martedì 30 giugno 2009

LA SOCIETÀ CIVILE DEVE PROTEGGERE L'INFANZIA

MERCANTI VENEZIANI A COSTANTINOPOLI Cap. XVII

Gli aristocratici

La grande sala del palazzo imperiale delle Blacherne accoglie gli uomini più influenti di Costantinopoli. Dopo l’ora sesta, i raggi del sole penetrano dai finestroni e illuminano i seggi dei grandi dell’impero. Gli arconti e i funzionari del basileus accolgono in silenzio Giovanni VIII Paleologo, autarca designato e primogenito dell’imperatore Manuele II, colpito da grave malattia nel convento di Santa Maria Peribleptos. Il coimperatore è il comandante supremo di tutte le forze militari e a lui spetta ogni decisione per la salvezza della città. L’assalto delle milizie ottomane del sultano Murad II è stato respinto grazie alla sua organizzazione militare dietro le possenti mura di Teodosio.
Il senatore più anziano, l’arconte Oikantropos, fa sentire la sua voce: “Onore e gloria a Giovanni, difensore della nostra città”. Il grido unanime di tutta l’assemblea: “Viva il basileus” riecheggia in tutto il piazzale antistante l’edificio adibito a “Casa del Senato”. Il luogo è stato scelto dalla dinastia dei Paleologi per ascoltare il parere degli aristocratici sulle grandi imprese che richiedono ingenti somme di denaro pubblico.
Il sito delle Blacherne, a Nord-Est della città, vicino alle possenti mura e bastioni terrestri, comprende molte costruzioni per accogliere la corte e i funzionari dell’amministrazione imperiale. Il basileus, scortato dalla guardia di palazzo, ha la possibilità di recarsi in poco tempo in qualsiasi sede amministrativa, senza interrompere il lavoro dei suoi funzionari.
Il tempio della “Blachernissa”, la Vergine che prega e che indica la vera via della vita di ogni uomo, è collegato direttamente alla reggia con una struttura coperta e lastricata per permettere all’imperatore di recarsi alle abluzioni con l’acqua che zampilla da una icona. Il bagno rinvigorisce le membra dell’uomo venerato da tutto l’ecumene e fa parte del rito, officiato dal rappresentante del patriarca, per la salute del basileus.
La devozione alla Madre della “Santa Sapienza” è per il popolo il pegno per la salvezza della città. Durante gli assedi e le pestilenze i devoti si rivolgono alla protezione della Vergine con la certezza di essere esauditi. La città di Costantino non sarà mai distrutta perché i suoi abitanti sapranno sempre rivolgersi a Colei che innalza le sue braccia per implorare al vero Re la sua protezione.
I mercanti più facoltosi fanno costruire le loro dimore nel quartiere del complesso imperiale per essere più vicini al luogo dove si prendono le grandi decisioni per il mercato ed i traffici dei porti. I banchieri fanno sedere i loro cambiavalute sotto i portici dei loro palazzi per sottoscrivere e onorare le lettere di cambio. L'accreditamento a distanza di ingenti somme di denaro, necessario per le compravendite e per i noli delle galee e delle navi commerciali, permette agli agenti di commercio di viaggiare con sicurezza e senza portare al seguito pesanti casse di oro coniato.
La città imperiale è dominata dall’aristocrazia che fa sentire la sua voce e determina le decisioni dei governanti. Al Partito dei Vecchi Aristocratici, capeggiato dall’arconte Oikantropos, costituito dalle famiglie che si erano arricchite con i grandi latifondi imperiali, si contrappone il Partito dei Funzionari Governativi, capeggiato dallo stesso Giovanni VIII Paleologo. L’aristocrazia terriera e provinciale si confronta con la nuova aristocrazia dei monopoli e degli uffici di corte.
“Vi ho chiamati – esclama con voce ferma il basileus – per unire i nostri sforzi e salvare la città dalle brame del sultano Murad. Mio padre, l’imperatore Manuele, è gravemente ammalato ed è confortato dai monaci del sacro convento della Vergine Peribleptos. Le sue condizioni negli ultimi giorni si sono aggravate e a stento riconosce i suoi figli. La sua ragione è ostacolata dalla malattia e dall’età avanzata. I suoi consigli preziosi non potranno più sorreggere l’inesperienza dei suoi figli.
Il Patriarca invia messaggi a tutte le chiese per innalzare al cielo le suppliche avvolte dal profumo dell’incenso e dalla luce perenne dei grandi ceri che ardono sulle sommità dei candelabri di bronzo.
L’Asia Minore è sotto l’influenza degli Ottomani e i califfi turchi delle tribù ostili al sultano non riescono a costituire un fronte compatto perché si combattono tra di loro. Le terre tra il Tigri e l’Eufrate sono ambite anche da Ulu Beg, Khan dei Mongoli. Il suo esercito muove dalla città di Herat contro i guerrieri turchi della tribù delle “Pecore Nere”, alleata dell’imperatore di Trebisonda, nostro confratello nella devozione alla Santa Sapienza. Le carovane che provengono dall’Oriente sono controllate dai loro guerrieri.
Una parte dell’Occidente è stata già assoggettata dalle milizie del sultano che hanno invaso le terre dei Traci, dei Moldavi, degli Slavi e parte dei nostri territori della Morea.
L’Egeo è infestato dalle navi dei pirati che si nascondono nelle insenature delle isole per abbordare le navi commerciali e chiedere il riscatto dei prigionieri.
Mio fratello Andronico non riesce a trattenere la ribellione dei commercianti di Tessalonica che non ricevono più le merci dal territorio perché assediati dai soldati di Murad. Il loro mercato riceve soltanto ciò che i Veneziani riescono a far entrare nel porto.
Il Leone di San Marco e gli stendardi di Genova riescono ancora a far rispettare le leggi del mare.
Le casse della nostra amministrazione dispongono soltanto delle monete necessarie a pagare i mercenari che difendono le nostre mura. Anche la vostra generosità non riesce a sfamare il popolo che bussa alle porte dei conventi per elemosinare l'indispensabile al mantenimento delle famiglie.
Il Patriarca invoca il mio intervento per mantenere il clero della Grande Chiesa. I suoi ambasciatori ritornano a mani vuote dalle città dei metropoliti.
Anche Trebisonda deve far fronte alle pressioni dei signori turchi della tribù delle “Pecore Nere”. Il mio segretario, ser Francesco Filelfo, ha chiesto all’imperatore Alessio di promuovere in Asia Minore una coalizione di principi per costituire un unico fronte contro gli Ottomani.
Mio padre e i miei avi si sono sempre rivolti all’Occidente dove i mercanti sono interessati alle preziose merci che transitano per i nostri porti. I Paleologi hanno stretto legami di sangue con i Savoia, con i signori del Monferrato e con i Malatesta.
Il papa, Martino V, ritiene che occorre ricostituire al più presto l’ecumene di Costantino con un solo imperatore e con la guida spirituale dell’unico successore dell’apostolo Pietro. Costantinopoli deve ritornare ad essere la capitale del dominio sui fedeli che riconoscono il primato della cattedra apostolica di Roma.
Il nostro Patriarca, Giuseppe II, la cui beatitudine è riconosciuta da tutti i vescovi dell’Oriente, è consapevole e ci suggerisce che l’unica via per la nostra salvezza è la devozione alla Vergine che ci mostra il Figlio che dona la pace a chi sa accoglierLo con devozione. L’unione di tutti i vescovi, secondo il Primate, radunati in un grande concilio presieduto dal successore di Pietro, alla presenza dell’imperatore, fedele allo spirito di Costantino, può ristabilire la condivisione del Pane tra i credenti sotto il segno che diede la vittoria al fondatore della città".
L’arconte Oikantropos chiede parola e si pone in mezzo alla grande sala, dopo aver reso gli onori cerimoniali al basileus.
“I bastioni della nostra città – afferma il senatore – sono stati scavalcati da più di due secoli dai Veneziani del doge Dandolo.
L’Impero dei Romani è stato diviso tra i signori dell’Occidente e nelle nostre chiese si sono insediati i Latini con i loro riti. I conquistatori sotto il segno di Costantino il Grande hanno portato via tutti i preziosi pegni della nostra storia e della nostra devozione.
L’intimità delle nostre case è stata violata dalla libidine e dalla cupidigia dei barbari. La città è stata saccheggiata e Gerusalemme non è stata più liberata.
Le condanne e le scomuniche del papa non sono servite a frenare le nefandezze dei conquistatori che hanno ostentato i segni della nostra stessa fede.
I viaggi del basileus in Occidente, attraverso le capitali cristiane, il suo riconoscimento del primato del vescovo di Roma non frenano l’avanzata del sultano di Adrianopoli che ha un esercito in cui combattono anche guerrieri che appartengono ai popoli conquistati dai Turchi.
Le spese per la manutenzione delle mura della città gravano ormai sulle spalle delle famiglie che riescono a investire i bisanti che avevano accumulato con le proprietà che ora appartengono al sultano.
Le potenze marinare straniere ci portano tutte le merci e godono dei privilegi che escludono il pagamento delle tasse che una volta riempivano i forzieri imperiali.
I commercianti della città dipendono dai mercanti stranieri e sono costretti a pagare le spese di viaggio di tutte le mercanzie esposte sui banchi del mercato. I marinai e gli artigiani che lavoravano per la nostra flotta si recano a Gallipoli per costruire le imbarcazioni degli Ottomani che controllano tutte le imbarcazioni che si recano nel Ponto Eusino o nell’Egeo.
Costantinopoli non è più il nostro centro commerciale ma è diventato l’emporio delle grandi potenze che attraccano le loro navi alle banchine dei nostri porti. Le galee non mostrano più il vessillo del nostro basileus perché i capitani delle navi innalzano soltanto gli stendardi delle repubbliche marinare. I nostri mercanti non portano più nelle loro bisacce le monete d’oro con l’effigie del nostro imperatore ma utilizzano i ducati e i fiorini apprezzati nelle transazioni con i mercanti arabi.
La nostra città è diventata un agglomerato di rioni divisi dai campi e uniti dalla via trionfale che un tempo era tutta fiancheggiata da ville e palazzi sontuosi. Le arcate superiori dei portici della Mesè sono sostenute dai pali di legno in attesa di essere riparate. I monumenti dei fori sono stati trafugati e tanti edifici pubblici hanno ancora i segni degli incendi causati dai barbari dell’Occidente.
Le manifatture imperiali sono ferme, i laboratori degli artigiani sopravvivono con l’intervento delle famiglie che riescono a mantenere ancora il loro antico decoro con piccoli investimenti e con l’assunzione delle lavoranti che curano l’assetto delle nostre dimore.
I nostri vescovi mandano i loro tesorieri in giro per ottenere i fondi necessari a sostenere il clero e le opere di carità necessarie ad arginare la povertà che i popolani stanno subendo con i continui assedi.
Tra di noi ci sono molti che hanno intensificato i rapporti commerciali con i Turchi, insediati nel quartiere arabo, per investire il denaro nei possedimenti occupati dagli Ottomani.
L’Amministrazione turca di Adrianopoli favorisce le coltivazioni e le imprese nella Tracia e nella Macedonia per ottenere il pagamento di tributi dovuti al sultano. Le popolazioni dei territori conquistati continuano a professare la loro fede e svolgere i lavori sotto i padroni che accettano la legislazione dei conquistatori. L’ordine sociale e una nuova prosperità è assicurata a tutti i villaggi che producono per il versamento delle tasse nell’erario imperiale ottomano.
Gli artigiani sono chiamati per costruire e arredare le case dei nuovi signori che procurano le somme di denari da versare nelle casse della nuova amministrazione turca. I vecchi edifici imperiali vengono smantellati e le pietre vengono utilizzate per i nuovi palazzi di coloro che comandano i combattenti del sultano.
Anche i conventi della Macedonia sono liberi di mantenere i loro ordinamenti interni a patto che versino la dovuta rendita dei loro possedimenti al conquistatore turco. Le loro chiese non vengono trasformate per il culto dei vincitori e sono diventate il rifugio per tutti coloro che vogliono vivere nella pace dello spirito e dedicarsi ai riti dei nostri padri.
I popolani frequentano più assiduamente i luoghi del culto per ottenere dei sussidi con cui far fronte ai bisogni più urgenti. Gli artigiani chiedono l’intercessione dei loro confessori per un posto di lavoro in attesa della riapertura degli opifici imperiali. Le donne si offrono per qualsiasi lavoro domestico, sacrificando la loro maestria nelle arti della lana, del lino e della seta. I portici delle strade e le vicinanze dei conventi si riempiono di poveri che non trovano più rifugio negli antichi ricoveri dei conventi. L’icona del basileus non riceve più l’attenzione dei fedeli che si sentono abbandonati.
Nelle osterie si racconta che il sultano fa innalzare le moschee nelle città conquistate e fa costruire ricoveri per i poveri. Si vocifera che molti costruttori di navi turche vengono pagati con monete d’oro per la costruzione e l’allestimento di imbarcazioni che vengono utilizzate per assalire le galee commerciali.
Il distretto delle Blacherne è l’unico quartiere che ostenta ricchezza dai nuovi palazzi dei mercanti e dei banchieri occidentali che all’ombra della dimora imperiale ricevono commesse e denari provenienti da lontani committenti.
Le nostre rendite diminuiscono ogni giorno perché i veneziani e genovesi controllano le fonti dei profitti e impongono i loro noli. Il quartiere di Pera, fuori la cinta muraria della città, è diventato autonomo e i suoi abitanti non accettano il controllo del nostro Grande Logoteta e si lasciano governare dal consiglio del governatore genovese. La grande torre, costruita nel centro dell’abitato garantisce la loro sicurezza dalle incursioni dei turchi dell’Asia Minore. Il porto del Corno d’Oro è controllato dalle loro galee che gareggiano con quelle che inalberano il vessillo del Leone di San Marco.
Costantinopoli ha il suo basileus e i mercanti stranieri hanno i loro governatori che controllano tutto il commercio della nostra città”.
“Clarissimo arconte – interviene Giovanni VIII – la nostra città ha oggi mura e bastioni sorvegliati e può resistere a qualsiasi esercito. Le casse imperiali possono essere riempite con l’intraprendenza e il sacrificio di tutti gli aristocratici che da oggi sono liberi da qualsiasi vincolo percentuale sulle loro imprese e sugli immobili dati in affitto ai mercanti stranieri. Ognuno può trarre e imporre il proprio canone di affitto e ottenere la rendita più alta che permette di raggiungere quella prosperità dovuta a coloro che sanno ben investire la propria fortuna.
Le signorie dell’Occidente hanno acquisito un grande potere e costruito flotte commerciali potenti perché hanno lasciato i propri cittadini liberi di commerciare e ottenere il giusto guadagno senza imporre limiti alle percentuali di guadagno. Anch’io ritengo indispensabile far fruttare le risorse che uno possiede per aumentare i propri redditi.
Gli Ottomani si sono impossessati delle terre che il basileus concedeva alle famiglie emergenti che riempivano i forzieri imperiali e provvedevano a sostenere le opere amministrate dal clero e dai conventi. I mercanti oggi sono la vera ricchezza e permettono di pagare le milizie necessarie alla difesa delle città. Non bastano più le tasse doganali o le percentuali sulle transazioni degli stranieri.
Costantinopoli ha bisogno di uomini nuovi che sappiano intraprendere con coraggio l’arte della mercatura anche con il rischio della propria vita. La nostra città nel passato non aveva bisogno di inviare le proprie navi commerciali attraverso il Ponto Eusino e il Mediterraneo perché tutti i popoli erano desiderosi di portare le loro mercanzie alle porte della nostra città.
Le nostre manifatture pregiate venivano scambiate con i prodotti naturali che le altre città portavano ed esponevano sulle banchine del Corno d’Oro. Gli opifici fatti costruire da noi in Occidente sono passati nelle mani dei barbari che hanno imparato a produrre la seta e a portarci anche vesti sontuose con ricami in oro e argento. I segreti dei nostri artigiani sono diventate le regole che le corporazioni custodiscono gelosamente nelle loro scuole. Gli opifici imperiali vengono chiusi perché la materia prima non viene più importata per l’occupazione turca.
Le nostre monete sono coniate con l’oro e l’argento dei denari fiorentini, genovesi e veneziani. I forzieri imperiali sono riempiti con i ducati e i grossi d’argento di Venezia. I banchieri offrono tassi di cambio agevolati a tutti i mercanti che utilizzano i denari delle potenze marinare perché i nostri commercianti si sono trasformati in mediatori o commissionari dei mercanti che risiedono nelle altre città e non utilizzano gli iperperi d’oro con l’effigie di Paleologi.
Le regole del commercio e le percentuali di guadagno previste per i romani dell’Impero non hanno permesso di gareggiare con gli stranieri che hanno strappato privilegi e sconti che hanno impedito ai mercanti della città di investire proficuamente il denaro.
L’attuale decadenza delle attività artigiane e commerciali è senza dubbio imputabile alla poca lungimiranza dei miei predecessori che hanno represso lo slancio imprenditoriale con i limiti delle rendite private e con la salvaguardia dei monopoli dei Paleologi.
Il basileus una volta imponeva di scegliere soltanto le rendite fondiarie o doganali e gli spiriti più intraprendenti sono stati frenati nell’accumulo dei guadagni che derivavano dal semplice investimento dell’oro e dell’argento coniato nelle fonderie. Gli stranieri si sono arricchiti con le nostre monete ed ora impongono il riconoscimento dell’oro fuso con le effigie dei loro signori.
I guadagni derivanti dalla circolazione delle monete e dalle loro valutazioni nelle varie città non sono mai state considerate degne di attenzione dal nostro governo. I banchieri e i mercanti occidentali continuano ad arricchirsi con il gioco delle valute e con le lettere di cambio.
Gli abitanti di questa città continuano a dedicarsi alla contemplazione filosofica e teologica e a vivere con la speranza che l’imperatore possa risolvere tutti i problemi con i suoi amministratori.
I giovani aristocratici dell’Occidente vengono da noi per imparare la nostra lingua e sostituirsi nei nostri affari commerciali.
Il nostro pensiero è orientato alla risoluzione di tutti i mali che non permettono all’aquila imperiale di volare ed imporre il suo imperio. Il mio dominio deve essere ristabilito con il vostro aiuto e con la certezza che la nostra città è stata designata per imporre la legge che ci è stata tramandata dai nostri padri.
Siamo Romani che parliamo la lingua dell’antica Grecia e utilizziamo il diritto latino alla luce della Divina Sapienza. Tutti i popoli che si basano su questi nostri principi riconoscono che c’è un solo imperio e una sola Chiesa. L’ecumene oggi appartiene ai Paleologi e la Chiesa è affidata al successore dell’apostolo Pietro che riconosce l’imperium di Costantino e dei suoi successori. Ogni Concilio ecumenico che fa conoscere al popolo dei credenti la Rivelazione della Santa Sapienza attraverso i vescovi è convocato dal basileus e il papa Martino ha già espresso il suo assenso per cancellare le offese dei crociati e per cucire le profonde ferite che i barbari hanno prodotto nell’animo di tutti i Romani dell’Impero.
I nemici di questa città sono oggi i guerrieri del sultano di Adrianopoli e tutti i popoli che riconoscono il segno di Costantino debbono unirsi per difendere l’Impero romano.
Tutti i principi e le signorie dell’Occidente riconoscono l’autorità spirituale e il sentimento comunitario espresso dal nuovo vescovo di Roma che si è impegnato per eliminare tutte le divisioni esistenti nell’Impero. Mio padre ha più volte chiesto al papa di ricostituire un’unica compagine di forza contro il sultano ottomano che ha imposto un nuovo imperium sui popoli e le terre del basileus.
I corsari e i pirati turchi infestano tutti i mari e intralciano i commerci. Venezia ha già ottenuto la sua vittoria sulla flotta turca ma occorre vincere anche sulle terre conquistate per impedire l’allargamento del dominio di Murad II che, dopo l’assalto alle nostre mura, ha attaccato Tessalonica per impadronirsi del suo porto e imporre il suo governo su tutte le isole dell’Egeo e controllare il traffico commerciale che entra attraverso lo stretto dei Dardanelli ed è diretto al Ponto Eusino.
La Morea è ben salda nelle nostre mani e da questa regione potremo ottenere la nostra riscossa. I miei fratelli Teodoro e Costantino sono abili comandanti. La città di Mistrà, vicino all’antica Sparta, è diventata un baluardo difensivo sotto il despotato di mio fratello Teodoro II. La sua corte è frequentata da uomini dotti e da grandi artisti che stanno costruendo grandi monumenti che sono il vanto dell’ingegno dei nostri artigiani.
La consorte di mio fratello, la basilissa Cleofe, nobildonna latina della famiglia dei Malatesta, partecipa alle discussioni filosofiche e alle dispute intellettuali sulle opere degli antichi greci e latini, dando lustro alla casa dei Paleologi.
Il governatore della colonia veneziana di Monemvasia, quando viene per affari nella nostra città, confida al balio che una bellissima donna latina gareggia in bellezza con tutte le donne del Peloponneso e mostra di possedere una grande cultura in merito alla storia della nostra città.
Le lotte che sostiene il despota Teodoro II Paleologo contro i signori latini che si sono impossessati della Grecia inducono Cleofe a sostituirlo nel governo di Mistrà e di Monemvasia. Il popolo rimane estasiato per la sua intelligenza e la sua bellezza e dimostra la sua riconoscenza con feste e canti gioiosi in occasione dei giorni dedicati alle feste della Santa Sapienza e della Vergine. I giovani che compongono le schiere del nostro esercito provengono tutti dal Peloponneso.
Il papa, Martino V, figlio della famiglia romana dei Colonna, è lo zio di Cleofe e ha promesso a mio padre di aiutarlo nella ricostituzione dell’ecumene. La ricomposizione dell’Impero di Costantino richiede un Concilio.
I vescovi dell’Occidente e dell’Oriente da molti secoli non usano più scambiarsi tra loro il Pane della Vita. L’Agnello del Sacrificio non viene più spezzato tra loro. I figli siedono alla stessa tavola del Padre e non riconoscono l’Amore che unisce il Padre e il Figlio. I loro spiriti sono divisi perché non vogliono accettare che soltanto la Forza dello Spirito può far capire ciò che bisogna fare per conoscere e capire la Vera Via della Vita.
La separazione degli animi per le offese tra i credenti richiede una riunione solenne per riconoscere un solo imperatore e un solo Primate della Chiesa. L’unità di intenti che unisce tutti gli animi per un unico sforzo contro il sultano richiede il riconoscimento del primato del papa che in Occidente è in grado di promuovere un grande esercito con il contributo di tutti i principi che governano i popoli ed hanno la possibilità di disporre di grandi quantità d’oro per sconfiggere l’esercito degli Ottomani.
Per ricomporre la compagine dell’Impero romano d’Oriente, occorre prima riconciliare gli animi e ricomporre le offese ricevute dai crociati durante la quarta crociata. Il collegio dei cardinali latini ha avuto l’ispirazione di eleggere Oddone Colonna quale successore di Pietro proprio per ricomporre tutte le divisioni che si sono create tra i principi per il potere e la ricchezza.
Roma è ritornata ad essere la sede indiscussa del magistero del successore di Pietro che auspica la liberazione di Costantinopoli sede dell’imperatore di tutti Romani. L’antica sede dell’imperatore e la Nuova Roma del basileus trovano l’unità spirituale nella riconciliazione degli animi e nella ricostituzione di un unico esercito imperiale.
Presto mi recherò in Occidente per sollecitare l’interesse delle grandi famiglie latine interessate alla difesa della nostra città. Il papa è desideroso di conoscermi e di ripristinare il suo primato su tutta la Chiesa. Il Concilio richiede grandi spese per l’accoglienza dei patriarchi e dei loro seguiti. Le nostre casse e quelle del papa sono vuote ed occorre la partecipazione concreta di tutte le famiglie disponibili a versare il loro contributo in cambio di benefici che noi ed il papa siamo pronti a riconoscere per l’unione di tutti i credenti e per la costituzione di un grande esercito. I grandi dell’Impero non potranno rifiutare il loro contributo per accogliere i vescovi nella nostra città perché i suoi abitanti sono stati feriti nel profondo dei loro spiriti dai signori latini.
A noi spetta convocare coloro che dovranno chiedere al popolo di dimenticare le offese e i torti subiti. L’orgoglio di un popolo ferito nelle sue istituzioni primarie esige che i Latini ritornino pentiti in processione per le nostre strade per restituire i sacri pegni della nostra storia, frutto della devozione del nostro popolo. La richiesta di perdono richiede anche che ci siano dei doni concreti alla città di Costantino”.
Un brusio di assenso tra i senatori e un grido unanime: “Viva l’imperatore. Lunga Vita a Giovanni”.
Teicantros, beneficiario imperiale di tutte le costruzioni pubbliche e private della città, grande arconte ed amico di Oikantropos, ottiene il privilegio di parlare.
“Senatori clarissimi – dice l’arconte – il basileus ci richiama al nostro dovere di agire per rispondere con convinzione e forza agli assalti degli Ottomani. Le mura della città sono state danneggiate nell’ultimo assedio e in alcuni tratti richiedono di essere rifatte.
Il fuoco dei cannoni del sultano Murad II è più dannoso del fuoco lanciato con le catapulte. Le palle lanciate con i tubi di bronzo hanno rovinato la parte superiore dei bastioni e prodotto dei buchi nei muri tra le torri. I fossati si sono riempiti con i mattoni e pietre della cinta muraria esterna che ha subito notevoli danni.
La riparazione delle mura terrestri richiede una grande quantità d’oro che può essere anticipato dai banchieri veneziani e genovesi. I loro forzieri contengono ingenti quantitativi di iperperi e di ducati, accreditati dai mercanti di Venezia, a disposizione dei commissionari commerciali, per l’acquisto delle spezie e delle pietre preziose provenienti da Trebisonda e dalle città costiere del sultano dei Mamelucchi.
I mercanti che navigano con lo stendardo del Leone di San Marco godono dei privilegi imperiali e non pagano come i nostri mercanti le tasse sulle transazioni commerciali. I generi alimentari esposti sui banchi del mercato subiscono continui aumenti perché le importazioni diventano sempre più lucrose per i noleggiatori delle galee latine. Le imbarcazioni con le insegne del basileus vengono catturate dai pirati dell’Egeo. Le merci che arrivano vengono acquistate con l’intermediazione dei commercianti della colonia di San Marco. I veneziani residenti pagano il dovuto al loro governatore secondo le leggi del Senato veneziano che esige dalla nostra amministrazione il rispetto della Bolla imperiale.
L’assedio ottomano procura ingenti guadagni agli stranieri che godono di privilegi, frustrazione nei nostri commercianti sottoposti alla tasse delle transazioni commerciali, riduzione del commercio al dettaglio per la riduzione dei crediti, chiusura dei piccoli laboratori, diminuzione delle richieste di case per il popolo per i rincari imposti dai proprietari, affollamento degli ospizi che ospitano uomini e donne caduti in miseria.
Il continuo aumento dei fitti nella concessione degli immobili adibiti a magazzino ha prodotto delle proteste da parte di coloro che utilizzano i locali per il deposito delle vettovaglie e delle scorte necessarie a far fronte all’assedio turco. I contribuenti della città hanno versato gran parte delle loro rendite immobiliari alle casse della nostra amministrazione. Le famiglie che si mantengono sulla concessione delle case e delle botteghe al popolo e ai piccoli commercianti sostengono che la tassazione imperiale non è più sostenibile. Ai rincari degli ufficiali delle imposte, i bottegai rispondono con la chiusura delle loro attività per la povertà dilagante. I capifamiglia preferiscono rivolgersi ai conventi per chiedere il necessario per vivere e per mantenere le loro famiglie.
La nostra flotta imperiale non esiste e il traffico commerciale richiede la scorta delle galee veneziane sotto la giurisdizione del bailo. I noli sono fissati dal governatore della Repubblica di San Marco che si attiene alle decisioni di consiglieri del doge.
La spesa per la riparazione delle mura non può che gravare su coloro che hanno la possibilità di accumulare ingenti fortune con il commercio perché agevolati con le concessioni imperiali. I mercanti latini sono diventati ricchi con la nostra città e spetta a loro provvedere alla sua sicurezza e al decoro dei pubblici uffici. A loro non interessano le nostre tradizioni ma soltanto la possibilità di commerciare liberamente.
Il rione delle Blacherene si è ingrandito negli ultimi anni con la costruzione di palazzi e di case sontuose appartenenti non ai romani residenti ma agli stranieri che hanno investito le loro vite e le loro fortune sul commercio. Le loro navi sono in bella mostra in tutto il Corno d’oro e nei porti della nostra città che si affacciano sul Bosforo.
La mia funzione è quella di provvedere agli edifici pubblici e le mura della città costituiscono il mio problema. La soluzione è nel reperimento immediato dei fondi necessari per pagare i costruttori e gli operai delle fornaci per la fabbricazione dei mattoni. Le pietre possono essere dagli edifici pubblici fatiscenti e la manovalanza richiede somme di denaro che non può essere reperito dalle donazioni dei fedeli alle chiese o ai conventi.
Il Patriarca ha fatto sapere che l’alto clero, esente dalle tassazioni, verserà la sua quota secondo le rendite fondiarie, ottenute dagli immobili dati in fitto ai commercianti. Le case dei popolani, di proprietà dei presbiteri e dei conventi, non saranno sottoposte al prelievo fiscale. La fatiscenza delle loro case e i bassi fitti non consentono di ottenere un esborso sufficiente a colmare le casse dell’amministrazione imperiale. Tutti gli abitanti abili al lavoro devono contribuire alla riparazione delle mura e la manovalanza sarà retribuita a spese dell’erario.
Il basso clero e i monaci, appartenenti alle chiese vicino alle mura, sono stati invitati dal Primate a contribuire alla riparazione delle torri. La loro paga giornaliera servirà a mantenere il loro decoro e a sostenere le opere caritatevoli della chiesa. Questa contribuzione straordinaria è stata autorizzata dal basileus.
L’autocrate Giovanni ritiene indispensabile il concorso dei religiosi al fianco di tutti gli abitanti per ripristinare la sicurezza di tutti i luoghi sacri. La cinta muraria terrestre, fatta costruire dall’imperatore Teodosio e dai suoi successori, protegge tutti gli edifici della città dalle incursioni dei barbari che non riconoscono l’imperio del basileus e rifiutano la sua autorità ecumenica.
I conventi e le chiese fuori le mura sono stati distrutti dall’esercito di Murad e tutti i fuggitivi sono stati ospitati nella città. Il Patriarca ha disposto la loro assunzione in tutti gli edifici religiosi. L’impiego del clero e dei monaci nell’edilizia pubblica è necessario per reperire i fondi al loro mantenimento. Soltanto coloro che sono chiamati al servizio divino degli altari sono esentati dai vescovi per la distribuzione ai fedeli del Pane sacro.
Tutto il popolo della Santa Sapienza partecipa al ripristino della cinta muraria ed è giusto che siano sospesi i privilegi ai mercanti che si arricchiscono con i rincari dei generi alimentari e con i profitti del commercio delle spezie e delle seterie.
Le casse imperiali sono vuote e devono essere riempite per la sopravvivenza della nostra città”.
I grandi dell’Impero si scambiano le loro opinioni e quasi unanime è il loro consenso per le parole dell’aristocratico responsabile degli edifici pubblici.
La facoltà di esprimere la propria opinione è concessa all’arconte Timemantros, beneficiario della riscossione delle imposte commerciali.
“L’Impero romano d’Oriente - afferma il senatore - si identifica con Costantinopoli che vive perché accoglie i mercanti dell’Occidente. La sua difesa non solo è affidata alle possenti mura che la circondano ma anche alle navi delle potenze marinare che utilizzano la città perché è riconosciuta da tutti popoli come il centro dell’ecumene.
Tutti si sentono invogliati ad ammirare la Grande Chiesa di Giustiniano. I mercanti che hanno il privilegio di contemplare i suoi tesori, raccontano di aver visto la dimora dell’Eterno e il basileus, coperto di seta e di pietre preziose, inginocchiarsi davanti all’altare dell’Altissimo e all’Icona splendente della Vergine che mostra la Divina Sapienza.
Costantino il Grande, sotto visione del segno vincente, ha deciso che la nostra città sia la “Nuova Roma” e il suo “Imperium” debba essere riconosciuto da tutti i Romani. L’autorità imperiale conferisce alla potestà amministrativa del basileus di essere l’unica garanzia del rispetto del diritto romano, tramandatosi per più di un millennio, che spinge tutti i popoli ad incontrarsi per il commercio.
Costantinopoli dà la possibilità a tutti di ritornare alle loro dimore lontane con un giusto guadagno che permette alle famiglie dei Latini di costruire sontuosi palazzi e di ingrandire i loro borghi, elevandoli al rango di città potenti, circondate da mura, in grado di difendersi e di tener testa agli eserciti dei signori dei castelli.
L’esempio di Venezia e di Genova ci induce a riconoscere che oggi la ricchezza proviene dal commercio e anche noi dobbiamo sfruttare questa capacità di continuare a mantenere il monopolio del nostro mercato. Gli eserciti dei Turchi ci hanno privato delle terre da cui i nostri baroni e i capi militari ricavavano le ricchezze che hanno permesso ai basileus del passato di tenere un esercito in grado di sconfiggere i nemici e di costruire grandi edifici pubblici.
I mercanti dell’Occidente hanno inventato l’istituzione del Comune e si danno nuove leggi sull’esempio dell’antico municipio romano. I loro capi, uomini che si sono arricchiti con il commercio, invogliano i nostri mercanti a firmare contratti per gestire da lontano le merci preziose, dando loro una nuova cittadinanza e garanzie di guadagno. I romani diventano cittadini di Firenze, di Pisa e di altre città. Questo significa che la nostra amministrazione non agevola le famiglie a ottenere quella ricchezza da cui attingere l’oro necessario a rendere prospera e grande la nostra città.
Fiorini e ducati si riversano in abbondanza nella nostre casse grazie ai contratti che i romani stipulano con i latini per mezzo dei notai stranieri residenti nel quartiere delle Blacherne. L’intermediazione degli uomini che parlano l’antico linguaggio greco facilita le trattative tra gli agenti di commercio. Bisogna agevolare con riconoscimenti ed esenzioni i nostri cittadini che agiscono per commissione dei mercanti fiorentini e lombardi perché versano congrue percentuali sulle compravendite e su tutte le merci che entrano nella nostra città.
Ci sono uomini esperti che, non essendo frenati da scrupoli e vogliosi di profitto, sanno destreggiarsi come i latini nell’arte dello scambio e delle valutazioni tariffarie delle varie monete. Tra i popolani emergono uomini che sanno adattarsi al mercato interno e interpretare le norme del Prefetto al loro vantaggio. Il ceto medio contribuisce a riempire i forzieri dell’amministrazione. I Paleologi possono agevolare il loro operato rendendo meno aspre per loro le clausole commerciali perché sono loro il sostegno del nostro mercato interno in grado di tener testa agli stranieri che usufruiscono dei privilegi imperiali.
Per quanto attiene ai privilegi concessi alla Repubblica di San Marco, ritengo indispensabile la presenza della colonia di Venezia nella nostra città perché assicura la nostra sicurezza in quanto garantisce la libertà della navigazione nel Bosforo e consente al traffico commerciale di svolgersi regolarmente tra Trebisonda e il nostro porto. Le esenzioni concesse alla città lagunare si trasformano in benefici concreti per tutti.
Costantinopoli detiene ancora il primato nel commercio imperiale grazie alle galee che inalberano lo stendardo del Leone alato e che sono in grado di sconfiggere la pirateria turca. I capitani veneziani vincono su tutti i mari e fanno rispettare il diritto dei mercanti di poter navigare con sicurezza e far circolare le merci per tutto il Mediterraneo e il Ponto Eusino.
Il nostro basileus Manuele II ha affidato al doge Mocenigo, Principe Serenissimo che governa con saggezza e lungimiranza, le chiavi delle porte della reggia delle Blacherne e l’incolumità della città da tutti gli assalti dei nemici.
La “Nuova Roma” di Costantino è affidata ai senatori di Venezia che investono le loro ricchezze nella prosperità commerciale della nostra città. La nostra fortuna è di esserci affidati a coloro che riconoscono nel mare la fonte di ogni benessere. Il doge ogni anno esalta il connubio della sua città con uno sposo fedele che riversa sul suo popolo ogni abbondanza attraverso le sue infinite vie.
L’Adriatico è dominio di Venezia che sconfigge i pirati e si pone come pacificatrice nelle controversie dei poteri che si scontrano sulle terre dei Latini e degli Slavi.
I governanti delle due città riconoscono che il commercio è la vera via dell’ascesa economica e politica che consente di ai popoli di vivere in pace con lo scambio dei frutti della terra e dei prodotti delle manifatture. Il prelievo fiscale, necessario alla vita del nostro popolo e al mantenimento dell’imperium, si può ottenere soltanto riconfermando a Venezia quei privilegi che la rendono padrona dei mari ed arbitra dei destini delle potenze marinare.
Le nostre tradizioni sono ben radicate nelle consuetudini e nelle leggi della Serenissima Repubblica. Il suo popolo vuole vivere e far vivere la nostra città. L’amministrazione imperiale è garantita dal credito permanente che la casa dei Paleologi ha nel Senato veneziano dove i “pregati” esprimono sempre il loro parere favorevole per far fronte alle ingenti spese imperiali con l’invio di galee che trasportano ingenti quantitativi di lingotti d’argento e casse piene di ducati per fronte alle ingenti spese in occasione delle guerre civili e degli assalti dei nostri nemici.
La fiducia è ben riposta in coloro che ci soccorrono nel momento del bisogno e chiedono come ricompensa soltanto dei privilegi per poter navigare e garantire il flusso delle merci. La loro amicizia è finalizzata al commercio che è anche per noi l’unica speranza di sopravvivenza”.
Gli arconti favorevoli alle parole dell’amministratore imperiale evidenziano il loro consenso con un cenno del loro capo e manifestano la loro volontà di seguire Giovanni nella sua politica di appoggiarsi all’Occidente per combattere l’esercito di Murad II. L’aiuto dei Latini è ritenuto indispensabile in un momento critico per la città difesa soltanto dalle galee veneziane.
Il partito radicale degli aristocratici è convinto che bisogna combattere e non cedere alle lusinghe dei Turchi che concedono la libertà di lavorare ai popoli conquistati e il risparmio della vita ai vecchi signori per organizzare il lavoro delle terre e delle manifatture cittadine.
Il mantenimento del fisco dei Paleologi è indispensabile all’amministrazione ottomana di Adrianopoli per pagare le ingenti somme di denaro, necessarie alla costruzione delle nuove moschee e al mantenimento dell’esercito. Lo scopo del sultano è quello della conquista del porto di Tessalonica e di invadere il Peloponneso dove sono fiorenti la corte paleologa di Mistrà e le signorie dei Latini. L’Occidente è in pericolo e soltanto il papa Martino V teme per il popolo dei fedeli. I signori feudali sono interessati al consolidamento del loro potere territoriale e si guerreggiano tra loro per il predominio di piccoli territori o per il governo dei borghi che si ingrandiscono per il commercio e per la circolazione del denaro coniato dalle nuove potenze locali.