediterraneo”.
“Sento grida di giubilo – dice il giovane Marco – e gli ordini del capitano che inducono i marinai e i rematori a impegnarsi con più attenzione al governo della galea che deve entrare nel porto della città. Scorgo bagliori delle cupole d’oro dei palazzi, colpite dai raggi del grande faro".

sabato 25 giugno 2011

La stasi del popolo italiano

LA SOCIETÀ NON È FIUME
CHE SCORRE MA PALUDE
“Convinzione condivisa – afferma Giorgio Napolitano in un messaggio alla Confindustria - che ai pubblici poteri competa favorire ed assecondare il conseguimento dell'obiettivo di uno sviluppo sostenibile con particolare riguardo alle piccole e medie imprese, anche a carattere familiare che rappresentano una componente essenziale del sistema economico nazionale”.
Per il Capo dello Stato occorre “garantire la massima coesione tra le istituzioni chiamate ad operare nel comune interesse dello sviluppo economico, sociale e civile”. Allarmano i dati sull’occupazione relativi ai giovani tra 15 e i 29 anni. Quasi 2 milioni di giovani fuori ogni tipo di occupazione
All’Italia occorre – sostiene Pier Ferdinando Casini – mettere attorno a un tavolo le forze responsabili del Paese e fare le scelte impopolari che i partiti non hanno il coraggio di fare. Serve un’assunzione di responsabilità più forte e più ampia , o l’Italia va a rotoli”.
Per uscire dalla palude di un paese bloccato dalla retorica - afferma Luigi Bersani - serve innanzitutto un’operazione verità sui conti e poi un progetto, un patto sociale che ponga al centro dell’azione di governo il lavoro. Si affaccia l’esigenza di una “riscossa italiana” che abbia radicalità e rilievo, di una stagione inedita di riforme che ci faccia uscire finalmente dalla palude”.
La produttività del sistema Paese ristagna dice Mario Draghi, governatore della Banca d’Italia – in quanto il sistema produttivo in Italia perde competitività perché non si è ancora adattato alle nuove tecnologie della globalizzazione”.
Le famiglie vivono in ansia, sono stanche verso “la personalizzazione della politica e chiedono di essere aiutate. La società appare “indifferente verso un obiettivo comune”. Di fronte alla crisi globale le donne non fanno più figli perché non hanno Servizi e temono di perdere il posto di lavoro. Episodi di violenza familiare, bullismo, gusto apatico di compiere delitti comuni, tendenza a facili godimenti sessuali. “Siamo una società – afferma Giuseppe De Rita, presidente del Centro Studi Investimenti Sociali – in cui gli individui vengono sempre più lasciati a se stessi, liberi di perseguire ciò che più aggrada loro senza più il quotidiano controllo di norme di tipo generale”.
È necessaria una politica basata sul coraggio personale e sulle energie di coloro che orientano la politica al suo vero fine, cioè aderire coscientemente con tutte le forze per l’affermazione della dignità di ogni uomo con spirito di solidarietà.
Soltanto “coloro che permettono la coesistenza e dialogo delle persone” creano una comunità civile che si conserva nel tempo, perché lottano per la giustizia, l’amicizia civica e la fede nell’essere umano che sono la forza che fa vivere la quotidianità dei cittadini.
La globalizzazione dell'economia richiede un governo dell'economia che sinora è mancato. Questione fondamentale della nostra epoca è la ridistribuzione dei beni sociali. Le società liberal-democratiche falliscono se non riescono a includere quelli che sono esclusi dalla creazione di ricchezza.
Spetta alla comunità politica mediare tra le necessità funzionali del mercato e le vita quotidiana delle persone, cioè promuovere i contenuti valoriali nelle decisioni del mondo produttivo e finanziario. La necessità della ricchezza e la competizione mondiale devono armonizzarsi con i valori dell’uomo che è soggetto e fine di ogni produzione e benessere sociale.

lunedì 20 giugno 2011

Le Forze politiche sollecitate ad agire

ITALIANI TUTTI UNITI
PER I GRANDI PRINCIPI
Non bisogna temere - dice il 17 giugno Giorgio Napolitano a Verona – di ritrovarsi tutti uniti insieme attorno ai grandi principi e ai grandi obiettivi e a dire che sono comuni per tutti”.
È l'unico modo - dice Lorenzo Cesa, segretario dell’Udc – per uscire dalla crisi politica, economica e sociale che sta frenando il Paese”.
Per il Capo dello Stato “la parola unità si sposa con pluralità, diversità, solidarietà, sussidiarietà. È il divario tra Nord e Sud, è la condizione del Mezzogiorno che si colloca al centro delle nostre preoccupazioni. Ed è rispetto a questa questione che più tardano a venire risposte adeguate. E non c’è dubbio che la risposta vada trovata in una nuova qualità e in un accresciuto dinamismo del nostro sviluppo economico, facendo leva sul ruolo di protagonisti che sono oggi chiamati ad assolvere il mondo dell’impresa e del mondo del lavoro”.
Gli Italiani - ha detto Pier Ferdinando Casini – hanno un grande sentimento di unità nazionale. C’è bisogno di lavorare per l’Italia senza polemiche ed esercitare un ruolo di responsabilità”.
La società civile si è costituita intorno alla produzione e allo scambio universale delle merci dove i bisogni essenziali dei cittadini passano in secondo ordine per l’attuale globalizzazione economica e finanziaria.
Spetta alla comunità politica mediare tra le necessità funzionali del mercato e la vita quotidiana delle persone, cioè promuovere i contenuti valoriali nelle decisioni del mondo produttivo e finanziario. La necessità della ricchezza e la competizione mondiale devono armonizzarsi con i valori dell’uomo che è soggetto e fine di ogni produzione e benessere sociale.
La politica non favorisce la picola e media impresa per il carico fiscale e creditizio da parte dello Stato. La produttività e competitività è ridotta. Molte aziende devono far fronte al fallimento giudiziario in un mondo globalizzato senza regole in cui le nazioni del Sud-Est asiatico hanno privilegi nelle esportazioni a danno dell’Europa e dell’Italia.
Occorre privilegiare le imprese nascenti e gli investimenti in tecnologia e ricerca con la detassazione degli utili reinvestiti, per incrementare lo sviluppo del sistema produttivo su tutto il territorio nazionale.
Gli esponenti politici non devono permettere lo svilimento della persona umana nella sua stessa comunità con la diffusione del crimine, la droga, il degrado urbano, la prostituzione, l’inquinamento, l’abbandono della famiglia a se stessa.

martedì 14 giugno 2011

Il giusto e l'ingiusto nella società civile

LO SPAZIO PUBBLICO È
LUOGO DI DISCUSSIONE
Tra gli uomini c'è dialogo per tutte le cose che riguardano la città e questa è spazio pubblico in cui c’è interazione tra menti, volontà, cuori, emozioni. I cittadini si influenzano reciprocamente. Il luogo pubblico si tesse di discorsi, di parole. Gli uomini liberi hanno la capacità di persuadere gli altri, di esporre le proprie opinioni. C’è confronto di opinioni e la migliore viene prescelta. L’autorità politica è quella che si esercita sui cittadini per il loro benessere sociale.


Nella città ci sono anche "patologie politiche da curare". Il sistema politico è come un organismo. Le istituzioni, se non vengono sottoposte a terapia, subiscono le stesse vicende dell’organismo umano. Quando trionfano le passioni, la democrazia degenera e porta alla demagogia. Il testimone del popolo deve osservare e ascoltare i concittadini, conoscere il loro costume concreto, come si comportano coscientemente, cioè l' "ethos" viene per primo. L’etica non è qualcosa che si può prescrivere. Occorre tener conto di ciò che è tradizione e modo di sentire del popolo. Non ci sono solo resistenze ma anche tradizioni, costumi, usi diversi per ogni comunità.


La politica è distinta dall'etica e questa non può essere sottomessa alla prima. Occorre di tener conto della coscienza delle persone, l’unica idonea a stabilire ciò che è giusto o ingiusto, cioè salvaguardare la morale dei cittadini a cui lo Stato riconosce la cittadinanza che è pienezza dei diritti civili, politici e sociali da parte dei cittadini. Si tratta di rispettare il loro modo di essere, il loro status e il loro rapporto con lo Stato. Nella società, prodotto di ragione e forza morale, la priorità è data dalla coscienza personale. Il popolo è fatto di persone umane che si riuniscono sotto giuste leggi e di reciproca amicizia.


Lo spazio pubblico è anche il luogo in cui si manifestano interessi non dichiarati apertamente. L'agire politico L’agire del politico deve essere tentativo metodico e sistematico di far passare la politica dal piano delle opinioni al piano della verità, ciò che è nascosto deve essere fatto apparire perché gli uomini nascondono dentro di loro le verità più profonde. Si tratta di mostrare, di far conoscere veramente la natura politica dell’uomo, il buon ordine politico, cioè ciò che è giusto.


I cittadini sanno esprimere ciò che è giusto e ingiusto percé hanno percezione del bene e del male. Il possesso comune di questi sentimenti costituisce la famiglia. La comunità che si costituisce secondo natura, per la vita quotidiana, è la famiglia come unione di uomo e donna.


Oltre i bisogni quotidiani ci sono altri bisogni e la famiglia si unisce alle altre, formando una colonia di famiglie, un villaggio, una comunità più grande per soddisfare i bisogni più ampi. Per rendere la vita felice, cioè pienamente autosufficiente, si costituisce per natura la comunità di più villaggi, cioè la città che è comunità politica. È modello aperto perché l’uomo è socievole e vuole vivere nelle regole del giusto e dell’ingiusto, del bene e del male.


Non c'è famiglia e città se non c'è comunanza di ciò che è bene e male. La pura naturalità umana è trascesa verso ambiti di convivenza retta da principi morali. Per costruire la famiglia e la città ci vuole il possesso comune dei principi del bene e male. Si tratta di porre attenzione sul carattere etico della vita sociale.


L'uomo e la donna hanno la facoltà della partecipazopne dei principi del bene e del male. Prima vengono i valori di giusto e ingiusto e poi si genera, per natura, la famiglia e la città. La città è anche anteriore alla famiglia nel senso che ciò che è bene comune, che riguarda tutti, ha più valore dell’interesse privato del singolo uomo. L’anteriorità del valore della città, rispetto a ciascun individuo, è giustificato dal fatto che nella comunità politica si può trovare la capacità di vivere bene, la garanzia dell’autosufficienza della vita, cioè l’autonomia di bastare a se stessa.


Ogni comunità, dalla famiglia alla città, si costituisce in vista di un bene, cioè guardando verso un fine. La comunità più alta è la comunità politica che tende al bene più alto, il vivere bene di tutti. Il bene comune è onnipresente all’attività umana in quanto gli uomini si uniscono sempre in vista di qualcosa.


Il carattere più profondo della socialità umana è di essere in dialogo costante sul bene e sul male. Su questa caratteristica entra il diritto e la giustizia che è una virtù della comunità politica. Il diritto ordina la comunità sociale in quanto è aggiudicazione di ciò che è giusto. Il giusto è il principio di giustizia che viene applicato nei rapporti umani. L’amicizia politica e la giustizia sono le due virtù che fanno vivere la città.


Gli Italiani con la loro ragione e volontà sapranno attingere alla loro fede nel progresso interno della vita e della loro storia, alla forza della loro libertà, posta al centro della cittadinanza, quale apertura di fini e di senso del loro futuro per superare le difficoltà del vivere quotidiano.

venerdì 10 giugno 2011

La questione del Bene comune

L'ESISTENZA UMANA E
LA COMUNITÀ CIVILE
Il Bene comune del popolo, inteso come vita buona, cioè conforme alle esigenze e alla dignità della natura umana che esige una vita moralmente giusta e felice, è il fine della politica. Questo bene deve rifluire su ogni membro della comunità civile.
La politica sarà considerata giusta se realizza il compimento del bene comune, cioè se crea prosperità materiale quale presupposto per l’elevazione spirituale dell’esistenza umana. Il bene comune si realizza se tutta la comunità è coesa nella giustizia e nell’amicizia civica che sono le forze conservative della società.
I difensori del popolo devono sensibilizzare l’opinione pubblica senza arrecare danno alle persone contro cui è diretta l’azione politica.
Le social democrazie odierne sono interessate interamente alla sola sfera dei rapporti economici e produttivi e non riescono ad elevarsi alla sfera politica del “vivere bene”. La società è consumistica e produttivistica; essa non è una vera e propria società politica, perché questa vi può essere solo se il fine costitutivo non è puramente economico, ma etico e umano.
La razionalizzazione morale della vita politica si fonda sul riconoscimento dei fini essenzialmente umani della vita politica e delle sue istanze più profonde, cioè sulla giustizia, la legge e la reciproca amicizia. Essa significa uno sforzo incessante per applicare le strutture del corpo politico aol servizio del bene comune, della dignità della persona umana e del senso dell’amore civico.
Si tratta di sottomettere alle determinazioni della ragione, tesa a stimolare la libertà umana, il condizionamento materiale, naturale e tecnico, il pesante apparato di interessi in conflitto, di potere, di coercizione inerenti la vita sociale. L’attività politica non deve essere fondata sull’avidità, la gelosia, l’egoismo, l’orgoglio e l’astuzia, ma sui bisogni più intimi della vita delle persone e dell’esigenza della pace, dell’energie morali e spirituali dell’uomo.
Il superamento degli egoismi, cioè il trionfo della giustizia sociale, costituisce il fine dell’agire politico che diventa leva che trasforma l’ingiusto in giusto. L'azione del testimone del popolo non è semplice sopportazione, cioè non è calma imperturbabile, ma è provocazione che mira a eliminare gli ostacoli della vita dei cittadini per la pace e la riconciliazione sociale.
La vita democratica dovrebbe essere un’organizzazione razionale di libertà eticamente e umanamente fondata. L'uomo politico spesso pretende di decidere ragionevolmente nel ricorrere ai soprusi per difendere l'ordine, o ristabilire la pace, e si giustifica appellandosi ai più alti valori dell’umanità. Le ragioni per cui l’uomo ricorre alle ingiustizie non possono giustificare la sua azione.
Nella vita sociale vi è sempre uno stato di tensione e di conflitto, perché vi è una tendenza naturale ad assoggettare la persona, a diminuirla considerandola solo come semplice parte e un semplice individuo materiale. Il conflitto è naturale e inevitabile per cui richiede una soluzione dinamica, perché la società si evolve nel tempo sotto la spinta delle energie dello spirito e della libertà.
L'esigenza di libertà tende a realizzare progressivamente nella vita sociale l’aspirazione dell’uomo a essere trattato nel tutto sociale come una persona e questa aspirazione è un’espressione di un ideale attuabile soltanto con lo sviluppo del diritto, di un senso sacro della giustizia, dell’onore e con lo sviluppo dell’amicizia civica.
La società politica è destinata allo sviluppo delle condizioni di ambiente che portano la moltitudine a un grado di vita materiale, intellettuale e morale convenoente al bene e alla pace del tutto sociale.
Si auspica una società politica che prevede nel campo dell’economia il pluralismo economico, cioè una comunità in cui lo spirito e la struttura economica siano conformi alla concezione comunitaria e personalistica della vita sociale e lo statuto dell’economia sia rivolto a vantaggio della persona umana.
Si tratta di realizzare una democrazia nella quale i cittadini non abbiano solo diritto di suffragio, ma si trovino impegnati in modo attivo nella vita politica del Paese. Lo Stato sia strumento a servizio della comunità civile, cioè lo Stato proporzionerà il suo modo di agire in rapporto ai valori della comunità.
Occorre che la democrazia designi un modo di vivere la vita umana e la vita politica. “Dobbiamo incominciare a ragionare ha sostenuto Pier Ferdinando Casini per unire i rappresentanti politici”. Si tratta di acquisire una vera cittadinanza per tutte le persone che vivono sul territorio nazionale. La cittadinanza per il politico dell’Udc è “maturazione comune, è valore, senso di appartenza morale”.
Se si vuole proporre un partito per la nazione occorre raggruppare tutti coloro che vorranno dedicarsi a una certa concezione di democrazia da perseguire e dei mezzi idonei per il conseguimento della “vita buona” per tutti.
La democrazia può vivere e svilupparsi se ispirata dal principio essenziale della spiritualità cristiana. I valori cristiani del popolo italiano (dignità della persona umana, famiglia, solidarietà, sussidiarietà), devono penetrare la cultura e promuovere il benessere della comunità civile.
Occorre “aprire una nuova fase ha detto Rocco Buttiglione, presidente dell’Udc – perché il Paese non cresce. Bisogna concentrarsi sul dialogo tra i cittadini e i politici, lottando per la giustizia, l’amicizia civica e la fede nell’essere umano che permettono la coesistenza civile e promuovono il benessere per tutti indistintamente.

martedì 7 giugno 2011

Il popolo si esprime su 4 referendum

LO SPAZIO PUBBLICO È
IL LUOGO DI INTERESSI
Domenica 12 e lunedì 13 giugno 2011, i cittadini italiani saranno chiamati al voto per esprimersi su quattro referendum popolari per l’abrogazione di disposizioni di leggi statali. Quattro quesiti di cui due sull’acqua pubblica, uno sull’energia nucleare e uno sul legittimo impedimento.
Sono un elettore - ha risposto Giorgio Napolitano a una domanda sui referendum - che fa sempre il proprio dovere”. Per il Presidente della Repubblica “il voto non è mai inutile. Ciascuno dà il voto, secondo la sua valutazione, il suo giudizio. Si avverte disaffezione al voto. Coloro che fanno politica concretamente, a qualsiasi schieramento appartengano, devono compiere uno sforzo per comprendere le ragioni della disaffezione verso la politica e per lanciare un ponte di comunicazione e di dialogo con le nuove generazioni”.
Mi auguro che gli Italiani a votare per i referendum ci vadano - ha detto Gianfranco Fini, presidente della Camera - perché sono una forma di democrazia diretta. Confidare nell’astensionismo è la peggiore scelta che un politico possa fare. Come cittadino che non vuole rinunciare alle proprie prerogative a votare ci andrò”.
Bisogna andare a votare, c’è un enorme distacco - ha sostenuto Pier Ferdinando Casini - fra classe dirigente e cittadini, tra anziani e giovani, non aumentiamolo con posizioni tattiche. Gli Italiani devono informarsi bene sui contenuti dei quesiti referendari e poi partecipare, depositare nell'urna cosa pensano”.
L'acqua è il bene più prezioso di tutti ed ha un valore economico. La disponibilità delle fonti energetiche è indispensabile per una “vita buona” e richiede un costo. Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge … (art.3 della Costituzione).
La Repubblica italiana con l’articolo 2 della Costituzione ha adottato nella formulazione il modello di socialità pluralistica per garantire i diritti alle persone sia come singoli che parte di organizzazioni sociali, cioè viviamo in società pluralistica in quanto ordinata da persone e associazioni che danno struttura alla società civile e forma politica allo Stato.
Nella società ha la priorità la coscienza personale. La società politica e lo Stato appartengono al versante di società civile. Lo Stato è parte della società politica che è in grado di poter garantire la “buona vita”, il vivere bene dei cittadini. La società politica ha come fine il Bene comune che trascende il bene dei singoli, cioè il fine della società è il bene della comunità, inteso come buona vita umana della moltitudine di persone. Lo Stato è strumento necessario al servizio della persona e ed è espressione che parte dal basso, cioè emerge come auto-organizzazione politica della società civile.
Il Bene comune della società politica non è soltanto l’insieme dei beni o servizi di utilità pubblica o di interesse nazionale (strade, acquedotti, porti, scuole, leggi giuste ... ecc.) ma il Bene comune comprende, oltre queste cose, anche l'integrazione sociologica di tutto ciò che vi è di coscienza civica: virtù politiche, senso del diritto e della libertà, prosperità materiale, ricchezza dello spirito, rettitudine morale, giustizia, amicizia, felicità, virtù nelle vite individuali dei membri della comunità, in quanto tutto questo sia comunicabile, si riversi su ciascuno ed aiuti ciascuno a vivere bene.
Tra individuo e Stato ci sono nella società pluralistica le formazioni sociali intermedie, cioè c’è pluralismo sociale. I termini della questione sono sono individuo, società intermedie, Stato e mercato. Lo Stato ha il compito e dovere di promuovere la ripresa economica che ristagna, di promuovere l’occupazione con spesa e opere pubbliche come strade, acquedotti, telecomunicazioni.
L’economia prevede produzione e consumo. Lo Stato se gestisce lo deve fare in maniera indiretta, lasciando ad organismi indipendenti l’attuazione gestionale. L’iniziativa economica deve partire dal basso, dalla libera iniziativa. Si tratta di pensiero politico democratico di tipo personalistico e pluralistico, cioè pensiero che fa riferimento alla persona ed auspica una società politica articolata, strutturata in grande quantità di società di ordine inferiore che costituiscono la struttura della società. Lo Stato non è persona morale, non è soggetto di diritti ma strumento che salvaguarda la giustizia nelle sue varie forme e tutela la sicurezza.
La società politica prevede il dialogo tra le persone che cercano il proprio benessere.
Nell’odierna società democratica libera è diffuso il relativismo morale che porta all’esistenza di controversie su alcuni diritti del cittadini. La ricchezza si concentra nel numero ridotto di mani: terrorismo, globalizzazione e squilibrio tra ricchi e poveri.
I valori essenziali dell'esistenza delle persone (libertà, vita, salute, giustizia...ecc.), non potendo essere misurate economicamente, tendono ad essere riportate nel privato perché non c’è una regola, non si trovano soluzioni o patteggiamenti da mercato.
Nella politica attuale si manifesta la vincita di interessi sui valori. Le rappresentanze di interessi economici prevalgono sulla rappresentanza politica. I parlamentari non hanno vincoli di mandato come i rappresentanti economici e commerciali, dove i procuratori hanno il potere di firma da parte dei proprietari.
Occorre che i cittadini si attivino da soli o in gruppi evitando le derive corporativistiche. Si formano nella società gruppi di interesse privato che fanno eleggere anche politici per i loro interessi. In tutte le società ci sono aree in cui non vige che il potere venga dal basso.
Alcuni vogliono rendere tutto come mercato, rendere beni pubblici ai privati, dare ai privati ciò che è gestito dallo Stato, cioè utilizzare la regola del mercato e la concorrenza dovunque.
Come affrontare la questione ecologica? Come affrontare i consumi e lo spreco dei beni pubblici? Come affrontare la questione ambientale?
L'ambiente naturale è manipolato e la manipolazione diventa parte della vita stessa. Il cittadino ha il dovere di entrare nello spazio pubblico per salvaguardare i suoi beni primari e i suoi valori più preziosi. Ogni cittadino con il referendum esprime se stesso, cioè fa valere la sua libertà, il suo potere di agire in virtù della propria inclinazione interiore, senza subire alcuna costrizione.

venerdì 3 giugno 2011

Quale democrazia per la crisi?

IL CAMMINO DEL POPOLO
E I SUOI RAPPRESENTANTI
La nazione italiana - ha detto il 2 giugno 2011 Giorgio Napolitano - viene da un “lungo cammino” e nei 150 anni di esistenza ha già compiuto “straordinari balzi avanti”, ma non bisogna “sottovalutare” le nuove sfide che ha avanti. Non sottovalutiamo, soprattutto la portata delle nuove sfide che l’Italia è chiamata ad affrontare un'epoca di radicale e incessante cambiamento della realtà mondiale. L’Italia farà la sua parte perché avanzi nel mondo la causa della pace, dei diritti umani, della democrazia, di un equilibrato, equo, sostenibile sviluppo economico e sociale”.
Ci si domanda come è possibile una comunità civile mondiale di fronte alla situazione del mondo presente con tutte le minacce di degradazione e distruzione.
Il male sembra ingigantire e trionfare agli occhi di tutti di fronte alle atrocità che appaiono sugli schermi televisivi. Uno stato di pace non dipende solo dagli accordi politici, economici, finanziari conclusi dai diplomatici e dagli uomini di Stato, ma dipenderà anche dalla adesione profonda della coscienza degli uomini e dalla coerenza delle loro azioni.
La coesione tra le persone richiede la forza vitale della solidarietà che costituisce l’anima della società. Si tratta di aprirsi agli altri con generosità, anche a costo del sacrificio, inteso come dono si sé al servizio degli altri che scaturisce dal profondo del cuore di ogni persona.
Solo la buona volontà e una relazione di rispetto da persona a persona e tra persona e comunità può dare al corpo politico un carattere umano. La dedizione al bene politico, intesa come dono di sé gratuito, permette la coesistenza e il dialogo delle persone che
creano una comunità che si conserva nel tempo, perché la giustizia e la fede nell’uomo costituiscono la forza che la fanno vivere.
La realizzazione del compimento della democrazia nell’ordine sociale e politico non è pienamente soddisfatto con l’esistenza di uomini e donne che vivono nella precarietà e nell’indigenza perché l’economia è stata fondata sulla produttività del denaro e l’egoismo di alcuni politici.
La parola democrazia deve designare un modo di vivere la vita umana e la vita politica. Il governo deve essere, secondo la dichiarazione di Abraham Lincoln, del popolo, da parte del popolo e per il popolo.
Si tratta di acquisire una vera cittadinanza per tutte le persone che vivono sul territorio nazionale, cioè ragionare sui “problemi umani complessi e affrontarli utilizzando il metodo della “concertazione” che significa “mettersi insieme” per risolvere i problemi dei lavoratori, dei giovani e delle famiglie che non riescono ad arrivare alla fine del mese per il sostentamento dei figli.
Dobbiamo incominciare a ragionare – ha sostenuto Pier Ferdinando Casini – per unire “i rappresentanti politici”, perché ho paura di una politica che esaspera le paure e instilla veleni. Compito della politica è di guidare il Paese ”.
La cittadinanza per il politico dell’Udc è maturazione comune, è valore, senso di appartenenza morale.
Le organizzazioni sindacali dei lavoratori “sono chiamate a farsi carico dei nuovi problemi della società”, cioè volgere lo sguardo anche verso i lavoratori dei Paesi in via di sviluppo.
L'appello ai liberi e forti di Don Luigi Sturzo è sempre valido per combattere e difendere nelle interezza “gli ideali di giustizia e libertà”; per opporsi allo statalismo e alla demagogia di chi promette tutto per i propri fini.
Gli amministratori del popolo devono saper ascoltare i propri elettori, sentire le vibrazioni della società civile, mostrare le compatibilità presenti nella comunità tra le varie richieste contraddittorie. La loro azione deve valorizzare le dimensioni locali, agendo a livelli capillari, senza sfociare nel localismo che è pura retorica. Si tratta di creare il benessere per i cittadini.
I valori cristiani del popolo italiano (dignità della persona umana, famiglia, solidarietà, sussidiarietà) sono indispensabili ad una valida democrazia perché promuovono un sentimento della vita, ancorato alla centralità dell’uomo e permettono una “convivenza ordinata e feconda”.
Le basi della nostra nazione, come entità permanente, sono le regole immutabili della legge naturale, insite in ogni uomo o donna, la continuità culturale, la tradizione, la consapevolezza storica, l’amore della Patria. A questi valori sono ancorati gli Italiani .

mercoledì 1 giugno 2011