L’INDUSTRIA DELLA SETA MONOPOLIO DEL BASILEUS
I due remigi, piccoli mercanti veneziani, con i loro fardelli si avviano verso la dimora della vedova.
Vicino alla casa del ricco aristocratico Oikantropos si ergono le abitazioni dei popolani del quartiere con le loro botteghe e i piccoli laboratori.
Le indicazioni di un panettiere consentono ai due venditori ambulanti di raggiungere la piccola casa a due piani in cui vivono Laiomorosina e sua madre. La porta di ingresso del loro piccolo laboratorio è chiusa e Virgilio bussa per farsi aprire.
“Il mio amico Tommaso ha con sé le collane – esclama Virgilio nel momento in cui viene aperta la porta – e potete scegliere le più belle”.
“Entrate - esclama la tessitrice di seta – e sedetevi attorno a questo tavolo su cui potete mostrare le collane di Murano. Mia figlia vi versa nei bicchieri il vino prodotto con l’uva del nostro orticello”.
“Sei veramente ospitale – dice Virgilio – e ti sarei grato di sapere qualcosa sulla seta che lavori mentre Tommaso mostra alla tua figliola le perline veneziane”.
“In questo piccolo laboratorio – racconta la donna - mio marito ed io, con l’aiuto di due apprendiste, abbiamo prodotto i tessuti di seta per la confezione delle vesti degli aristocratici. L’assedio dell’esercito del sultano e la morte del mio consorte hanno interrotto la lavorazione della seta.
I bozzoli e la seta grezza, venduta al mercato, non provengono più dalle campagne esterne alla città ma vengono importate con le navi dal mercato di Tessalonica o dalla Morea.
Il prezzo della materia grezza è lievitato e non posseggo i denari per acquistarla. L’industria della seta, monopolio della casa imperiale, è ferma da alcuni mesi e i governanti preferiscono importare i tessuti confezionati in Occidente o prodotti nel lontano Oriente.
Le famiglie del quartiere, che hanno un laboratorio come questo, aspettano la fine dell’assedio e la ripresa del loro lavoro”.
“Il tuo laboratorio – afferma Virgilio – è ancora pieno di pezze di seta depositate sugli scaffali e i telai hanno ancora il filo che attende di essere lavorato”.
“Sei un attento osservatore – risponde la donna – e quello che vedi è tutto ciò che ci rimane per sopravvivere in attesa dei tempi migliori. L’unica mia preoccupazione è Laiomorosina per la quale sono disposta ad acquistare qualche ornamento, per abbellire il suo collo e renderla più attraente agli occhi dei giovani. Le collane d’oro costano molto e una bella collanina di vetro è sufficiente ad esaltare la sua pelle giovane”.
“Tua figlia è bella – afferma il remigio – ed è molto giovane. La tua ansia per lei è ingiustificata. Prima o poi metterà in subbuglio il cuore di qualche giovane del quartiere”.
“Qui le fanciulle – dice la donna - si sposano appena i loro seni si arrotondano sotto la tunica. I giovani del quartiere sono impegnati per difendere le mura della città e nessuno di loro pensa di mettere su casa.
La città è sempre assediata e i matrimoni vengono rinviati.
Io sono rimasta vedova e, pur essendo ancora giovane, non ho avuto nessuna richiesta di matrimonio. La paura dell’avvenire incerto frena gli uomini ad assumere qualsiasi impegno che debba durare per sempre.
Gli opifici governativi sono chiusi e gli artigiani del quartiere non riescono a comprare le materie prime per confezionare i loro prodotti. Tutto viene importato già confezionato. Anche i vestiti di seta, orgoglio di questa città, vengono importati dall’Occidente.
Quando il basileus provvedeva a fare importare dai commercianti tutte le materie prime, necessarie per le lavorazioni, gli artigiani vivevano tranquilli. Il Prefetto provvedeva a calmierare i prezzi ed ognuno poteva guadagnare secondo le proprie necessità.
L’occupazione dei territori imperiali ha interrotto il flusso degli approvvigionamenti necessari a sostenere i laboratori degli artigiani. Nella città entrano soltanto le merci che vogliono i commercianti dell’Occidente, perché sono le più lucrose per i loro affari.
Le madri si preoccupano per i loro figli, quando i propri uomini sono costretti a chiudere il laboratorio o il piccolo esercizio commerciale di quartiere. Io sopravvivo ancora perché ho messo da parte l’eccedenza della lavorazione, quando le tessitrici facevano a gara per produrre le stoffe più pregiate.
La soluzione, per la carenza di materie prime a buon mercato, è quella di infrangere le regole del Prefetto e provvedere in proprio all’acquisto, fuori della città, di tutto quello che occorre per far funzionare i telai.
Se mio marito fosse vivo lo farei imbarcare per la città di Trebisonda, dove i governanti sono amici degli Ottomani, per comprare la seta grezza. Solo gli uomini possono navigare per commerciare.
Noi donne di città possiamo soltanto lavorare al riparo dagli occhi indiscreti e per i bisogni della famiglia. Questo laboratorio di tessitura potrebbe rifiorire e garantire ottimi guadagni se avesse un uomo a dirigere tutte le operazioni di tessitura. Se mia figlia sposasse un esperto della lavorazione della seta, potrebbe ingrandire la manifattura familiare con l’assunzione di lavoranti o di giovani che vogliono imparare l’arte della tessitura”.
Francesco Liparulo - Venezia
P.S. Brano tratto da “Mercanti Veneziani a Costantinopoli” di Francesco Liparulo galeaveneta.blogspot.com
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