giovedì 27 ottobre 2016

I remigi della galea veneziana nella città d’oro

IL QUARTIERE DEGLI ARISTOCRATICI
Un gruppo di remigi della Capitana scendono a passo veloce dalla galea lungo la passerella con la loro mercanzia. Il sole di ottobre e la speranza di fare buoni affari li rendono loquaci lungo la strada che li conduce al quartiere di Santa Eufemia, dove intendono vendere i loro oggetti. Qualcuno di loro è già riuscito nei giorni precedenti a mostrare sul banchetto le collane e i braccialetti di Murano. Virgilio, il prodiere più influente del gruppo,  conduce i suoi compagni nel quartiere vicino al grande ippodromo di Costantinopoli.                       
    
Le merci, esposte sotto i portici del Decumano e nei negozi della grande arteria commerciale che tutti chiamano Mesè, li invogliano ad accelerare il passo per mostrare  gli oggetti portati dalla loro patria. 
    
“Virgilio, non correre – esclama il giovane Tommaso – perché ti viene l’affanno. La mercanzia  e il banchetto per l’esposizione hanno un peso che ci costringe a non correre. Non vedi che Marin non riesce a tenere il passo? Tu conosci la strada ed è opportuno stare tutti in gruppo perché alcuni di noi non conoscono il quartiere a cui siamo diretti”. 
    
“Ci conviene arrivare alla piazza del quartiere prima dell’ora sesta – esclama il veterano del gruppo – perché le donne, interessate alla nostra merce, cominciano a ritirarsi per preparare il cibo per i loro uomini”. 
    
Il vicolo del  Carro veloce è una laterale della Mesè che, attraverso la piazza della chiesa di Sant’Eufemia, porta all’ippodromo della città. La strada, che un tempo era molto frequentata per gli amanti delle corse di cavalli, è anche percorsa, verso l’ora nona, da Francesco Filelfo, inviato con Marco e Francesco, come rappresentante del bailo, al banchetto del ricco Oikantropos. I due giovani veneziani sono accompagnati dal trace Rodopios, conosciuto dagli aristocratici di Sant’Eufemia come l’uomo fidato del bailo. 
    
Il quartiere è ancora sede delle dimore degli aristocratici che amministravano i grandi latifondi prima delle conquiste dell’esercito ottomano. I grandi proprietari erano stati costretti dall’imperatore a risiedere nella capitale e a partecipare alle riunioni del Senato. La loro presenza era ritenuta obbligatoria in tutte le cerimonie pubbliche per le loro cariche onorifiche. 
    
La riduzione dell’Impero ha costretto molti aristocratici a vivere come semplici funzionari governativi. I più fortunati sono coloro che riescono ad ottenere la gestione dei grandi monopoli dei Paleologi. Alcuni di loro posseggono in città estese  proprietà immobiliari, date in affitto ai popolani in grado di pagare gli esosi affitti richiesti. Si tratta di laboratori per artigiani, negozi per bottegai e case per i popolani. 
    
I più ricchi del quartiere si riuniscono spesso nella dimora di Oikantropos. Le  terre della sua famiglia, nella vicina Tracia, sono state occupate dal sultano e la fonte attuale della sua ricchezza è data dai  lucrosi proventi immobiliari. Ogni martedì, gli esponenti di spicco del Partito dei Vecchi Aristocratici vengono invitati al suo banchetto conviviale per far festa e per discutere su alcuni argomenti filosofici. I commensali di lingua greca sono tutti appartenenti alle famiglie che disponevano dei latifondi, passati sotto il governo ottomano di Adrianopoli. Tra gli invitati ci sono anche i più ricchi mercanti del quartiere arabo ed il Kadi del quartiere turco. Il santo Patriarca Giuseppe viene sempre invitato ma il Primate della Grande Chiesa di Costantinopoli invia  il suo tesoriere laico, responsabile della raccolta delle elemosine per le opere di carità. 
    
La casa dell’uomo più ricco del quartiere è vicino alla chiesa di Sant’Eufemia e per raggiungerla gli ospiti passano per il grande spiazzo, pavimentato da grossi lastroni di pietra, antistante l’ingresso del tempio. La piazza, adornata da una fontana che riceve l’acqua da una grande cisterna vicina, è il luogo in cui accorrono gli abitanti del quartiere  per gli acquisti o per qualsiasi necessità. Il tenore di vita dei residenti si manifesta attraverso gli atteggiamenti degli uomini e delle donne che la frequentano per qualsiasi necessità. Il luogo è frequentato dai venditori ambulanti che occasionalmente espongono la loro merce e tra questi si mescolano tutti coloro che intendono comprare o vendere qualcosa lontano dal severo controllo degli agenti delle tasse.  
    
Alcuni venditori, sotto il portico semicircolare antistante la chiesa, destano la curiosità di Marco e Francesco.      
    
“Rodopios, fermiamoci un attimo – esclama Marco – per salutare i nostri amici della Capitana che espongono la loro merce sui banchetti. Vedo il prodiere Virgilio e i suoi amici”.
    
“Sono lieto di vedere i giovani balestrieri della mia galea – esclama il rematore -  e di comunicarvi che gli affari vanno molto bene. Le popolane del quartiere scambiano i loro oggetti d’oro con le collane di Murano che luccicano sotto il sole e abbelliscono le loro ampie scollature. I miei amici, Tommaso e Marin, sono stati invitati a mostrare la loro merce nelle abitazioni di alcune donne per scambiarli con gli oggetti preziosi, custoditi nelle loro cassapanche”.            
    
“Se le donne si avvicinano per ammirare la vostra merce – afferma Francesco – significa che riuscite a capire la lingua greca dei residenti”. 
    
“Le donne di questo quartiere – risponde il prodiere – conoscono molte parole latine e anche il nostro veneziano, perché lavorano nei case dei mercanti. Sembra che in questa città le popolane siano in grado di esprimersi in varie lingue, senza aver ricevuto alcuna istruzione particolare. Da tanti secoli sono abituate a comprare dai venditori che provengono  dall’Occidente e da quelli che provengono dall’Est. Alcune di loro conoscono anche la lingua araba e il linguaggio dei Turchi”. 
    
“Non c’è da meravigliarsi – interviene Rodopios – se gli abitanti di questa città conoscono molte lingue. Costantinopoli è il centro del mondo e tutti gli uomini che la visitano o vi giungono per affari si sentono accolti dai residenti con le stesse parole amichevoli che si usano nelle loro lontane terre. Se il cuore è aperto all’amicizia, anche la mente si apre ad accettare la lingua e ad impararla per esprimere amicizia e gioia di vivere. La facilità con cui i mercanti stranieri riescono a vendere la loro merce scaturisce proprio dalla predisposizione interiore degli abitanti ad accettare tutto ciò che proviene dalle altre culture”. 
Francesco Liparulo - Venezia

P.S. Brano tratto da “Storie Venete” di Francesco Liparulo. Vedi galeaveneta.blogspot.com

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