mercoledì 28 dicembre 2016

I remigi delle galea veneziana

LE DONNE DEL QUARTIERE DI SANT’EUFEMIA
Il rito mattutino nella chiesa di Sant’Eufemia è finito. Le donne attendono il loro turno per accendere i sacri ceri e implorare il ritorno della prosperità nelle famiglie. L’odore dell’incenso concilia l’apertura dello spirito alla speranza di un avvenire migliore per i figli del popolo. Il rappresentante del santo Patriarca ascolta con pazienza le suppliche delle madri che chiedono l’intercessione del Primate per allontanare la miseria dal quartiere. Il prelato promette l’intervento della Grande Madre Chiesa che non abbandona mai i suoi figli.

Il vocio dei venditori ambulanti nella piazza, antistante il sacro luogo, desta l’attenzione delle donne, perché si sentono gli inviti dei marinai stranieri che offrono la loro mercanzia.

L’arrivo della Capitana da alcuni giorni è argomento di ragionamenti e di pettegolezzi tra le popolane interessate alla merce che proviene dalla lontana città di San Marco. Il rullio cadenzato dei tamburi e le grida del banditore sono passati per tutte le strade del quartiere ed hanno annunciato la vendita al dettaglio delle stoffe e degli oggetti necessari agli usi domestici. La vendita avviene sotto il patrocinio del governatore della colonia veneziana e secondo le regole del Prefetto della città.

Le donne si avvicinano ai banchetti dei rematori veneziani perché hanno la possibilità di acquistare tanti oggetti di metallo e di vetro, indispensabili in qualsiasi casa ed introvabili nei negozi del quartiere.
“Tommaso, si stanno avvicinando due belle donne – esclama il prodiere Virgilio – fai in modo che possano interessarsi alle tue collane di Murano. Gli ornamenti femminili attirano le fanciulle e le loro madri. Io faccio vedere le serie di coltelli per trinciare le carni. Marin, metti in mostra tutto il fustagno e fatti notare perché si avvicinano le donne che vogliono parlare con i remigi giovani”.

Cosa devo dire – sussurra Tommaso – a queste due che guardano la merce? Il cuore mi batte forte”.

“Non è necessario che tu sappia parlare in greco – risponde Virgilio – perché queste popolane conoscono alcune parole della nostra lingua. Chi è interessato alla merce tocca quello che vuole acquistare e mostra in una mano quanto è disponibile a pagare”.

“Guarda, madre, come sono belle queste collane di Venezia – dice una fanciulla con la tunica azzurra e il velo bianco sul capo - e come attraggono questi colori dorati”.

“È proprio vero, Laimorosina, le pietre preziose dell’Oriente – esclama la donna con la capigliatura ricciuta sotto un velo trasparente - non emanano, sotto i raggi del sole, tutti questi riflessi. Puoi provare la collana che più ti piace”. 

La fanciulla si fa aiutare dalla mamma per cingere il suo collo roseo con le perline luccicanti. L’emozione le fa palpitare il petto e arrossire le gote paffutelle.

Questa collana ti sta proprio bene, figlia mia, perché si armonizza al colore della tua pelle e anche alla tua veste. Le perline di Murano esaltano la tua bellezza”.
Il remigio si fa coraggio e dopo aver deglutito il suo stupore, fissa negli occhi la fanciulla ed esclama: “Solo una moneta d’oro con l’effigie dell’imperatore”.

“Non essere precipitoso, Tommaso – interviene Virgilio – e lascia che la mamma esprima un’offerta. La sua valutazione è importante perché determina la possibilità di acquistare la collana. Il desiderio della donna, di rendere la figlia più bella, aumenta il pregio dell’oggetto e fa lievitare l’offerta che ripaga le nostre fatiche per il lungo viaggio”.

“Mi chiamo Trixobostrina. Io e mia figlia siamo popolane del quartiere e non disponiamo di monete d’oro. La collana è molto bella e posso scambiarla con la seta lavorata che conservo a casa”.

“Io sono Virgilio – risponde il venditore – e il mio amico Tommaso è disposto a cedere la collana anche con una pezza di seta lavorata nei laboratori della città. Il tessuto che si ottiene con il filo del baco è molto apprezzato nella nostra patria e siamo disposti a scambiarlo con le collane. Sono curioso di sapere l’origine della pezza per darle un giusto valore”.

“Ogni donna di questa città apprende, fin da bambina, la lavorazione della seta. I bozzoli del baco o la seta grezza vengono venduti al mercato. Ogni famiglia del popolo conosce il segreto per tessere il filo necessario a confezionare un velo prezioso, per adornare il proprio capo nei giorni di festa. Il Prefetto della città permette alle popolane di lavorare la seta a condizione che venga portata ai magazzini imperiali. Mio marito, coltivatore del gelso nei campi imperiali, situati fuori la città, è stato sorpreso dall’esercito del sultano ed ha perso la vita nell’ultimo attacco alla mura della città. Mia figlia ed io viviamo con il lavoro artigianale della tessitura della seta grezza. L’assedio degli Ottomani ha interrotto l’allevamento del baco da seta intorno alla città e il prezzo della seta grezza è salito così tanto che non rende più concorrenziale la nostra manifattura artigianale. Conservo alcune piccole pezze che ho tessuto quando mio marito mi comprava il filo di seta al mercato”.

“Se ci porti la seta – incalza il remigio - Tommaso è disposto a dare a tua figlia la collana più bella”. 
Francesco Liparulo - Venezia


P.S. Brano tratto da "Mercanti Veneziani a Costantinopoli" di Francesco Liparulo galeaveneta.blogspot.com

0 commenti: