LO SCRIGNO DEL DOGE TOMMASO MOCENIGO
Le notti di settembre, qui a Costantinopoli, fanno sognare.
I marinai, sistemati tra i banchi sopracoperta, guardano il cielo stellato e, pensando alla casa lontana, fantasticano un ritorno prospero e felice. Sulla nave c’è chi sorveglia e vigila. Il punto di approdo è circondato da una grossa catena. Nessun forestiero può avvicinarsi.
Appare l’alba. La città sta ancora dormendo. Si sente un galoppo proveniente da Ovest, lungo le mura marittime che si affacciano sul grande porto di Costantinopoli, lungo l’estuario del Corno d’Oro. Il comandante è già al suo posto sul castello di poppa, attorniato dai suoi ufficiali. Una leggera brezza gonfia lo stendardo di San Marco. Dalla porta di Perama, adiacente all’allo scalo, escono dei cavalieri con le insegne imperiali.
Il battito del tamburo della galea risponde al suono delle trombe imperiali. I cavalli si arrestano alla catena che circonda il punto di approdo. Un nobile cavaliere scende dal suo destriero e chiede di salire a bordo. Il capitanio fa disporre la passerella e, accompagnato da due giovani patrizi veneti, scende dalla nave per accogliere l’ospite atteso.
“Sono Andronico – esclama il cavaliere - primo ministro del basileus Manuele, ho l’ordine di scortare il capitanio di questa galea al palazzo imperiale delle Blacherne”.
“Sono Giovanni, il comandante della nave. Sono pronto a seguirti con il mio ufficiale, ser Domenico, e con il nobile ser Pietro, incaricato dal nostro Serenissimo Principe, il doge Tommaso Mocenigo, di portare uno scrigno all’imperatore”.
I patrizi di San Marco, scortati dalla Guardia Variaga, lasciano il porto e si dirigono al Sacro Palazzo dell’imperatore, situato nel distretto delle Blacherne all’estremità Nord occidentale della città. I cavalieri percorrono la strada interna alle mura marittime lungo il porto del Corno d’Oro ed entrano nella reggia imperiale, costituita da alcuni edifici. Il corteo si ferma davanti al palazzo, sede degli appartamenti imperiali.
Nel piazzale, antistante alla residenza dell’imperatore, è presente il bailo con il suo segretario, ser Francesco Filelfo, esperto non solo di diritto e di letteratura, ma anche della lingua greca.
I nobili veneziani, scortati dai funzionari del palazzo, vengono portati nella sala del trono, dove i principi della famiglia imperiale e alcune nobildonne sono in attesa di accogliere il basileus.
Tra i presenti ci sono alcuni che portano vistosi copricapi e sono oggetto degli sguardi furtivi delle nobildonne. Si tratta di musulmani accreditati alla corte paleologa ed appartenenti alle famiglie regnanti dell’Oriente: Arabi, Turchi seleucidi e ottomani, Mori dell’Africa, principi del Vicino, del Medio e dell’Estremo Oriente.
Ogni credente religioso ha nella città il luogo di preghiera inserito nel suo quartiere. Tutti sono mercanti e rispettano le leggi imperiali: il basileus è per tutti il giudice supremo e il legislatore unico della città.
All’improvviso si interrompe il brusio degli astanti e il silenzio domina nella sala.
Il responsabile del cerimoniale di corte, capo degli eunuchi di palazzo, fa sentire la sua voce: “Onore al basileus Manuele II ed al coimperatore Giovanni VIII”.
“Ho interrotto il mio ritiro dalla vita pubblica – dice l’imperatore rivolgendosi agli ospiti – la mia età non mi consente di dedicarmi alla difesa della città, affidata al mio figlio Giovanni che ha respinto nello scorso mese di agosto un sanguinoso attacco dei nemici della città. Alcuni degli assalitori bivaccano fuori le mura terrestri e impediscono l’apertura delle porte. Sono venuto per accogliere gli inviati del Serenissimo Doge che mi ha sempre accolto con tutti gli onori quando sono stato in Occidente, per chiedere aiuto ai regnanti e al venerabilissimo papa che ci sostiene con la sua opera mediatrice. Invoco sempre la Vergine Blachernissa, che ha sempre salvato la città, affinché continui a tenere le braccia alzate per tutti noi.
Nel convento, dedicato a Santa Maria Peribleptos, trascorro i miei giorni di silenzio e di preghiera. Venezia ha custodito da anni un pegno in gioielli che appartenevano alla basilissa Anna, di Casa Savoia e consorte di mio nonno, Andronico III.
La mia riconoscenza al Serenissimo Governo Veneto per la restituzione di questo scrigno. La famiglia imperiale sarà sempre riconoscente a chi difende l’imperatore dei Romani e la città consacrata alla Vergine, Madre della Santa Sapienza.
Io, che rappresento sulla Terra l’Onnipotente, dichiaro che Venezia ha il diritto di custodire e difendere per sempre il Sacro Palazzo”.
Francesco Liparulo - Venezia
PS: Brano tratto da “Mercanti veneziani a Costantinopoli” di Francesco Liparulo in “Storie venete” di Francesco Liparulo. Vedi galeaveneta.blogspot.com su yahoo.it
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