martedì 14 maggio 2013

Contesa tra pubblico e privato


NELLA SOCIETÀ CIVILE PIÙ
SPAZIO PER IL CONFRONTO
L'evoluzione degli Stati democratico-liberali - ha sostenuto Angelo Scola, arcivescovo di Milano – è andata sempre più mutando l’equilibrio su cui tradizionalmente si reggeva il potere politico. Ancora fino a qualche decennio fa, si faceva riferimento sostanziale ed esplicito a strutture antropologiche generalmente riconosciute, almeno in senso lato, come dimensioni costitutive dell'esperienza religiosa: la nascita, il matrimonio, la generazione, l’educazione, la morte. Si sono andate assolutizzando in politica delle procedure decisionali che tendono ad autogiustificarsi in maniera incondizionata. Il presupposto teorico dell'evoluzione si rifà, nei fatti, al modello francese di “laicité”. Esso si basa sull'idea di “neutralità” delle istituzioni statuali. L’idea di “neutralità” non è applicabile alla società civile la cui precedenza lo Stato deve sempre rispettare, limitandosi a governarla e non pretendendo di gestirla. Sotto una parvenza di neutralità e oggettività delle leggi, si cela e si diffonde – almeno nei fatti – una cultura priva di apertura al trascendente. È necessario uno Stato che apra spazi in cui ciascun soggetto personale e sociale possa portare il proprio contributo all’edificazione del bene comune”.
A Roma il 12 maggio 2013 si marcia per abrogare "la legge che regola l'aborto".
"Bisogna mantenere viva l'attenzione sul tema così importante del rispetto della vita umana  - ha detto Papa Francesco - sin dal momento del suo concepimento. Va garantita protezione giuridica all'embrione, tutelando ogni essere umano sin dal primo istante della sua esistenza".  
Per la Chiesa si tratta di affrontare le “grandi problematiche etiche ed antropologiche” emerse per i “profondi cambiamenti” dei costumi, dei comportamenti e per le nuove applicazioni delle biotecnologie agli uomini. La concezione dell’uomo è soltanto quella di un essere della natura, frutto dell’evoluzione oppure anche quella di una dimensione non riducibile soltanto al dato fisico?
La questione dell'origine dell'uomo, con le sue implicazioni scientifiche, etiche e politiche, crea, oggi, un contrasto di idee tra i credenti e i diversamente credenti che utilizzano i mezzi della comunicazione pubblica.
Da dove deriva questo scontro che investe le istituzioni religiose e gli ordinamenti politici?
Il processo di separazione della politica dalla morale, iniziato con Machiavelli, proseguito con Hobbes, Bodin e Bacone, rafforzato con il razionalismo, scaturito dal pensiero di Cartesio, con le idee di Locke, con l’invenzione dello “stato di natura” e della “volontà generale” di Jean Jacques Rousseau, con la diffusione dell’illuminismo radicale, con la separazione di  scienza e  coscienza (distinzione dei giudizi scientifici e giudizi di valore) di Max Weber, trionfa con lo Stato di diritto che costruisce una serie di norme che sono obbligazioni, diritto, soggetto giuridico.
Lo Stato tedesco di Hitler è stato uno Stato di diritto ed ha imposto il suo diritto di guerra, il diritto di internare nei lager, il diritto dello sterminio e del genocidio.
Lo Stato sovietico di Stalin è stato uno Stato di diritto ed ha imposto il suo diritto di internare nei gulag e il suo diritto di eliminare i nemici politici.
Oggi le social democrazie seguono il pensiero di Kelsen che è stato uno degli artefici della costituzione di Vienna del 1920, dopo la Prima guerra mondiale.
Lo Stato per Hans Kelsen, giurista tedesco nato nel 1881 a Praga, naturalizzato americano e morto nel 1973 a Berkeley, è lo Stato normativo, Stato del diritto come insieme di norme.
Kelsen, sulla scia del pensiero di Kant, ritiene che l’uomo non può andare al di là dell’esperienza del conoscere, cioè la realtà esiste solo nella conoscenza umana, nel senso che è relativa al soggetto conoscente.
Nella democrazia, secondo lo scrittore, si dice: “L’état siamo noi”, cioè è la totalità politica che forma la società civile e lo Stato.
Kelsen sostiene la democrazia esclusivamente procedurale.
La democrazia procedurale è intesa da tutti come insieme di regole che stabiliscono chi è autorizzato a prendere le decisioni collettive e con quali procedure. Questa procedura lascia impliciti i presupposti della democrazia, come governo dal basso e suffragio universale, lascia impliciti i valori e i fini ma lascia imprecisati i contenuti.
Le regole non stabiliscono il reale contenuto delle decisioni, cioè che cosa è giusto e che cosa è insoddisfacente. Una democrazia procedurale sarebbe aperta a ogni contenuto e comporta la neutralizzazione pubblica dei valori.
La democrazia procedurale entra in crisi quando nella società circolano tensioni che lacerano le coscienze delle persone. Una democrazia marcatamente procedurale finisce per attribuire riconoscimento ai poteri forti di fatto.
I cittadini avendo codici di riferimento morale lontani non possono mettersi d’accordo su cose fondamentali per cui c’è richiesta di procedure.
La Piazza pubblica ricorre a procedure, ciò che conta sono le procedure, cioè le regole del gioco ci forniscono le regole. Tutti quelli che partecipano al gioco seguono regole, così il gioco politico deve avere regole di procedura. Il problema nasce quando il contenuto è lasciato fuori dalle regole del gioco.
La regola della maggioranza, il principio maggioritario non assolutizzato, significa decidere senza la garanzia di contenuti. Con il relativismo morale esistono nuclei indisponibili al confronto per alcuni diritti fondamentali dell’uomo. C’è controversia nelle nostre società.
Il grande problema di oggi è: “Chi è l’altro che si affaccia nello spazio pubblico?”, cioè “chi è l’altro?” nel luogo dell’interesse, dove si usano delle procedure senza i valori.
Nella società democratica libera c’è la tendenza di riportare i valori nel privato perché non si trova la regola. Se bisogna decidere sui valori non si decide direttamente ma si trovano procedure neutrali dove non si decide sui contenuti ma si lascia alla procedure trovare soluzioni. La società ha creato benessere e tenore di vita elevato, cioè le istituzioni libere democratiche hanno sviluppato saggezza per cui si è sviluppato benessere e pace.
Ci si interroga come bilanciare, oggi, il pluralismo morale e la legge civile, cioè la legge del nostro ordinamento. Ci sono leggi che permettono di fare qualcosa, altre che vietano, altre che comandano e altre ancora che permettono a certe condizioni di fare o non fare. La società non dispone più di universo ma di un pluriuniverso morale.
Negli ultimi 40 anni, il codice univoco di comportamento morale è diventato plurimo. Quello che una volta era emarginato nella piazza pubblica con giudizio negativo, a prescindere dalla legge civile, oggi non ha più rilevanza morale.
Il compito della legge civile è quello di garantire il pluralismo ai comportamenti dei cittadini oppure quello di fornire anche un indirizzo di vita buona, cioè un indirizzo pedagogico?
Si può passare da un pluralismo morale al pluralismo etico?
La democrazia procedurale della società pluralistica chiede alla legge civile di essere totalmente neutrale, cioè di dare spazio massimo alle leggi che permettono e spazio minimo alle leggi che tendono a vietare, in modo che ogni individuo possa scegliere ciò che gli sembra meglio.
Tra la libertà individuale autonoma e la gestione del bene e del giusto, la legge civile dovrebbe indirizzare a fare ciò che è giusto.
Nell'etica pubblica deve prevalere la libertà o ciò che è giusto?
La legge non solo deve essere uguale per tutti ma deve anche essere giusta.
La giustizia si rivolge all’altro nel rapporto sociale. Siamo in rapporto secondo regole di giustizia.
Se la giustizia riguarda l'altro, chi è l’altro? Se si ritiene che la giustizia debba riguardare il rapporto con l’altro, il problema è la determinazione del soggetto a cui spetta il carattere di essere altro.
A chi spetta lo statuto di essere altro?
Se la legge prevede qualcosa che l’opinione pubblica non accetta vuol dire che la legge non funziona. La legge deve veicolare sempre l'idea di bene e di male, di giusto e ingiusto, cioè veicolare l’idea di ciò che è contenuto nella vita buona.
Alcuni ritengono che lo Stato debba trasfondere nella legge l’idea di vita buona mentre altri si oppongono dicendo che lo Stato non deve violare la neutralità, cioè non deve privilegiare una concezione di vita rispetto ad un’altra, altrimenti verrebbe meno l’imparzialità.
In tutti i sistemi socio-politici ci sono alcuni valori e concezioni più visibili, più urgenti e altri non urgenti. Nella società libera riconosciamo che è giusta la libertà di parola e di stampa. Siamo anche in grado di dire che è migliore la società che riconosce la libertà rispetto ad altre che negano certi diritti.
La vita civile si manifesta con criteri e principi autonomi nei vari settori dell’economia, della politica e della scienza.
Nel pensiero politico contemporaneo, cioè nelle attuali liberal democrazie, l’aspetto di come educare il cittadino è omesso. Prevale l’idea di trovare le regole di giustizia, le regole del gioco che consentono la convergenza degli interessi, come se il buon comportamento seguisse l’aver tracciato le procedure giuste.
Le procedure sono una cosa e il comportamento è altra cosa.
La pedagogia politica nel senso alto e intenso del termine è estranea nella politica di oggi. Si riscontrano soltanto procedure e tecnologie dell’educazione, usate in modo sminuzzato in una società pluriculturale.
Il bilanciamento dei poteri nelle liberal democrazie significa che c’è da un lato un pessimismo antropologico e dall’altro un ottimismo misurato nelle capacità della ragione di poter dominare la realtà. L’esperienza insegna che il potere cerca di bilanciarsi e tende a prevaricare, cioè chiede per sé ciò che spetta agli altri.
L'ordinamento giuridico è pensato da alcuni politici come sovrano e generale nel divenire generale positivo. Il potere giuridico stabilisce ciò che a lui conviene. La spinta della potenza perviene su tutto. La legge valida è solo quella del potere in vigore che stabilisce ciò che lui ritiene utile per tutti.
Il diritto naturale è ritenuto come cosa che sia ingiusta o giusta in sé senza alcuna influenza sulle decisioni del potere assoluto. I rappresentanti eletti dal popolo non tengono conto della coscienza delle persone, l’unica idonea a stabilire ciò che è giusto o ingiusto, cioè la morale dei cittadini a cui lo Stato riconosce la cittadinanza.
La cittadinanza è pienezza dei diritti civili, politici e sociali da parte dei cittadini, cioè il loro modo di essere, il loro status e il loro rapporto con lo Stato.
La società politica italiana ha scelto la democrazia, ha stabilito di reggersi con forma repubblicana e costituirsi in Stato, retto da norme costituzionali.
Il popolo italiano, come società politica costituita, cioè come insieme di coscienze personali che, avendo una storia in comune attestata dall’unità del linguaggio, avendo scelto di vivere insieme con giustizia e cultura civica, ha deciso, dopo la Seconda guerra mondiale, di autogovernarsi, di eleggere i propri governanti e l’Assemblea costituente che danno agli Italiani la Costituzione della Repubblica.
Nella società, prodotto di ragione e forza morale, la priorità è data dalla coscienza personale. Il popolo è fatto di persone umane che si riuniscono sotto giuste leggi e da reciproca amicizia per il bene comune della loro esistenza.
Il pluralismo morale richiede che lo Stato e la legge dello Stato devono lasciare ai singoli di scegliere la strada per sviluppare la loro dignità. Lo spazio pubblico è luogo di interessi e di valori. Tutto viene pubblicizzato e i valori divengono oggetto di discussione perché non possono essere misurati economicamente in quanto hanno dignità
Lo Stato ha le sue radici nella società politica, cioè è strumento del corpo politico. Nella società democratica c’è idea di socialità ascendente, lo Stato emerge come auto-organizzazione della società. Il fenomeno dello Stato è espressione al servizio di persone, cioè è parte della società politica e deve curarsi del bene pubblico, inteso come sicurezza, istruzione e universalità della legge.
Gli Italiani, con la loro ragione e volontà, sapranno attingere alla loro fede nel progresso interno della vita e della loro storia, alla forza della loro libertà, posta al centro della cittadinanza, quale apertura di fini e di senso del loro futuro.
Francesco Liparulo - Venezia

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