La principessa Cleofe guarda dal loggiato del suo palazzo la carovana di ser Nicolò che sale la collina per un sentiero lastricato. Il mercante, diretto alla dimora del signore di Mistrà, porta tessuti pregiati e spezie, provenienti da Monemvasia, approdo sicuro sulla costa del mar Egeo dove le galee della Repubblica di San Marco scaricano le merci, imbarcate nei porti del Mediterraneo o del Ponto Eusino.
La signora da più di due anni è la sposa di Teodoro, figlio di Manuele II Paleologo che dal 1391 è basileus di Costantinopoli e dell’Impero romano d’Oriente. Nell’estate del 1420, all’età di quindici anni, la nobildonna, figlia di Malatesta dei Malatesti, signore di Pesaro, e di Elisabetta da Varano, si è imbarca su una galea veneziana per raggiungere la città di Costantinopoli, perché promessa sposa al figlio del basileus.
La residenza emerge tra i palazzi degli arconti e dei nobili della corte di Teodoro, nominato dal padre despota di Morea già all’età di dieci anni per governare il possedimento, riconosciuto dai signori dell’Occidente e dal sultano degli Ottomani.
Il piccolo dominio della famiglia dei Paleologi è nella Laconia, regione del Peloponneso che i Latini chiamano Morea per le piantagioni dei gelsi. La capitale del Despotato è la città di Mistrà, sorta su uno sperone roccioso alle pendici della catena del Taigeto.
Sulla sommità della collina si erge la fortezza, chiamata “Kastron”, e sui fianchi scoscesi è nato l’abitato diviso in tre zone: la città superiore circondata da mura e bastioni che proteggono le residenze costruite intorno al palazzo del principe; un complesso abitativo più basso, circondato da una fortificazione costituita da una muraglia intervallata con torrette che racchiude le case, i monasteri e la cattedrale del metropolita. Un cancello di ferro, chiamato “Porta di Monemvasia” permette il passaggio interno tra i due settori fortificati.
Alla città si accede dalla parte bassa attraverso una porta principale tra alti bastioni, vicino alle mura che proteggono la Chiesa di San Demetrio, sede del metropolita della Morea. Al palazzo del principe si può accedere anche attraverso Il cancello di Nauplia, protetto da due torri quadrate della città alta.
Mistrà, sorta come capitale del Principato latino d’Achaia, riconosciuto dal Capo della Chiesa di Roma e dall’imperatore latino di Costantinopoli, ora è il centro più ricco e fiorente dell’impero del basileus che accoglie nobili, mercanti e uomini delle nobili arti che fuggono da Costantinopoli, assediata dalle milizie dei sultano degli Ottomani che risiede in Tracia, nella città di Adrianopoli.
Il Kastron domina sulla vallata percorsa dal fiume Eurota che nelle vicinanze della città lambisce i ruderi dell’antica Sparta degli eroi, cantata da Omero e celebrata nella storia dell’antica Grecia. La fortezza è il simbolo della potenza dei Paleologi nel Peloponneso e dà rifugio ai sudditi del despota in caso di incursioni ottomane o razzie dei mercenari al soldo dei baroni latini e dei Catalani che contrastano le espansioni militari del basileus e dei suoi figli. I contadini tramandano le loro paure generate dai saccheggi e massacri degli Ottomani di Bayazid.
Gli arconti della città si sono arricchiti negli ultimi anni sotto la protezione del loro despota che ha promosso lo sviluppo dell’agricoltura e dell’allevamento, concedendo un maggior numero delle sue terre ai contadini della vallata per piantare nuovi alberi ed estendendo i pascoli vicino ai boschi. Gli agricoltori e i pastori si sentono più sicuri con i presidi armati nei punti strategici della Laconia e ai confini dei possedimenti latini. La vallata è prospera per le colture del frumento, dell’orzo, dell’avena e del miglio. Le piantagioni di gelsi per l’allevamento del baco da seta permettono agli impresari dei laboratori manifatturieri di ottenere notevoli quantitativi di seta grezza che viene venduta nei mercati delle città portuali. La regione è nota anche per le estensioni di querceti che forniscono legno e ghiande. L’olio e il vino della Laconia sono rinomati e affluiscono ai porti dell’Egeo e dello Ionio.
Mistrà prospera grazie all’afflusso delle merci che provengono dal porto di Monemvasia dove passano tutte le navi che percorrono le rotte commerciali del Mediterraneo orientale dirette a Costantinopoli e agli scali marittimi del Ponto Eusino. Nell’abitato, vicino allo scalo marittimo, ha la sua residenza stabile il podestà di Venezia che garantisce, con lo stendardo del Leone di San Marco, il protettorato della Serenissima sulla città che gode delle franchigie commerciali, già concesse dal basileus Andronico II. Le galee veneziane proteggono le navi commerciali dai pirati e dai corsari del sultano Murad II che tiene sotto assedio la città di Tessalonica, governata dal despota Andronico, figlio del basileus.
Ser Nicolò procede lentamente a piedi per il sentiero, tenendo nelle sua mano le briglie del cavallo che apre la lunga fila di animali da soma, carichi di mercanzie preziose. Le donne e i bambini salutano il mercante che passa sotto le loro finestre mentre sale al Palazzo.
Gli abitanti dei quartieri alti appartengono alle famiglie più ricche della città e attendono con tanta curiosità di vedere le ultime novità di tessuti di lana e di seta prodotti in Occidente. Le nobildonne vogliono conoscere le mode dei Latini, per non sfigurare alla presenza della giovane Cleofe che ama indossate gli abiti leggeri e colorati che si usano a Venezia e nelle corti delle città italiane.
La primavera ha già rivestito di foglie e di fiori variopinti gli alberi da frutto e le aiuole che adornano le case degli abitanti della città bassa. I davanzali delle finestre mostrano l’amore delle donne per i fiori e gli arbusti odorosi del luogo. L’abitato accoglie con allegria lo straniero che viene dal mare con le manifatture di terre lontane.
Il mercante si ferma davanti alla “Porta di Monemvasia” perché il cancello di ferro è chiuso e presidiato con tanti uomini armati. Il capo dei guardiani lo riconosce subito e lo saluta con rispetto: “Ser Nicolò, siete veramente coraggioso a venire a trovare il nostro despota in questo momento. Voi veneziani non vi fermate mai, pur di far arrivare al più presto la mercanzia là dove si è sicuri di ottenere un giusto e proficuo guadagno”.
“Demetrio, sono lieto di vederti - risponde il mercante – e sono curioso di sapere il motivo di questa precauzione nel mezzo di una città che dispone di poderose mura e torri perimetrali nella parte bassa, presidiate da uomini pronti a respingere qualsiasi assalto nemico”. La porta principale, vicino alla chiesa di San Demetrio, permette di entrare liberamente anche agli stranieri. Nessuno mi ha chiesto il lasciapassare né il motivo del mio ingresso”.
“Il nostro principe Teodoro – dice il capo dei guardiani – è partito da vari giorni con al seguito i suoi arconti più giovani per ostacolare l’avanzata dei Turchi sull’Istmo di Corinto. Ho ricevuto dal capitano del Kastron l’ordine di tenere il cancello chiuso e di far entrare soltanto i residenti dei quartieri alti”.
“La merce che io porto – afferma ser Nicolò – è stata già pagata ed io ho solo l’incarico di consegnarla alla signora Cleofe. Manda subito un cavaliere al castellano e fatti autorizzare per l’ingresso dei cavalli e delle bestie cariche di merci. Sono sicuro di essere atteso dalla principessa perché da lontano ho visto una chioma bionda affacciarsi dai balconi del Palazzo. Ho già servito la nobildonna dei Malatesta che è degna di stare al fianco del suo signore per il vivo interesse all’agire del governatore della città”.
“Paolo, monta in sella – grida il guardiano al suo aiutante – e vai ad avvisare il nostro comandante per l’autorizzazione al transito della carovana. Ser Niccolò è atteso dalla nostra principessa. Tu stesso scorterai il nobile veneziano alla sua residenza per agevolargli il cammino e rispondere ai servi del Palazzo”.
“Il mio cavallo è pronto – risponde il giovane – e raggiungerò la porta del castello come un dardo veloce”.
“Le sentinelle poste sulla sommità delle torrette – dice Demetrio - hanno avuto l’ordine di controllare dall’alto la pianura e di avvisare subito il capitano quando scorgono i polveroni innalzati dai cavalli al galoppo. I popolani che passano, per servire nei palazzi dei signori, spesso mi chiedono con ansia: “Il muro di Corinto, fatto costruire dal nostro imperatore, reggerà agli assalti dei guerrieri turchi? Il nostro esercito quanti soldati ha per respingere gli Ottomani? La nostra città è presidiata dai veterani che alloggiano nelle torrette delle fortificazioni con le loro donne ma i più giovani sono partiti al galoppo dietro l’arconte Frangopulo. Chi ci difenderà se i mercenari stranieri, pagati con gli iperperi, fuggono davanti all’irruenza dei guerrieri del sultano?”.
Anche il podestà di Monemvasia mi è sembrato preoccupato - afferma il mercante - per le innumerevoli navi turche che inalberano al largo lo stendardo turco. Il mare Egeo è infestato da pirati e corsari delle città costiere dell’Asia Minore, conquistate dagli Ottomani. Il sultano guida personalmente il suo esercito in battaglia e si avvale di giovani emiri che vogliono mettersi in mostra al cospetto del loro comandante e fare bottino per le loro milizie. I guerrieri turchi fanno paura perché sono smaniosi di distruggere e di impossessarsi delle ricchezze, messe in bella mostra dentro le residenze sontuose dei governanti e dei loro funzionari”.
“La nostra città – sostiene il guardiano - ha affrontato un brutto momento con i soldati del sultano Bayezid che hanno invaso e saccheggiato le terre di Corinto e di Argo. Il despota Teodoro, zio del nostro governatore, è riuscito con il suo esercito, rinforzato da mercenari dell’Epiro e dell’Albania, ad evitare il saccheggio della nostra città. Il nostro basileus ha fatto costruire un grande muro sull’Istmo di Corinto. L’esercito del sultano saccheggia le città dell’Argolide e dell’Arcadia mentre i pirati e i corsari distruggono i castelli dei Latini lungo le coste e si impossessano delle loro terre”.
“Non temere Demetrio – dice ser Nicolò – Mistrà ha Teodoro che la protegge al Nord e le galee veneziane che presidiano i porti dello Ionio e dell’Egeo. Il podestà di Monemvasia e i provveditori di Corone e Modone hanno il compito non solo di rappresentare l’autorità del Comune dei Veneti per l’amministrazione della giustizia ma anche quello di agevolare l’approdo e l’uscita delle navi che devono percorrere le rotte del Mediterraneo, stabilite dai magistrati del Senato di San Marco. Il commercio è la linfa che fa prosperare non solo Venezia ma che fa affluire alla tua città tutte le merci necessarie a mantenere il decoro di una capitale per il dominio del figlio del basileus”.
La nostra città – sostiene il guardiano – accoglie gli uomini del clero e tutti coloro che non sopportano le angustie delle città assediate dal sultano. La porta principale, vicino alla chiesa del metropolita è aperta di giorno a coloro che vogliono trovare una sistemazione ai loro affanni ma anche a coloro che vogliono esprimere la loro arte nei luoghi sacri e nelle residenze dei mercanti e dei banchieri”.
Mistrà si ingrandisce e si abbellisce ogni giorno - dice il mercante - per irradiare nel mondo non solo il pensiero e l’arte degli antichi Greci ma anche per fornire nuove soluzioni alle ricerche degli ingegni e degli uomini di fede. Sulle galee incontro uomini dell’Occidente che vengono qui per frequentare le scuole dei dotti e imparare la lingua degli eroi di Omero. Nei palazzi delle nobili famiglie italiane, i giovani e le fanciulle imparano a leggere i testi degli antichi Romani ma anche a conoscere le parole dei filosofi di Atene e degli eroi di Sparta. Tutto questo è favorito dal commercio che fluisce come il sangue e rinvigorisce non solo i corpi con il vino, l’olio, il miele e le spezie, indispensabili a dar sapore ai cibi, ma che permette agli spiriti geniali di apprendere e di migliorare la vita degli uomini e delle donne con lo scambio delle esperienze e con la diffusione di testi sacri e profani. Uomini appassionati del mondo antico cercano i manoscritti originali delle opere dei Greci o tradotte dai dotti Arabi nelle lingue locali dell’Occidente e dell’Oriente. Le pergamene e i papiri che un tempo si vendevano nelle piazze di Alessandria e dell’antica Atene, oggi sono portati nei conventi dei Latini per essere tradotti e divulgati. Nuove scuole nascono nelle città italiane e rinnovano un pensiero che sovrabbonda di aspirazioni per nuove libertà e nuove conquiste. Gli spiriti si infiammano e le menti partoriscono nuovi modi di vivere la vita quotidiana”.
“Il popolo qui vive in ansia – aferma Demetrio – perché il sultano vuole conquistare la città di Costantino e sostituirsi al nostro imperatore che è stato scelto per governare tutti i credenti e far vivere tutti i popoli sotto giuste leggi”.
“I Veneziani hanno avuto ed hanno il privilegio di utilizzare il mercato del basileus – dice Nicolò – per l’acquisto e la vendita delle manifatture e dei prodotti della Terra che vi arrivano in abbondanza da ogni luogo. La loro città è diventata grande e predomina su tutti i mari. La fonte della ricchezza è il commercio e chi si affida alla contrattazione dei prodotti riparte da Costantinopoli con un guadagno certo che frutta ancora di più quando le mercanzie vengono trasportate in luoghi dove gli uomini e le donne sanno apprezzarle. La nostra arte consiste in questa capacità di saper offrire al richiedente quello che vuole e dove vuole nel momento in cui può offrire un prezzo congruo per ciò che ritiene indispensabile alla suo benessere”.
“Costantinopoli è sotto assedio – afferma il guardiano – e il suo mercato non riesce più a dare prosperità all’imperatore e ai suoi sudditi. Tessalonica, considerata la seconda città più ricca dell’impero non ha la possibilità di pagare chi la possa difendere. Il despotato della Morea che permette a Manuele di mantenere il suo trono perché è una terra che sa dare i suoi frutti se ben coltivata e anche metalli preziosi con cui coniare le monete e pagare i mercenari che rimpinguano le file dell’esercito e permettono di difendere la nostra terra dalle razzie e dalle incursioni ottomane”.
“La Serenissima è consapevole dell’importanza di questa terra per le sue risorse – dice il veneziano – e anche dell’attuale momento critico per l’ingerenza dekl sultano negli affari dei signori e degli arconti di questa regione. Il Senato è disposto a finanziare milizie della Dalmazia e dell’Albania per difendere non solo Costantinopoli e Tessalonica ma anche a proteggere le città costiere della Morea. Venezia è interessata a mantenere la pace nei paesi che si affacciano sul Mediterraneo per agevolare l’attività commerciale. Gli ambasciatori del Doge hanno invitato il despota, gli arconti e i baroni latini a risolvere le loro questioni di frontiera senza suscitare l’intervento del sultano. Gli Acciaiuoli del Ducato d’ Atene, gli Zaccaria che posseggono le terre del Principato latino d’Achaia come i Tocco della Contea di Cefalonia che vogliono impossessarsi di nuove terre nel Nord sono invitati dagli ambasciatori di San Marco a trovare un giusto compromesso con reciproche concessioni, invocando la mediazione del papa nelle controversie tra loro e i Paleologi”.
“È da un anno – incalza il guardiano – che le nostre donne sono invitate ad accendere i ceri votivi per la liberazione di Costantinopoli dall’assedio delle milizie ottomane. Il nostro metropolita durante il rito domenicale innalza la sua preghiera e sprona i fedeli a digiunare per far scendere la salvezza dell’impero dal Signore che ci ha donato un basileus giusto e devoto. La sua immagine è portata in processione con le sacre icone della Vergine Odighitria che ci indica la salvezza. La speranza è riposta nell’aiuto di un grande esercito che dovrebbe provenire dall’Occidente. Il nostro despota ha sposato una giovane donna che è nipote del papa. Il principe è coraggioso e saprà resistere all’esercito del sultano”.
“Il papa Martino V – dice il mercante – è stato eletto durante il Concilio di Costanza. Al sinodo ecumenico erano presenti anche i rappresentanti del basileus. Sulle galee si sussurra che ci siano stati degli accordi tra i delegati latini e i delegati di Costantinopoli. Il cardinale eletto, appartenente alla famiglia Colonna, aveva promesso agli inviati del basileus di difendere Costantinopoli dalle mire dei sultani turchi. A Venezia si sussurra che ci siano stati degli accordi tra i delegati latini e i delegati di Costantinopoli per far eleggere un papa che possa eliminare non solo le controversie tra i cardinali delle varie nazioni per l’elezione del sommo pontefice ma anche le incomprensioni tra i fedeli di Roma e di Costantinopoli. Manuele si è impegnato a far dimenticare al suo popolo l’antico saccheggio e la profanazione dei luoghi sacri perpetrati dai Crociati in cambio di una nuova Crociati contro gli Ottomani che vogliono impossessarsi della città di Costantino e del centro di tutti i commerci del Mediterraneo. Il matrimonio delle nobildonne latine con i figli dell’imperatore sono la garanzia che la salvezza è vicina”.
“Nell’attesa dell’autorizzazione del castellano – dice il guardiano – mia moglie e i suoi piccoli possono offrire da bere a te e a tutti coloro che ti aiutano nel trasporto della merce diretta alla casa della principessa”.
“Ho qui, messo da parte, una pezza di “Fiorenza de garbo” - dice Nicolò – per la tua donna. Mi sento in obbligo per l’acqua offerta ai miei uomini e alle bestie che hanno bisogno di bere per continuare a salire. I raggi del sole e il sentiero ripido impongono una sosta, prima di arrivare alla meta”.
“I miei figli – interviene Maria, moglie dell’uomo – sono stati ammaestrati dal padre a uscire sulla strada quando arrivano i mercanti, per imparare ad osservare e ascoltare gli uomini che vengono dal mare con i prodotti e le manifatture di terre lontane. Si apprendono le buone maniere e il corretto comportamento da tenere in presenza di uomini che conoscono il valore delle cose e lo sanno descrivere con le giuste parole”.
“La tua acqua è fresca - dice il veneziano – e mi ristora non sola fisicamente ma mi fa sentire anche più sereno. Il mercante lavora sempre lontano dalla propria famiglia e accoglie con riconoscenza qualsiasi gesto di amicizia che proviene da chi che riconosce l’importanza dell’accoglienza soprattutto per i mercanti che rischiano la loro vita in mare e per le strade, spinti dal desiderio di portare a destinazione ciò che è utile alla vita e al benessere delle persone. Ogni gesto di carità verso lo straniero arricchisce lo spirito di chi sa donare e anche di colui che riceve la cortesia di un gesto di amicizia. Il commercio serve anche a far unire gli spiriti e a trovare una condivisione in ciò che è bello e utile alla vita. Spesso la condivisione di interessi comuni facilita il dialogo e innesca la comprensione reciproca anche quando ci sono pregiudizi e diffidenze imposti dalla comunità sociale in cui si vive”.
“È l’acqua di San Nicola – sussurra la donna – tutti vogliono berla. La fontana è attigua alla chiesa dedicata al santo, costruita sul pendio del colle, sopra il pianoro del Palazzo del despota. Il sentiero lastricato vi passa vicino ed è percorso da tutte le giovani donne del luogo per riempire le giare e per berla in casa. I monaci del luogo accolgono con benevolenza i devoti e raccontano i miracoli del santo. La principessa Cleofe ogni settimana si reca in chiesa per pregare il santo e ad accendere un cero votivo”.
“La fonte è alimentata dalle nevi del Taigeto – sostiene Demetrio - ed è considerata benedetta da San Nicola perché non solo toglie la sete ma dà anche una sensazione di benessere. Il santo ci protegge e ci ristora con la sua acqua. Il nostro principe ha realizzato anche una condotta che dalla chiesa porta l’acqua al cancello di Monemvasia. Mercanti e ufficiali la bevono con piacere e ringraziano il santo che li rinfranca dopo una lunga salita per il pendio del colle. Il ringraziamento devozionale si manifesta con una visita al santuario e una elargizione ai monaci per la richiesta di una grazia o per essere protetti prima di iniziare un viaggio o partire per la guerra”.
“Il nome del santo – sostiene ser Nicolò – è invocato da tutti i mercanti per ottenere la sua protezione nei momenti di pericolo. Anch’io farò il mio dovere di veneziano che si onora di portare il suo nome. Il mio lavoro è quello di navigare e di percorrere le strade con la mercanzia. Il mio maggiore timore è soprattutto quello di perdere la vita in mare o per mano di briganti”.
“Il nostro pericolo – sostiene il guardiano – è oggi rappresentato dai cavalieri del sultano che dalla Tessaglia galoppano verso il territorio di Corinto. Gli Ottomani vogliono punire il nostro despota che vuole fare rispettare la legge del basileus da tutti gli abitanti della Morea. L’antica terra dei Greci appartiene al nostro imperatore e ai suoi arconti. Il diritto di governare spetta al nostro despota”.
“Murad II vuole punire il basileus e i suoi figli – afferma il mercante – perché non hanno appoggiato la sua ascesa al trono e hanno dato asilo ai suoi rivali. Le rivendicazioni territoriali dei Latini che posseggono le terre della Corinzia e dell’Achaia servono al sultano come pretesto per arricchire i suoi emiri e per finanziare il suo esercito”.
“Come si chiama questo emiro – dice Demetrio – che si avvicina a Corinto? Non basta al sultano tenere sotto assedio Costantinopoli e Tessalonica? Gli Ottomani hanno già conquistato le terre dei Bulgari e dei Serbi ed ora vogliono impossessarsi anche della terra che abbiamo ereditato dai nostri padri? La valle dell’Eurota mostra ancora le rovine di Sparta e dalle nostre torri vediamo i campi che i nostri avi hanno coltivato per trarne il giusto sostentamento. La storia tramanda le loro gesta e noi siamo fieri di essere i loro discendenti. Questa è la nostra terra, questa è la nostra patria. Il valore e l’esempio degli antichi eroi ci sostengono e ci fanno riemergere dopo ogni invasione straniera. Il nostro spirito di libertà non muore nel tempo ma si tramanda attraverso le generazioni perché è la nostra anima immortale che vivifica questo territorio”.
“Il pascià della Tessaglia – afferma il mercante – che tutti chiamano Tourakhan ha avuto l’ordine da Murad II di punire Teodoro per la sua sfrontatezza di voler includere nel suo dominio le terre dei duchi latini che pagano il tributo alla corte ottomana di Adrianopoli. I cavalieri turchi seguono il loro condottiero desiderosi di accumulare un grande bottino che viene ripartito tra la corte imperiale ottomana, il forziere del loro governatore e le ricchezze personali dei loro comandanti. Ai guerrieri spetta il ricavato della razzia nelle case degli abitanti delle città e dei villaggi che saccheggiano e bruciano. Tutti quelli che non si sottomettono alle loro credenze sono fatti schiavi e venduti nei mercati sottoposti alla giurisdizione dei governatori turchi”.
“Questo pascià - chiede Demetrio - come è riuscito a diventare così importante per il suo sultano?”.
“Turakhan, figlio di un grande condottiero del sultano Beyazed, il Pasha Yigit Elemosina, è stato addestrato dal padre - sostiene Nicolò - ad essere combattente coraggioso e intransigente durante le conquiste della Bulgaria e della Serbia. Il bey della Tessaglia appartiene a una famiglia di guerrieri che si distinguono nel combattimento per attirare l’attenzione del comandante dell’esercito turco che è il Grande Emiro di Adrianopoli che si fa chiamare il sultano di tutta La Rumelia, il sultano di tutti i sudditi che abitano le terre al Sud del Danubio e sulla sponda occidentale del Ponto Eusino. I popoli che pagavano le tasse al basileus, ora sono diventati obbedienti al sultano e tributari della sua corte”.
“Una volta – afferma il vigilante della porta - i nostri arconti mantenevano la pace e la concordia tra le popolazioni del Peloponneso. I crociati dell’Occidente bramosi d’oro e di privilegi hanno attirato su di noi le vendette dei Turchi che dall’Anatolia hanno invaso la Tracia e sottomesso i tutti I Romèi che parlano come gli antichi eroi di Sparta e di Atene. I Mongoli delle steppe hanno spinto sulle nostre coste uomini armati delle tribù turche che cercano nuove terre per le loro famiglie. Il sultano manda i suoi predoni del mare per distruggere le città della costa e per rendere schiavi i suoi abitanti. Anche la nostra terra ha conosciuto le devastazioni dei guerrieri di Bayezid ed ora siamo nell’attesa di vedere le scorribande dei seguaci di questo Turakan”.
“Prima della partenza dal porto - dice il mercante - Il podestà mi ha pregato di viaggiare speditamente e di ritornare subito, perché i magazzini sono pieni di armamenti e di equipaggiamenti per i combattenti che devono essere consegnati all’esercito del despota. Teodoro ha speso ingenti quantità di iperperi per l’assunzione di uomini adatti al combattimento, provenienti dall’Epiro e dall’Albania, per estendere il suo dominio e per arginare le continue razzie dei pirati che sbarcano sulle coste. Il basileus ha imposto da alcuni anni un aumento di tasse per la costruzione del muro sull’istmo di Corinto e per far sentire il suo imperium su tutta la Morea. L’azione del despota è sostenuta anche dal fratello Giovanni VIII che è affiancato al padre Manuele II nel governo di Costantinopoli e nel mantenimento delle rimanenti città presidiate dalle milizie imperiali”.
“Il materiale bellico scaricato a Monemvasia dalle galee di San Marco – sostiene Demetrio – potrebbe essere prelevato direttamente da uomini della nostra città e portato dove è accampato l’esercito di Teodoro. Mistrà ha impresari del luogo ben disposti ad assumere l’impegno di caricare sulle bestie le vettovaglie e le armi e consegnarle nel luogo indicato dal Gran Domestico, responsabile delle operazioni militari del despota”.
“Gli accordi commerciali stipulati a Tessalonica – sostiene Nicolò – prevedono il trasporto e la consegna direttamente sul fronte del combattimento. I rischi del trasporto per mare, lo scarico dalle navi, la conservazione nei magazzini portuali e il trasporto al luogo fissato gravano sul prezzo di acquisto delle merci. I mercanti e gli agenti commissionari provvedono a someggiare la merce e a consegnarla nello stato di massima fruizione per l’acquirente. Le vettovaglie vanno trattate per il trasporto in modo da non subire alterazioni durante il viaggio. L’equipaggiamento e l’armamento viene protetto con teli di canapa e con oli protettivi per i materiali ferrosi. Un esercito che dispone di alimenti nutrienti e ben conservati, vestiario adatto al clima della stagione in corso e ben armato con nuovo materiale bellico può resistere anche ai veterani turchi che hanno invaso la Macedonia e la Tessaglia. Le nostre navi garantiscono il trasporto delle merci nei porti stabiliti e protetti dal vessillo di San Marco. Il governo veneto ha fatto costruire solidi bastioni e fortificazioni lungo le rotte marine per fornire riparo sicuro alle imbarcazioni commerciali e all’immagazzinamento delle merci. Monemvasia è il porto di questa città e la sua difesa è assicurata da un presidio veneziano sotto la giurisdizione di un podestà che si avvale anche di un ufficiale che provvede all’arruolamento, all’addestramento e amministrazione di uomini adatti alla sicurezza del borgo e del porto”.
“Ci vuole una grande esperienza – dice il guardiano – per l’attività commerciale e i Veneziani sono rinomati nella Morea e nelle isole dell’Egeo per il loro predominio in tutto il Mediterraneo”.
“Vedo due cavalieri – dice Nicolò – che stanno scendendo dal Kastron”.
“È l’arconte della fortezza con al seguito il mio uomo - dice Demerio – per autorizzare il transito della carovana e accelerare non solo le operazioni di scarico della merce ma anche peri assicurare un ricovero di sosta per i cavalli e gli altri animali da soma. Il responsabile degli alloggi del Palazzo provvederà per i tuoi uomini. Le stradine e i sentieri della città alta devono essere sempre tenuti liberi per il passaggio rapido dei cavalieri e il movimento delle milizie”.
Il responsabile della città fortificata, il patrizio Andrea, si avvicina alla porta di Monemvasia e saluta il mercante: “Ser Nicolò, sono veramente lieto di rivederti e di far aprire per il tuo seguito questo cancello. La città è pronta per qualsiasi rappresaglia del sultano. Il nostro principe è già partito per Corinto ed io ho avuto l’incarico di organizzare la difesa dell’abitato. Le mura sono solide e gli uomini vigilano sui torrioni. I nostri soldati sono addestrati a respingere ogni assalto. Il palazzo del governo è presidiato da uomini armati e i servitori sono vigili giorno e notte dietro gli ingressi degli edifici”.
“Il turco – dice Nicolò – non oserà spingersi nella valle dell’Eurota dove riecheggiano ancora le gesta degli antichi eroi di Sparta. La tua fortezza è stata costruita in punto strategico e sulla sommità di un colle per tenere sotto controllo tutta la Morea. Le mura del tuo castello sono ben rinforzate da torri su tutti lati e costruite su rocce alte e scoscese. Nessun manipolo di assalitori può avvicinarsi senza essere prima fatto oggetto di dardi scagliati dai tuoi balestrieri”.
“Prima di arrivare alla sommità della fortificazione - dice l’arconte – il guerriero turco dovrà affrontare lo sbarramento delle due cerchia di mura e torrette. Gli uomini armati sono tutti abitanti della città e non ci sono mercenari. Ognuno combatte per la fede, la patria e la famiglia. Gli uomini mantengono il posto di guardia giorno e notte e le loro donne provvedono a rifocillarli portando dalle case tutto ciò che serve ad alleviare lo sforzo fisico della loro permanenza nei posti assegnati per la difesa della città”.
“La chiesa di San Nicola – dice il capitano del Kastron – è molto vicino ed è sempre aperta ai devoti. Il luogo è frequentato anche dagli Occidentali di rito latino che si recano dal principe per gli affari o per essere accolti come ambasciatori e inviati delle corti italiane. Gli inviati del papa o i corrieri che giungono dall’arcidiocesi di Petrasso sostano nel sacro luogo per un ringraziamento o per un offerta votiva”.