NELLA SOCIETÀ CIVILE PIÙ
SPAZIO PER IL CONFRONTO
“L'evoluzione degli Stati democratico-liberali - ha
sostenuto Angelo Scola, arcivescovo di Milano – è andata sempre più mutando
l’equilibrio su cui tradizionalmente si reggeva il potere politico. Il
presupposto teorico dell'evoluzione si rifà, nei fatti, al modello
francese di “laicité”. Esso si basa sull'idea di
“neutralità” delle istituzioni statuali. L’idea di “neutralità” non
è applicabile alla società civile la cui precedenza lo Stato deve sempre
rispettare, limitandosi a governarla e non pretendendo di gestirla. Sotto
una parvenza di neutralità e oggettività delle leggi, si cela e si diffonde
– almeno nei fatti – una cultura priva di apertura al trascendente. È
necessario uno Stato che apra spazi in cui ciascun soggetto personale
e sociale possa portare il proprio contributo all’edificazione del bene
comune”.
Da dove deriva questo scontro che investe le istituzioni religiose e
gli ordinamenti politici?
Il processo di separazione della politica dalla morale, iniziato con
Machiavelli, proseguito con Hobbes, Bodin e Bacone, rafforzato con il
razionalismo, scaturito dal pensiero di Cartesio, con le idee di Locke,
con l’invenzione dello “stato di natura” e della “volontà generale” di Jean
Jacques Rousseau, con la diffusione dell’illuminismo radicale,
con la separazione di scienza e coscienza (distinzione dei giudizi
scientifici e giudizi di valore) di Max Weber, trionfa con lo Stato
di diritto che costruisce una serie di norme che sono obbligazioni,
diritto, soggetto giuridico.
Lo Stato tedesco di Hitler è stato uno Stato di diritto ed ha
imposto il suo diritto di guerra, il diritto di internare nei lager, il diritto
dello sterminio e del genocidio.
Lo Stato sovietico di Stalin è stato uno Stato di diritto ed ha
imposto il suo diritto di internare nei gulag e il suo diritto di eliminare i
nemici politici.
Oggi le social democrazie seguono il pensiero di Kelsen che è stato uno degli
artefici della costituzione di Vienna del 1920, dopo la Prima guerra mondiale.
Lo Stato per Hans Kelsen, giurista tedesco nato nel 1881 a Praga,
naturalizzato americano e morto nel 1973 a Berkeley, è lo Stato normativo,
Stato del diritto come insieme di norme.
Kelsen, sulla scia del pensiero di Kant, ritiene che l’uomo non può andare
al di là dell’esperienza del conoscere, cioè la realtà esiste solo nella conoscenza
umana, nel senso che è relativa al soggetto conoscente.
Nella democrazia, secondo lo scrittore, si dice: “L’état siamo noi”, cioè è la totalità
politica che forma la società civile e lo Stato.
Kelsen sostiene la democrazia esclusivamente procedurale.
La democrazia procedurale è intesa da tutti come insieme di regole che
stabiliscono chi è autorizzato a prendere le decisioni collettive e con quali
procedure. Questa procedura lascia impliciti i presupposti della
democrazia, come governo dal basso e suffragio universale, lascia impliciti i
valori e i fini ma lascia imprecisati i contenuti.
Le regole non stabiliscono il reale contenuto delle decisioni, cioè che cosa è giusto
e che cosa è insoddisfacente. Una democrazia procedurale sarebbe aperta
a ogni contenuto e comporta la neutralizzazione pubblica dei valori.
La democrazia procedurale entra in crisi quando nella società
circolano tensioni che lacerano le coscienze delle persone. Una democrazia
marcatamente procedurale finisce per attribuire riconoscimento ai poteri forti
di fatto.
I cittadini avendo codici di riferimento morale lontani non possono mettersi
d’accordo su cose fondamentali per cui c’è richiesta di procedure.
La Piazza pubblica ricorre a procedure, ciò che conta sono le procedure, cioè le
regole del gioco ci forniscono le regole. Tutti quelli che partecipano al gioco
seguono regole, così il gioco politico deve avere regole di procedura. Il
problema nasce quando il contenuto è lasciato fuori dalle regole del gioco.
La regola della
maggioranza, il principio maggioritario non assolutizzato, significa decidere senza la
garanzia di contenuti. Con il relativismo morale esistono nuclei indisponibili
al confronto per alcuni diritti fondamentali dell’uomo. C’è controversia nelle
nostre società.
Francesco Liparulo - Venezia
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