venerdì 13 dicembre 2013

Il disagio sociale aumenta ogni giorno

DARE FIDUCIA  A  UN  PAESE IN PREDA
ALL'INCUBO DELLA DISOCCUPAZIONE
''La stabilità - ha detto Stefania Giannini, coordinatrice politica di Scelta Civica - è un bene se serve al governo per fare le riforme che consentano di agganciare la ripresa economica e consolidare la sua presenza in Europa. Realizzare queste riforme vuol dire combattere i populismi''.
Per Giorgio Napolitano, "è giunto il momento di affrontare il tassello fondamentale della produttività del lavoro, abbattendo quello "spread" tra le imprese italiane e i loro concorrenti europei".
La lotta alla disoccupazione giovanile - ha evidenziato Enrico Letta, presidente del Consiglio dei Ministri - è un imperativo categorico. E' letteralmente l'incubo che attanaglia la nostra società, le nostre famiglie. Manterremo gli impegni presi in Europa; il tema delle forme e dei modi con cui troveremo le risorse è un fatto di casa nostra, non ho da spiegarlo a nessuno”.
C’è crisi economica e l'Italia, secondo l’Ocse, l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, non cresce: il Prodotto interno lordo per il 2013 subirà una contrazione stimata all’1,5%, in ribasso rispetto all’1% previsto nello scorso novembre. Il ritorno alla crescita non è previsto prima del 2014. “Con un rapporto debito/Pil vicino al 130% e un piano di ammortamento del debito particolarmente pesante, l’Italia rimane esposta ai cambiamenti improvvisi dell’umore dei mercati finanziari. La priorità è quindi la riduzione ampia e prolungata del debito pubblico che è salito in ottobre ad un nuovo massimo, cioè a 2.085 miliardi, dai 2.068 di settembre.
Per il Presidente della Repubblica Italiana, c’è una “drammatica perdita dei posti di lavoro”: tre milioni alla ricerca di un lavoro. L’Italia è al terzo posto dopo la Grecia e la Spagna.
Per Jacopo Morelli, presidente dei Giovani industriali, "gli Italiani hanno già dato una grande prova di responsabilità, accettando misure drastiche e impopolari. Se questo è vero, c'è anche un dovere morale da parte del governo di ridare subito fiducia al Paese, abbassando in maniera sostanziale, la pressione fiscale la pressione fiscale su chi lavora e sulle imprese che investono". Per Morelli occorre “creare nuove occasioni di lavoro e dare ossigeno alle aziende, per esprimere ogni potenziale al meglio”.
“Alle banche e allo Stato – ha detto Giorgio Squinzi, presidente di Confindustria – chiediamo uno sforzo aggiuntivo per il credito alle imprese. L’Italia con l’elevata tassazione imposta dal governo non riesce più a sostenere i limiti di spesa imposti in un momento di recessione. Il principio di risparmio, imposto dai governi negli ultimi anni nel pubblico e nel privato, ha aggravato la crisi e non ha dato soluzioni alla disoccupazione. Le banche hanno già ricevuto un grande sostegno con tassi agevolati dalla Banca centrale europea ma non sostengono il loro ruolo che è quello di "aiutare le famiglie e l'impresa in difficoltà". L'ossigeno vitale non arriva a chi è impegnato nella produttività del Paese, cioè i lavoratori si trovano ad affrontare una disoccupazione che diventa sempre più insostenibile e le banche continuano a non agevolare il credito a chi fa impresa e genera produttività e la lavoro.
C'è l'esigenza, in questo momento di disagio sociale, di uno Stato che riconosca e sostenga le famiglie e le imprese secondo il principio della sussidiarietà, agevolando lo sviluppo di energie singole e di organizzazioni sociali per creare una comunità civile che si conserva nel tempo e non degeneri per “le patologie politiche” presenti nella comunità.
I valori fondamentali della società (la persona umana, la famiglia, la sussidiarietà, la solidarietà) passano in secondo luogo nel sistema Stato - mercato che impone le proprie concezioni individualistiche nell’attuale mondo globalizzato, dove le regole del mercato non tengono conto della dignità della persona umana.
Nel mondo del lavoro, anche nei settori in forte sviluppo, conta la competizione e la produttività, cioè l’orientamento culturale è favorevole sempre di più all’individualismo e al “privatismo”, a scapito di coloro che hanno soltanto le proprie braccia per provvedere a se stessi e alle proprie famiglie.
Lo Stato è il primo responsabile di tutta la politica del lavoro, cioè è il datore di lavoro indiretto che deve provvedere all’emanazione delle leggi che disciplinano il settore lavorativo. Le attività delle società produttive, direttamente responsabili perché determinano i contratti e i rapporti di lavoro, esigono una politica che garantisca il rispetto degli inalienabili diritti delle persone.
La giustizia nei rapporti lavoratore - datore di lavoro non solo si attua con una equa remunerazione, ma anche e soprattutto con una legislazione che aiuti le imprese a garantire posti di lavoro per il sostentamento delle famiglie.
La difesa degli interessi esistenziali dei lavoratori in tutti i settori produttivi è resa possibile soltanto da uno Stato che dispone di istituzioni che considerano la persona umana come soggetto del lavoro e non come “merce” per aumentare la ricchezza del Paese.
La responsabilità primaria in una società civile e politica spetta all'autorità politica, intesa come funzione essenziale senza la quale la persona umana non può acquisire il bene comune, indispensabile alla sua vita e a quella di tutta la società civile.
Il compito delle persone, investite di potere politico, è quello di emanare una legislazione che garantisca un'ordinata convivenza sociale nella vera giustizia perché tutti i lavoratori possano trascorrere una vita dignitosa. La legge civile deve assicurare soprattutto i diritti fondamentali che appartengono alla persona.
Il lavoro è un bene essenziale perché con esso l’uomo realizza se stesso ed espleta la sua libertà nella comunicazione con gli altri per la creazione del bene comune, necessario al benessere materiale e spirituale della società civile. L'operaio ha anche una vita familiare che è un suo diritto e una sua vocazione naturale. La sua attività è condizione per la nascita e il mantenimento della famiglia, ritenuta cellula primordiale di tutta la comunità civile. La perdita del salario del capo famiglia mina alla radice l'unità fondamentale della stessa società.
L'esigenza di creare ricchezza e sostenere la competizione nel mondo globalizzato non può tralasciare la preminenza dei valori essenziali e il mantenimento della coesione sociale, cioè non può tralasciare di assicurare il sostentamento e l’esistenza quotidiana della vita dell’uomo, soggetto inalienabile di tutte le attività sociali.
Il valore del lavoro umano, che è tale perché caratteristica essenziale di ogni persona e bene fondante di ogni sviluppo sociale, non può essere calpestato per finalità non rispondenti ai veri bisogni primari dei cittadini. Il benessere materiale perde significato se non si dà importanza alla dignità del lavoro, cioè la società civile si disgrega e perde coesione se l’attività che genera ricchezza non è protetta da norme che assicurino l’esistenza del lavoratore e della sua famiglia.
Francesco Liparulo - Venezia

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