giovedì 19 gennaio 2017

La potenza commerciale di Venezia

           LO SBARCO DELLA MERCANZIA 

           SECONDO LE ANTICHE USANZE             
            Il capitanio della galea, ser Giovanni, ordina di mostrare il
gonfalone e di far suonare i tamburi.  
Lo   stendardo   della    Serenissima Repubblica, su cui è caricato con filo d’oro il Leone di San Marco, è inalberato sulla nave, ormeggiata alla  banchina del porto di Costantinopoli. L’emblema  della potenza commerciale di Venezia brilla sotto il sole di  mezzogiorno. Tutti i Veneziani della colonia fanno festa con il loro governatore, chiamato bailo, ser Benedetto  Emo, ambasciatore presso l’imperatore, il basileus Manuele II Paleologo.
    
Il  comandante della Capitana, così si chiama la galea,    scende dalla nave e corre ad abbracciare il suo amico.

“Sono lieto di vederti – esclama ser Giovanni – e orgoglioso di portarti una galea piena di mercanzia pregiata e di tanti amici che vogliono vendere cose preziose”. 
    
“Sono sicuro – risponde il bailo - che tutti faranno buoni affari e desideroso di accogliere coloro che mi parleranno di Venezia”. 
    L’incontro tra i  due patrizi è accompagnato da grida di giubilo dei residenti e dell’equipaggio.
    
Sulla galea grossa da mercato c’è il giovane  Francesco, imbarcato in qualità di balestriere della poppa ed inviato  per far pratica di ragioneria nell’impresa commerciale della famiglia di ser Benedetto. Sulla nave c’è anche il  giovane patrizio Marco, anche lui balestriere. Suo padre, senatore e appartenente ad un’antica famiglia patrizia, lo ha inviato per fare  acquistare al figlio un minimo di pratica commerciale negli uffici governativi del bailo. I due giovani sono diventati amici prima dell’imbarco, durante l’addestramento al tiro della balestra, organizzato dal “Comune” nei campi del Lido. Durante il viaggio, iniziato il 15 luglio 1422 e terminato oggi, dopo due mesi di navigazione, i due tiratori di balestra hanno conosciuto nobili, cittadini e popolani, tutti imbarcati per scambiare o vendere  la loro mercanzia nella  città d’oro, sogno di tutti gli uomini desiderosi di ricchezze e di onori. 
    
L’equipaggio dell’imbarcazione, costituito da 207 uomini tra ufficiali, maestranze, marinai, vogatori, nobili saliti per addestramento, mercanti viaggiatori, è in fermento e si prepara allo sbarco.
    I primi che scendono attraverso la passerella sono tre mercanti viaggiatori con i loro servi e gli oggetti personali: bauli, valigie ed armi. I giovani nobili, assiepati sul ponte di poppa, rivolgono gli sguardi  a un viaggiatore, salito a Negroponte, porto veneziano dell’Egeo. Il passeggero è seguito  da un’esile figura di donna con il capo e il volto coperto da un velo di seta bianco. Un bisbiglio corre  tra  gli  ufficiali e i patrizi:  “È il figlio dell’imperatore”. 
    
Il capitanio e il bailo salutano, secondo l’usanza del luogo, il rappresentante della casa regnante che ha scelto una galea veneziana per viaggiare attraverso il mar Egeo, solcato da navi ostili al basileus.
    Suoni di trombe, schieramento di cavalieri e carri con stemmi e stendardi imperiali accolgono il principe che lascia il porto, accompagnato da grida festose e frasi augurali.
    
Il comandante della Capitana ritorna a bordo per controllare personalmente le operazioni dello sbarco della mercanzia e chiama il suo scrivano di bordo: “Tommaso, controlla insieme a Francesco, aspirante ragioniere al commercio del nostro governatore della colonia, i registri di viaggio e accertati che le quantità, annotate sui libri, corrispondano a quelle stivate. Ogni involucro dei panni deve avere il suo segno distintivo, quello annotato alla partenza. Ad ogni destinatario la sua mercanzia che corrisponde al nolo pagato, come risulta dal Registro dei noli”.
    
Anche il balestriere ha udito l’ordine e, attraverso il boccaporto centrale, scende sottocoperta. Tommaso lo invita a fare la ricognizione della mercanzia: “Francesco, aiutami a controllare i colli per consegnarli ai mercanti o ai loro agenti commissionari che stanno arrivando con i bastasi della colonia, addetti allo scarico. Iniziamo a vedere quello che c’è nella prima stiva che è la più grande”.
    
Lo scrivano legge sul registro e conta 252 colli, ognuno con il segno distintivo del destinatario. Si tratta di merce pregiata ed ogni involucro si aggira intorno alle mille libbre. 
    
Francesco chiede: “Cosa contengono questi involucri?”
    
“Nella parte sinistra del registro – risponde Tommaso - è indicato che si tratta di merce di ser Domenico: panni bastardi, panni loestipanni farisee. Inoltre ci sono dei sacchi che contengono stagno per un valore di  2200 ducati d’oro. Si tratta di mercanzia che proviene da Londra”. 
    Il fiduciario del capitanio controlla  che gli involucri non siano stati manomessi o danneggiati e si accerta della loro integrità, per evitare le richieste di risarcimento al Consiglio del bailo.
    
“Tommaso, cosa contengono i colli con questo segno?”
    
Lo scrivano risponde: “Sono panni da 60 da Padoa, panni da 65 da Padoa, panni da 40 da Venexia, panni da 40 da Venexia contraffati alla Fiorentina, panni Vexentini, panni da Parma. Tutti di proprietà di ser Giacomo”.
    
Dalla prima stiva passano alla stiva più vicina alla poppa, dopo il comparto dello scrivano e l’armeria della nave. La seconda stiva è più piccola della prima, ma contiene merce più pregiata. 
    
“Francesco, controlliamo tutto ciò che c’è qui – esclama il fiduciario - e verifichiamo l’esatta corrispondenza con il registro di carico”.
    
Sul lato destro della stiva ci sono: 60 casse contenenti conterie e chincaglierie, cioè i paternostrani, prodotti a Murano, di proprietà di ser Alvise; 25 sacchetti, chiusi e con il sigillo di San Marco, contenenti ventiduemila ducati d’oro, destinati al bailo, per le esigenze del governo della colonia. Sulla sinistra sono allineate: 32 borse di grossi  d’argento destinati al banco di ser Francesco, per un valore di diciottomila ducati d’oro; 4 bauli pieni di vesti di seta pregiata, lavorate con filo d’oro e d’argento nelle botteghe di San Lio, San Salvatore e San Zulian. Il valore dei quattro bauli, pieni di ormesini, zendadi e broccati, è di cinquemila ducati, destinati a ser Antonio, agente commissionario di un ricco mercante residente a Venezia. In fondo alla stiva ci sono 5 casse contenenti lingotti d’argento, per un valore di ventimila ducati d’oro, destinati a un banchiere greco, intermediario della zecca imperiale.
    
Lo scrivano dopo la verifica, chiude la stiva con la chiave e fissa negli occhi il balestriere di guardia: “Alvise,  non fare avvicinare nessuno”.
   
“Francesco, saliamo in coperta e riferiamo al capitano che la ricognizione nelle stive ha avuto esito favorevole e che i colli non sono stati danneggiati”.
    Il comandante, sul castello di poppa, impartisce ad ogni ufficiale e sottufficiale gli ordini perché lo sbarco della mercanzia e degli uomini avvenga secondo le  prescrizioni marinare di San Marco. Ogni uomo dell’equipaggio è addestrato all’esecuzione minuziosa delle procedure per la sicurezza propria e della nave. L’esperienza acquisita da ognuno sulle galee dello Stato, dopo l’apprendistato giovanile, facilita e rende più spedite tutte le operazioni.
    
“Scrivano, finalmente sei tornato – esclama ser Giovanni - per assicurarmi che il carico non ha subito danni. Gli agenti commissionari e gli inviati dei mercanti sono impazienti di portare la mercanzia al magazzino della colonia”.
             Francesco Liparulo - Venezia


PS: Brano tratto da “Storie venete” di Francesco Liparulo. Sito web galeaveneta.blogspot.com su yahoo.it 

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