mercoledì 30 gennaio 2008

1° Consiglio Nazionale dei Cristiano Riformisti

PROGETTO DI NUOVA POLITICA PER L’ITALIA:
GARANTIRE FAMIGLIA, LAVORO, SICUREZZA

Si è tenuto lunedì 28 gennaio, nella sala “Tatarella” del gruppo parlamentare di Alleanza Nazionale, il 1° Consiglio Nazionale del Movimento dei Cristiano Riformisti.
L’on. avv. Antonio Mazzocchi, deputato segretario di presidenza della Camera dei deputati e Presidente Nazionale del movimento, ha esordito con il richiamo dell’unico presupposto per essere dei Cristiano Riformisti: sentirsi parte della grande famiglia che, assieme agli ebrei, costituisce “l’ossatura delle radici culturali dell’Europa”.
Le parole del relatore sono rivolte a tutti i cristiani, cioè agli uomini e donne che si sentono sollecitati dalle parole del papa, successore dell’Apostolo Pietro. Si tratta di testimoniare la verità dell’uomo, cioè di avere il coraggio di battersi per la libertà di autonomia di ogni persona che cerca il bene comune della società civile.
Nel testo del Santo Padre, inviato all’Università degli Studi “La Sapienza” di Roma in occasione dell’inaugurazione dell’anno accademico, è evidenziato che “nel panorama della storia attuale” si prefigura “ il pericolo della caduta nella disumanità”.
Gli aderenti al movimento dei Cristiano Riformisti sono chiamati a “mantenere desta la sensibilità” per il riconoscimento dei diritti e della dignità dell’uomo, di fronte a un gruppo di politici che hanno piegato la propria ragione “all’attrattiva dell’utilità individualistica” a danno delle persone che costituiscono la comunità civile.
Si tratta di confrontarsi da cristiani laici con un mondo globalizzato per la soluzione dei nuovi problemi, sorti con la radicalizzazione del multiculturalismo nello strato sociale del popolo italiano che estirpa i valori esistenziali del mondo civile con la diffusione del relativismo culturale.
La presentazione nel Parlamento italiano di nuove leggi, prive di contenuti valoriali, destano allarmismo nella popolazione che vede calpestate le proprie radici perché le tradizioni cristiane non illuminano più il suo cammino storico. Si avverte uno smarrimento di fronte a un futuro pieno di incognite per il dilagare di un potere che non tiene conto della dignità della persona umana e dei suoi bisogni essenziali.
I Cristiano Riformisti intendono confrontarsi con gli esponenti di ogni pensiero laico per salvaguardare in ogni istituzione politica, sociale e civile, tutto “ciò che è conforme alla natura di ogni essere umano”. Il loro impegno è quello di contribuire affinché sia applicata la giustizia in ogni attività della persona umana e di agire con fermezza perché sia rispettata la sua dignità in ogni manifestazione della sua opera, contrastando ogni disconoscimento dei valori che costituiscono l’essenza della vita, cioè opporsi con qualsiasi mezzo non violento di persuasione. Si tratta di interagire con tutte le forze laiche per instaurare quella saggezza che è razionalizzazione morale della politica.
La Dottrina sociale della Chiesa è ispiratrice di quel “giusto ordinamento sociale e statale, mediante il quale a ciascuno venga dato ciò che gli spetta”.
Il presidente del movimento incita tutti i consiglieri ad affrontare questo “compito politico” perché nella società la giustizia possa “affermarsi e prosperare”. Si tratta di promuovere uno Stato più umano che “riconosca e sostenga” la persona umana secondo il principio della sussidiarietà, cioè agevolare lo sviluppo di tutte quelle energie delle singole persone e delle organizzazioni sociali per creare una comunità civile che si conserva nel tempo.
L’esortazione è quella di costruire una società più giusta il cui centro è la persona che si realizza liberamente, cioè una comunità fondata sul progresso della vita e sulla forza della libertà in cui sia riconosciuta la dignità dell’uomo esistenziale dal suo concepimento fino alla sua morte naturale.
L’appello alla libertà della persona umana è essenziale perché ogni essere umano, donna o uomo, possa impegnarsi ed essere protagonista in una società aperta al progresso di tutto il popolo. Si tratta di porre la libertà al centro della storia perché possa essere apertura di senso del futuro di una nazione.
La comunità politica dei cristiani esige la costruzione di una società in cui possa attuarsi quello che importa di più all’essere umano, cioè la realizzazione del suo essere una persona che comunica con gli altri per il suo bene materiale e spirituale e per costruire il bene comune della società civile.
La cultura dei Cristiano Riformisti è lontana da qualsiasi forma di relativismo. Nella società odierna convivono diverse opinioni sugli scopi e la rappresentazione della vita buona. Il pluralismo delle morali e delle forme di vita ha generato in alcuni governanti un relativismo di principio che genera una tolleranza per qualsiasi opinione e porta a discutere sulle questioni della vita dell’uomo dal suo inizio fino alla sua morte.
Le soluzioni dei problemi dell’attuale mondo economico e finanziario globalizzato, auspicate dai politici “relativisti”, minano la concezione cristiana dell’uomo e del suo destino, perché sono basate sulla concezione che l’uomo non è il soggetto delle attività umane, ma un oggetto manipolabile per qualsiasi scopo utilitaristico e individualistico.
La politica dei cristiani è quella di riaffermare in ogni ambito della società che ogni uomo è portatore di diritti universalmente riconosciuti e inalienabili di fronte a qualsiasi esigenza contingente. Si tratta di proteggere la persona in tutte le questioni in cui la cultura ambigua dei relativisti mina l’essenza della vita umana con le manipolazioni genetiche, l’aborto e l’eutanasia. Si fa appello a una rinnovata presenza della prassi cristiana nelle istituzioni e nelle organizzazioni politiche, sociali e civili. Il cristianesimo deve continuare ad offrire “il senso e l’orientamento dell’esistenza” della società, perché ha sempre difeso la dignità della persona umana e le sue espressioni di vita.
La società civile si è costituita intorno alla produzione e allo scambio universale delle merci dove i bisogni essenziali dei cittadini passano in secondo ordine. Spetta alla comunità politica mediare tra le necessità funzionali del mercato e la vita quotidiana delle persone, cioè promuovere i contenuti valoriali nelle decisioni del mondo produttivo e finanziario. La necessità della ricchezza e la competizione mondiale devono armonizzarsi con i valori dell’uomo che è soggetto e fine di ogni produzione e benessere sociale.
Gli esponenti politici non devono accettare il relativismo che svilisce la dignità della persona umana nella sua stessa comunità con la diffusione del crimine, la droga, il degrado urbano, la prostituzione, l’inquinamento, l’abbandono della famiglia a se stessa. I valori spirituali del popolo italiano devono essere difesi e tramandati per conservare la nostra identità e promuovere un futuro per la nostra società civile.
Tutti avvertiamo un cambiamento nella società: i valori cristiani sono stati annullati per le concezioni relativistiche di alcuni uomini chiamati a gestire il patrimonio culturale, sociale e civile di tutto il popolo italiano.
La “cellula vitale” della società, la famiglia naturale, costituita dall’amore di un uomo e una donna che attraverso la procreazione dei loro figli tramandano i valori del loro popolo, è minacciata dalla pressione degli interessi utilitaristici di alcuni laici che non considerano il valore e la dignità dell’essere umano.
Si avverte la certezza che i valori fondanti della cultura europea sono messi in secondo ordine rispetto all’attrattiva della globalizzazione economica e finanziaria che non riconosce il vero valore del bene comune della società che è tale solo se si riversa su ogni cittadino.
Le persone si sentono minacciate nella loro stessa esistenza perché non sono garantiti con pienezza i valori stessi della vita, dal suo inizio fino alla suo termine naturale. La famiglia naturale è abbandonata a se stessa.
La dignità della donna, nel suo ruolo procreativo ed educativo della prole, non è assicurata con la protezione della maternità, l’assegnazione di case per le giovani coppie, la costituzione degli asili nidi, il mantenimento del posto di lavoro durante la gravidanza, l’orario di lavoro rispondente alle esigenze delle madri.
La dignità del lavoratore, in qualità di capofamiglia, molte volte passa in secondo ordine rispetto al profitto dei datori di lavoro che non assicurano la salvaguardia della sua salute e non garantiscono l’applicazione delle norme che assicurino la sua incolumità fisica. Le “morti bianche” superano ogni anno in Italia la cifra di millecinquecento e gli infortuni sul lavoro sono circa un milione.
“Come Movimento dei Cristiano Riformisti – sostiene l’on. Antonio Mazzocchi – crediamo che sia necessario rinnovare i nostri obiettivi, le nostre procedure, per adattarli alle circostanze storiche nelle quali viviamo. Crediamo in una economia che ponga al centro il valore della persona umana e utilizzi parte dei frutti ricavati per far funzionare un apparato sociale che aiuti e sostenga i più deboli e i meno fortunati”.
Per il relatore, i vecchi blocchi sociali non rappresentano più la maggioranza del Paese. C’è un nuovo blocco che va dall’Italia produttiva delle imprese ai manager, dai commercianti e artigiani agli imprenditori, dagli operai ai professionisti e agricoltori: un nuovo ceto medio che rappresenta il volano produttivo dell’Italia ed è di fatto escluso dalla concertazione.
“È nostro dovere – afferma il presidente del movimento – interpretare la società e rivolgersi al “ceto medio”, inteso quale idea prevalente della società stessa, come l’espressione di valori che ispirano il nostro agire politico”.
I Cristiano Riformisti non sono e non vogliono essere un partito, ma offrono un contributo di idee e di uomini per rappresentare la politica del centro destra che veda come obiettivo un Partito che abbia un riferimento non negoziabile ai valori della cultura cristiana. Si tratta di prendere parte a quella “Alleanza per l’Italia” che il presidente di An, Gianfranco Fini, invoca per tutti coloro che progettano di cambiare l’attuale quadro politico “nello spirito migliore di Fiuggi”.
Su “questo cammino” intendiamo andare - esclama il presidente Antonio Mazzocchi - e partecipare attivamente alla “Conferenza nazionale” di Milano che Alleanza Nazionale organizza per il 14, 15 e 16 marzo. Si tratta di un “conferenza di progetto”, una sfida del futuro per tutti gli Italiani responsabili, consapevoli delle proprie radici, capaci di fare appello alla propria tradizione.
Il Movimento dei Cristiano Riformisti partecipa alla “Conferenza nazionale” con un “Documento Programmatico” per focalizzare l’attenzione dei partecipanti su tre principi che riguardano tutte le categorie sociali: famiglia, lavoro e sicurezza.
Gli argomenti scelti sono i tre elementi che consentirebbero di riavviare e di costruire una nuova coscienza di popolo all’interno della quale ogni persona, uomo o donna, abbia il senso di partecipazione ad un progetto comune per “ricostruire il tessuto profondo della nostra Italia”. Si tratta di far appello alla responsabilità di tutti coloro che sono consapevoli delle proprie radici cristiane, per reagire all’attuale disumanizzazione della società e costruire da cristiani una società a “misura di famiglia” in cui sia rispettata la dignità della persona e del suo essere politico e sociale.






lunedì 21 gennaio 2008

Le leggi di mercato ignorano il valore della persona


I SINDACI PROCLAMANO IL LUTTO CITTADINO
LA MORTE BIANCA FALCIA LA VITA DELL’OPERAIO


Il veneziano Denis Zanon di 39 anni e il padovano Paolo Ferrara di 47 anni muoiono asfissiati, mentre lavorano, durante la notte del 18 gennaio, nella stiva colma di soia della nave panamense, la “World Trader”, ancorata a Porto Marghera (Venezia).
Il sindaco di Venezia, Massimo Cacciari, proclama il lutto cittadino.
Il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, telefona a Cacciari: “Suscita indignazione e richiama tutti alla doverosa assunzione di responsabilità e all’impegno di prevenzione e vigilanza per spezzare la catena dei caduti sul lavoro”.
Ogni anno le “morti bianche”, i morti per causa di lavoro, sono più di mille e gli infortunati sfiorano il milione. Nel Veneto sedici morti nel 2006, diciotto nel 2007 e otto nel 2008 alla data del 18 gennaio.
Si tratta di una catena infinita di operai che perdono la vita perché il loro lavoro non è tenuto nella dovuta considerazione dalle regole del mercato. La dignità del lavoratore viene dopo la produttività delle aziende commerciali e industriali.
Il sottosegretario al Lavoro, Antonio Montagnino, dice: “ Gli appelli e il monito del presidente della Repubblica restano inascoltati, le famiglie continuano a piangere i propri congiunti, morti non a causa del lavoro ma per l’irresponsabilità, l’indifferenza, la sottovalutazione, la negligenza di chi viola le norme che già esistono e che se rispettate correttamente e scrupolosamente eviterebbero le stragi sul lavoro”.
“Esiste un Testo unico sul tema della sicurezza nei luoghi di lavoro – dice Milziade Caprigli, vicepresidente del Senato, ma mancano i decreti delegati”.
Oreste Tofani, parlamentare di Alleanza Nazionale e presidente della commissione parlamentare d’inchiesta sugli incidenti sul lavoro, afferma: “ L’esecutivo non ha ancora compreso la gravità della situazione. Non si spiega altrimenti il ritardo nell’emanazione dei decreti attuativi delle deleghe previste dalla recente legge. Come An abbiamo posto l’esigenza di una legge costituzionale che faccia ritornare allo Stato l’esclusiva sulle competenze in materia di tutela e sicurezza sul lavoro. La riforma del 2001, voluta dal centrosinistra, ha infatti provocato un conflitto permanente tra Stato e Regioni. Al primo spetta l’individuazione dei principi fondamentali, alle seconde la competenza per l’emanazione delle norme specifiche”.
Per i sindacati è “emergenza nazionale”. Questi incidenti ripropongono la mancanza di sicurezza nei luoghi di lavoro e le parole e lo sdegno non bastano per piangere le “morti bianche”, piaghe sociali indegne di un paese civile.
Luigi Angeletti, segretario generale della Uil (Unione italiana del lavoro), sostiene: “Prevenzione e repressione sono le due leve sulle quali agire se vogliamo iniziare ad affrontare questa tragedia quotidiana. Un passo concreto da parte del governo sarebbe di impegnare per questa causa l’avanzo di gestione dell’Inail (Istituto nazionale per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro) che, di fatto, è stato sottratto. Soldi che dovevano servire a fare prevenzione e ad aumentare i risarcimenti”.
Giorgio Airaudo, segretario torinese della Fiom (Federazione impiegati e operai metallurgici), afferma: “Per evitare infortuni sul lavoro … bisogna pagare bene, far lavorare gli orari giusti e non pretendere che i lavoratori diventino merce”.
Di chi è la responsabilità di questa catena di morti che “suscita l’indignazione” di tutto il popolo italiano?
Il diritto alla vita e il diritto al lavoro sono salvaguardati dalle istituzioni e dalle società produttive private?
I valori fondamentali della società (la persona umana, la famiglia, la sussidiarietà, la solidarietà) passano in secondo luogo nel sistema Stato – mercato che impone le proprie concezioni individualistiche nell’attuale mondo globalizzato, dove le regole del mercato non tengono conto della dignità della persona umana.
Nel mondo del lavoro, anche nei settori in forte sviluppo, conta la competizione e la produttività, cioè l’orientamento culturale è favorevole sempre di più all’individualismo e al privatismo, a scapito di coloro che hanno soltanto le proprie braccia per provvedere a se stessi e alle proprie famiglie.
Il Presidente della Repubblica fa appello alla responsabilità di tutti quelli che devono vigilare sulla incolumità dei lavoratori. La loro dignità e il loro diritto alla vita sono compromessi dalla concezione privatistica della responsabilità che porta alla deresponsabilizzazione delle persone e delle istituzioni che determinano il sistema socio-economico del paese.
Lo Stato è il primo responsabile di tutta la politica del lavoro, cioè è il datore di lavoro indiretto che deve provvedere all’emanazione delle leggi che disciplinano il settore lavorativo. Le attività delle società produttive, direttamente responsabili perché determinano i contratti e i rapporti di lavoro, esigono una politica che garantisca il rispetto degli inalienabili diritti delle persone.
La giustizia nei rapporti lavoratore-datore di lavoro non solo si attua con una equa remunerazione, ma anche e soprattutto con una legislazione che assicuri la vita e la salute dei lavoratori.
La difesa degli interessi esistenziali dei lavoratori in tutti i settori produttivi è resa possibile soltanto da uno Stato che dispone di istituzioni che considerano la persona umana come soggetto del lavoro e non come “merce” per aumentare la ricchezza del paese.
La responsabilità primaria in una società civile e politica spetta all’autorità politica, intesa come funzione essenziale senza la quale la persona umana non può acquisire il bene comune, indispensabile alla sua vita e a quella di tutta la società civile.
Il compito delle persone, investite di potere politico, è quello di emanare una legislazione che garantisca un’ordinata convivenza sociale nella vera giustizia perché tutti i lavoratori possano trascorrere una vita dignitosa. La legge civile deve assicurare soprattutto i diritti fondamentali che appartengono alla persona. Primo e fondamentale tra tutti è l’inviolabile diritto alla vita del lavoratore che presta la sua opera per il bene proprio e della sua famiglia.
Le morti bianche sono un problema che lo Stato deve risolvere perché la sicurezza del lavoro umano è essenziale per la vita stessa della comunità civile. Il lavoro è una dimensione fondamentale dell’esistenza dell’uomo che rimane sempre il soggetto della sua attività e di qualsiasi prodotto che ne scaturisce. In questa dimensione soggettiva c’è il fondamento della dignità del lavoro umano. Il primo fondamento del valore del lavoro è l’uomo stesso che ne è l’artefice.
Lo stillicidio delle morti nei luoghi di lavoro è indice che il valore della vita dell’uomo e la dignità del suo lavoro non sono tenuti nella giusta considerazione perché passano in secondo ordine nella concezione materialistica ed economicistica di coloro che appartengono alle istituzioni e alle società produttive. Per loro il lavoro è trattato come una specie di “merce” che il lavoratore vende al datore di lavoro.
Il lavoro è un bene essenziale perché con esso l’uomo realizza se stesso ed espleta la sua libertà nella comunicazione con gli altri per la creazione del bene comune, necessario al benessere materiale e spirituale della società civile. L’operaio ha anche una vita familiare che è un suo diritto e una sua vocazione naturale. La sua attività è condizione per la nascita e il mantenimento della famiglia, ritenuta cellula primordiale di tutta la comunità civile. La perdita del salario del capo famiglia mina alla radice l’unità fondamentale della stessa società.
Le continue morti bianche creano un conflitto tra il mondo del lavoro e il mondo dell’impresa commerciale e industriale. Il responsabile di questo scontro sociale è lo Stato che non salvaguarda la coesione sociale e permette la nascita di una contraddizione tra sviluppo economico e il fondamento della comunità, perché consente l’inversione dei valori che sono alla base della comunità civile. La dignità della persona e della famiglia passa in secondo ordine rispetto alla produzione dei beni economici.
L’esigenza di creare ricchezza e sostenere la competizione nel mondo globalizzato non può tralasciare la preminenza dei valori essenziali e il mantenimento della coesione sociale, cioè non può tralasciare di proteggere la vita dell’uomo, soggetto inalienabile di tutte le attività sociali.
I responsabili delle istituzioni e delle organizzazioni devono evitare di esaltare la competitività. La richiesta di produrre sempre di più e in fretta, in qualsiasi momento del giorno e della notte, riduce gli operatori del lavoro manuale a semplice "merce di scambio" o di "forza lavoro" che ha lo scopo di produrre una ricchezza che disconosce i principi fondamentali della società:la persona umana, la famiglia, la sussidiarietà e la solidarietà.
Il valore del lavoro umano, che è tale perché caratteristica essenziale di ogni persona e bene fondante di ogni sviluppo sociale, non può essere calpestato annullando ogni precauzione per la salvaguardia della vita che lo rende possibile. Il benessere materiale perde significato se non si dà importanza alla dignità del lavoro, cioè la società ricca si disgrega e perde coesione se l’attività che genera ricchezza non è protetta da norme di sicurezza che vengono fatte rispettare dai responsabili dirigenziali delle imprese.
I sindaci piangono i loro concittadini, morti perché la loro vita è stata barattata per mantenere una competizione o per acquisire un maggiore profitto. Il loro lavoro è stato compromesso da uno Stato che scarica la sua responsabilità di datore di lavoro indiretto, cioè non provvede sussidiariamente dall’alto verso il basso a salvaguardare la vita delle persone con il dovuto controllo.
Se gli operai muoiono durante il lavoro è segno che i responsabili dei sistemi di sicurezza e dei controlli nelle organizzazioni imprenditoriali e aziendali sono soggiogati dal potere del mercato. L’attuale “Stato laico” non controbilancia la pressione competitiva dell’economia di mercato con l’azione dei pubblici poteri, cioè non assicura con il suo intervento diretto o mediato la vita ai cittadini che lavorano.
La globalizzazione, che mira soltanto al primato dell’economia e della finanza, scardina l’economia sociale di mercato, controllata dalle leggi che salvaguardano le varie attività che producono ricchezza e benessere. La liberalizzazione degli scambi commerciali e la deregolamentazione delle attività d’impresa dà riconoscimento a quei poteri forti del mercato globale che portano a considerare preminente la competizione tra i mercati nazionali e le varie imprese di profitto, spingendo all’estremo la competizione tra i soggetti dell’economia.
Lo sviluppo economico, derivante dalle idee economicistiche e materialistiche del mercato globale, dissolve i legami sociali, perché si basa sull'opera degli individui lavoratori, considerati semplici mezzi di produttività e non come persone, dotate di ragione e di libertà, cioè soggetti di ogni attività umana.
Lo Stato, che non difende i diritti e tra questi la vita stessa dei suoi cittadini, è laicista perché promette un benessere che non salvaguarda la dignità dei soggetti produttivi, cioè calpesta il loro diritto a vivere in sicurezza, reclamato dall’eticità stessa della comunità civile. La vita dei cittadini e di tutta la società dipende da come è concepito l’essere umano che crea la ricchezza del suo popolo, cioè il bene comune di tutta la società.
Le concezioni individualistiche degli esponenti di governo e dei dirigenti della produttività evidenziano un laicismo che impedisce di provvedere al bisogno essenziale dei cittadini, cioè alla loro esistenza in sicurezza nel settore del lavoro.
La ragione e la libertà degli operai è sottomessa al “fondamentalismo del mercato” che esige il massimo dagli operai con il minimo costo di produzione.
Il modello dell’utilitarismo, del calcolo economico fine a se stesso, del funzionalismo del sistema Stato – mercato si concretizza in una corsa alla competizione e al massimo della produttività, calpestando il valore di fine e di essenza dell’essere umano, cioè la sua libertà di vivere.
Il problema? La politica è sostituita dall’economia che amministra gli uomini soltanto come mezzi di produzione. L’economicismo spinge alle conseguenze di insicurezza della vita di chi è costretto a vivere nel rischio e nella fatica quotidiana del lavoro manuale .
Gli ordinamenti democratici dello Stato non possono essere soggiogati dal relativismo etico di coloro che non considerano essenziali, per il bene comune della società, i veri valori del popolo italiano che sono la dignità della persona umana che lavora, il mantenimento della sua famiglia, la sussidiarietà nel controllo dell’applicazione delle norme e la solidarietà sociale.
Le leggi devono assicurare per tutti i lavoratori il rispetto dei diritti fondamentali degli operai. Il più importante è l’inviolabile diritto alla vita. Le morti bianche non sono una “fatalità” ma fenomeni che possono essere evitati con la corretta applicazione della normativa stabilita per i luoghi di lavoro.
La sopravvivenza stessa della società civile esige il ripristino, a qualsiasi livello produttivo ed economico, dell’etica nel lavoro dell’uomo, cioè la salvaguardia di tutti i suoi diritti ed un controllo costante dei dispositivi di sicurezza che assicurino l’integrità fisica dei lavoratori.




giovedì 3 gennaio 2008

Esistenza concessa ai criminali e negata agli innocenti

LA SCIENZA PER L’ORIGINE DELLA VITA UMANA
PROGRESSO MEDICINA SALVAGUARDA NASCITURO

L’Assemblea generale delle Nazioni Unite, “considerando che l’uso della pena di morte mina la dignità umana”, ha approvato il 18 dicembre 2007 una moratoria delle esecuzioni capitali. La risoluzione significa un invito alla sospensione di tutte le uccisioni legalizzate.
“Il successo di questa fondamentale azione - ha detto il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano - è dovuto all’impegno del Parlamento, del governo, del ministro degli Esteri, della Rappresentanza d’Italia presso le Nazioni Unite nonché della società civile italiana”.
Giuliano Ferrara, in un suo editoriale del 20 dicembre 2007, si appella a tutti coloro che si rallegrano per la decisione dell’Organizzazione mondiale e chiede che avvenga la stessa cosa per gli aborti: “Facciamo una Moratoria della strage degli innocenti”.
Le parole del giornalista sono rivolte alle “buone coscienze” perché non dimentichino che, per “ogni pena di morte comminata a un essere umano, ci sono milioni di aborti comminati a esseri umani viventi". Si tratta di sospendere ogni politica che incentiva l’aborto selettivo per sesso o per disabilità e di affermare la libertà di nascere come uno dei diritti fondamentali dell’uomo.
“L’aborto non è il tanto strombazzato male minore – afferma il cardinale Renato Raffaele Martino – a difesa della donna, ma un sistematico, persino selettivo strumento di mercificazione dell’uomo. In alcuni paesi è usato come mezzo per far nascere bambini maschi e sopprimere le bambine, considerate meno remunerative”.
Il cardinale Camillo Ruini, vicario del papa per Roma, approva la proposta di Ferrara ed afferma: “Dopo il risultato felice ottenuto riguardo alla pena di morte, è logico richiamare il tema dell’aborto e chiedere una moratoria quantomeno per stimolare le coscienze di tutti, per aiutare a rendersi conto che il bambino in seno alla madre è davvero un essere umano e che la sua soppressione è inevitabilmente la soppressione di un essere umano. La legge sull’aborto, che dice di essere legge che intende difendere la vita, aggiornarla al progresso scientifico che ad esempio ha fatto fare grandi passi avanti alla sopravvivenza dei bambini prematuri. Diventa veramente inammissibile procedere all’aborto ad un’età del feto nella quale egli potrebbe vivere anche da solo”.
Il presidente della Società italiana di neonatologia, Claudio Fabris, ritiene che la richiesta sia “scientificamente giustificata”. Il limite consigliato per l’aborto terapeutico è a 24 settimane, ma alla 23esima settimana il feto potrebbe sopravvivere autonomamente perché ha raggiunto la maturazione di organi vitali ed ha possibilità di sopravvivere ad un intervento di interruzione volontaria di gravidanza. Gli esperti ritengono che bisogna prevedere un abbassamento del limite consigliato per l’aborto terapeutico da 24 a 22 settimane.
“La legge 194 che permette e regola l’aborto - afferma il ministro della Salute, Livia Turco - funziona bene e non va modificata. Ridiscutere dell’aborto? Dibattito pubblico sì, ma nessuna modifica della legge 194 ”.
Per l’esponente governativo, la normativa è riuscita a eliminare la piaga degli aborti clandestini e la conseguente mortalità materna. Si auspicano nuovi interventi per la riorganizzazione dei consultori.
Per l’Unione degli atei e degli agnostici razionalisti, le finalità sociali e di prevenzione della legge non sono state perseguite seriamente, anche per colpa di chi doveva farla applicare.
La legge 22 maggio 1978, n.194, recante Norme per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza, consente alla donna di interrompere volontariamente la gravidanza nei primi 90 giorni di gestazione. Tra il quarto e quinto mese di gravidanza, l’aborto è possibile soltanto per motivi di natura terapeutica.
Il relatore della legge, l’onorevole Giovanni Berlinguer, così riassume gli intenti e gli obiettivi: “La legge si propone: di azzerare gli aborti terapeutici; di ridurre gli aborti spontanei; di assistere quelli clandestini. Si propone inoltre di favorire la procreazione cosciente, di aiutare la maternità, di tutelare la vita umana dal suo inizio”.
“Giuliano Ferrara ha fatto molto bene a lanciare una provocazione per rompere il tabù della legge 194/1978 - afferma l’onorevole Gianni Alemanno di Alleanza Nazionale. Dopo trent’anni questa legge deve essere rivista perché ha fallito soprattutto sul versante della prevenzione. Per questo bisogna respingere ogni pretesa laicista di considerare la 194 un dogma intoccabile”.
“La legge 194 deve essere attuata e applicata in tutte le sue parti, in modo particolare quella che riguarda la prevenzione e le linee guida – dichiara il senatore Cesare Cursi di AN, vicepresidente della commissione Igiene e Sanità del Senato. La difesa della vita costituisce per Alleanza Nazionale uno dei valori fondamentali sui quali non è possibile nessun compromesso e nessuna strumentalizzazione”.
La soluzione del problema del’aborto sembra quella di adeguare la 194, applicandola integralmente e aggiornando la normativa al progresso della medicina.
Lo Stato, con il primo articolo della legge 194, garantisce il diritto alla procreazione cosciente e responsabile, riconosce il valore sociale della maternità, tutela la vita umana dal suo inizio, ma non è in grado di stabilire quando si ha questo “inizio”.
Il pensiero cristiano eredita dall’antica Grecia la concezione dell’illiceità dell’aborto della vita umana del futuro nascituro. Per il greco Ippocrate del V° secolo avanti Cristo, padre della medicina, l’inizio della vita umana è nell’atto del concepimento. Aristotele, filosofo del IV° secolo avanti Cristo, considera illecito l’aborto nel momento in cui entra in funzione l’anima sensitiva, cioè al 40° giorno dal concepimento.
Le due tesi sono modificate alla luce della Rivelazione e della concezione cristiana dell’anima. L’indiscusso riconoscimento del valore della vita fin dai suoi inizi è confermato dalla Bibbia.
Nella Sacra Scrittura è comandato all’uomo di non uccidere. Questo precetto ha un forte contenuto negativo ed indica il confine estremo che non può mai essere valicato. In questo orizzonte si colloca il problema della pena di morte affrontato dall’Onu con la risoluzione sopraindicata. Se grande attenzione è posta al rispetto della vita del reo e dell’ingiusto aggressore, il comandamento non uccidere ha un valore universale che non ammette obiezioni se si riferisce alla persona innocente.
La Chiesa cattolica, constatato “il progressivo attenuarsi nelle coscienze e nella società della percezione” dell’illiceità morale della soppressione di ogni vita umana innocente, specialmente al suo inizio, è intervenuta a difesa dell’inviolabilità della vita umana.
Nel febbraio 1987 la Congregazione per la Dottrina della Fede, con l’Istruzione “Il Rispetto della vita umana nascente e la dignità della procreazione” sostiene che l’essere umano è da rispettare, come persona, fin dal primo istante della sua esistenza, cioè dal momento della fecondazione.
Il Papa Giovanni Paolo II, nella sua enciclica “Evangelium vitae” del 25 marzo 1995, ribadisce: “Confermo che l’uccisione diretta e volontaria di un essere umano innocente è sempre gravemente immorale”…“Niente e nessuno può autorizzare l’uccisione di un essere umano innocente, feto o embrione che sia”…“L’aborto procurato è l’uccisione deliberata e diretta, comunque venga attuata, di un essere umano nella fase iniziale della sua esistenza, compresa tra il concepimento e la nascita”… “Nessuna Autorità può legittimamente imporlo né permetterlo”… “Dichiaro che l’aborto diretto, cioè voluto come fine o come mezzo, costituisce sempre un disordine morale grave, in quanto uccisione deliberata di un essere umano innocente”… “Le leggi che autorizzano e favoriscono l’aborto … si pongono dunque radicalmente non solo contro il bene del singolo, ma anche contro il bene comune e, pertanto, sono del tutto prive di autentica validità giuridica”.
La questione della vita e della sua difesa appartiene ad ogni coscienza umana. Si tratta di un valore universale che ogni essere umano può cogliere alla luce della ragione. Il rispetto del diritto alla vita di ogni persona innocente è uno dei pilastri su cui si regge ogni società civile perché su di esso si fondano e si sviluppano tutti gli altri diritti inalienabili dell’essere umano. Non può avere una base solida la società che prima afferma come valori la dignità della persona, la giustizia e la pace e poi si contraddice con le leggi che violano l’inizio della vita delle persone, cioè negano il diritto all’esistenza dell’essere vivente racchiuso nel grembo materno.
L’intervento del Magistero della Chiesa, per la difesa dell’inviolabilità dell’inizio della vita umana, mira a promuovere uno Stato più umano e solidale. I suoi atti, in difesa della ragione e della libertà dell’essere umano concepito, interpellano non solo i cristiani ma in particolare tutti i responsabili della cosa pubblica, cioè tutti i politici, chiamati a servire l’uomo e il bene comune con scelte a favore della vita, soprattutto nell’ambito delle disposizioni legislative.
Coloro che hanno autorità di decisione nelle democrazie pluraliste sono incoraggiati a compiere scelte per la promozione del diritto alla vita, dal concepimento alla morte. Questo diritto richiede di essere difeso, promosso e sostenuto con leggi, basate sul principio della sussidiarietà, per la famiglia e la maternità.
La sfida di Ferrara, per la “Grande Moratoria sulla vita negata dall’aborto, pena di morte legale e di massa”, le parole di “stimolo e di risveglio delle coscienze di tutti” del cardinale Ruini per richiamare il tema dell’aborto, il ricordo del cardinale Martino a “milioni di esecuzioni silenziose”, hanno sollevato proteste e un richiamo alla salvaguardia dello “Stato laico”.
Alcuni politici si appellano alla “laicità dello Stato” e i difensori dei valori della persona umana si schierano contro il laicismo di coloro che dimenticano che l’essere umano è dotato di ragione e di libertà, cioè aspira al bene comune di tutta la società che è bene materiale e spirituale di ogni cittadino.
La difesa della laicità dello Stato, cioè la difesa della distinzione tra Chiesa e Stato, porta allo scontro sociale del fronte laicista e dello schieramento anti laicista che chiede il rispetto dei valori del popolo italiano. Si tratta dello scontro tra l’attuale sistema Stato – mercato e la persona umana che vede calpestata la sua stessa libertà di crescita e di autonomia.
I principi fondamentali della società civile (dignità della persona – bene comune - solidarietà – sussidiarietà) vengono disconosciuti dalle maggioranze governative che, dominate da una concezione individualistica della politica, non tengono conto del valore sociale della famiglia.
La dissoluzione dei legami sociali, causata dallo schema di democrazia centrato solo sull’individuo, e la globalizzazione economica, che rende lo Stato fragile e il mercato forte, hanno determinato una contraddizione tra crescita economica e coesione sociale.
Il rapporto, tra la Chiesa e il mondo della vita civile, che esprime la laicità dello Stato, che non si identifica in una determinata fede religiosa, è oggi scosso.
Lo Stato ha necessità di creare coesione nella società, di sostenere il multiculturalismo con regole condivise, di far fronte alle richieste delle singole regioni e alle loro aspettative di benessere, di applicare la democrazia nel suo rapporto con l’uomo, la scienza e soprattutto la vita. Tutto questo porta a una richiesta di orientare diversamente le basi etiche della comunità civile, cioè di risolvere i nuovi problemi della scienza e del diritto pubblico. Si tratta di sciogliere i nodi della bioetica, della scuola pubblica e privata, della famiglia e soprattutto dell’identità.
Il problema che emerge è il riconoscimento pubblico della propria identità culturale, etnica, di genere, di religione, di cittadinanza. L’idea di un’etica sociale che vada bene per tutti, cioè quella della neutralità e della tolleranza, non è in grado di creare una vera cooperazione in una società multiculturale.
Si fa sempre più pressante e insistente la domanda che lo Stato garantisca la continuità spirituale degli Italiani, cioè la salvaguardia della loro identità. Si tratta di rispettare i valori di socializzazione, di educazione e di formazione alle virtù civili che hanno sempre contraddistinto il nostro popolo.
La vera sfida è quella rivolta alle “buone coscienze” per risolvere la sperequazione nell’accesso ai beni economici e agli stessi mezzi di sussistenza; le questioni bioetiche dell’inizio e della fine della vita umana, la manipolazione genetica, la riduzione della comunicazione umana, la globalizzazione economico- finanziaria.
Lo stimolo delle “coscienze di tutti” è necessario per creare “movimenti di risveglio” a livello sociale e spirituale perché il popolo deve continuamente essere sollecitato. L’attuale società tecnologica si è costituita intorno al processo della produzione globalizzata e allo scambio mondiale delle merci. I bisogni e i desideri essenziali della persona umana rimangono insoddisfatti.
La richiesta di uno Stato più umano e solidale significa che il mutamento della società spetta alle persone che, chiamate a rappresentare il popolo nelle istituzioni, si liberino dalle loro chiusure individualistiche e si aprano per una società vitale i cui membri possano vivere nella costruzione e condivisione del bene comune. La persona umana, la cultura e la società sono i pilastri della comunità vitale in cui i membri formano la coscienza di tutto il popolo.
Lo scandalo, creato con la concezione laicistica dello Stato, è quello di aver abbandonato la persona e la sua esistenza, dal concepimento alla morte, negandole il beneficio dei principi cardini di qualsiasi società civile che sono la dignità della persona, il bene comune, la sussidiarietà e la solidarietà.
L’aborto è la negazione di tutti questi principi.
La sfida è la creazione di una società di persone che rispettano il mistero della vita umana dal suo inizio al suo termine naturale.