venerdì 14 ottobre 2016

Il guardiano del cancello di Monemvasia

L’ACQUA DI SAN NICOLA RINVIGORISCE 
E RISTORA LO SPIRITO  DEL  MERCANTE
 “Nell’attesa dell’autorizzazione del castellano – dice il guardiano – mia moglie e i suoi piccoli possono offrire da bere a te e a tutti coloro che ti aiutano nel trasporto della merce diretta alla casa della principessa”. 

“Ho qui, messo da parte,  una pezza di  “Fiorenza de garbo” - dice Nicolò – per la tua donna. Mi sento in obbligo per l’acqua offerta ai miei uomini e alle bestie che hanno bisogno di bere per continuare a salire. I raggi del sole e il sentiero ripido impongono una sosta, prima di arrivare alla meta”.

“I miei figli – interviene Maria,  moglie dell’uomo – sono stati ammaestrati dal padre a uscire sulla strada quando arrivano i mercanti, per imparare ad osservare e ascoltare gli uomini che vengono dal mare con i prodotti e le manifatture di terre lontane. Si apprendono le buone maniere e il corretto comportamento da tenere in presenza di uomini che conoscono il valore delle cose e lo sanno descrivere con le giuste parole”.   

La tua acqua è fresca - dice il veneziano – e mi ristora non sola fisicamente ma mi fa sentire anche più sereno. Il mercante lavora sempre lontano dalla propria famiglia e accoglie con riconoscenza qualsiasi gesto di amicizia che proviene da chi che riconosce l’importanza dell’accoglienza soprattutto per i mercanti che rischiano la loro vita  in mare e per le strade, spinti dal desiderio di portare a destinazione ciò che è utile alla vita e al benessere delle persone. Ogni gesto di carità verso lo straniero arricchisce lo spirito di chi sa donare e anche di colui che riceve la cortesia di un gesto di amicizia. Il commercio serve anche a far unire gli spiriti e a trovare una condivisione in ciò che è bello e utile alla vita. Spesso la condivisione di interessi comuni facilita il dialogo e innesca la comprensione reciproca anche quando ci sono pregiudizi e diffidenze imposti dalla comunità sociale in cui si vive”.    

È l’acqua di San Nicola – sussurra la donna – tutti vogliono berla. La fontana è attigua alla chiesa dedicata al santo, costruita sul pendio del colle, sopra il pianoro del Palazzo del despota. Il sentiero lastricato vi passa vicino ed è percorso da tutte le giovani donne del luogo per riempire le giare e per berla in casa. I monaci del luogo accolgono con benevolenza i devoti e raccontano i miracoli del santo. La principessa Cleofe ogni settimana si reca in chiesa per pregare il santo e ad accendere un cero votivo”.

La fonte è alimentata dalle nevi del Taigeto – sostiene Demetrio - ed è considerata benedetta da San Nicola  perché non solo  toglie la sete ma dà anche una sensazione di benessere. Il santo ci protegge e ci ristora con la sua acqua. Il nostro principe ha realizzato anche una condotta che dalla chiesa porta l’acqua al cancello di Monemvasia. Mercanti e ufficiali la bevono con piacere e ringraziano il santo che li rinfranca dopo una lunga salita per il pendio del colle. Il ringraziamento devozionale si manifesta con una visita al santuario e una elargizione ai monaci per la richiesta di una grazia o per essere protetti prima di iniziare un viaggio o partire per la guerra”.      

Il nome del santo – sostiene ser Nicolò – è invocato da tutti i mercanti per ottenere la sua protezione nei momenti di pericolo. Anch’io farò il mio dovere di veneziano che si onora di portare il suo nome. Il mio lavoro è quello di navigare e di percorrere le strade con la mercanzia. Il mio maggiore timore è soprattutto quello di perdere la vita in mare o per mano di briganti”.
Il nostro pericolo – sostiene il guardiano – è oggi rappresentato dai cavalieri del sultano che dalla Tessaglia galoppano verso il territorio di Corinto. Gli Ottomani vogliono punire il nostro despota che vuole fare rispettare la legge del basileus da tutti gli abitanti della Morea. L’antica terra dei Greci appartiene al nostro imperatore e ai suoi arconti. Il diritto di governare spetta al nostro despota”.

“Murad iI vuole punire il basileus e i suoi figli – afferma il mercante – perché non hanno appoggiato la sua ascesa al trono e hanno dato asilo ai suoi rivali. Le rivendicazioni territoriali dei Latini che posseggono le terre della Corinzia e dell’Achaia servono al sultano come pretesto per arricchire i suoi emiri e per finanziare il suo esercito”.

“Come si chiama questo emiro – dice Demetrio – che si avvicina a Corinto? Non basta al sultano tenere sotto assedio Costantinopoli e Tessalonica? Gli Ottomani hanno già conquistato le terre dei Bulgari e dei Serbi ed ora vogliono impossessarsi anche della terra che abbiamo ereditato dai nostri padri? La valle dell’Eurota mostra ancora le rovine di Sparta e dalle nostre torri vediamo i campi che i nostri avi hanno coltivato per trarne il giusto sostentamento. La storia tramanda le loro gesta e noi siamo fieri di essere i loro discendenti. 
Questa è la nostra terra, questa è la nostra patria. Il valore e l’esempio degli antichi eroi ci sostengono e ci fanno riemergere dopo ogni invasione straniera. Il nostro  spirito di libertà non muore nel tempo ma si tramanda attraverso le generazioni perché è la nostra anima immortale che vivifica questo territorio”.  
Francesco Liparulo - Venezia



P.S.: Brano tratto da “Terra di Morea” di Francesco Liparulo in “Storie Venete” di Francesco Liparulo. Vedi galeaveneta.blogspot.com  su yahoo

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