sabato 1 ottobre 2011

Occorre risvegliare la speranza di una vera democrazia

NOSTALGIE DEMAGOGICHE
DI UN LONTANO PASSATO


“Negli ultimi tempi - ha affermato Giorgio Napolitano il 30 settembre 2011 alla facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Napoli – io ho più volte ricordato l’Articolo 5 della Costituzione. Dice che la Repubblica è una e indivisibile, e subito dopo, lo stesso articolo riconosce e valorizza le autonomie locali. La sovranità appartiene al popolo che la esercita nell’ambito della Costituzione e delle leggi. E nelle leggi non c’è spazio per la secessione”.
L'opinione del Capo dello Stato è stata chiesta dal professore Massimo Villone per le dichiarazioni di Umberto Bossi a proposito di “una via democratica alla secessione” del “popolo padano”.
Per il Presidente della Repubblica Italiana, il “popolo padano non esiste”. “La memoria degli eventi - ha sostenuto Napolitano - che condussero alla nascita dello Stato nazionale unitario e la riflessione sul percorso successivamente compiuto, possono risultare preziose nella difficile fase che l’Italia sta attraversando, in un’epoca di profondo e incessante cambiamento della realtà mondiale”.
“Il Presidente Napolitano - afferma il segretario dell’Udc Lorenzo Cesa – riesce meglio di tutti a interpretare il comune sentire degli Italiani. Occorre lavorare perchè cambino le cose, sperando che faccia altrettanto chi si ostina ancora in queste ore a pensare che la crisi del Paese si risolve evocando la “Padania” e la “secessione”.
“Il 150° Anniversario dell’Unità d’Italia – ha sostenuto Pier Ferdinando Casini – è una grande occasione per una riflessione collettiva sul nostro passato e un ripensamento, per il futuro, del senso di appartenenza alla comunità nazionale. Purtroppo oggi il distacco tra la politica e i cittadini si è gravemente accentuato e le rivendicazioni del cosiddetto "federalismo", alimentate dalla Lega, mettono in discussione le ragioni stesse dell'Unità”.
Oggi lo Stato è in crisi perché troppo angusto per risolvere i “problemi del lavoro e della crescita economica” ed è troppo dilatato per rappresentare gli interessi elementari dei cittadini.
Si utilizzano gli slogan del “federalismo” e della “secessione” per affrontare la crisi economica – finanziaria imposta dal mondo globalizzato. Per i politici della Lega il “problema è l’obiettivo”, cioè la realizzazione del federalismo. Alcuni seguaci di Bossi sono convinti che “la Lega in questo momento sia l’unico partito che rappresenta il Contratto Sociale”. Rousseau dice che il popolo delega lo Stato a gestire alcune funzioni, quindi i politici. Noi sappiamo come scrive addirittura Jean Rousseau, che chi governa deve interpretare la volontà generale. Per citare il contratto sociale di Rousseau intendiamo rispettare il mandato che il popolo ci ha conferito e che è riportato sul Programma”.
La “volontà generale” di Rousseau, pensatore illuminista del Settecento, non è rappresentativa perché è solo un’autorità lontana dal popolo. Il popolo nell’unità di volontà generale rappresenta se stesso. La sua autorità è un potere forte e non ha bisogno di essere controllato dal basso. Il cittadino è costretto a fare quello che la volontà generale decide, in quanto non c’è possibilità di dissenso. Coloro che non si piegano alla progettualità astratta della volontà generale sono piegati con la forza.
Il pensiero del socialista Pierre-Joseph Proudhon, lettore del “Contratto Sociale” dello svizzero Jean-Jacques Rousseau, è ancora radicato nella Valle Padana. In Italia, i seguaci di Proudhon volevano realizzare nell’Ottocento una democrazia federalista con un patto (=foedus), un contratto tra le persone responsabili, come una nuova religione civile dell’umanità. La società veniva divinizzata; “quello che conta è la società e l’individuo non conta più nulla”. I “proudhoniani” italiani presentavano il federalismo come rivolta libertaria conto l’autoritarismo dello Stato dispotico. Si trattava di democraticismo.
Essenza del federalismo come movimento, per il politologo Gianfranco Miglio, è la partecipazione dei cittadini verso l’autogoverno responsabile. Il federalismo in sostanza dovrebbe presupporre un tessuto sociale robusto, una coesione sociale forte e una compagine politica vigorosa. La prospettiva federale non è dissolutiva, cioè non è disgregazione ma è liberalizzazione generale, pluralismo dinamico e auto emancipazione. Non si tratta di un restringimento della democrazia ma come allargamento, come meta della democrazia, cioè come autogoverno.
In tempi recenti, è avvenuto un equivoco dove “federalismo” appare come “vertigine scompositiva”, cioè si vuole plasmare lo spirito dell'eletore con l’idea che gli organismi della società politica debbano segmentarsi. Il “dispotismo” della maggioranza parlamentare si trasforma in demagogia con l'esaltazione “dell’etnos”, del “popolo padano”, cioè preminenza della comunità chiusa o ripiegamento sulla realtà del campanile. Si parla di “sovranità del popolo” e si invoca la “volontà generale” dell’assemblea parlamentare.
L'atteggiamento come quello etnicista che si ammanta del nome di federalismo ha radice nella paura. Si teme la globalizzazione e lo sconfinamento dei nuovi mercati vissuti come ribaltamento, cioè come voragine che viene ad aprirsi improvvisamente. Tutto ciò genera ansietà e ci si ripiega su se stessi. Si tratta di un problema psicologico collettivo dove il federalismo non ha nulla a che fare. Il federalismo solidale verso gli amici è solo spreco perché si aiuta chi non ha bisogno e sfigura l’ideale stesso di solidarietà se praticato per ottenere appoggio o voti politici.
Il popolo è oggi di fronte a un nuovo “male” rappresentato dal "democraticismo strisciante": le maggioranze parlamentari manifestano prevaricazione nelle decisioni delle Camere. Il mito della democrazia con il continuo richiamo al “dogma” del “popolo sovrano”, alla sua “volontà” o alla continua determinazione della “legge del numerosoffocano la democrazia.
La società politica italiana ha scelto la democrazia, ha stabilito di reggersi con forma repubblicana e costituirsi in Stato, retto da norme costituzionali. Il popolo italiano, come società politica costituita, cioè come insieme di coscienze personali che, avendo una storia in comune attestata dall’unità del linguaggio, avendo scelto di vivere insieme con giustizia e cultura civica, ha deciso, dopo la Seconda guerra mondiale, di autogovernarsi.
La Costituzione è l'evento fondamentale di convivenza. I rappresentanti del popolo sono investiti di autorità in modo limitato e la esercitano in nome del popolo nella forma di potere esecutivo nel Governo, nella forma di potere legislativo nel Parlamento e nella forma giudiziaria nella Magistratura. Il popolo rende partecipi della sua autorità i suoi rappresentanti senza vincolo di mandato e questi non possono emettere leggi senza il consenso dei cittadini.
L'azione del rappresentante del popolo deve alimentare il progresso della civiltà nel senso di arricchire il bene comune che è fatto di prosperità materiale e spirituale per tutti gli uomini e le donne.
La democrazia è un sistema politico in cui il popolo ha bisogno di testimoni che gli insegnino ad essere autenticamente popolo. Il corpo politico necessita persone che mantengano la tensione morale nella comunità civile, perché ha esigenza di ritrovare la propria identità attraverso l’azione di politici che sappiano promuovere il benessere sociale per tutti.

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