sabato 9 settembre 2017

L’incanto della penisola di Sorrento o Capo di Minerva

SORRENTO E MASSA LUBRENSE
PATRIA  DI  NOBILISSIMI UOMINI 
Giovanni Antonio Sommonte (Napoli 1538 - Napoli 1608) nella sua “Historia della città e Regno di Napoli”, “Per dar saggio dell’origine delle famiglie clarissime per la nobiltà napoletana” descrive, da pag.137 a pag. 139 del sopracitato libro, un confronto vicino Barletta tra navi di Ancona che caricavano grano e navi del Regno di Napoli che innalzavano il vessillo degli Svevi nel 1255 per sostenere il re Manfredi figlio dell’imperatore Federico II. 

“..Al tempo di Alessandro IV Pontefice - scrive Summonte - Manfredi corse traverso una galeazza dei Venetiani alla marina di Molfetta. …Nel giorno di San Bartolomeo d’agosto 1255 in Barletta si vide una bella battaglia: Una nave era di Messer Simone Ventimiglia, cavaliero principalissimo del Regno di Sicilia, l’altra era di Sorrento di Messer Paolone Donn’Orso e l’altra di Pozzuolo di Messer Henrico Spada e vi era anche quella di Costanzo di Pozzuolo”. 

Ci furono dei prigionieri e si provvide al loro riscatto. Nella vicenda furono implicati “il figlio di Messer Petrilllo Accongiagioco di Ravello, parente di Messer Giovanni Salvacoscia che era padrone della galera d’Ischia, e Proculo Venato gentil’huomo di Pozzuolo, Giuseppe Domini Marini e Serio Mastro Giudice di Sorrento. Donn’Orso di Sorrento, Salvacoscia d’Ischia e il Costanzo di Pozzuolo - sostiene lo storico napoletano - erano nobilissimi di questi luoghi e per le comodità del mare si esercitavano a questo misterio d’armar galere a proprie spese. Pietro Salvacoscia oltre l’esser governatore d’Ischia per l’imperatore Federico II fu anche padrone di molti legni con i quali servì poi Carlo I D’Angiò e fu da questi costituito Vice Ammiraglio. Similmente Carlo successore di Pietro Salvacoscia in tempo di Roberto (Re di Napoli dal 1309 al 1343) averli fatto con i suoi legni molti segnalati servizi nell’Isola di Sicilia e in premio di quello ne ottenne il Contato di Bellate”.

Nella “Descrittione della città di Massa Lubrense, mandata in luce dal Dottore Giovanni Battista Persico in Napoli nel 1646”, lo storico napoletano scrive: “La città di Massa Lubrense è Penisola circondata dal Mare da tre parti cioè da Tramontana, Ponente e Mezzo Giorno; solo da Levante è congiunta con il Territorio di Sorrento… Il circuito di Massa per mare comincia dallo scoglio volgarmente detto Petrapoli, verso Levante,… e si estende infine alla marina di Massa detta Fontanella: Quivi anticamente era un bel Molo, insino ad oggi si veggono dentro del mare alcuni suoi pilastri, in questo molo vi stavano 60 navilji, li quali servivano per il traffico delle mercantie dei Cittadini Massesi, prima che si ritirassero ad habitare in Napoli. Girando il mare si termina a Crapolla. Nell’estremità del Monte di Termene, vi sono li vestigij del celebre Tempio di Minerva. Sotto il Tempio di Minerva v’è un bellissimo Porto verso Ponente detto comunemente Ieranto. In questo porto verso Ponente possono stare comodamente 600 navi o vascelli grossi  quando qui si ritirano perché son difesi dalla Tramontana e Magistrale ma non dallo Scirocco a Mezzo Giorno li quali fanno grande tempesta in quel mare. Dopo vi è una montagna chiamata Capo di Penna, appresso sèquita Montealto; dopo sèguita la Campanella, il monte la Mortella,  appresso marina di Nerano”.


“La città di Massa - scrive il Persico nella “Descrittione" del 1646 - ha molte famiglie le quali da 400 anni in circa hanno vissuto nobilmente. Anzi alcune famiglie sono più di 500 anni come quelle dei Liparulo, Cangiani, de Marino, de Fontana, Persico, de Mari, Maggio, Pisani, de Simoni, d’Amitrani, de Maria, de Pastini, de Scoppa, de Perelli, de Maldacei, de Turri, de Palombi, de Tizzani… Hanno alcuni tenuto banco pubblico in Napoli, prima che li banchi si ponessero nei lochi pij; di questi il primo fu Berardino Turbolo, il secondo è Prospero suo fratello, il terzo Giovanni Alfonso Liparulo, il quarto Mario de Mari e Caputo”.

“Li Cittadini di Massa - evidenzia Persico nella sua Storia - sono stati sempre celebri nell’arte militare. Il Re Roberto nell’anno 1330 il 9 di gennaio fa una onorata patente a don Tesselino Fontana, nella quale dice che li conferisce la Cappella reale di S. Pietro ad curtim in Salerno per li suoi meriti si anco ad supplicationis instanti Federici Fontana fratris tui Ducis militum et qual grata servita nobis prestita cum suis strenuis militibus, Iaccone Persico, Josepho Fontana, Iacobo Liparulo, Ioanne Caputo, Pero Monforte et alijis sui commilitonibus sui sumptibus. La sopraddetta patente è inserita nella Renuncia della detta Batia di S. Pietro fatta dal sopraddetto D. Tesselino,  fatto vescovo di Vico Equense nell’anno 1330 da Papa Giovanni 21 detto XXII, per mano del Notaro Giuseppe Cesare Grillo di Salerno”.

“D. Tesselino Fontana - sostiene il Prospero - ritrovandosi occupato in Roma nell’anno 1334 il 15 ottobre fa un’amplissima patente a Don Andrea Liparulo  di Massa, suo vicario generale. L’originale di questa patente si conserva appresso il Signore Antonino mastro Giudice gentil’huomo di Sorrento”.

Angioini e Aragonesi si contesero il Regno di Napoli nel Quattrocento e Cinquecento. 

“L’anno 1459 - scrive il Persico - mentre Re Ferdinando Primo d’Aragona guerreggia con Giovanne d’Angiò Francese, Giovanni Gagliardo Spagnolo, familiare del Re Alfonso, avendo il governo del Castello di Massa e la città di Castell’à Mare di Stabia le diede in mano de Francesi; Vico e Massa si ribellarono si dubita anche di Sorrento per la sospettione d’alcuni li quali segretamente favorivano le parti di Giovanne. …Nel 1461 Ferrante comincia a recuperare le città e le terre del Regno ribellate. Nel 1464 la Regina Isabella, sua moglie, Luogotenente Generale del Regno, fece un indulto per la ribellione. Al ritorno in Napoli, Re Ferrante vittorioso, acciò la piccola città di Massa non li desse più fastidio con una nuova ribellione, nell’anno 1465 fece rovinare e buttare a terra il castello, le mura della città, li palazzi del Governatore e ad altri uomini principali e tutte le case dei cittadini e distrutta anco la cattedrale; il vescovo fu costretto andare alla chiesa antica di Santa Maria della Lobra sopra il mare dove si dice Fontanella”. 

Molti Massesi tra cui i Turbolo e i Caputo scapparono nella capitale del Regno.

Re Ferrante il 13 ottobre 1470 divise i confini di Massa da quelli di Sorrento e concesse a Giovanni Sancez, consigliere regio, la città di Vico e di Massa con titolo di barone.

Nel 1485 i nobili napoletani, comandati dal principe Roberto Sanseverino, si ribellarono a Ferdinando I d’Aragona e chiesero aiuto ai Francesi e al papa. La ribellione fu soffocata con condanne esemplari. 

L’imperatore Carlo V d’Asburgo nel Cinquecento si oppose alle ingerenze in Italia di Francesco I re dei Francesi. La nobiltà napoletana si schierò parteggiando per l’armata francese inviata in Italia da Francesco I e comandata da Odetto de Foix, detto Lautrec, con l’appoggio degli Inglesi e Svizzeri per liberare  papa Clemente VII.

Nell’anno 1528 - evidenzia il Persico - avendo Monsù Lotrecco preso molte città del Regno di Napoli mandava Governatori Francesi e avendo mandato uno in Massa il Sindaco della famiglia Liparulo con l’eletto della famiglia d’Accetto fa una protesta con dire che già Vico e Sorrento le quali sono città murate hanno ricevuto il Governatore Francese, Massa era costretta anco a riceverlo essendo state da Re Ferrante buttate le mura per terra”. 

"La città vecchia di Massa - scrive Persico - si finì di diroccare circa il 1550 con l'occasione di edificare la nuova città, la quale si edificò nell'istesso sito dove era stata la vecchia". 

Saverio di Franco nella sua “Ricerca di un’identità politica: Giovanni Antonio Summonte e la Patria Napoletana” pubblicata nel 2012 sostiene che “Summonte viveva, come lui stesso aveva dichiarato, alla Porta piccola o Porta Caputo, sul lato opposto  all’attuale ingresso della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Napoli Federico II, era la zona in cui operavano gli abitanti di  Massa Lubrense  che giungevano alle porte di Napoli" con il loro carico di rifornimenti per la città: latticini, vino, frutta e, sopra tutto, quei vitelli che erano celebrati fin dall’antichità. La colonia massese era cospicua in Napoli e alcuni cittadini assursero a grande potenza: come i Caputo e i Cangiano”.  
Francesco Liparulo - Venezia

P.S. Pagina web: galeaveneta.blogspot.com

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