“L'evoluzione
degli Stati democratico-liberali - ha sostenuto
Angelo Scola, arcivescovo di Milano – è andata sempre più mutando
l’equilibrio su cui tradizionalmente si reggeva il potere politico. Ancora fino
a qualche decennio fa, si faceva riferimento sostanziale ed esplicito a strutture
antropologiche generalmente riconosciute, almeno in senso lato, come
dimensioni costitutive dell'esperienza religiosa: la nascita,
il matrimonio, la generazione, l’educazione,
la morte. Si sono andate assolutizzando in politica delle
procedure decisionali che tendono ad autogiustificarsi in maniera
incondizionata. Il presupposto teorico dell'evoluzione si
rifà, nei fatti, al modello francese di “laicité”.
Esso si basa sull'idea di “neutralità”
delle istituzioni statuali. L’idea di “neutralità” non è applicabile
alla società civile la cui precedenza lo Stato deve sempre rispettare,
limitandosi a governarla e non pretendendo di gestirla. Sotto una
parvenza di neutralità e oggettività delle leggi, si cela e si
diffonde – almeno nei fatti – una cultura priva di apertura al trascendente.
È necessario uno Stato che apra spazi in cui ciascun
soggetto personale e sociale possa portare il proprio contributo
all’edificazione del bene comune”.
A Roma il 12 maggio 2013 si marcia per
abrogare "la legge che regola l'aborto".
"Bisogna mantenere viva l'attenzione
sul tema così importante del rispetto della vita umana - ha detto Papa Francesco - sin dal momento
del suo concepimento. Va garantita protezione giuridica all'embrione, tutelando
ogni essere umano sin dal primo istante della sua esistenza".
Per la Chiesa si tratta di affrontare le “grandi problematiche etiche
ed antropologiche” emerse per i “profondi cambiamenti”
dei costumi, dei comportamenti e per le nuove applicazioni delle biotecnologie
agli uomini. La concezione dell’uomo è soltanto quella di un essere della
natura, frutto dell’evoluzione oppure anche quella di una dimensione non
riducibile soltanto al dato fisico?
La questione dell'origine dell'uomo, con le sue implicazioni scientifiche, etiche e politiche, crea,
oggi, un contrasto di idee tra i credenti e i diversamente credenti che
utilizzano i mezzi della comunicazione pubblica.
Da dove deriva questo scontro che investe le istituzioni religiose e gli ordinamenti politici?
Il processo
di separazione della politica dalla morale, iniziato con Machiavelli,
proseguito con Hobbes, Bodin e Bacone, rafforzato con il razionalismo,
scaturito dal pensiero di Cartesio, con le idee di Locke,
con l’invenzione dello “stato di natura” e della “volontà generale” di Jean
Jacques Rousseau, con la diffusione dell’illuminismo radicale,
con la separazione di scienza e coscienza (distinzione dei giudizi scientifici
e giudizi di valore) di Max Weber, trionfa con lo Stato
di diritto che costruisce una serie di norme che sono obbligazioni,
diritto, soggetto giuridico.
Lo Stato tedesco di Hitler è stato uno Stato di diritto ed ha imposto il suo diritto di
guerra, il diritto di internare nei lager, il diritto dello sterminio e del
genocidio.
Lo Stato sovietico di Stalin è stato uno Stato di diritto ed ha imposto il suo diritto di
internare nei gulag e il suo diritto di eliminare i nemici politici.
Oggi le social democrazie seguono il
pensiero di Kelsen che è stato uno degli
artefici della costituzione di Vienna del 1920, dopo la Prima guerra mondiale.
Lo Stato per Hans Kelsen, giurista tedesco nato nel 1881 a Praga, naturalizzato americano
e morto nel 1973 a Berkeley, è lo Stato normativo, Stato del
diritto come insieme di norme.
Kelsen,
sulla scia del pensiero di Kant, ritiene che l’uomo non può andare al di là
dell’esperienza del conoscere, cioè la realtà esiste solo nella conoscenza
umana, nel senso che è relativa al soggetto conoscente.
Nella democrazia, secondo lo scrittore, si dice: “L’état siamo noi”, cioè è
la totalità politica che forma la società civile e lo Stato.
Kelsen
sostiene la democrazia esclusivamente procedurale.
La
democrazia procedurale è intesa da tutti come insieme di regole che
stabiliscono chi è autorizzato a prendere le decisioni collettive e con quali
procedure. Questa procedura lascia impliciti i
presupposti della democrazia, come governo dal basso e suffragio universale,
lascia impliciti i valori e i fini ma lascia imprecisati i contenuti.
Le regole non stabiliscono il reale
contenuto delle decisioni, cioè che
cosa è giusto e che cosa è insoddisfacente. Una democrazia procedurale
sarebbe aperta a ogni contenuto e comporta la neutralizzazione pubblica
dei valori.
La democrazia procedurale entra in
crisi quando nella società
circolano tensioni che lacerano le coscienze delle persone. Una democrazia
marcatamente procedurale finisce per attribuire riconoscimento ai poteri forti
di fatto.
I cittadini avendo codici di riferimento
morale lontani non possono mettersi
d’accordo su cose fondamentali per cui c’è richiesta di procedure.
La Piazza pubblica ricorre a procedure, ciò che conta sono le procedure, cioè le regole del gioco ci
forniscono le regole. Tutti quelli che partecipano al gioco seguono regole,
così il gioco politico deve avere regole di procedura. Il problema
nasce quando il contenuto è lasciato fuori dalle regole del gioco.
La regola della maggioranza, il principio maggioritario non assolutizzato, significa decidere
senza la garanzia di contenuti. Con il relativismo morale esistono nuclei
indisponibili al confronto per alcuni diritti fondamentali dell’uomo. C’è
controversia nelle nostre società.
Il grande problema di oggi è: “Chi è l’altro che si affaccia nello spazio pubblico?”, cioè
“chi è l’altro?” nel luogo dell’interesse, dove si usano delle procedure senza
i valori.
Nella società democratica libera c’è la tendenza di riportare i valori nel privato perché non si
trova la regola. Se bisogna decidere sui valori non si decide direttamente ma si
trovano procedure neutrali dove non si decide sui contenuti ma si
lascia alla procedure trovare soluzioni. La società ha creato benessere e
tenore di vita elevato, cioè le istituzioni libere democratiche hanno
sviluppato saggezza per cui si è sviluppato benessere e pace.
Ci si
interroga come bilanciare, oggi, il pluralismo morale e la legge civile,
cioè la legge del nostro ordinamento. Ci sono leggi che permettono di fare
qualcosa, altre che vietano, altre che comandano e altre ancora che permettono
a certe condizioni di fare o non fare. La società non dispone più di universo
ma di un pluriuniverso morale.
Negli ultimi 40 anni, il codice univoco di comportamento morale è diventato plurimo. Quello
che una volta era emarginato nella piazza pubblica con giudizio negativo, a
prescindere dalla legge civile, oggi non ha più rilevanza morale.
Il compito
della legge civile è quello di garantire il pluralismo ai comportamenti dei
cittadini oppure quello di fornire anche un indirizzo di vita buona, cioè un
indirizzo pedagogico?
Si può passare da un pluralismo morale al
pluralismo etico?
La democrazia procedurale della società
pluralistica chiede alla legge civile di
essere totalmente neutrale, cioè di dare spazio massimo alle
leggi che permettono e spazio minimo alle leggi che tendono a vietare, in modo
che ogni individuo possa scegliere ciò che gli sembra meglio.
Tra la
libertà individuale autonoma e la gestione del bene e del giusto, la legge
civile dovrebbe indirizzare a fare ciò che è giusto.
Nell'etica pubblica deve prevalere la libertà o ciò che è giusto?
La legge
non solo deve essere uguale per tutti ma deve anche essere giusta.
La
giustizia si rivolge all’altro nel rapporto sociale. Siamo in rapporto secondo
regole di giustizia.
Se la giustizia riguarda l'altro, chi è l’altro? Se si ritiene che la giustizia debba riguardare
il rapporto con l’altro, il problema è la determinazione del soggetto a cui
spetta il carattere di essere altro.
A chi
spetta lo statuto di essere altro?
Se la legge
prevede qualcosa che l’opinione pubblica non accetta vuol dire che la legge non
funziona. La legge deve veicolare sempre l'idea di bene e di
male, di giusto e ingiusto, cioè veicolare l’idea di ciò che è
contenuto nella vita buona.
Alcuni
ritengono che lo Stato debba trasfondere nella legge l’idea di vita buona
mentre altri si oppongono dicendo che lo Stato non deve violare la
neutralità, cioè non deve privilegiare una concezione di vita rispetto
ad un’altra, altrimenti verrebbe meno l’imparzialità.
In tutti i
sistemi socio-politici ci sono alcuni valori e concezioni più visibili, più
urgenti e altri non urgenti. Nella società libera riconosciamo che è giusta la
libertà di parola e di stampa. Siamo anche in grado di dire che è migliore la
società che riconosce la libertà rispetto ad altre che negano certi diritti.
La vita
civile si manifesta con criteri e principi autonomi nei vari settori
dell’economia, della politica e della scienza.
Nel pensiero politico contemporaneo, cioè nelle attuali liberal democrazie, l’aspetto di come educare
il cittadino è omesso. Prevale l’idea di trovare le regole di giustizia, le
regole del gioco che consentono la convergenza degli interessi, come se il buon
comportamento seguisse l’aver tracciato le procedure giuste.
Le procedure sono una cosa e il
comportamento è altra cosa.
La
pedagogia politica nel senso alto e intenso del termine è estranea nella
politica di oggi. Si riscontrano soltanto procedure e tecnologie
dell’educazione, usate in modo sminuzzato in una società pluriculturale.
Il bilanciamento dei poteri nelle liberal
democrazie significa che c’è da un
lato un pessimismo antropologico e dall’altro un ottimismo misurato nelle
capacità della ragione di poter dominare la realtà. L’esperienza insegna che il
potere cerca di bilanciarsi e tende a prevaricare, cioè chiede per sé ciò che
spetta agli altri.
L'ordinamento giuridico è pensato da alcuni politici come sovrano e generale nel divenire
generale positivo. Il potere giuridico stabilisce ciò che a lui conviene. La
spinta della potenza perviene su tutto. La legge valida è solo quella del
potere in vigore che stabilisce ciò che lui ritiene utile per tutti.
Il diritto naturale è ritenuto come cosa che sia ingiusta o giusta in sé senza alcuna
influenza sulle decisioni del potere assoluto. I rappresentanti eletti dal
popolo non tengono conto della coscienza delle persone, l’unica idonea a
stabilire ciò che è giusto o ingiusto, cioè la morale dei cittadini a cui lo
Stato riconosce la cittadinanza.
La cittadinanza è pienezza dei diritti civili, politici e sociali da parte dei cittadini,
cioè il loro modo di essere, il loro status e il loro rapporto con lo Stato.
La società politica italiana ha scelto la democrazia, ha stabilito di reggersi con forma
repubblicana e costituirsi in Stato, retto da norme costituzionali.
Il popolo italiano, come società politica costituita, cioè come insieme di coscienze
personali che, avendo una storia in comune attestata dall’unità del linguaggio,
avendo scelto di vivere insieme con giustizia e cultura civica, ha deciso, dopo
la Seconda guerra mondiale, di autogovernarsi, di eleggere i propri governanti
e l’Assemblea costituente che danno agli Italiani la Costituzione della
Repubblica.
Nella società, prodotto di ragione e forza morale, la priorità è data
dalla coscienza personale. Il popolo è fatto di persone umane che si
riuniscono sotto giuste leggi e da reciproca amicizia per il bene comune della
loro esistenza.
Il pluralismo morale richiede che lo Stato e la legge dello Stato devono lasciare ai singoli di
scegliere la strada per sviluppare la loro dignità. Lo spazio pubblico
è luogo di interessi e di valori. Tutto viene pubblicizzato e i
valori divengono oggetto di discussione perché non possono essere
misurati economicamente in quanto hanno dignità
Lo Stato ha le sue radici nella società
politica, cioè è strumento del corpo
politico. Nella società democratica c’è idea di socialità ascendente, lo Stato
emerge come auto-organizzazione della società. Il fenomeno dello Stato è
espressione al servizio di persone, cioè è parte della società politica e deve
curarsi del bene pubblico, inteso come sicurezza, istruzione e universalità
della legge.
Gli Italiani, con la loro ragione e volontà, sapranno attingere alla
loro fede nel progresso interno della vita e della loro storia, alla
forza della loro libertà, posta al centro della cittadinanza, quale
apertura di fini e di senso del loro futuro.
Francesco Liparulo - Venezia
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