martedì 23 dicembre 2008

MERCANTI VENEZIANI A COSTANTINOPOLI Cap. XVI

Il mercato

I raggi del sole attenuano la luce del grande faro di Trebisonda. Le navi mercantili entrano nel porto, all’ora del rito mattutino, dopo il ritiro della grande catena posta all’imboccatura dell’approdo. Le guardie aprono i cancelli della città murata e le vie si riempiono di uomini e donne che si recano fuori le mura della città, per comprare la merce esposta sui banchi del grande mercato.
Gli ultimi animali da soma fanno sentire il battere cadenzato degli zoccoli dietro i loro conducenti che si affrettano per occupare il posto già assegnato sul grande spiazzo della compravendita.
I carovanieri arabi escono dalla moschea, dopo la recitazione dell’alba, tirano i cordoni delle tende e mostrano i prodotti dell’Oriente che i cammelli hanno portato dalla città di Tabriz.
Le barche dei pescatori sono tirate sull’arenile e il pesce è in vendita sui banchetti. Le popolane fanno sentire le loro voci per la trattazione del prezzo delle acciughe.
Le mercanzie sono scaricate, sotto il controllo vigile dei gabellieri, per il deposito nei magazzini o la vendita diretta.
L’amministrazione imperiale riempie le sue casse con le imposte, determinate in percentuale, per ogni oggetto di commercio. Il giusto dovuto è stabilito con apposite tabelle, fissate sulle pareti dell’edificio della dogana.
Il governatore della colonia veneziana ha il suo ufficiale nell’edificio della riscossione delle tasse, per far rispettare le norme del diploma dei privilegi concessi dal basileus alla Repubblica di Venezia. Una piccola parte della percentuale è fissata per il mantenimento del suo ufficio di rappresentanza. I suoi concittadini sono sempre sicuri di aver garantiti i propri privilegi mediante la sua intercessione.
Il duca imperiale provvede alla sicurezza di tutto il distretto commerciale adiacente all’area portuale. Le sue guardie, costituite da guerrieri delle lontane regioni del Nord, sorvegliano a cavallo e a piedi gli edifici costruiti tra l’approdo delle navi e le mura della fortezza esterna. Gli ingressi alla città murata sono sotto il loro controllo. La vigilanza prevede anche l’impiego di uomini fidati del popolo, per ascoltare e riferire tutto quello che può interessare il governo della città.
Il prefetto, granduca di Alessio, è responsabile di tutto quello che avviene all’interno delle mura e si avvale anche della collaborazione del presidio per la sorveglianza esterna.
Il basileus di Trebisonda, coadiuvato dai suoi cavalieri più fidati, governa ed osserva, dall’alto della grande torre del suo castello, la magnificenza dei palazzi, edificati dai ricchi mercanti della sua città.
Teodora Cantacuzena ama scendere con la carrozza imperiale dal suo palazzo fortificato ed attraversa la città per recarsi al mercato. Il suo passaggio è salutato con gioia dalle donne che sventolano fazzoletti colorati e dagli uomini che si inchinano con devozione alla vista della loro imperatrice. Il popolo manifesta la sua riconoscenza alla consorte dell’imperatore che fa prosperare e governare in pace la città.
Le principesse, ciascuna con un proprio seguito di damigelle e di paggi, scendono su docili cavalli, condotti per mano dai servi della casa, per acquistare i monili esposti sui banchi dei mercanti della Georgia.
Anche Maria scende con il suo destriero dalla reggia di suo padre, per accompagnare Marco e Francesco tra i venditori arabi di seta. Prima di avviarsi all’appuntamento, la fanciulla entra nel tempio della cupola dorata dedicato alla Vergine.
Il metropolita fa scendere su di lei e il suo augusto genitore la benedizione della Santa Sapienza. Il basileus si raccoglie in preghiera per decidere sul futuro del suo regno e per chiedere un consiglio al suo confessore, al fine di dare la risposta all'ambasciatore di Manuele II Paleologo.
Il primate religioso della città avverte le stesse preoccupazioni del patriarca Giuseppe II al quale è unito nel magistero della Grande Chiesa di Costantinopoli.
Due uomini di scorta attendono l’uscita della principessa per accompagnarla e proteggerla nel grande mercato, dove affluiscono i guerrieri turcomanni per vendere i loro prodotti e per cercare le belle fanciulle della città.
Ser Francesco Filelfo e i suoi accompagnatori hanno trascorso la notte nel palazzo del bailo della Serenissima, edificato all’interno delle mura della città bassa. Il governatore della colonia veneziana ha fatto preparare un all’alloggio sontuoso per gli inviati dell’imperatore di Costantinopoli.
L’ambasciatore, in attesa della risposta del Gran Comneno, partecipa alla riunione straordinaria del Consiglio del bailo e fa presente le raccomandazioni di ser Emo: “Proteggere le navi commerciali con le galee ben armate dalla pirateria turca che infesta il Ponto Eusino e il mar Egeo. I mercanti che percorrono le vie carovaniere dell’Asia Minore devono sottoporsi alla protezione degli emiri turcomanni e offrire loro ricchi doni per il passaggio delle spezie e delle stoffe pregiate. Il piano di difesa delle merci trasportate per mare e per terra comprende il sostegno all’imperatore di Costantinopoli contro l’invasione degli Ottomani”.
I due giovani mercanti hanno il permesso di poter esercitare il loro piccolo commercio con l’aiuto della principessa Maria. Il luogo stabilito per l’incontro è il cancello del muro perimetrale che permette l’accesso alla spianata orientale della zona portuale.
Anche gli altri componenti dell’impresa commerciale, che hanno viaggiato sulla nave dell’ambasciatore, convengono al luogo prefissato. Il prodiere Virgilio, la tessitrice Trixobostrina, il tintore Nicola, agente del mercante arabo Muhammad, escono dall’albergo e si avviano a piedi verso la porta della città.
“Vi stavamo aspettando, seduti su questo muretto – esclama Virgilio, appena vede arrivare Marco e Francesco – per recarci dai venditori arabi della seta grezza. Siamo impazienti di andare dai mercanti. Dobbiamo arrivare prima degli altri acquirenti, per scegliere la merce migliore. I marinai della nave ci hanno riferito che la galea è pronta a partire in qualsiasi momento per riportare l’ambasciatore a Costantinopoli”.
“Non aver fretta – dice Marco – e preoccupati di scorgere in mezzo alla folla la nostra protettrice, la principessa Maria. La figlia dell’imperatore conosce il mercante che ci può offrire la migliore merce al prezzo di mercato. La sua presenza è necessaria per non essere raggirati come inesperti della compravendita con i mercanti arabi.
La basilissa ha consigliato a sua figlia di chiedere per noi la protezione di un emiro turcomanno, un principe che risiede a Bagdad ed è fratello di Iskander, capo tribù delle Pecore Nere, che ha conquistato l’Armenia e la Mesopotamia. Tutte le carovane arabe passano per Tabriz, capitale del suo regno. I mercanti dell’Est portano ricchi doni alla suo palazzo ed in cambio ottengono il lasciapassare per giungere fino a questo mercato.
I Turcomanni sono i nuovi padroni dell’Asia Minore e pretendono dai Comneni il tributo che il basileus Manuele III pagava ai khan mongoli di Samarcanda. La loro amicizia è indispensabile per far passare le merci che attraversano le montagne dell’Est o giungono per il deserto, provenienti dai mari dell’India e dell’Arabia”.
“Io sono un remigio di San Marco – afferma il prodiere – e conosco soltanto quello che vedo o sento da chi mi passa vicino. Una principessa con abiti sontuosi, so distinguerla da lontano”.
“Una nobildonna che si reca al mercato – continua Marco - veste in modo sobrio per camminare con più speditezza fra le popolane ed avvicinarsi ai banchi di vendita senza creare scompiglio o meraviglia. Il rango di una nobildonna è riconoscibile soltanto dalla finezza dei lineamenti e dalle sue movenze leggiadre”.
“Un uomo di mare – replica Virgilio – è abituato a conoscere la gente dei mercati e a riconoscere i costumi locali per potersi muovere liberamente e non essere considerato uno sconosciuto che non sa condividere le usanze del popolo. Un donna è sempre riconoscibile sotto qualsiasi abito, per le parti tondeggianti del suo corpo”.
“Comunque stai attento – dice Marco – e non pensare alla partenza della nave. La galea potrà partire soltanto quando ser Filelfo avrà una risposta dal Gran Comneno. L’impero di Trebisonda è soltanto un piccolo regno commerciale, circondato da emiri turchi ben armati. La sua esistenza è legata al consenso dei vicini che sono interessati a non provocare il sultano di Adrianopoli che dispone di un esercito in grado di occupare tutta l’Asia Minore. Il basileus ha bisogno di tempo per ponderare con calma la sua decisione e noi frattanto acquistiamo la seta”.
“Come può una giovane donna di corte – dice Trixobostrina – conoscere ciò che è giusto per un mercante di seta grezza? La merce ha un costo che comprende non solo il lavoro di chi l’ha tratta dai bozzoli del baco ma anche le fatiche e i pericoli dei trasportatori che hanno rischiato la loro vita attraversando fiumi e percorrendo territori impervi e deserti”.
“La presenza di Maria Comnena – sostiene Francesco – è per noi un motivo di orgoglio che ci fa capire quanto importante sia per la sua famiglia la presenza dei commercianti veneziani. La sua premura è l’espressione della stima che ha suo padre per noi".
"Durante il ricevimento di ieri - racconta il giovane - il basileus ha detto: " I governanti del popolo di San Marco riconoscono che il basileus ha il diritto di riscuotere le tasse sulle mercanzie importate in città e su quelle caricate sulle navi.
Le altre signorie dell’Occidente pretendono privilegi senza corrispondere il giusto tributo sui commerci. I loro mercanti compiono soprusi e pretendono di entrare nel porto della città soltanto perché dispongono di navi in grado di affondare le nostre galee.
Il senatori veneziani inviano le loro navi per presidiare l’approdo di Trebisonda e per far rispettare le norme commerciali. Ai mercanti della Serenissima Repubblica congedo sconti percentuali sui tributi, facilitazioni per l’apertura di ingenti crediti commerciali e per la circolazione delle loro monete. La mia amministrazione è sempre ben disposta a esaudire tutte le loro istanze. Trebisonda sarà sempre riconoscente a coloro che si battono per la difesa del suo impero”.
“Noi siamo qui – bisbiglia il tintore Nicola, rivolto alla tessitrice - perché il nostro basileus non è più in grado di assicurare il flusso delle materie prime per rifornire i laboratori delle varie arti, esercitate da tanti secoli dal suo popolo. Questa città prospera grazie all’azione accorta ed equilibratrice del Gran Comneno che dà le sue figlie in sposa agli emiri turcomanni. I veneziani sono diventati ricchi rischiando le loro vite sulle le navi che trasportano le mercanzie attraverso il Ponto Eusino.
Non viviamo più tranquilli con la manifattura che ci è stata tramandata dai nostri avi. Non abbiamo esperienza della mercatura ed abbiamo lasciato i nostri cari lontano. Quale sarà il nostro futuro?”.
“Io penso a mia figlia – risponde a bassa voce la donna – e sono preoccupata perché è in età da marito e nessun uomo le è accanto per proteggerla. Tua moglie, essendo vicini di casa, senza dubbio le può dare qualche consiglio per tenere a bada i pretendenti focosi. La mancanza del padre, morto per difendere la nostra città, è costantemente avvertita dalla sua anima che manifesta, attraverso le parole, un profondo dolore per la sua perdita”.
“Laimorosina non è più una bambina – afferma il tintore – ed è cresciuta nell’affetto dei suoi genitori. Noi siamo popolani, artigiani che lavoriamo rispettando le regole della manifattura e viviamo secondo i principi che ci sono stati tramandati dai nostri genitori”.
“Una volta - sostiene la popolana - l’imperatore provvedeva ai bisogni delle famiglie con abbondanti approvvigionamenti di derrate e rifornimenti per i laboratori. La nostra fede sembrava solida perché il basileus ci garantiva l’esistenza del bene comune, cioè ognuno si sentiva appagato nei suoi desideri al rango di appartenenza. La sua immagine, portata nelle processioni, era venerata accanto alle sacre icone, perché rappresentava la Provvidenza che elargiva una vita serena ai suoi figli tramite il suo operato.
La prosperità dell’industria della seta ci dava speranza per il futuro. La manifattura mi permetteva di accantonare dei risparmi per la dote di mia figlia. Mio marito, quando era in vita, pensava di ingrandire il nostro laboratorio e di comperare altri telai per la tessitura della seta. Il monopolio imperiale della porpora mi garantiva degli iperperi che investivo con l’acquisto di fili d’oro per intrecciarli con la seta. I miei tessuti servivano per confezionare i vestiti degli amministratori delle Blacherne”.
“La realtà presente – interrompe Nicola – ci costringe a prendere l’iniziativa del rifornimento della seta grezza, acquistandola direttamente a Trebisonda. Non siamo commercianti e non intendiamo rivendere la materia prima ma lavorarla, per il confezionamento delle vesti pregiate. Sappiamo conoscere il prodotto che compriamo perché lo lavoriamo ogni giorno e ne saggiamo la qualità con il telaio e con la tintura. La nostra esperienza dell’arte del tessere e del tingere le stoffe di seta ci permette di non essere raggirati dai mercanti e di parlare con competenza”.
“Non è mio mestiere – replica la donna - trattare il prezzo giusto con gli arabi. Non sono abituata ai viaggi in mare, rischiando di annegare o di essere fatta schiava dai pirati. La mia condizione, di donna che viaggia per affari, attira l’attenzione dei viaggiatori e mi costringe a stare rintanata nella stiva con l’olezzo che proviene dai rematori.
Sono qui soltanto per assicurare una dote a mia figlia e per conservare l’attività del laboratorio che mi è stato tramandato dai miei genitori. Fin da bambina mi hanno insegnato ad essere brava al telaio e i miei sogni erano legati alla produzione dei tessuti. Ho imparato la mia arte stando vicino a mia madre e riproducendo i suoi stessi gesti con lo sguardo compiaciuto di mio padre che mi augurava di trovare un marito abile come lui all’acquisto del filo di seta più pregiato”.
“Non serve a nulla – afferma il tintore – rimpiangere il passato. La nostra arte non tramonta mai perché ci sono sempre nuovi ricchi che vogliono coprirsi con vesti di seta. Fuori le mura della città, vicino, a questo grande mercato, vediamo uomini e donne che indossano indumenti ricchissimi. La loro lingua e la loro pelle è diversa dalla nostra ma dimostrano di possedere ingenti ricchezze, perché portano vistosi ornamenti d’oro.
Una volta la nostra città imponeva i suoi tributi a tante genti e accumulava tutto l’oro del mondo. Oggi Trebisonda risplende con le sue cupole d’oro ed è diventata un grande emporio dell’Asia Minore, sostituendosi a Bagdad, la capitale dell’impero arabo conquistata dai turchi e distrutta dai mongoli. I nomadi delle steppe sono i nuovi signori delle città. Gli antichi imperatori devono rendere omaggio ai nuovi padroni che vogliono superare la sontuosità dei loro palazzi e sfoggiare vesti ricchissime. Il nostro futuro dipende dai principi turchi ai quali lo stesso Gran Comneno deve la sua ricchezza”.
“Io non so ancora distinguere – afferma la donna – tra i guerrieri che assediano la nostra città e gli amici del basileus di Trebisonda. So soltanto che i musulmani recitano il Corano ed elogiano il profeta Maometto. Alcune mie amiche, tessitrici del quartiere di Sant’Eufemia, hanno detto di aver fatto dei buoni guadagni, vendendo le stoffe di seta ai mercanti del quartiere turco. I loro principi, invitati ai banchetti dei ricchi amministratori imperiali, circolano per il ricco quartiere delle Blacherne con molti servi vestiti di tuniche di seta”.
“Costantinopoli è il luogo dove dimora la Santa Sapienza – sostiene Nicola – e dove risiede il rappresentante in terra dell’Onnipotente. Tutti i grandi guerrieri sognano di conquistarla per dominare il mondo. Il sultano di Adrianopoli è il capo di un grande esercito e spera di sostituirsi al basileus per diventare il nuovo imperatore dei Romani e governare l’Occidente e l’Oriente.
I condottieri musulmani, per dimostrare di essere forti e potenti, dicono sempre : “Andiamo alla città, c’è oro per tutti”. Il loro desiderio di ricchezza è alimentato dai racconti dei mercanti arabi. La loro narrazione non è più reale perché l’imperatore non riesce più a sfamare il popolo con le industrie della seta e le tasse sul commercio servono a pagare i mercenari.
Le strade del quartiere di Sant’Eufemia non sono più animate come quando si aprivano le porte dell’ippodromo e i giocatori puntavano le loro fortune sui focosi cavalli da corsa. Le tessitrici di seta degli opifici imperiali non fanno più sentire i loro canti giovanili all’approssimarsi del matrimonio. I telai sono fermi e le operatrici hanno trovato lavoro nei palazzi degli amministratori governativi.
Gli artigiani offrono i loro servigi ai mercanti stranieri che riempiono e svuotano i loro magazzini nelle vicinanze della cerchia muraria marittima. La nostra città si sta svuotando e gli abitanti cercano di trovare rifugio in Occidente, dove prosperano le arti e i principi mecenati offrono denaro contante a coloro che sanno abbellire le loro dimore con gli arazzi di seta”.
“Io non fuggo dal paese – esclama la donna - dove i miei genitori mi hanno insegnato ad esistere per concretizzare i propri desideri. La famiglia è tutto quello che ho di più caro e per essa sono disposto anche ad affrontare i pericoli del mare. Chi lascia la patria per mantenere la famiglia, desidera ritornarvi al più presto per vedere realizzati i sogni della propria vita.
Mio marito è morto, ucciso dai guerrieri turchi, ma la sua immagine vive in me e in mia figlia per la quale continuo a sperare in un futuro migliore. Le promesse nuziali si mantengono anche quando uno dei coniugi muore. Chi rimane provvede ad allevare la prole secondo la legge che ci è stata tramandata dai nostri padri”.
“Guardate quei due cavalieri che seguono quella cavallerizza dai biondi capelli – esclama il prodiere, indicando con la mano la loro provenienza da Ovest – ed ascoltate le urla gioiose della folla”.
“È la figlia del Gran Comneno – esclama Marco – che ci aiuterà nell’acquisto della seta. La principessa Maria cavalca come un uomo e porta un piccolo scudo su cui è raffigurata un’aquila bicipite”.
I due mercanti veneziani, insieme alla tessitrice, al prodiere e al tintore, sventolano, in una maniera convenuta, piccoli fazzoletti colorati per farsi riconoscere in mezzo alla folla.
L’incontro è festoso ed accompagnato dai saluti e dal rispetto dovuto ad una principessa. La nobildonna, coadiuvata dai suoi accompagnatori, lascia il cavallo in custodia al comandante della guardia della porta delle mura che si affacciano sul mercato del porto. La figlia del basileus, affiancata da Marco e Francesco con al seguito gli altri acquirenti e la scorta, si inoltra tra i banchi dei venditori.
“Il mercato all’aperto – afferma Maria – si tiene tutti i giorni feriali e in alcune domeniche ci sono le grandi fiere in onore dei santi. La merce, esposta sui banchi dei tessuti, rappresenta soltanto il campionario delle stoffe giacenti nei grandi magazzini, allestiti all’interno della cerchia muraria della città bassa.
I mercanti pagano somme ingenti ai ricchi che investono le loro fortune nella costruzione e nell’affitto dei locali destinati alla conservazione momentanea dei manufatti provenienti da tutta l’Asia.
Le potenze marinare dell’Occidente hanno stipulato un contratto con l’amministrazione imperiale per l’edificazione di fondaci fortificati al di fuori delle mura. La loro vicinanza al porto e alla zona del mercato è sempre oggetto di contesa. Chi ha il magazzino a portata di mano ha meno spese per il trasporto”.
“Noi siamo veneziani – esclama Virgilio – e dovremmo avere dei privilegi commerciali nell’acquisto della seta. I nostri mercanti ne hanno accumulato dei grossi quantitativi e potremmo acquistarla da loro a buon prezzo. Il costo del trasporto non dovrebbe gravare sulle loro spese perché carichiamo la merce sulla nostra galea”.
“Fidati della principessa – dice Francesco – e non pensare a chi ha comprato la merce per trarne un onesto guadagno. Ognuno ha diritto di essere ripagato per i propri sacrifici e di trarne il giusto compenso per le spese sostenute.
Il nostro privilegio è unico e irripetibile. Nessun diploma, scritto su pergamena, lo prevede ma è conferito sulla parola e scaturisce dal prestigio di una donna della casa imperiale. La sua disponibilità per i veneziani è frutto di buoni rapporti tra suo padre e la nostra repubblica. La reciproca comprensione, tra giovani che desiderano scambiare le loro esperienze, crea un vero legame di amicizia. Marco ed io seguiamo la principessa che si fa portatrice di istanze commerciali a nostro favore. La sua disponibilità scaturisce dalla nostra specifica situazione, cioè di far parte di un’ambasceria imperiale e di essere affidati al suo patrocinio, per ottenere dai mercanti arabi quelle agevolazioni previste per gli acquisti dei principi di Trebisonda”.
“La tua stima – esclama Maria, rivolta a Francesco – mi riempie di gioia e mi fa capire che i veneziani sanno apprezzare il sostegno di una donna negli affari di commercio, pur di raggiungere il vero scopo della compravendita, cioè acquistare la merce con il minor denaro possibile e rivenderla o trasformarla per ottenere un giusto guadagno”.
“A noi giovani – esclama Marco – non interessa l’utile commerciale per diventare ricchi ma ci preme stare assieme per manifestarci ed apprezzare gli sforzi degli amici che condividono le nostre aspirazioni.
La tua disponibilità ci rende felici perché condividi con noi un momento importante che è quello di sperimentare le nostre capacità di interagire con uomini e donne che hanno una storia diversa e si esprimono seguendo usanze tramandate da secoli attraverso le generazioni. La loro conoscenza arricchisce la nostra cultura e ci rende più sensibili ai costumi degli altri popoli”.
“Non dimenticarti di noi – interrompe il prodiere Virgilio – ed affrettiamo il passo perché qui i banchi dei mercanti di seta non finiscono mai. I venditori parlano in arabo e io non capisco le loro parole. Voi giovani volete spiegare tutto con le parole, mentre a me interessano le monete d’oro con cui vivere bene, stare con gli amici e raccontare la vita trascorsa”
“Chi è costretto a remare per vivere – esclama la tessitrice - pensa di trovare un tesoro, nascosto nelle case delle città costiere assalite dai pirati saraceni, per trascorrere il resto della vita gozzovigliando nelle taverne dei porti.
Le donne sfortunate sono costrette a mendicare sotto i portici dei luoghi sacri o servire le padrone delle ricche dimore della città.
Io ho imparato a tessere la seta in casa e i governanti della mia città non sono in grado di provvedere al normale afflusso delle materie prime. I miei genitori guadagnavano tanti iperperi d’oro, stando seduti al telaio, invece sono costretta a navigare, stando nascosta nella stiva di una nave, e a passare, con la testa coperta di veli, in mezzo ai guerrieri turcomanni, per comprare il filo di seta”.
“Non farti sentire dalla principessa – sussurra il tintore Nicola, rivolto alla tessitrice – e segui la figlia del basileus di questa città. Siamo in buone mani e potremo portare a casa tanta seta grezza, usufruendo della franchigia imperiale e della protezione del Leone alato di San Marco”.
“Non farti delle illusioni – risponde sottovoce la donna - e ricordati che la fanciulla ci aiuta perché è affascinata dai veneziani. I giovani mercanti provengono da famiglie nobili dell’Occidente ed hanno la capacità di meravigliare con le parole e gli atteggiamenti le donne che vivono nelle fortezze. Il Gran Comneno è un signore che tiene la famiglia isolata su un colle e le sue figlie sono circondate da nutrici accorte a salvaguardare il loro onore. I loro custodi sono eunuchi preposti alla loro sicurezza e le seguono quando escono dalle loro stanze. Ogni fatto che riguarda le principesse imperiali viene riferito al granduca della casa, consigliere dell’imperatore. Anche noi siamo sotto il controllo di uomini fidati del prefetto della città”.
“Avviciniamoci di più ai nostri amici – consiglia Nicola – e seguiamoli in silenzio senza aver paura”.
“Affrettiamoci – dice la tessitrice – e teniamo il loro passo, altrimenti rischiamo di perderci in mezzo alla folla”.
Sul lato Est del muro della città, emerge un piccola collina che sovrasta la valle dei conciatori, percorsa dal fiume che scende dalle montagne del Ponto. Un grande ponte di legno la collega all’area del grande mercato di Trebisonda.
I padiglioni del principe turcomanno spiccano per i loro colori e per le insegne della tribù delle “Pecore Nere". I cammelli e gli altri animali da soma sono sistemati al coperto in attesa di ritornare ai mercati dell’Oriente. I cavalli dei guerrieri pascolano nei recinti dell’accampamento del signore delle montagne. I suoi servi preparano le vivande di carne allo spiedo per gli ospiti della festa serale.
I mercanti arabi vengono ricevuti dall’emiro dopo il mercato, per il pagamento dei tributi di passaggio e per ricevere il lasciapassare di transito che consentirà alle carovane di attraversare il dominio dell’emiro Iskander, capo della tribù turcomanna dei “Kara Koyunlu” che in Occidente dicono: “I Turchi delle Pecore Nere”.
La capitale del suo regno è Tabriz, città persiana, divenuta centro commerciale e carovaniero dopo la distruzione di Bagdad per opera dei mongoli. Il fratello del capo turcomanno, Jahan Shah, emiro della Mesopotamia, ha sposato la figlia del basileus di Trebisonda. Il suo incarico è quello di riscuotere i tributi dei mercanti che attraversano le montagne armene per portare la seta dall’impero del Khan dei mongoli fino al Ponto Eusino.
I "Kara Koyunlu", una volta pastori delle steppe asiatiche messi in fuga dalle orde di Gengis Khan, hanno conquistato il territorio degli Armeni e si sono impossessati delle terre persiane del grande impero dei Mongoli. Il loro eroe, vincitore del khan di Samarcanda e di Herat, è stato Qara Yusuf, padre di Iskander, che ha preteso dal Gran Comneno il tributo dovuto a Tamerlano.
I Turchi, nomadi disposti a combattere e a servire gli Arabi e gli imperatori di Costantinopoli nei primi secoli del secondo millennio, sono stati sospinte ad Ovest dai Mongoli e si sono insediati nelle terre che appartenevano all’Impero Romano d’Oriente. I loro capi, feroci guerrieri abituati a difendersi dalle orde mongole e sopraffare qualsiasi resistenza degli imperatori di Costantinopoli e dei sultani arabi, hanno costituito una miriade di emirati in Asia Minore.
Gli Ottomani, chiamati dal basileus dei Romani per difendere le sue propietà o per sostenerlo durante le guerre civili, hanno abbandonato le loro istituzioni tribali ed hanno costruito un nuovo impero con capitale Adrianopoli, città dell’antica Tracia. Il loro sultano, Murad II, ha assediato la città di Costantino e mira a imporre la sua volontà agli emiri dell’Anatolia. Il grande mercato della città dipende dagli approvvigionamenti che arrivano con le navi e le vie commerciali tra l’Occidente e l’Oriente passano per l’emporio di Trebisonda, dove affluiscono e partono le merci.
L’Asia Minore è contesa dall’imperatore ottomano, dai capi tribù turcomanni delle “Pecore Nere” che si sono insediati a Tabriz e da quelli delle “Pecore Bianche” che si sono insediati a Diyarbakir, l’antica Amida sulle sponde del fiume Tigri. La loro egemonia è minacciata ad Est dai Khan mongoli di Samarcanda che vogliono riprendere i territori conquistati da Tamerlano. I signori dell’Occidente inviano i loro diplomatici con ricchi doni alla corte del sultano ottomano e alle residenze degli emiri turchi per ottenere il lasciapassare dai nuovi padroni delle strade, percorse dalle carovane cariche di spezie, di seti pregiate e di pietre preziose provenienti dalla Cina e dall’India.
Il Gran Comneno di Trebisonda deve compiacere con tributi e ricchi doni ai signori della guerra che controllano le vie di comunicazione che permettono di alimentare la sua città. La sua arte di intermediario tra le varie contese è celebrata con feste matrimoniali allietate con lo sposalizio delle sue figlie e dei principi turchi.
Il grande palazzo del basileus, sormontato da una grande cupola coperta di lamine d’oro, è frequentato dai figli degli emiri turchi che salgono il colle della fortezza comnena con la speranza di scegliere la principessa più bella e portarla nei loro sontuosi palazzi.
Le strade della città vengono cosparse di fiori quando le figlie dell’imperatore partono per il viaggio d’amore e di speranza. Il loro passaggio, al fianco di uno sposo turco, è considerato dai Trapezuntini di buon auspicio per il mercato perché invoglia le donne ricche della tribù turca del nuovo genero del Gran Comneno a comprare le stesse stoffe preziose e i gioielli della moglie del loro principe.
Una sorella della principessa Maria è entrata a far parte della grande famiglia delle “Pecore Nere” il cui capo domina tutta le regione attorno al grande emporio di Trebisonda. I mercanti arabi delle stoffe e dei gioielli fanno affari d’oro con i nuovi signori del territorio che vogliono emulare il fasto del palazzo del basileus.
Il piccolo tratto di strada che dal mercato conduce all’accampamento dell’emiro è gremito di uomini e donne turcomanne che rendono omaggio al loro principe e si presentano al suo cospetto coperti di vestiti di seta, confezionati dai sarti della città.
L’emiro Jahan Shah è stato già avvertito dell’arrivo della figlia di Alessio e l’attende insieme alla sua consorte che per l’occasione ha adornato il petto e il capo con le pietre preziose ricevute in dono dal suo sposo. Gli orafi della città hanno confezionato i gioielli della trapezuntina secondo le prescrizioni del tesoriere turcomanno.
Le mogli dei principi turchi hanno il dovere di vestire secondo le usanze della tribù di appartenenza. I colori degli indumenti e i monili delle donne indicano la loro appartenenza alla famiglia del capo eletto dagli anziani dei "Kara Koyunlu".
Le insegne delle “Pecora Nere” son inalberate sulle aste ai bordi dell’accampamento il cui accesso è presidiato da guerrieri con le armature brunite. Il consigliere dell’emiro, Yusuf di Shirvan, attende all’ingresso dell’accampamento la principessa imperiale Maria per accompagnarla fino alla sontuosa tenda da campo dell’emiro. Il percorso è cosparso di ghiaia di fiume e di fronde per agevolare il cammino dell’ospite che si reca al cospetto del signore di Bagdad e di vasti territori della Mesopotamia.
La figlia del Gran Comneno e i suoi amici vengono scortati con grande onore e introdotti al cospetto di Jahan Shah e di sua moglie, adagiati su grandi cuscini al centro del padiglione adornato con drappi di seta e tappeti di Tabriz.
“Tua sorella ed io – esclama l’emiro – abbiamo appreso dal nostro tesoriere che dei giovani mercanti, membri dell’ambasceria imperiale del basileus di Costantinopoli, vogliono acquistare un grosso quantitativo di seta grezza. Tuo padre, durante il ricevimento dell’altro giorno, mi ha consigliato di agevolare i loro acquisti per permettere una rapida partenza della nave che inalbera il vessillo della Repubblica di San Marco”.
“Sono venuta – risponde Maria – per salutare mia sorella e il suo sposo prima della loro partenza per il palazzo di Bagdad. Mio padre mi ha incaricato di dirti che ti aspetta a palazzo nella prossima primavera per vedere il suo nipotino che nascerà fra qualche mese”.
“Le nebbie autunnali – afferma l’emiro – penetrano nei padiglioni ed il fuoco dei bracieri non riesce a riscaldare l’interno delle tende da campo. La dimora che ho fatto erigere nella nuova città di Bagdad potrà accogliere degnamente il mio primo figlio. Mia moglie è sempre presente nell’accogliere i mercanti delle grandi città che versano i tributi e a festeggiare gli anziani della federazione delle “Pecore Nere” che vengono a rendermi omaggio”.
“L’attesa del primo figlio – sostiene la principessa – richiede una maggiore quiete per mia sorella, abituata a vivere negli alloggi del palazzo imperiale di suo padre”.
“Le tue premure – dice il turcomanno – fanno commuovere mia moglie. I giorni del parto sono ancora lontani e la mia partenza è affrettata per partecipare al grande consiglio della mia tribù. La vicinanza alle frontiere del sultano Murad II preoccupa i capi famiglia. Gli Ottomani vogliono estendere il loro dominio sugli emirati vicini. Mio fratello, l’emiro Iskander ha indetto a Trabriz una riunione dei capi tribù. La via commerciale per Smirne sarà chiusa ai mercanti e le carovane saranno tutte dirottate su Trebisonda. Gli emirati di Izmir, Aydin, Antalya, Alanya, Karaman potrebbero passare sotto il controllo dell’emiro di Bursa che dipende dal sultano di Adrianopoli. Tutta la costa occidentale e meridionale dell’Anatolia rischia di passare sotto il dominio ottomano”.
“Mio padre - afferma la giovane comnena – è rimasto turbato dopo aver sentito l’ambasciatore ser Francesco Filelfo. I capi famiglia dei quartieri periferici di Costantinopoli vanno in processione al convento della Vergine Peribleptos e invocano l’intervento del basileus Manuele II per riattivare il monopolio imperiale della lavorazione della seta. Il patriarca non riesce più a sfamare i poveri con le rendite immobiliari della Grande Chiesa ed è costretto a chiedere aiuto ai vescovi delle altre città.
I corrieri imperiali riferiscono che il vecchio imperatore digiuna ogni giorno e si teme per la sua salute. I grandi ceri della cappella imperiale del convento sono accesi anche durante la notte per consentire all’ospite imperiale di pregare per la salvezza della città”.
“Il basileus di Trebisonda – sostiene l’emiro – non ha nulla da temere perché la sua città prospera e può mostrare con orgoglio le sue cupole dorate. Mio fratello ed io siamo sempre pronti a scendere in campo per difenderla. I mercanti continuano a riempire i loro magazzini all’interno delle mura della città e ogni giorno il mercato mostra i banchi pieni di merce pregiata proveniente dal paese del Gran Khan e dall’India. Le tende del mio accampamento sono ricolme di merci donate dai mercanti facoltosi. I miei servi non riescono più a tenere il conto delle pezze di stoffa pregiata e mi chiedono di rivenderle al più presto per alleggerire i cammelli pronti a partire per Mosul e Bagdad.
Le casse e i forzieri sono ricolmi di monete d’oro e d’argento che saranno trasportati a Tabriz per la costruzione dei grandi palazzi e per gli armamenti dei guerrieri turcomanni. La fonte della nostra ricchezza è questo mercato governato da tuo padre a cui si accede soltanto con il lasciapassare dei "Kara Koyunlu". Mio padre ha sconfitto le schiere mongole per creare il suo dominio ed io sfrutterò questa vittoria stringendo un patto di amicizia con il Khan di Herat per ingrandire il regno delle “Pecore Nere”verso Occidente e frenare le mire egemoniche degli Ottomani”.
“Prima di affrontare il sultano – esclama la principessa – devi farti eleggere capo supremo dalla federazione della tua tribù e vincere tuo fratello Iskender a cui sei tenuto a consegnare le ricchezze accumulate con i tributi dei mercanti che si recano in questa città.
Mio padre ha stretto un patto con il tuo genitore e con il capo della tribù delle “Pecore Bianche” che occupano i territori che tu vuoi conquistare con l’aiuto del signore di Samarcanda”.
“Un nuovo patto – esclama il grande condottiero turcomanno – stipulerò con tuo padre e con tutti gli altri emiri dell’Asia Minore. La città di Tabriz diventerà più grande di Samarcanda e di Trebisonda. Tutte le mercanzie che arrivano via mare ad Ormuz passeranno per la capitale del mio regno e i mercanti non pagheranno più i tributi al sultano dei Mamelucchi. Il Gran Comneno ingrandirà il porto della città per accogliere le navi delle potenze marinare dell’Occidente”.
“I miei amici Marco e Francesco – dice Maria – mi hanno accompagnato per onorare la tua dimora e rendere omaggio alla tua sposa. La loro città è conosciuta in tutto l’Oriente. Mio padre riceve tanti doni dal doge della Serenissima Repubblica”.
“I tuoi amici – risponde l’emiro – sono anche miei amici e dirò ai miei servi di riempire la loro nave con le mercanzie più pregiate. Jahan Shah è il mio nome e Venezia saprà che anche un principe turcomanno sa essere generoso come il suo doge. Il mio tesoriere esaudirà ogni loro desiderio”.
Il padiglione si riempie di musici e di danzatrici della Mesopotamia per allietare gli ospiti. I servi portano dolci e bevande. I giovani mercanti partecipano all’allegria dell’ospite che dimostra di essere un guerriero ma anche un uomo aperto alla gioia e alla compagnia degli amici.
La principessa Maria viene accompagnata da Marco e Francesco fino alla porta della città per ritornare al palazzo di suo padre. Il loro saluto è festoso e carico di promesse.
I mercanti di Costantinopoli ritornano nei loro alberghi e passano tutta la sera a discorrere sulla lista di mercanzie lasciata al tesoriere dell’emiro. Le loro speranze si caricano di progetti per il futuro.
Il nuovo giorno porta a ser Filelfo la risposta del Gran Comneno e ai suoi amici la gioia di vedere la stiva della loro nave carica di seta e di spezie.
La galea veneziana riporta l’ambasciatore alla città della Santa Sapienza.