I SINDACI PROCLAMANO IL LUTTO CITTADINO
LA MORTE BIANCA FALCIA LA VITA DELL’OPERAIO
Il veneziano Denis Zanon di 39 anni e il padovano Paolo Ferrara di 47 anni muoiono asfissiati, mentre lavorano, durante la notte del 18 gennaio, nella stiva colma di soia della nave panamense, la “World Trader”, ancorata a Porto Marghera (Venezia).
Il sindaco di Venezia, Massimo Cacciari, proclama il lutto cittadino.
Il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, telefona a Cacciari: “Suscita indignazione e richiama tutti alla doverosa assunzione di responsabilità e all’impegno di prevenzione e vigilanza per spezzare la catena dei caduti sul lavoro”.
Ogni anno le “morti bianche”, i morti per causa di lavoro, sono più di mille e gli infortunati sfiorano il milione. Nel Veneto sedici morti nel 2006, diciotto nel 2007 e otto nel 2008 alla data del 18 gennaio.
Si tratta di una catena infinita di operai che perdono la vita perché il loro lavoro non è tenuto nella dovuta considerazione dalle regole del mercato. La dignità del lavoratore viene dopo la produttività delle aziende commerciali e industriali.
Il sottosegretario al Lavoro, Antonio Montagnino, dice: “ Gli appelli e il monito del presidente della Repubblica restano inascoltati, le famiglie continuano a piangere i propri congiunti, morti non a causa del lavoro ma per l’irresponsabilità, l’indifferenza, la sottovalutazione, la negligenza di chi viola le norme che già esistono e che se rispettate correttamente e scrupolosamente eviterebbero le stragi sul lavoro”.
“Esiste un Testo unico sul tema della sicurezza nei luoghi di lavoro – dice Milziade Caprigli, vicepresidente del Senato, ma mancano i decreti delegati”.
Oreste Tofani, parlamentare di Alleanza Nazionale e presidente della commissione parlamentare d’inchiesta sugli incidenti sul lavoro, afferma: “ L’esecutivo non ha ancora compreso la gravità della situazione. Non si spiega altrimenti il ritardo nell’emanazione dei decreti attuativi delle deleghe previste dalla recente legge. Come An abbiamo posto l’esigenza di una legge costituzionale che faccia ritornare allo Stato l’esclusiva sulle competenze in materia di tutela e sicurezza sul lavoro. La riforma del 2001, voluta dal centrosinistra, ha infatti provocato un conflitto permanente tra Stato e Regioni. Al primo spetta l’individuazione dei principi fondamentali, alle seconde la competenza per l’emanazione delle norme specifiche”.
Per i sindacati è “emergenza nazionale”. Questi incidenti ripropongono la mancanza di sicurezza nei luoghi di lavoro e le parole e lo sdegno non bastano per piangere le “morti bianche”, piaghe sociali indegne di un paese civile.
Luigi Angeletti, segretario generale della Uil (Unione italiana del lavoro), sostiene: “Prevenzione e repressione sono le due leve sulle quali agire se vogliamo iniziare ad affrontare questa tragedia quotidiana. Un passo concreto da parte del governo sarebbe di impegnare per questa causa l’avanzo di gestione dell’Inail (Istituto nazionale per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro) che, di fatto, è stato sottratto. Soldi che dovevano servire a fare prevenzione e ad aumentare i risarcimenti”.
Giorgio Airaudo, segretario torinese della Fiom (Federazione impiegati e operai metallurgici), afferma: “Per evitare infortuni sul lavoro … bisogna pagare bene, far lavorare gli orari giusti e non pretendere che i lavoratori diventino merce”.
Di chi è la responsabilità di questa catena di morti che “suscita l’indignazione” di tutto il popolo italiano?
Il diritto alla vita e il diritto al lavoro sono salvaguardati dalle istituzioni e dalle società produttive private?
I valori fondamentali della società (la persona umana, la famiglia, la sussidiarietà, la solidarietà) passano in secondo luogo nel sistema Stato – mercato che impone le proprie concezioni individualistiche nell’attuale mondo globalizzato, dove le regole del mercato non tengono conto della dignità della persona umana.
Nel mondo del lavoro, anche nei settori in forte sviluppo, conta la competizione e la produttività, cioè l’orientamento culturale è favorevole sempre di più all’individualismo e al privatismo, a scapito di coloro che hanno soltanto le proprie braccia per provvedere a se stessi e alle proprie famiglie.
Il Presidente della Repubblica fa appello alla responsabilità di tutti quelli che devono vigilare sulla incolumità dei lavoratori. La loro dignità e il loro diritto alla vita sono compromessi dalla concezione privatistica della responsabilità che porta alla deresponsabilizzazione delle persone e delle istituzioni che determinano il sistema socio-economico del paese.
Lo Stato è il primo responsabile di tutta la politica del lavoro, cioè è il datore di lavoro indiretto che deve provvedere all’emanazione delle leggi che disciplinano il settore lavorativo. Le attività delle società produttive, direttamente responsabili perché determinano i contratti e i rapporti di lavoro, esigono una politica che garantisca il rispetto degli inalienabili diritti delle persone.
La giustizia nei rapporti lavoratore-datore di lavoro non solo si attua con una equa remunerazione, ma anche e soprattutto con una legislazione che assicuri la vita e la salute dei lavoratori.
La difesa degli interessi esistenziali dei lavoratori in tutti i settori produttivi è resa possibile soltanto da uno Stato che dispone di istituzioni che considerano la persona umana come soggetto del lavoro e non come “merce” per aumentare la ricchezza del paese.
La responsabilità primaria in una società civile e politica spetta all’autorità politica, intesa come funzione essenziale senza la quale la persona umana non può acquisire il bene comune, indispensabile alla sua vita e a quella di tutta la società civile.
Il compito delle persone, investite di potere politico, è quello di emanare una legislazione che garantisca un’ordinata convivenza sociale nella vera giustizia perché tutti i lavoratori possano trascorrere una vita dignitosa. La legge civile deve assicurare soprattutto i diritti fondamentali che appartengono alla persona. Primo e fondamentale tra tutti è l’inviolabile diritto alla vita del lavoratore che presta la sua opera per il bene proprio e della sua famiglia.
Le morti bianche sono un problema che lo Stato deve risolvere perché la sicurezza del lavoro umano è essenziale per la vita stessa della comunità civile. Il lavoro è una dimensione fondamentale dell’esistenza dell’uomo che rimane sempre il soggetto della sua attività e di qualsiasi prodotto che ne scaturisce. In questa dimensione soggettiva c’è il fondamento della dignità del lavoro umano. Il primo fondamento del valore del lavoro è l’uomo stesso che ne è l’artefice.
Lo stillicidio delle morti nei luoghi di lavoro è indice che il valore della vita dell’uomo e la dignità del suo lavoro non sono tenuti nella giusta considerazione perché passano in secondo ordine nella concezione materialistica ed economicistica di coloro che appartengono alle istituzioni e alle società produttive. Per loro il lavoro è trattato come una specie di “merce” che il lavoratore vende al datore di lavoro.
Il lavoro è un bene essenziale perché con esso l’uomo realizza se stesso ed espleta la sua libertà nella comunicazione con gli altri per la creazione del bene comune, necessario al benessere materiale e spirituale della società civile. L’operaio ha anche una vita familiare che è un suo diritto e una sua vocazione naturale. La sua attività è condizione per la nascita e il mantenimento della famiglia, ritenuta cellula primordiale di tutta la comunità civile. La perdita del salario del capo famiglia mina alla radice l’unità fondamentale della stessa società.
Le continue morti bianche creano un conflitto tra il mondo del lavoro e il mondo dell’impresa commerciale e industriale. Il responsabile di questo scontro sociale è lo Stato che non salvaguarda la coesione sociale e permette la nascita di una contraddizione tra sviluppo economico e il fondamento della comunità, perché consente l’inversione dei valori che sono alla base della comunità civile. La dignità della persona e della famiglia passa in secondo ordine rispetto alla produzione dei beni economici.
L’esigenza di creare ricchezza e sostenere la competizione nel mondo globalizzato non può tralasciare la preminenza dei valori essenziali e il mantenimento della coesione sociale, cioè non può tralasciare di proteggere la vita dell’uomo, soggetto inalienabile di tutte le attività sociali.
I responsabili delle istituzioni e delle organizzazioni devono evitare di esaltare la competitività. La richiesta di produrre sempre di più e in fretta, in qualsiasi momento del giorno e della notte, riduce gli operatori del lavoro manuale a semplice "merce di scambio" o di "forza lavoro" che ha lo scopo di produrre una ricchezza che disconosce i principi fondamentali della società:la persona umana, la famiglia, la sussidiarietà e la solidarietà.
Il valore del lavoro umano, che è tale perché caratteristica essenziale di ogni persona e bene fondante di ogni sviluppo sociale, non può essere calpestato annullando ogni precauzione per la salvaguardia della vita che lo rende possibile. Il benessere materiale perde significato se non si dà importanza alla dignità del lavoro, cioè la società ricca si disgrega e perde coesione se l’attività che genera ricchezza non è protetta da norme di sicurezza che vengono fatte rispettare dai responsabili dirigenziali delle imprese.
I sindaci piangono i loro concittadini, morti perché la loro vita è stata barattata per mantenere una competizione o per acquisire un maggiore profitto. Il loro lavoro è stato compromesso da uno Stato che scarica la sua responsabilità di datore di lavoro indiretto, cioè non provvede sussidiariamente dall’alto verso il basso a salvaguardare la vita delle persone con il dovuto controllo.
Se gli operai muoiono durante il lavoro è segno che i responsabili dei sistemi di sicurezza e dei controlli nelle organizzazioni imprenditoriali e aziendali sono soggiogati dal potere del mercato. L’attuale “Stato laico” non controbilancia la pressione competitiva dell’economia di mercato con l’azione dei pubblici poteri, cioè non assicura con il suo intervento diretto o mediato la vita ai cittadini che lavorano.
La globalizzazione, che mira soltanto al primato dell’economia e della finanza, scardina l’economia sociale di mercato, controllata dalle leggi che salvaguardano le varie attività che producono ricchezza e benessere. La liberalizzazione degli scambi commerciali e la deregolamentazione delle attività d’impresa dà riconoscimento a quei poteri forti del mercato globale che portano a considerare preminente la competizione tra i mercati nazionali e le varie imprese di profitto, spingendo all’estremo la competizione tra i soggetti dell’economia.
Lo sviluppo economico, derivante dalle idee economicistiche e materialistiche del mercato globale, dissolve i legami sociali, perché si basa sull'opera degli individui lavoratori, considerati semplici mezzi di produttività e non come persone, dotate di ragione e di libertà, cioè soggetti di ogni attività umana.
Lo Stato, che non difende i diritti e tra questi la vita stessa dei suoi cittadini, è laicista perché promette un benessere che non salvaguarda la dignità dei soggetti produttivi, cioè calpesta il loro diritto a vivere in sicurezza, reclamato dall’eticità stessa della comunità civile. La vita dei cittadini e di tutta la società dipende da come è concepito l’essere umano che crea la ricchezza del suo popolo, cioè il bene comune di tutta la società.
Le concezioni individualistiche degli esponenti di governo e dei dirigenti della produttività evidenziano un laicismo che impedisce di provvedere al bisogno essenziale dei cittadini, cioè alla loro esistenza in sicurezza nel settore del lavoro.
La ragione e la libertà degli operai è sottomessa al “fondamentalismo del mercato” che esige il massimo dagli operai con il minimo costo di produzione.
Il modello dell’utilitarismo, del calcolo economico fine a se stesso, del funzionalismo del sistema Stato – mercato si concretizza in una corsa alla competizione e al massimo della produttività, calpestando il valore di fine e di essenza dell’essere umano, cioè la sua libertà di vivere.
Il problema? La politica è sostituita dall’economia che amministra gli uomini soltanto come mezzi di produzione. L’economicismo spinge alle conseguenze di insicurezza della vita di chi è costretto a vivere nel rischio e nella fatica quotidiana del lavoro manuale .
Gli ordinamenti democratici dello Stato non possono essere soggiogati dal relativismo etico di coloro che non considerano essenziali, per il bene comune della società, i veri valori del popolo italiano che sono la dignità della persona umana che lavora, il mantenimento della sua famiglia, la sussidiarietà nel controllo dell’applicazione delle norme e la solidarietà sociale.
Le leggi devono assicurare per tutti i lavoratori il rispetto dei diritti fondamentali degli operai. Il più importante è l’inviolabile diritto alla vita. Le morti bianche non sono una “fatalità” ma fenomeni che possono essere evitati con la corretta applicazione della normativa stabilita per i luoghi di lavoro.
La sopravvivenza stessa della società civile esige il ripristino, a qualsiasi livello produttivo ed economico, dell’etica nel lavoro dell’uomo, cioè la salvaguardia di tutti i suoi diritti ed un controllo costante dei dispositivi di sicurezza che assicurino l’integrità fisica dei lavoratori.
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