giovedì 23 gennaio 2014

L'esistenza dei più deboli inquieta la coscienza umana

 Il pensiero cristiano eredita dall’antica Grecia la concezione dell’illiceità dell’aborto della vita umana del futuro nascituro. Per il greco Ippocrate del V° secolo avanti Cristo, padre della medicina, l’inizio della vita umana è nell’atto del concepimento. Aristotele, filosofo del IV° secolo avanti Cristo, considera illecito l’aborto nel momento in cui en...tra in funzione l’anima sensitiva, cioè al 40° giorno dal concepimento.
Le due tesi sono modificate alla luce della Rivelazione e della concezione cristiana dell’anima. L’indiscusso riconoscimento del valore della vita fin dai suoi inizi è confermato dalla Bibbia.
Nella Sacra Scrittura è comandato all’uomo di non uccidere. Questo precetto ha un forte contenuto negativo ed indica il confine estremo che non può mai essere valicato. In questo orizzonte si colloca il problema della pena di morte affrontato dall’Onu. L’Assemblea generale delle Nazioni Unite, “considerando che l’uso della pena di morte mina la dignità umana”, ha approvato il 18 dicembre 2007 una moratoria delle esecuzioni capitali. La risoluzione significa un invito alla sospensione di tutte le uccisioni legalizzate.
Se grande attenzione è posta al rispetto della vita del reo e dell’ingiusto aggressore, il comandamento non uccidere ha un valore universale che non ammette obiezioni se si riferisce alla persona innocente.
La Chiesa cattolica, constatato “il progressivo attenuarsi nelle coscienze e nella società della percezione” dell’illiceità morale della soppressione di ogni vita umana innocente, specialmente al suo inizio, è intervenuta a difesa dell’inviolabilità della vita umana.
Nel febbraio 1987 la Congregazione per la Dottrina della Fede, con l’Istruzione “Il Rispetto della vita umana nascente e la dignità della procreazione” sostiene che l’essere umano è da rispettare, come persona, fin dal primo istante della sua esistenza, cioè dal momento della fecondazione.
  Il Papa Giovanni Paolo II, nella sua enciclica “Evangelium vitae” del 25 marzo 1995, ribadisce: “Confermo che l’uccisione diretta e volontaria di un essere umano innocente è sempre gravemente immorale”…“Niente e nessuno può autorizzare l’uccisione di un essere umano innocente, feto o embrione che sia”…“L’aborto procurato è l’uccisione deliberata e diretta, comunque venga attuata, di un essere umano nella fase iniziale della sua esistenza, compresa tra il concepimento e la nascita”… “Nessuna Autorità può legittimamente imporlo né permetterlo”… “Dichiaro che l’aborto diretto, cioè voluto come fine o come mezzo, costituisce sempre un disordine morale grave, in quanto uccisione deliberata di un essere umano innocente”… “Le leggi che autorizzano e favoriscono l’aborto … si pongono dunque radicalmente non solo contro il bene del singolo, ma anche contro il bene comune e, pertanto, sono del tutto prive di autentica validità giuridica”.
La questione della vita e della sua difesa appartiene ad ogni coscienza umana. Si tratta di un valore universale che ogni essere umano può cogliere alla luce della ragione. Il rispetto del diritto alla vita di ogni persona innocente è uno dei pilastri su cui si regge ogni società civile perché su di esso si fondano e si sviluppano tutti gli altri diritti inalienabili dell’essere umano. Non può avere una base solida la società che prima afferma come valori la dignità della persona, la giustizia e la pace e poi si contraddice con le leggi che violano l’inizio della vita delle persone, cioè negano il diritto all’esistenza dell'essere vivente racchiuso nel grembo materno.
L’intervento del Magistero della Chiesa, per la difesa dell’inviolabilità dell’inizio della vita umana, mira a promuovere uno Stato più umano e solidale. I suoi atti, in difesa della ragione e della libertà dell’essere umano concepito, interpellano non solo i cristiani ma in particolare tutti i responsabili della cosa pubblica, cioè tutti i politici, chiamati a servire l’uomo e il bene comune con scelte a favore della vita, soprattutto nell’ambito delle disposizioni legislative.
Coloro che hanno autorità di decisione nelle democrazie pluraliste sono incoraggiati a compiere scelte per la promozione del diritto alla vita, dal concepimento alla morte. Questo diritto richiede di essere difeso, promosso e sostenuto con leggi, basate sul principio della sussidiarietà, per la famiglia e la maternità.
  Alcuni politici si appellano alla “laicità dello Stato” e i difensori dei valori della persona umana si schierano contro il laicismo di coloro che dimenticano che l’essere umano è dotato di ragione e di libertà, cioè aspira al bene comune di tutta la società che è bene materiale e spirituale di ogni cittadino.
La difesa della laicità dello Stato, cioè la difesa della distinzione tra Chiesa e Stato, porta allo scontro sociale del fronte laicista e dello schieramento anti laicista che chiede il rispetto dei valori del popolo italiano. Si tratta dello scontro tra l’attuale sistema Stato – mercato e la persona umana che vede calpestata la sua stessa libertà di crescita e di autonomia.
  I principi fondamentali della società civile (dignità della persona – bene comune - solidarietà – sussidiarietà) vengono disconosciuti dalle maggioranze governative che, dominate da una concezione individualistica della politica, non tengono conto del valore sociale della famiglia.
La dissoluzione dei legami sociali, causata dallo schema di democrazia centrato solo sull’individuo, e la globalizzazione economica, che rende lo Stato fragile e il mercato forte, hanno determinato una contraddizione tra crescita economica e coesione sociale.
  Lo Stato ha necessità di creare coesione nella società, di sostenere il multiculturalismo con regole condivise, di far fronte alle richieste delle singole regioni e alle loro aspettative di benessere, di applicare la democrazia nel suo rapporto con l’uomo, la scienza e soprattutto la vita. Tutto questo porta a una richiesta di orientare diversamente le basi etiche della comunità civile, cioè di risolvere i nuovi problemi della scienza e del diritto pubblico. Si tratta di sciogliere i nodi della bioetica, della scuola pubblica e privata, della famiglia e soprattutto dell’identità.
Il problema che emerge è il riconoscimento pubblico della propria identità culturale, etnica, di genere, di religione, di cittadinanza. L’idea di un’etica sociale che vada bene per tutti, cioè quella della neutralità e della tolleranza, non è in grado di creare una vera cooperazione in una società multiculturale.
  Si fa sempre più pressante e insistente la domanda che lo Stato garantisca la continuità spirituale degli Italiani, cioè la salvaguardia della loro identità. Si tratta di rispettare i valori di socializzazione, di educazione e di formazione alle virtù civili che hanno sempre contraddistinto il nostro popolo.
La vera sfida è quella rivolta alle “buone coscienze” per risolvere la sperequazione nell’accesso ai beni economici e agli stessi mezzi di sussistenza; le questioni bioetiche dell’inizio e della fine della vita umana, la manipolazione genetica, la riduzione della comunicazione umana, la globalizzazione economico-finanziaria.
  Lo stimolo delle “coscienze di tutti” è necessario per creare “movimenti di risveglio” a livello sociale e spirituale perché il popolo deve continuamente essere sollecitato. L’attuale società tecnologica si è costituita intorno al processo della produzione globalizzata e allo scambio mondiale delle merci. I bisogni e i desideri essenziali della persona umana rimangono insoddisfatti.
La richiesta di uno Stato più umano e solidale significa che il mutamento della società spetta alle persone che, chiamate a rappresentare il popolo nelle istituzioni, si liberino dalle loro chiusure individualistiche e si aprano per una società vitale i cui membri possano vivere nella costruzione e condivisione del bene comune.
  La persona umana, la cultura e la società sono i pilastri della comunità vitale in cui i membri formano la coscienza di tutto il popolo.
Lo scandalo, creato con la concezione laicistica dello Stato, è quello di aver abbandonato la persona e la sua esistenza, dal concepimento alla morte, negandole il beneficio dei principi cardini di qualsiasi società civile che sono la dignità della persona, il bene comune, la sussidiarietà e la solidarietà.
L’aborto è la negazione di tutti questi principi.
La sfida è la creazione di una società di persone che rispettano il mistero della vita umana dal suo inizio al suo termine naturale.
Francesco Liparulo - Venezia

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