lunedì 7 novembre 2011

TERRA DI MOREA Cap.II

La devozione del mercante
Ser Nicolò entra nella parte alta dell’abitato di Mistrà attraverso la Porta di Monemvasia, accompagnato dal comandante della fortezza. Il mercante, passando davanti al convento di San Nicola, si rivolge sorridendo al nobile Andrea: “Prima di bussare alla porta del Palazzo della principessa Cleofe, entriamo nella chiesa del protettore dei naviganti e dei mercanti”.
“La sposa latina di Teodoro – dice il capitano – è molto devota e spesso viene a pregare in questo luogo con le altre nobildonne per invocare il santo che protegge le giovani fanciulle e le donne sposate. La chiesa e il piccolo convento sono stati costruiti dall’arconte che qui vicino ha eretto un grande palazzo. La sua famiglia proviene da Costantinopoli dove Nikolaos, santo vescovo di Myra, è venerato da molti secoli in tante chiese”.
“La città è ricca di nuovi palazzi – dice il mercante - e le case della città bassa spiccano per i colori vivaci degli intonaci. Le donne amano ornare i davanzali delle finestre con i fiori. Le fanciulle camminano per i sentieri con passo veloce e con il sorriso sui loro volti. Tutte sembrano contente e gioiose, come mai tanta devozione per il santo che protegge i mercanti e i viaggiatori?”.
“Mistrà è una città fortificata - afferma il capitano della fortezza - e tutti gli edifici sono stati costruiti sulle pendici di questa collina ai piedi del castello costruito dai Latini per imporre il loro dominio sui sudditi della valle dell’Eurota. Il basileus Michele VIII Paleologo ha imposto il suo imperio sui Latini e nominato un governatore imperiale.
La peste, le guerre civili e le incursioni dei Turchi hanno imposto ai nobili e al popolo di edificare palazzi e abitazioni protette dalle mura e dalle torri.
La costruzione della chiesa di San Nicola è stata una necessità devozionale non solo per le donne maritate, che vedevano i loro mariti partire per affari o per difendere la vallata dalle incursioni dei mercenari dell’Occidente, ma soprattutto per le giovani fanciulle che, prive di dote, non riuscivano a trovare un uomo disposto a sposarle. Le famiglie imperiali dei Cantacuzeni e dei Paleologi hanno scelto il luogo della cappella vicino al Grande Palazzo per agevolare il cammino delle nobildonne della città alta e rendere possibile la loro influenza caritatevole a beneficio delle popolane giovani dei, rimaste senza sostentamento per la morte dei loro genitori”.
“Il signore della Morea - sostiene Nicolò – è ricco e possiede ingenti fortune. Le famiglie povere potrebbero bussare alla porta del Palazzo e chiedere un contributo per le vedove e per le donne da marito”.
“Le opere caritatevoli – risponde l’arconte – sono devolute alla chiesa locale che riceve ingenti donazioni da parte delle famiglie più ricche. I monaci di San Nicola hanno il compito di manifestare la munificenza del despota e dei suoi cortigiani con piccoli sussidi alle famiglie povere che ogni giorno provengono dalle località costiere della Morea, continuamente depredate e saccheggiate dai predoni del mare. La principessa Cleofe si distingue tra le nobildonne per le sue sortite nei quartieri poveri al di fuori delle mura della città. Le sue apparizioni tra i rifugiati, provenienti dalle isole dell’Egeo, si sono fatte sempre più frequenti in questi ultimi giorni durante l’assenza del principe Teodoro.
“Anche noi – dice Nicolò – abbiamo bisogno di ricorrere all’aiuto divino e ci rivolgiamo al santo che protegge i naviganti e i mercanti. I pirati intercettano le navi senza scorta e rendono schiavi marinai e mercanti. La Repubblica di Venezia conserva le ossa di Nicola in una chiesa del Lido di fronte al mare affinché il santo possa proteggere tutti coloro che partono sulle navi e affrontano le tempeste del mare. I naviganti che tornano con le mercanzie sono sotto la sua protezione perché con la loro opera commerciale permettono il sostentamento delle famiglie e il benessere di tutta la città della laguna”.
“San Nicola - sostiene Andrea - è venerato in Occidente e in Oriente e la sua intercessione protegge i devoti dai mali della terra e dai pericoli del mare. Per sopportare la forza distruttrice della natura e la cattiveria dei potenti occorre l’aiuto di colui che in vita fu ascoltato dalla Santa Sapienza per proteggere gli indifesi e i bisognosi dalle forze che piegano le volontà umane e affievoliscono la speranza in una vita buona degna di essere vissuta. Oggi le città sentono la necessità di avere un luogo di culto dove invocare San Nicola per ottenere la grazia di essere ascoltati nei momenti del bisogno e per essere rassicurati dal suo intervento”.
“Il santo di Myra – dice il mercante – ci protegge dai mali che provengono dalla natura e anche dalle cattiverie degli uomini”.
“Questa città - sostiene l’arconte - ha affrontato il grande morbo che, veleggiando dall’Oriente sulle navi, è approdato sulle coste e si è diffuso in tutto la Morea. Le mura e i cancelli sono serviti a controllare gli stranieri e le loro merci. La malattia è più spietata dei nemici che distruggono le città perché quando si avvicina non fa prigionieri e non risparmia le giovani donne e i bambini. I responsabili del governo della città hanno eretto questo tempio per impedire il dilagare della malattia mortale tra le dimore dei timorati di Colui che dà e mantiene la vita a coloro che si rivolgono con fede al santo di Myra”.
“Il Comune dei veneziani - dice Nicolò - custodisce le ossa di San Nicola in un tempio a lui dedicato all’ingresso della laguna per proteggere la città dai contagi malefici che si annidano nelle imbarcazioni che provengono dalle lontane contrade dell’Estremo Oriente. Vicino al porto del Lido, in una piccola isola, i monaci della Vergine di Nazareth accolgono i marinai ammalati che provengono dalle terre contagiate dalle pestilenze mortifere. La città lagunare non ha cancelli o mura ma si affida alla protezione divina”.
“Anche quest’anno – afferma il castellano – si è diffusa la peste nelle contrade della valle, portando alla tomba tanti uomini e donne con una “morte nera”. San Nicola ci protegge e la principessa Cleofe accende un cero davanti all’icona del santo per la protezione del marito. Tutte le nobildonne del Palazzo seguono la moglie di Teodoro per confortarla e concorrere all’atto devozionale nel tempio dedicato al loro santo protettore. Ogni donna nasconde nell’intimo dell’animo il desiderio di rivedere presto il proprio uomo, marito o promesso, che, lontano dalla famiglia, rischia la vita accanto al governatore della Morea”.
Entrando nel tempio, ser Nicolò sussurra: “Quanta devozione e tutte queste donne in fila per accendere una candela davanti alla piccola icona. Ci vorrebbe un edificio più grande, degno di un grande santo che da tanti secoli protegge i poveri e i bisognosi. La città è piena di palazzi che danno lustro ai potenti della terra e un taumaturgo, come i vescovo di Myra, dovrebbe avere un edificio più grande con pareti affrescate dagli artisti più rinomati e con marmi pregiati per contenere i devoti del santo”.
“Questa chiesa – risponde sottovoce l’aristocratico cavaliere – appare di piccole dimensioni soltanto ai forestieri. La fede nella intercessione di Nicola si innalza fino al trono della Santa Sapienza che non tiene conto della grandezza delle pietre ma della profondità del sentimento umano che raggiunge l’infinita dimora dell’Eterno. Oggi il tempio sembra modesto ma un giorno diventerà più grande e adornato con affreschi e marmi che rappresenteranno l’attaccamento della città al suo patrono che la protegge nel tempo dalle pestilenze e dagli assalti dei nemici”.
“La vicinanza al palazzo del despota imperiale - sostiene il mercante – dovrebbe indurre il principe a dimostrare la sua magnificenza con un edificio ben decorato e coperto di marmi”.
“Nella nostra città - dice il castellano – i costruttori tengono conto soprattutto della solidità degli edifici per resistere ai terremoti e durare nel tempo. Questa cappella dedicata a San Nicola non è isolata ma è gestita da un ieromonaco della grande chiesa di Santa Sofia, fatta costruire dalla famiglia imperiale dei Cantacuzeni. La piccola costruzione devozionale è parte integrante dell’edificio religioso, frequentato dalla corte dei Paleologi, che si erge più sopra lungo il sentiero che porta al castello. Il tempio è frequentato dal despota Teodoro che ama intrattenersi con i monaci del vicino convento, sottoposti al patrocinio del Santo Patriarca Giuseppe. Il metropolita di San Demetrio lascia piena autonomia ai monaci che curano il servizio divino nella chiesa di Santa Sofia e in questo luogo dedicato al santo di Myra. La chiesa della corte dei Paleologi ha innumerevoli cupole, sorrette da colonne marmoree scolpite, e pareti affrescate che riproducono la Vergine e suo Figlio che tiene in vita tutto il Creato”.
“Vedo l’icona del santo - dice il mercante – che queste donne amano venerare, elevando il loro spirito all’Eterno che dispensa le sue grazie ai devoti che si affidano al loro protettore. Il mio pensiero riporta alla mente i pericoli e le fatiche affrontate per giungere in questo sacro luogo e non posso fare a meno di affidare a San Nicola anche il mio ritorno a Monemvasia. Le anime devote sperano nel ritorno dei loro uomini, partiti in armi per difendere le frontiere minacciate dai Turchi. Io, mercante veneziano, ho un unico desideri che è quello di ritornare incolume alla mia famiglia. Sono stato beneficiato fin qui e spero di essere protetto anche nel ritorno”.
“Non basta accendere una candela e sperare nell’aiuto divino - dice il nobile cavaliere - ma occorre anche stimolare la benevolenza del patrono con un obolo, degno di un mercante veneziano, per soccorrere i bisognosi di questa città che diventano sempre più numerosi con gli sbarchi dei predoni e con i guerrieri turchi che premono alle frontiere della Morea”.
“Il mio guadagno - sostiene ser Nicolò – è frutto di fatiche e di prudenza per trasportare la mercanzia. Pirati e ladri attentano alla mia vita per sottrarmi i beni che mi sono stati affidati per i quali ottengo la giusta commissione che permette a me e alla mia famiglia di vivere degnamente. La fede mi sostiene nel viaggio e mi da sicurezza l’aiuto del patrono dei naviganti. Ritengo doveroso dimostrare la mia gratitudine lasciando una congrua offerta per coloro che non hanno il necessario per una vita buona. Il denaro che si dona per un’opera pia rinvigorisce lo spirito di chi sa elargire con generosità e rischiara l’orizzonte della vita per chi ottiene l’aiuto sperato”.
“Il monaco Matteo - dice l’arconte – raccoglie le offerte destinate alle opere di carità dopo il sacro rito mattutino e si intrattiene per elargire il perdono dell’Onnipotente ai peccatori. Prima di deporre le offerte nel grande cesto, occorre riconoscere le proprie manchevolezze e rappacificarci con Colui che ci dona la vita”.
“Il mio spirito è pronto - sussurra il mercante – per una preghiera di ringraziamento e per manifestare la mia gratitudine al santo”.
Ser Nicolò esce dal sacro luogo con il nobile Andrea e con il religioso.
“Una preghiera di lode sarà innalzata al cielo - dice Matteo al mercante – per la fede e la generosità di coloro che si rivolgono riconoscenti a San Nicola. Questa cappella, dedicata al patrono dei naviganti, è sempre visitata con devozione e spirito di carità non solo da coloro che sperano in un futuro migliore, ma anche da coloro che, per le grazie ricevute, intendono rendere grazie all’Eterno nella chiesa del loro santo patrono. È questo un luogo di preghiera e di fraternità generosa che riavvicina ricchi e poveri, bisognosi di soccorso e beneficiati. La vicinanza del palazzo del principe Teodoro, despota della Morea, permette di far incontrare nella stessa chiesa i fedeli dell’Occidente e dell’Oriente, uomini e donne che seguono il rito latino del patriarca di Roma e coloro che osservano le consuetudini della Grande Chiesa di Costantinopoli”.
“La presenza della principessa Cleofe - sostiene l’arconte – è occasione di condivisione della stessa venerazione a San Nicola. I gesti devozionali per il santo vescovo di Myra manifestano un’unica fede in Colui che è l’unica vera via della vita. Il despota Teodoro ha concesso la celebrazione in questa città dei riti latini per la sua sposa che è nipote del papa. Si sussurra che Il vescovo di Roma vuole eliminare le divisioni che si sono create tra i cristiani per creare un unico baluardo contro lo strapotere del sultano degli Ottomani”.
“Il Patriarca Giuseppe - dice il monaco – ha raccomandato al mio abate di far preparare in questa chiesa un altare per l’officiante di rito latino che sovrintende le pratiche religiose della moglie del despota. Il basileus ha imposto l’osservanza dell’accordo stipulato con papa Martino per il rispetto delle usanze devozionali delle spose latine. La chiesa di San Nicola è vicina alla dimora di Teodoro e permette alla principessa di pregare e seguire il sacramento del pane e del vino”.
“Gli Ottomani minacciano l’esistenza dell’Impero - sostiene l’arconte – e il matrimonio di una nipote del papa con il figlio del basileus è un motivo in più per la creazione di un grande esercito in grado di sconfiggere le milizie del sultano. La famiglia imperiale dei Paleologi si è imparentata con Malatesta dei Malatesta di Pesaro. Il padre della nostra principessa ha anche firmato un contratto matrimoniale con la famiglia Colonna per il figlio Carlo che ha sposato la figlia del fratello di papa Martino V”.
“Il papa ha già eliminato le controversie nell’episcopato latino - sostiene il mercante – ed ha riportato la sua curia dalla Provenza a Roma. I principi tedeschi e spagnoli non sono più costretti ad inviare i loro ambasciatori ad Avignone. I loro vescovi non sopporteranno più le prevaricazioni della corte francese nell’elezione dei pontefici. Il luogo del martirio di San Pietro è ritornato ad essere il centro di tutta la cristianità dell’Occidente. Il merito della riconciliazione è di Martino V. Il papa all’atto della sua elezione ha espresso agli ambasciatori del basileus il fermo proposito di frenare l’avanzata del sultano. Il soccorso dei principi dell’Occidente potrà avvenire dopo il riconoscimento del primato spirituale del Patriarca di Roma”.
“Teodoro è il secondo erede in linea di successione al titolo di basileus - dice il nobile castellano – e questa prospettiva potrebbe indurre il papa ad organizzare subito una difesa delle coste della Morea. I banchieri di Firenze e di Venezia sarebbero ben lieti di finanziare l’allestimento di galee armate con la mediazione del Vescovo di Roma.
Il nostro principe è partito per difendere il muro sull’istmo di Corinto dai cavalieri turchi mentre le coste del Peloponneso sono flagellate dalle razzie dei predoni del mare. Le razzie sulle coste hanno indotto molte famiglie a chiedere aiuto al nostro principe. Interi villaggi scompaiono: case distrutte, chiese incendiate e abitanti fatti schiavi”.
“La cristianità è in pericolo - dice il monaco – e la Morea è l’ultimo lembo di terra dell’Impero dei Romei che ancora conserva intatte le tradizioni cristiane tramandate dai nostri padri. I Turchi hanno occupato tutta la Tracia ed eretto le loro moschee nella città di Adrianopoli che è diventata la capitale di tutto il dominio ottomano.
I territori dei Bulgari e degli Slavi hanno nuovi signori che erigono i loro templi in onore del Profeta Maometto. La religione dei conquistatori è imposta alle genti che per sopravvivere devono attenersi alle loro leggi. L’educazione dei giovani è rispondente ai nuovi bisogni dell’amministrazione ottomana. I fanciulli vedono nelle scuole nuovi maestri con il turbante e la barba. I nobili piegano le loro ginocchia davanti all’arroganza dei capi militari del sultano. Le porte delle antiche chiese rimangono chiuse perché i fedeli hanno paura di opporsi alla nuove pratiche religiose imposte dai nuovi amministratori.
La città di Costantino conserva ancora le sue chiese perché resiste alle armi da fuoco di Murad II. Gli abitanti facoltosi si imbarcano per raggiungere le città dell’Occidente che li accolgono con grandi onori per le loro capacità imprenditoriali o per le loro conoscenze nella fabbricazione di tessuti pregiati e di nuovi impieghi nell’artigianato locale. Mistrà diventa sempre più grande e più bella con l’arrivo delle nuove famiglie che erigono chiese e palazzi sulle pendici della città”.
“La città del basileus - sostiene il mercante – ha mura solide e torri presidiate da uomini ben addestrati e pagati con moneta aurea. La Repubblica di San Marco protegge il suo porto con galee armate che non solo impediscono l’ingresso nel porto delle milizie del sultano ma proteggono anche le rotte marine dagli assalti dei predoni del mare”.
“I Veneziani sanno investire bene i loro ducati – afferma il castellano – e difendono le attività commerciali di Bisanzio perché il suo grande emporio è fonte di ricchezza per la loro città. Il sultano è consapevole che le casse dell’erario imperiale sono sempre vuote e i proventi del commercio sono insufficienti per pagare i mercenari. Molti nobili della città si lasciano adescare dalle promesse dei principi ottomani che vogliono impossessarsi della città. I privilegi concessi agli stranieri e i continui assedi non permettono di vivere con decoro come nel passato. Gli artigiani non hanno più richieste di lavoro e sono costretti a chiudere le loro botteghe. La Grande Chiesa del Patriarca non riceve più donazioni e non riempie le casse con le imposte dei laboratori o con l’affitto degli immobili. L’enorme ricchezza che affluisce in città riempie soltanto i forzieri dei banchieri che investono sul commercio degli stranieri e delle famiglie dell’antica aristocrazia terriera che si è insediata nel quartiere delle Blacherne, sede dell’amministrazione imperiale”.
“Costantinopoli è una città ricca e prosperosa – dice ser Nicolò - dove i nobili veneziani e i principi stranieri fanno costruire sontuosi palazzi, circondati da giardini, lontano dall’antica dimora di Giustiniano. Il nuovo centro della finanza è a ridosso del porto del Corno d’oro nelle vicinanze del palazzo del basileus.
La famiglia dei Paleologhi per governare e resistere ai suoi nemici si è sempre rivolta all’aiuto dell’Occidente. Michele VIII Paleologo ha scacciato da Costantinopoli i cavalieri francesi che avevano costituito l’impero latino e ripristinato la corte del basileus. Il fondatore della nuova dinastia ha riconosciuto il primato del successore di Pietro, come pure Giovanni V, figlio di Anna di Savoia e di Andronico IV Paleologo.
Il papa desidera soltanto l’unione di tutte le chiese ed è pronto a richiamare tutti i principi e regnanti dell’Occidente per una crociata contro l’esercito del sultano. Il suo aiuto è condizionato dal riconoscimento del primato del successore del vescovo di Roma su tutti i vescovi dell’Oriente. L’atto richiede la sottoscrizione di un accordo formale da parte di tutti i rappresentanti dei Patriarchi”.
“La conversione di Michele VIII e di Giovanni V – sostiene il monaco – è stata soltanto un atto individuale perché il Patriarca di Costantinopoli riconosce il primato dell’apostolo Andrea che fu il primo degli apostoli chiamato a seguire il divino Maestro”.
“Il Vescovo di Roma – afferma il mercante veneziano – è stato riconosciuto successore di Pietro quando Roma era la capitale del mondo ed il suo primato era indiscusso. Le invasioni barbariche hanno offuscato l’antica sede degli imperatori romani e non sono riuscite ad abbattere l’Impero romano d’Oriente. Il basileus ha conservato l’imperium di Cesare Augusto e dei suoi successori. Il Patriarca di Costantinopoli è diventato preminente nella Chiesa perché difeso dalla potestà della sede imperiale. Oggi la potestà imperiale non può più governare i popoli che sono stati soggiogati dal sultano. Il papa ha oggi la facoltà di chiamare tutti i governanti per difendere i popoli cristiani.
I banchieri delle città latine dispongono di immense fortune disponibili per le grandi imprese dei regnanti. All’autorità religiosa del pontefice è strettamente legata la potestà di governo dei principi. Le prerogative spirituali e di governo dei popoli del patriarca di Roma devono essere riconosciute anche dal popolo di Costantinopoli e da tutte le genti guidate dai vescovi dell’Oriente nel cammino della fede.
Se Roma è sede della autorità spirituale su tutti i magisteri ecclesiastici ed è anche riconosciuta come sorgente del potere conferito ai principi di regnare sui popoli, il Patriarca di Costantinopoli deve restituire il primato acquisito con il potere del basileus e riconoscere con il suo popolo il primato del Vescovo di Roma che siede sulla sorgente dell’autorità e della potestà di governare i popoli”.
“Il riconoscimento del primato spirituale - sostiene l’arconte - tra il Vescovo di Roma e il patriarca che celebra i sacri riti nella Grande Chiesa di Costantinopoli dovrebbe essere discusso in un Concilio presieduto dal basileus con la partecipazione di tutti i vescovi dell’Occidente e dell’Oriente. La questione è stata già discussa tra gli inviati del papa e Giovanni VI della famiglia dei Cantacuzeni che si è distinto nel suo attaccamento alla fede per aver accettato di sottoporsi agli obblighi monacali dopo la sua incoronazione sul trono di Bisanzio. Le assemblee dei rappresentanti delle sedi apostoliche e delle sedi dei vescovi, patrocinate dall’imperatore, hanno donato al popolo cristiano le sacre verità nascoste alle menti dei popolani ma evidenti agli spiriti più elevati nelle cose teologiche. Ciò che è giusto va sancito da un concilio e accettato da tutto il popolo della Santa Sapienza”.
“Per i Romei – sostiene il monaco – il basileus ha un ruolo anche ecclesiastico e il suo assenso è indispensabile per la convocazione di un concilio che matta fine alla lunga disputa sorta tra i sostenitori del rito latino e quelli che riconoscono soltanto l’autorità del Patriarca di Costantinopoli”.
“L’esigenza del primato - afferma il nobile veneziano – è diventata di primaria importanza per il Vescovo di Roma che deve sostenere la sua imparzialità tra i principi che aspirano a governare i popoli. Nell’Occidente ci sono nobili dinastie regali che avanzano pretese sulle terre che nel passato facevano parte dell’Impero romano d’Oriente. L’autonomia del soglio di Pietro richiede la supremazia del suo ministero soprattutto nel campo religioso per poter sancire la discendenza divina dell’alta autorità imperiale su tutti i popoli. Costantinopoli è circondata dall’esercito del sultano e il suo basileus no dispone più dell’autonomia per imporre il suo imperium su tutta la cristianità.
È tempo di ricostituire con urgenza il ruolo ecclesiastico del papa per tutta la cristianità. La separazione tra i vescovi dell’Occidente è cessata con il papa Martino e bisogna decidere con urgenza l’unione di tutte le chiese per una grande coalizione di tutti gli eserciti dell’Occidente per fronteggiare i cavalieri ottomani che vincono su tutti i fronti e minacciano le città costiere della Dalmazia e dell’Italia.
I principi bulgari che un tempo erano legati al papa si sono sottomessi e si sono dichiarati vassalli del sultano. Le regioni serbe sono già sotto il dominio ottomano”.
“La supremazia delle galee veneziane - dice il castellano - è riconosciuta nel mare che bagna le coste della Dalmazia e dell’Albania. I Turchi non osano abbordare le navi sulle rotte commerciali controllate dalla Repubblica di San Marco. Le famiglie delle due spose latine hanno concordato il matrimonio con i figli del basileus durante il Concilio dei vescovi che hanno eletto Martino V. Il basileus potrebbe essere incline alla convocazione di un grande sinodo di vescovi per il riconoscimento del prestigio del Patriarca di Roma per ottenere dall’Occidente tutto l’aiuto necessario per riconquistare le regioni conquistate dagli Ottomani e ripristinare il suo imperium sulle popolazioni dei Balcani”.
“Il basileus ha bisogno di un sostegno militare – sostiene il monaco – ma il popolo di Bisanzio, i metropoliti e gli abati dei conventi non tollerano le ingerenze della curia di Roma nelle loro prerogative. I tributi alle chiese e il pagamento del dovuto alle amministrazioni conventuali, durante il dominio dei cavalieri franchi, hanno subito delle tassazioni da parte dei signori feudatari dell’Occidente. Le rendite delle chiese e dei conventi devono beneficiare i residenti e non essere imbarcate per le ricche città dell’Occidente”. I vescovi e i monaci hanno timore di perdere i loro benefici e il loro sostentamento”.
“I tuoi timori sono infondati – sostiene ser Nicolò – perché il basileus rimane il garante del sostentamento del popolo e dei suoi capi religiosi. I possedimenti dei conventi sono frutto di donazioni da parte della famiglia imperiale e degli arconti. Il ricavato delle coltivazioni e gli oboli dei fedeli rimarranno sempre a disposizione delle amministrazioni ecclesiastiche per le necessità delle curie e per le esigenze dei poveri”.
“Il despota della Morea - sostiene l’arconte – è tollerante e permette nella città anche le devozioni e i riti secondo i canoni di Roma per venire incontro ai rifugiati provenienti dai villaggi costieri. L’arcivescovo di Patrasso, sollecitato dal papa ha inviato alcuni sacerdoti per sostenere la fede delle vedove e degli orfani dei villaggi costieri, continuamente depredati dai turchi e dai pirati catalani. La principessa ha accolto sotto la sua protezione gli officianti latini secondo le direttive impartite dal proprio consorte. Teodoro è ben visto dal papa Martino che manda tanti ambasciatori per controllare l’applicazione degli accordi stipulati in occasione del matrimonio di Cleofe.
La nobildonna dei Malatesta non ama esibirsi in gesti eclatanti di carità, ma preferisce ascoltare le necessità dei bisognosi dall’officiante latino che indica alla nobildonna i casi più pietosi per un soccorso o un ricovero nei luoghi di accoglienza adiacenti ai monasteri della città”.
“L’animo generoso della sposa latina – dice il monaco – desta la meraviglia delle donne che fanno parte della corte del despota. Le mogli degli arconti più facoltosi gareggiano per mostrare la loro ardente fede con cospicue donazioni davanti all’icona di San Nicola”.
“La gara di elargizioni caritatevoli tra le donne di Mistrà –sostiene il mercante – è indice di prosperità che appare anche nella costruzione di palazzi e di opere pubbliche. Costantinopoli è soffocata e non riesce a sfamare i più bisognosi, mentre qui le donne competono nelle opere di carità a beneficio soprattutto dei rifugiati e delle vedove.
La collina mostra un fervore di crescita che non si riscontra in altre parti dei territori amministrati dal basilues e dai suoi figli. La famiglia dei Paleologi stanno costruendo una nuova capitale che attira le famiglie nobili fuggite dai territori conquistati dalle milizie ottomane.
Accanto alle mura e alle torri poderose vedo un frenetico lavorio di muratori ed artigiani per innalzare dimore sontuose simili a quelli che i mercanti ricchi fanno costruire nelle città dell’Occidente”.
“Mistrà mostra tutta la sua floridezza – dice l’arconte - perché è in grado di affermarsi militarmente in tutto il Peloponneso, combattendo contro le pretese dei signori latini che, dopo l’instaurazione sul trono di Bisanzio della dinastia dei Paleologi, continuano a spadroneggiare sulle terre degli antichi greci. Banchieri genovesi e fiorentini contendono ai principi angioini il governo delle regioni costiere della Morea con le loro pretese parentali.
I cavalieri franchi, che depredarono Costantinopoli e profanarono la Grande Chiesa di Santa Sofia, sono stati sostituiti da altri baroni e feudatari latini.
I capitani delle roccaforti veneziane lungo le coste fanno sentire la loro supremazia nella regione per acquisire a buon mercato tutto ciò che necessita al loro sostentamento. Le diatribe locali sono sempre all’ordine del giorno e impegnano gli uomini armati del nostro principe per il mantenimento dell’ordine e per la salvaguardia dei confini della Despotìa di Teodoro”.
“Il basileus Manuele e i suoi figli – dice il mercante - hanno consolidato e reso più vasto il loro dominio nel Nord della Morea conquistando baronìe e possedimenti nell’Acaia e nell’Arcadia a danno dei signori latini. I territori della città di Patrasso e quelli dell’entroterra vicino ai porti fortificati di Modone e Corone sono stati posti sotto la sorveglianza delle Repubblica di San Marco per proteggerli dalle incursioni dei pirati e dalle rivendicazioni dei Paleologi.
“Il popolo è fiducioso e invoca San Nicola – sostiene il monaco – per la protezione della città. L’esercito ottomano minaccia di nuovo di invadere la Morea e di distruggere il muro di Corinto con le nuove armi da fuoco. Il sultano non sopporta le conquiste di Teodoro e dei suoi fratelli a danno dei baroni latini che si sono dichiarati suoi vassalli.
La parentela del despota con Martino V preoccupa Murad II che teme l’avanzata di un esercito crociato deciso a sconfiggerlo e a scacciarlo dai Balcani.
Il Patriarca Giuseppe cerca di convincere i metropoliti e gli abati dei conventi a collaborare con il basileus per la necessità impellente di un aiuto dell’Occidente patrocinato dal papa.
La richiesta di soccorrere la fede cristiana in pericolo è ripetuta dai vescovi e dai sacerdoti in tutte le chiese dell’Occidente. I regnanti sono chiamai dal papa per la costituzione di un grande esercito crociato in grado di allontanare il pericolo di un’ulteriore avanzamento degli Ottomani che impongono la conversione delle chiese in moschee nei territori occupati e obbligano le famiglie a cedere i loro figli maschi per farli crescere secondo le tradizioni turche”.
“Il patrocinio del papa – dice ser Nicolò – è subordinato al riconoscimento del suo primato ecclesiale. Il basileus conosce il popolo e le sue tradizioni. Il tempo non ha ancora cancellato i ricordi delle antiche nefandezze dei crociati e ritiene responsabile di quelle atrocità il pontefice che aveva indetto la crociata e non aveva impedito gli atti sacrileghi dei fratelli dell’Occidente. Le convinzioni radicate negli animi e tramandate di generazione in generazione hanno conservano ancora l’astio e l’insofferenza nei confronti del papa. La sua premura per l’unione di tutte le chiese suscita avversione in coloro che hanno rendite legate ai luoghi di culto. Metropoliti e abati non vogliono perdere i loro privilegi”.
“Mistrà – dice il nobile Andrea – non ha questi ricordi perché è una città sorta per il volere di un principe latino e prospera con il commercio e le arti. Il principe Teodoro è molto religioso e spera in un aiuto del papa per sedere sul trono imperiale di Bisanzio. Il despota e le famiglie nobili della sua corte sperano in una unione con l’Occidente che possa tenere lontano il pericolo dei Turchi e nello stesso tempo ricostituire la potestà del basileus su tutte le genti che continuano ad avere fede in Colui che è l’unica vera via di una vita che è degna di essere vissuta nella pace e nella prosperità”.
“Il primato del Patriarca di Roma - dice il nobile veneziano – si deve unire alla potestà imperiale per il governo di tutta la cristianità. Si tratta di far rivivere l’intento di Costantino il Grande, cioè sotto l’unico e vero segno di pace di Cristo si possano governare i popoli che rispettano il diritto romano”.

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