venerdì 25 luglio 2008

MERCANTI VENEZIANI A COSTANTINOPOLI - Cap. XIII

L’inviato del Patriarca

La grande vela triangolare, con il vento favorevole del Ponto Eusino, permette alla nave di ser Filippo di proseguire speditamente verso il faro di Trebisonda. Gli occhi dei marinai sono attentamente rivolti alla costa per vedere apparire, durante la notte o attraverso le nebbie del mattino, la sua luce. Il porto è vicino e non bisogna oltrepassarlo. Ser Ludovico, consigliere del capitano, è sul ponte della galea e ordina ad Antonio, paron esperto della manovra della vela e sovrintendente dei prodieri, di incitare i marinai a guardare attentamente la costa. Un premio in ducati d’oro è stato promesso per chi vede per primo il faro.
Un grande entusiasmo e una speranza di fortuna albergano in ogni uomo della ciurma. La città del Gran Comneno Alessio è il traguardo dopo tanti giorni di sofferenza sotto le sferzate gelide dei venti autunnali del Nord. L’arrivo è anche l’inizio della prosperità per i rematori veneziani che sperano di diventare ricchi in ogni porto. La fama delle cupole d’oro dei palazzi e la ricchezza degli abitanti del grande emporio del Ponto è nota nella capitale del basileus.
Il santo patriarca di Costantinopoli, Giuseppe II, ha inviato un uomo fidato al vescovo della città per ottenere dei fondi da distribuire ai poveri della capitale, assediata dal sultano ottomano. La sua autorevolezza è riconosciuta da tutti i vescovi che si identificano nelle tradizioni religiose e culturali dell’Impero romano d’Oriente, tutelate dalla famiglia del basileus e dal Gran Comneno.
La disgregazione e riduzione dei domini imperiali, a causa delle invasioni turche e mongole, non hanno scalfito la supremazia del Primate della Chiesa dell’Impero romano d’Oriente. Gli avvicendamenti dinastici, le lotte politiche e le guerre civili non hanno ridotto la devozione del popolo.
La cattedrale del Patriarca, fatta ricostruire dall’imperatore Giustiniano, costituisce il centro di tutta la religiosità dell’Ecumene del basileus. La venerazione della Sapienza di Dio è diffusa nel popolo che in suo onore ha costruito un tempio in ogni grande città dell’impero.
Il messaggero del Primate della Chiesa di Costantinopoli è un ieromonaco del monastero di San Giorgio ai Mangani, cioè un sacerdote consacrato al servizio divino con il nome di Demetrio. Le sue capacità sono note al Patriarca, perché accompagna sempre il suo abate che occupa il secondo posto d’onore durante le funzioni della Grande Chiesa.
Demetrio è sulla galea di ser Filippo e passa il tempo conversando con i viaggiatori di rango. Il religioso, conoscitore dei Sacri Testi e delle opere degli antichi greci, conversa brillantemente in lingua latina con i mercanti della nave.
La sua famiglia è fuggita dalla città di Adrianopoli, diventata capitale dell’impero del sultano ottomano. Un tempo suo padre amministrava i possedimenti imperiali e rispondeva direttamente al Gran Logoteta del basileus. Da bambino dimostrava di possedere grandi doti intellettive e una propensione alle cose sacre.
Il santo patriarca emerito, Eutimio II, lo aveva avviato agli studi teologici e lo aveva affidato alla guida spirituale di un santo monaco, fautore dell’unione di tutti i cristiani dell’Occidente e dell’Oriente.
Il monastero del religioso aveva già ospitato nel passato l’ex basileus Giovanni Cantacuzeno che si era fatto monaco assumendo il nome di Matteo. Dopo la sua morte, gli aristocratici della città si riunivano sotto i portici o sotto gli alberi del grande giardino del convento per discutere sulla necessità di favorire un avvicinamento ai Signori dell’Occidente. Il loro intento era quello di arginare l’invasione inarrestabile della potenza ottomana.
Il sacro luogo, vicino alla Grande Chiesa e al centro commerciale del Foro di Costantino, ospitava i poveri e curava le malattie di coloro che non potevano pagare le prestazioni di un medico. L’abate riceveva ingenti donazioni per i poveri dai mercanti e dalle principesse della casa imperiale.
Anche il ricco Oikantropos, capo del Partito dei vecchi aristocratici, si fermava a conversare con i monaci intorno alle cose più importanti dell’impero. I ricchi amministratori della reggia delle Blacherne sono i frequentatori più assidui del convento perché amano chiedere consiglio ai religiosi più anziani, conosciuti in tutta la città come uomini sapienti e saggi.
“Il capitano, ser Giovanni, mi ha riferito – dice Filelfo al sacerdote - che questa notte avvisteremo il faro di Trebisonda e, con il vento favorevole, potremo approdare domani verso mezzogiorno. I rematori hanno consumato il loro rancio e sono intenti a scrutare la costa. Noi potremo conversare fino all’ora del sonno”.
“I remigi – afferma Demetrio – non giocano ai dadi e non fanno sentire il loro vociare come le altre sere”.
“Sono curioso di conoscere – afferma l’ambasciatore – lo scopo del tuo viaggio. I religiosi non si allontanano dalla loro città quando i nemici la circondano e le famiglie si sentono in pericolo”.
“Hai ragione. Il momento è drammatico - sostiene il monaco - e le chiese sono piene di fedeli che implorano la Vergine che eleva le sue mani per chiedere la protezione dell’Altissimo. La loro città continua ad essere stretta dalla morsa degli Ottomani che hanno conquistato quasi tutta l’Asia Minore e la Tracia. Costantinopoli si mantiene in piedi grazie alla marina del Leone alato di San Marco. Il Patriarca, con il consenso del mio abate, mi ha consegnato una lettera da recapitare al metropolita di Trebisonda”.
“Anche tu, come me, sei latore di una lettera per salvare un popolo affamato. Siamo entrambi ambasciatori e testimoni per una capitale che non ha più lo splendore di una volta e non riesce più a sfamate i suoi figli. Le risorse della città si esauriscono per pagare i mercenari e per le riparazioni delle mura che sono l’ultimo baluardo ai continui assalti dei guerrieri del sultano”.
“Il Patriarca è angosciato - afferma Demetrio - perché le chiese si riempiono di supplici e di donne piangenti. Le giovani donne vedono sfiorire la loro bellezza e non ricevono offerte di matrimonio. Le fonti battesimali aspettano invano i nuovi nati. Si pensa soltanto a ciò che garantisce la sopravvivenza”.
Anche l’ambasciatore del bailo manifesta le sue preoccupazioni: “Ser Emo, rappresentante della Serenissima, mi ha confidato, prima di partire, che il papa Martino V cerca di aiutare Manuele II, favorendo legami di sangue tra i Principi eredi dell’Impero romano d’Oriente e le nobildonne che appartengono ai Signori dell’Occidente. La Chiesa di Roma, che custodisce le sacre spoglie dell’apostolo Pietro, non può più sostenere le ingerenze dei governanti nazionali nelle questioni ecclesiastiche. Il papa guarda con speranza all’imperatore per ricostituire l’Ecumene cristiano, cioè un unico grande impero. Gli eredi dei Romani devono essere uniti sotto un'unica potestà imperiale e sotto un’unica autorità ecclesiale. L’impero di Costantino il Grande potrebbe essere ricostituito. Il basileus come imperatore che governa con il segno di Cristo”.
“Come è possibile la realizzazione di questo desiderio – dice Demetrio - se i cristiani sono divisi tra di loro? Non bastano le aspirazioni dei credenti ma occorre un uomo che sia il capo di un grande esercito, come avveniva al tempo di Augusto: un governo in grado di censire tutti i popoli dall’Ovest all’Est che rispettano una sola legge. Il nostro imperatore non ha più un esercito e soccombe dinanzi alla grande potenza del sultano. Molti aristocratici sono pronti a sottomettersi al governo ottomano pur di riavere le terre perdute”.
“Il papa – sostiene ser Filelfo – è l’unica autorità che può convincere gli uomini potenti a salvaguardare la loro cultura e ad arginare l’avanzata del grande esercito turco. I principi slavi e i popoli del Danubio sono pronti a schierarsi uniti per formare un grande esercito con le nazioni occidentali. Venezia e le potenze commerciali del Mediterraneo sono pronte ad offrire a Martino V il sostegno economico e la disponibilità delle loro navi per sostenere uno sforzo unitario e compatto contro l’esercito del sultano. L’ultimo successore di Pietro è stato eletto dai vescovi, riuniti nella città di Costanza, per eliminare tutte le divisioni tra i credenti e riportare la cristianità a vivere unita in pace. La concordia tra i credenti si può ristabilire soltanto sotto la potestà di un imperatore che garantisca il rispetto del diritto romano per tutti i popoli”.
“Spesso penso al motivo del mio viaggio – afferma il monaco - e mi convinco che lo scopo del Patriarca non è soltanto quello di avere aiuti per i più poveri ma di sensibilizzare i fedeli del piccolo impero a sollecitare il Gran Comneno per unire tutti i principi delle città costiere dell’Est e del Nord del Mar Pontico. I Comneni di Trebisonda si sono imparentati con i principi e gli emiri dell’Asia Minore. Le principesse più belle della città hanno sposato emiri, fedeli di Allah e credenti nella parola rivelata al suo Profeta Maometto. Il vescovo, metropolita di Trebisonda, in stretta unione con il Patriarca, concede alle fanciulle cristiane il permesso di sposare i fedeli che si attengono alla sacra scrittura del Corano. La pace e la concordia tra le popolazioni richiedono anche il sacrificio delle più intime convinzioni. L’obbedienza delle principesse cristiane è ricompensata dalla assoluta dedizione dei loro mariti che sanno rispettare la loro cultura e la loro fede. L’amore dell’unico Dio supera gli egoismi degli uomini e dona la pace e la prosperità ai popoli che hanno fiducia nei loro governanti”.
“La politica dei matrimoni tra i principi – sostiene l’ambasciatore imperiale – è seguita anche dal papa Martino V e dal basileus. L’unione, istituzionalizzata e resa sacra con il rito della Chiesa, impegna i sovrani ad essere solidali tra loro e i loro popoli a sperare in un futuro migliore. La nascita di eredi, in grado di affrontare con maggiori disponibilità finanziarie e con il sostegno di più soldati qualsiasi minaccia militare, è garanzia di prosperità e di benessere”.
“ Quale beneficio – interviene il giovane Marco - apporta alla città questa politica del Gran Comneno? Si tratta di unioni tra popoli di culture diverse”.
“Il piccolo impero dei Comneni – risponde ser Filelfo – è tenuto in grande considerazione dalla Serenissima ed anche il papa vuole inviare i suoi delegati alla corte imperiale di Alessio.
Trebisonda è un traguardo del commercio dell’Est, cioè tutto il flusso delle carovane che trasportano le merci, provenienti dalla Cina e dall’India, entra nella città, dopo aver attraversato i territori dei mongoli e dei popoli iraniani. La sua importanza è cresciuta dopo la distruzione dell’emporio di Bagdad da parte dei guerrieri di Tamerlano. Il flusso carovaniero è stato deviato verso il Mar Pontico.
I mercanti veneziani hanno ingrandito la loro colonia e allacciato relazioni commerciali con i mercanti arabi e turcomanni di Tabritz. I religiosi che si recano alla corte del Signore dei Mongoli sbarcano nel porto della città e seguono le carovane verso l’Oriente.
Il Gran Comneno da alcuni anni paga un tributo all’Amministrazione degli Ottomani per mantenere buone relazioni con il capo del più grande esercito. Il sultano di Adrianopoli è interessato a mantenere in vita il piccolo impero per salvaguardare il suo dominio.
I Turchi Selgiucidi, i Turcomanni e i Mongoli dell’Asia Minore sono ancora ostili alla sua espansione. Sono passati appena vent’anni dalla sconfitta del suo avo, il sultano Beyazid. La vittoria dei guerrieri di Tamerlano ad Angora frena il suo desiderio di espansione e rende orgogliosi i capi delle tribù che hanno appoggiato l’invasione mongola.
Il Signore di Trebisonda, beneficiato dalla vittoria mongola, è diventato il perno della cerniera tra l’Impero ottomano e l’impero dei Mongoli, suddiviso in tanti principati ed emirati creati dai discendenti di Tamerlano”. I loro domini si estendono dai territori iraniani fino ai territori della Cina del Gran Khan. Il Signore dei Mongoli è curioso di conoscere la cultura dei religiosi dell’Occidente ed è desideroso di allacciare relazioni e scambi culturali con il Capo della Chiesa di Roma”.
“Mi risulta – sostiene il monaco – che il poderoso esercito mongolo si è disciolto e nella regione sono rimasti i guerrieri delle tribù turcomanne, ostili al predominio degli Ottomani e amici del Gran Comneno. I loro capi hanno costituito un regno che si estende al Sud della Georgia fino al mare dove sfocia il fiume Eufrate. La loro capitale è la città di Tabritz, vicino al Mar Caspio. I principi turcomanni, interessati al commercio carovaniero fino al Mar Pontico, desiderano stringere relazioni con il Signore di Trebisonda che offre come pegno di amicizia e di buon vicinato le proprie figliole. La loro bellezza è nota in tutta l’Asia Minore e la Mesopotamia”.
“Sono curioso – interviene Marco – di vedere da vicino queste donne che affascinano gli emiri. La fama della loro bellezza è giunta fino a Venezia”.
“I matrimoni – chiarisce il monaco – tra le principesse imperiali e i Signori della guerra, appartenenti a tribù dell’Est, desiderose di conquiste territoriali, sono un espediente politico per evitare la distruzione del piccolo regno dei Comneni. Il Signore di Trebisonda non dispone di un esercito in grado di far fronte all’impeto di uomini armati, abituati a sostenere qualsiasi sacrificio, anche a rischiare la propria vita per ottenere un territorio per le proprie famiglie.
Si tratta di uomini delle steppe spinti verso l’Occidente da altre tribù più forti e più agguerrite. Un popolo scaccia un altro popolo e si impadronisce della sua terra. L’antica legge del più forte è considerata di diritto e non si arresta di fronte a ciò che è giusto. La giustizia di chi vive attaccato alle risorse della terra è quella di provvedere ala sopravvivenza del proprio gruppo tribale.
La pace, imposta da Costantino e dai suoi discendenti con l’applicazione della giustizia salvaguardata dall’esercito imperiale, non è riconosciuta dagli armati che sbaragliano i mercenari imperiali. La spada di chi ha l’esigenza di sfamare i propri figli conosce soltanto la giustizia naturale del più forte”.
“Le tribù che hanno conquistato Roma – afferma ser Filelfo – hanno riconosciuto la giustizia imposta dal diritto romano ed hanno accolto la cultura dei vinti. L’antica legge dei nostri padri ha accomunato le genti ed ha creato nuovi popoli che si sono riconosciuti in nuove istituzioni, basate sulla condivisione del territorio e sul rispetto delle autorità preposte alla gestione del bene comune”.
“Dell’Impero romano d’Oriente – afferma Demetrio – è rimasto il territorio metropolitano di Costantinopoli, il regno del Gran Comneno e un piccolo despotato della Morea. La cultura dei nostri padri segue la riduzione del territorio.
Un altro modo di concepire la vita della comunità si è affermato nell’Asia Minore. Le istituzioni del mondo arabo, che si sono già confrontate con quelle delle popolazioni dell’Oriente, ora vengono imposte dalle tribù turche e mongole. La cultura dell’uomo dei grandi spazi, dominati dal sole dei deserti e dalla fede del mistico Profeta di Allah, domina su tutto l’Impero romano d’Oriente. Le tradizioni dei cavalieri delle steppe si sono fuse con quelle dei carovanieri dell’Arabia. Gli animi, abituati ai rigori invernali del Nord si sono abituati a recitare le rivelazioni fatte a Maometto, mercante delle distese sabbiose dell’Est.
I campanili vengono sostituiti dai minareti e non si odono più per le strade le litanie della Vergine e dei suoi devoti. La legge del senato romano è sostituita dalla legge dei dottori della sacra scrittura del Corano. L’autorità dei santi Patriarchi dell’Oriente è venuta meno e rischia di soccombere di fronte all’avanzare incessante di nuove istituzioni. Gli antichi riti hanno abbandonato i sacri luoghi delle città e si rinnovano sui monti, lontano dal popolo del basileus.
La città di Costantino è l’ultimo baluardo che mantiene saldo il richiamo dell’antica fede della Nuova Gerusalemme. Il suo popolo implora la Vergine e spera nella sua protezione. Le sue braccia mostrano il Verbo della la Santa Sapienza. Il Patriarca sostiene le speranze dell’imperatore Manuele II ed è pronto a rinunciare al suo primato di metropolita imperiale. Il suo sguardo si volge al soglio di Pietro per sostenere la Chiesa dei santi Padri conciliari. La mia missione è quella di sostenere i fedeli con l’aiuto del vescovo di Trebisonda”.
“Le richieste del basileus - afferma il corriere imperiale - sono ascoltate dai senatori della Serenissima. Venezia offre le sue risorse per salvaguardare il predominio marittimo delle vie commerciali e sostiene qualsiasi iniziativa del papa Martino V. Il popolo di San Marco è pronto a sacrificare i suoi figli per Costantinopoli.
La sua fede è ancorata all’apostolo Pietro e alla Chiesa di Roma. I suoi ordinamenti traggono le loro origini da quelli dell’Impero romano. La potestà del Serenissimo Doge è approvata da tutto il popolo veneto che mantenne salda la sua cultura e le sue istituzioni, ancorate al diritto romano. Lo stendardo del Leone di San Marco, inalberato su ogni galea veneziana, è garante di pace perché salvaguarda le vie commerciali e la diffusione delle merci che sono fonte di benessere e di pace condivisa”.
“Le tue parole – afferma il monaco – sono come un balsamo per le ferite del mio animo. La pace non si può ottenere soltanto con lo scambio delle merci, ma occorre il rispetto delle culture e il riconoscimento dei diritti che i popoli si tramandano attraverso le loro generazioni.
Quando all’improvviso appaiono all’orizzonte nuovi popoli e nuovi diritti, qualsiasi ordinamento vacilla e, se non è sostenuto con la forza, crolla per far posto ad altri costumi sostenuti da spiriti più determinati e coesi. La libertà dello spirito richiede la saldezza delle membra e la forza delle braccia di chi è pronto a sacrificare la propria vita.
L’esercito di Costantino è servito per radicare una fede e ricostituire un grande impero fondato sul diritto romano. Bisanzio ha assunto il suo nome ed è diventata centro di cultura e di fede. La nuova Roma ha riconosciuto, in un grande concilio di santi Padri, la sacralità del Primato del vescovo della chiesa che custodisce le spoglie dell’apostolo Pietro. Tanti popoli hanno vissuto in pace perché hanno creduto nella pace della Santa Sapienza. La grandezza di Costantinopoli è nota a tutti i popoli della Terra ed è diventata una preda ambita dai Signori della guerra. La loro potenza non deriva dalla contemplazione del Segno del Verbo, ma soltanto dalla forza delle armi. La cultura del diritto romano, salvaguardata e custodita dal basileus, è in pericolo perché il sultano impone con le sue armi un altro tipo di cultura su tutte le terre da lui conquistate.
Non conta più il diritto della proprietà perché tutto appartiene al nuovo imperatore ottomano. Le sue concessioni non si fondano sul diritto dell’uomo a possedere la terra per garantire il sostentamento della sua famiglia. I popoli conquistati perdono il loro territorio che diventa proprietà di un solo padrone. Il diritto del più forte, che scaturisce delle armi, non garantisce il diritto della proprietà. La nuova giustizia, imposta dal vincitore, si basa sulla proprietà di un solo signore della guerra. La pace, imposta con le armi senza il diritto della proprietà, non trova la coesione di uomini liberi perché tutti si sentono privati del diritto di godere dei frutti della terra che appartiene a tutti gli uomini che si riconoscono figli di un unico Dio”.
“Le tue considerazioni – afferma ser Filelfo – sono vere ma bisogna valutare attentamente la realtà dell’Oriente che non è diversa da quello che è già accaduto in Occidente. Ai ricchi proprietari terrieri dell’antica Roma sono subentrati tanti conquistatori. I guerrieri hanno concesso ai coltivatori della terra l’usufrutto delle loro fatiche in cambio delle loro servitù. I vincitori hanno riconosciuto indispensabile il diritto romano ed hanno applicato le antiche leggi per il riconoscimento delle proprietà. La terra con il tempo è stata di nuovo suddivisa in tante proprietà che si tramandano attraverso le generazioni. La stessa cosa può accadere con le conquiste degli Ottomani. Il sultano riterrà conveniente concedere la sua proprietà ai suoi servitori”.
“Quello che accade in Oriente – sostiene il monaco – è diverso. I nuovi conquistatori non condividono la stessa cultura dei residenti. Il diritto romano riconosce ad ogni uomo quello che è giusto secondo una prassi che si è consolidata attraverso le generazioni ed è diventata la legge di tutti. I guerrieri, provenienti dalle steppe dell’Asia, hanno abbracciato la fede degli Arabi e non hanno ancora assimilato lo spirito della fede del Profeta di Allah. Il diritto della steppa non è il diritto romano della giustizia .
I popoli che appartenevano all’Impero romano d’Oriente non sono amministrati secondo la loro giustizia ma sono sottoposti ai desideri degli uomini che brandiscono la spada e riconoscono la legge del bottino di guerra. Le tribù provenienti dall’Est riconoscono soltanto il diritto che scaturisce dalla conquista e non assimilano le leggi dei vinti. Chi è conquistato non ha più una legge che lo possa difendere ed è inserito in un dominio senza una vera giustizia”.
“Le tue parole – risponde ser Filelfo – spaventano i giovani mercanti che ci ascoltano e ingenerano nei loro animi un astio e una paura per l’espansione degli Ottomani. Le potenze dell’Occidente sono in grado di sostenere il basileus contro l’avanzata dell’esercito del sultano. Il Patriarca Giuseppe è unito all’imperatore Manuele II per difendere Costantinopoli e i loro messi sono stati inviati in Oriente e anche alle potenze dell’Occidente.
I principi germanici aspettano l’esortazione del papa per la formazione di un grande esercito. I loro possedimenti sono minacciati dagli Ottomani. Venezia è interessata ai traffici marittimi e dispone di risorse che possono spingere il governo di Adrianopoli a sottoscrivere dei trattati di pace che si basano sul diritto della libera circolazione delle merci. Nel Mediterraneo è sempre in vigore la legge romana del rispetto delle attività commerciali. La libera circolazione delle merci è fonte di cultura condivisa perché si basa sullo scambio reciproco delle risorse della Terra.
Anche i conquistatori hanno bisogno del necessario per vivere e devono rinunciare alle loro prerogative di guerra. La spade possono uccidere ma non sfamano i corpi che hanno bisogno di nutrirsi per mantenere il vigore necessario ala guerra. I mercanti impongono ai Signori della guerra il rispetto dei trattati di scambio delle merci. La loro sottoscrizione crea consuetudini che si trasformano in nuove leggi condivise. Gli Ottomani hanno bisogno dell’Occidente perché il loro esercito si mantiene con i rifornimenti di ferro, legname e tessuti, trasportati con le navi delle potenze marittime. Il sultano non può fare a meno di questi approvvigionamenti”.
“Se il sultano – afferma Marco – ha bisogno di alimentare il suo esercito con i traffici marittimi, perchè Venezia non interrompe questo flusso di materiali?”.
“L’interruzione del commercio con l’Oriente – risponde il messo imperiale - impedirebbe alla Serenissima di imporre la sua supremazia sui mari e il rispetto dei trattati commerciali da parte degli Ottomani. Le loro conquiste non spaventano Venezia.
Il Doge, Serenissimo Principe Domenico Mocenigo, è cosciente del pericolo che incombe sull’Occidente ma non ha timore di un esercito che è stato già sconfitto dai mongoli di Tamerlano. I signori della guerra si avvicendano nella conquista delle terre, ma nessuna nave nemica può gettare la sua ancora nel bacino di San Marco. Venezia è sicura finché il suo popolo saprà percorrere liberamente le rotte marine”.
“Il sultano – afferma il monaco – permette ancora alle galee veneziane di approdare nei porti dell’Egeo e del Ponto Eusino perché non dispone ancora di una flotta capace di contrastarle efficacemente. Le sue mire sono per il momento di consolidare il suo predominio in tutta l’Asia Minore e di impadronirsi di Costantinopoli.
La città del basileus è completamente circondata e sta soffocando tra le spire insidiose dei continui assedi alle sue mura che ogni giorno si sbriciolano e i muratori non riescono a far fronte ai continui abbattimenti. La grande metropoli degli imperatori dei Romani d’Oriente si è ridotta a un piccolo paese e le sue mura diventano sempre più distanti dal centro cittadino. Il popolo delle attività manuali sta morendo perché non c’è più lavoro produttivo. Si vive alla giornata senza alcuna speranza per il futuro. I poveri che bussano ai conventi aumentano ogni giorno e il santo Patriarca è costretto a ricorrere agli altri metropoliti della sua giurisdizione per rifornire le mense dei poveri”.
“La situazione è drammatica – dice ser Filelfo – ma non bisogna disperare. La fede dei credenti è salda e il basileus è fiducioso di ricevere l’aiuto promesso dal papa Martino V. Il coimperatore si prepara per reiterare il viaggio di suo padre in Occidente e pregare sulla tomba dell’apostolo Pietro”.
“Il basileus – afferma Demetrio – a partire da Michele VIII Paleologo, restauratore dell’Impero romano d’Oriente dopo la pausa degli usurpatori Franchi, si è sempre rivolto al vescovo di Roma nei momenti di crisi. La sua autorità è ritenuta indispensabile per frenare le ingordigie dei Principi latini ed invogliarli ad agire per la salvaguardia dei Luoghi santi.
L’abate del convento di San Giorgio ai Mangani, in stretta sintonia con il Patriarca, riunisce i dotti e gli aristocratici dell’impero per conoscere il loro parere sull’intervento del papa. I loro animi si infiammano in lunghe discussioni che portano alla creazione di due fronti opposti: gli Unionisti, strettamente legati all’attuale Amministrazione della città e gli Antiunionisti, rappresentanti della vecchia aristocrazia dei possedimenti terrieri. I loro diverbi nascono dalla paura di un ritorno degli antichi signori della guerra dell’Occidente che, invece di andare a difendere il Santo Sepolcro di Gerusalemme, hanno messo a ferro e fuoco Costantinopoli.
Il ricordo dei guerrieri cristiani della IV Crociata che hanno razziato l’oro delle loro chiese è ancora vivo nel profondo dei loro animi. Tutti parlano in difesa del popolo. I magnati dell’antico impero sono disposti anche per un accordo con il sultano, pur di riavere le loro terre e di ripristinare il commercio interrotto dai continui assedi degli Ottomani. L’unione dei fedeli che seguono il rito greco con i guerrieri franchi del rito latino è detestata dagli abitanti. Il loro risentimento è condiviso dai presbiteri e dai monaci che hanno visto spogliare le loro chiese dai fratelli cristiani dell’Occidente. La loro avversione si riversa sul papa che aveva proclamato la crociata. Il legame dei credenti dell’Est e dell’Ovest è stato spezzato dall’ingordigia e dalla sete di ricchezza degli uomini abituati a usare la spada e razziare tutto quello che appartiene agli altri popoli”.
“La responsabilità delle atrocità commesse dai crociati – sostiene Filelfo – è imputabile agli uomini che le hanno commesse. Il sangue versato può essere riscattato soltanto con altro sangue. La politica dei matrimoni, tra i principi di Costantinopoli e le principesse latine, favorita dal basileus Manuele II e sostenuta dal papa, può far dimenticare i torti subiti dagli abitanti di Costantinopoli. L’istituzione, che unisce con un vincolo sacro il sangue di una donna latina con quello di un principe della casa imperiale dei Paleologi, può aiutare a guarire le ferite ingiustamente causate agli uomini e alle donne della città”.
“Le lacerazioni, procurate dai Latini e dai Franchi, sono ancora profonde – afferma il monaco Demetrio - e costituiscono un substrato di terrore che alberga nella coscienza di ogni credente nelle sacre Istituzioni. La storia atroce dei delitti e l’asportazione dei sacri oggetti dalle chiese viene raccontata ad ogni bambino e bambina educati alla venerazione delle sante immagini ed al rispetto dei luoghi consacrati.
I crociati dell’Occidente sono considerati sacrileghi ed empi. L’aiuto richiesto dai nostri governanti ai principi latini è sempre economico e finanziario e non riguarda l’eventuale invio di uomini in difesa della città del basileus. Il popolo teme il ritorno dei crociati, stupratori e ladri nelle dimore dei loro fratelli che professano la stessa fede. Il loro astio è tale da considerare male minore il governo dei principi ottomani.
I matrimoni imperiali tra i principi paleologhi e le nobildonne latine, celebrati dai vescovi secondo il rito di Costantinopoli e con la benedizione del papa Martino V, sono ancora pieni di aspettative e non ancora hanno dato alla luce i loro frutti per una rappacificazione basata sul sangue di nuove generazioni. La basilissa Sofia del Monferrato non ha dato alcun erede al coimperatore Giovanni e nemmeno la basilissa Cleope di Malatesta ha allietato la casa del despota Teodoro che governa la Morea.
Il desiderio del vescovo di Roma, pastore di tutti i Cristiani, di ricostituire l’Ecumene imperiale basato sul diritto romano per tutti i credenti del Vangelo, non trova il consenso del clero e dei monaci che tramandano le spoliazioni delle chiese e il trafugamento delle sacre reliquie dei santi da parte degli uomini delle Crociate”.
“Il tempo e la fede daranno i loro frutti – sostiene ser Filelfo – ma ora bisogna arginare l’espansione ottomana e contrastare le pretese del sultano di sottomettere il basileus e di impossessarsi del grande mercato di Costantinopoli.
Il sultano ottomano Murad II possiede le città costiere dell’Egeo e la parte occidentale dell’Asia Minore. Il suo esercito è contrastato dai Mamelucchi del califfo del Cairo e dagli emiri dei Turcomanni che governano le città di Tabritz e la ricostruita Bagdad, dopo la distruzione delle orde mongole, con il benestare del Grande emiro Shah-Rukh, erede dell’impero di Tamerlano.
L’emiro turcomanno Qara Iskander, capo della tribù dei Kara Koyunlu, cioè delle “Pecore nere”, regna su tutta la regione, ad Ovest del Mar Caspio, che va dai confini meridionali della Georgia fino alle foci del Tigri e dell’Eufrate. La seta, proveniente da Samarcanda passa per Tabritz, capitale del suo dominio.
Il Gran Comneno Alessio IV, vassallo di Tamerlano, paga ora i tributi al Signore turcomanno di Tabritz che si è reso indipendente dai Grandi emiri mongoli dell’Asia.. L’imperatore di Trebisonda ha concesso la mano di una delle sue figlie più belle a Qara Iskander, assicurando, con la sua politica matrimoniale, la difesa della sua città, cioè del grande porto del Mar Pontico e del centro carovaniero che riceve tutto il commercio proveniente dall’Oriente.
I mercanti della seta non passano più per Bagdad, ma percorrono la via a Sud del Mar Caspio che passa per la città persiana di Tehran e raggiunge Trebisonda, dopo la sosta carovaniera di Tabritz e il pagamento dei tributi al capo dei Turcomanni.
L’imperatore comneno e l’emiro delle “Pecore nere” sono gli unici alleati che possono salvare Costantinopoli ed arginare l’avanzata dei guerrieri ottomani.
Il vescovo di Roma invia grandi doni ad Alessio per aiutare i missionari che si recano in Oriente e percorrono le vie dei mercanti della seta”.
“Sono curioso – incalza Demetrio – di conoscere quello che il segretario del bailo della Serenissima Repubblica pensa del commercio della seta”.
“Il popolo della Grande Cina, creatore delle preziose stoffe di seta, accoglie da molti anni – afferma ser Filelfo - gli uomini di fede che manifestano la cultura del diritto ed esaltano le doti più profonde dello spirito umano. La sua civiltà millenaria si confronta con orgoglio e curiosità con quella dell’Occidente perché prova una profonda condivisione e una corrispondenza tra i principi delle scritture sapienziali tramandate dai dotti dell’Oriente e quelle proclamate dai missionari.
Il confronto e lo scambio delle esperienze umane genera negli animi un reciproco rispetto e spinge ad una conoscenza sempre più concreta, favorendo il commercio dei manufatti degli artigiani cinesi e l’accoglienza generosa dei mercanti che trasportano i prodotti dei popoli dell’Ovest”.
“Il santo Patriarca di Costantinopoli – interrompe il religioso - mi ha incaricato di ottenere dal vescovo di Trebisonda la sua intercessione, per invogliare i ricchi mercanti della città a sostenere con le loro proficue offerte il popolo che invoca la Vergine della Santa Sapienza.
Sono curioso di conoscere il motivo del tuo viaggio”.
“La tua richiesta – risponde l’ambasciatore imperiale – sollecita la mia ragione per un chiarimento della situazione attuale che preoccupa la Repubblica di San Marco e il papa Martino V.
Il sultano ottomano, già padrone della Rumelia, cioè della Tracia e delle regioni danubiane, ha conquistato tutta l’Anatolia occidentale ed ora si prepara per sottomettere i piccoli sultanati dell’Anatolia orientale per chiedere il tributo ai mercanti che trasportano le spezie e la seta dall’Oriente per la via commerciale del Sud del Mar Caspio.
La conquista di tutta l’Anatolia, cioè il controllo ottomano di tutte le vie carovaniere lungo le quali si snoda il commercio terrestre delle spezie, potrebbe costituire un danno irreparabile per Venezia che perderebbe la fonte della sua ricchezza.
L’imperatore di Trebisonda possiede ora l’unico sbocco sul Mar Pontico del commercio orientale delle spezie. Il suo piccolo dominio è circondato dai guerrieri turcomanni che controllano tutte le vie commerciali dalla Georgia fino alle foci dell’Eufrate. Il figlio di Tamerlano, il Grande Emiro Shah Rukh, padrone di tutta l’Asia, riconosce la loro autonomia e permette al capo turcomanno dei Qara Koiunlu di riscuotere i tributi dai mercanti arabi che scambiano le merci dell’Occidente con quelle dell’Oriente nei mercati delle città persiane.
L’alleanza tra Alessio e l’emiro Qara Iskander è benvista dall’imperatore Manuele II perché trattiene l’impeto del sultano ottomano e permette l’arrivo delle merci per alimentare il mercato di Trebisonda e il grande emporio di Costantinopoli.
Trebisonda è l’ultima speranza di salvezza per i marinai che navigano tra le nebbie del Mar Pontico e per tutto il commercio dell’Occidente. Se si spegnesse la sua luce, i mercanti di Venezia dovrebbero sottomettersi agli esosi tributi degli Ottomani e perderebbero il monopolio del commercio delle spezie in tutto il bacino del Mediterraneo”.
“Sento grida di giubilo – dice il giovane Marco – e gli ordini del capitano che inducono i marinai e i rematori a impegnarsi con più attenzione al governo della galea che deve entrare nel porto della città. Scorgo bagliori delle cupole d’oro dei palazzi, colpite dai raggi del grande faro"