“La vicinanza al palazzo del despota imperiale - sostiene il
mercante – dovrebbe indurre il principe a dimostrare la sua
magnificenza con un edificio ben decorato e coperto di marmi”.
“Nella nostra città - dice il castellano – i costruttori tengono
conto soprattutto della solidità degli edifici per resistere ai
terremoti e durare nel tempo. Questa cappella dedicata a San
Nicola non è isolata ma è gestita da un ieromonaco della grande
chiesa di Santa Sofia, fatta costruire dalla famiglia imperiale dei
Cantacuzeni.
La piccola costruzione devozionale è parte integrante
dell’edificio religioso, frequentato dalla corte dei Paleologi, che
si erge più sopra lungo il sentiero che porta al castello. Il tempio
è frequentato dal despota Teodoro che ama intrattenersi con i
monaci del vicino convento, sottoposti al patrocinio del Santo
Patriarca Giuseppe.
Il metropolita di San Demetrio lascia piena autonomia ai monaci
che curano il servizio divino nella chiesa di Santa Sofia e in
questo luogo dedicato al santo di Myra.
La chiesa della corte dei Paleologi ha innumerevoli cupole,
sorrette da colonne marmoree scolpite, e pareti affrescate che
riproducono la Vergine e suo Figlio che tiene in vita tutto il
Creato”.
“Vedo l’icona del santo - dice il mercante – che queste donne
amano venerare, elevando il loro spirito all’Eterno che dispensa
le sue grazie ai devoti che si affidano al loro protettore. Il mio
pensiero riporta alla mente i pericoli e le fatiche affrontate per
giungere in questo sacro luogo e non posso fare a meno di
affidare a San Nicola anche il mio ritorno a Monemvasia.
Le anime devote sperano nel ritorno dei loro uomini, partiti in
armi per difendere le frontiere minacciate dai Turchi. Io,
mercante veneziano, ho un unico desiderio che è quello di
ritornare incolume alla mia famiglia. Sono stato beneficiato fin
qui e spero di essere protetto anche nel ritorno”.
“Non basta accendere una candela e sperare nell’aiuto divino -
dice il nobile cavaliere - ma occorre anche stimolare la
benevolenza del patrono con un obolo, degno di un mercante
veneziano, per soccorrere i bisognosi di questa città che
diventano sempre più numerosi con gli sbarchi dei predoni e con
i guerrieri turchi che premono alle frontiere della Morea”.
“Il mio guadagno - sostiene ser Nicolò – è frutto di fatiche e di
prudenza per trasportare la mercanzia. Pirati e ladri attentano
alla mia vita per sottrarmi i beni che mi sono stati affidati per i
quali ottengo la giusta commissione che permette a me e alla
mia famiglia di vivere degnamente. La fede mi sostiene nel
viaggio e mi da sicurezza l’aiuto del patrono dei naviganti.
Ritengo doveroso dimostrare la mia gratitudine lasciando una
congrua offerta per coloro che non hanno il necessario per una
vita buona. Il denaro che si dona per un’opera pia rinvigorisce lo
spirito di chi sa elargire con generosità e rischiara l’orizzonte
della vita per chi ottiene l’aiuto sperato”.
“Il monaco Matteo - dice l’arconte – raccoglie le offerte
destinate alle opere di carità dopo il sacro rito mattutino e si
intrattiene per elargire il perdono dell’Onnipotente ai peccatori.
Prima di deporre le offerte nel grande cesto, occorre riconoscere
le proprie manchevolezze e rappacificarci con Colui che ci dona
la vita”.
“Il mio spirito è pronto - sussurra il mercante – per una preghiera
di ringraziamento e per manifestare la mia gratitudine al santo”.
Francesco Liparulo - Venezia
P.S. :Brano tratto da “Terra da Morea” di Francesco Liparulo.
Vedi “Storie Venete” in Francesco Liparulo.
galeaveneta.blogspot.com
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