giovedì 31 dicembre 2009

L'alleato del PdL vuole convincere i cittadini

IL POLITICO DELLA LEGA DI BOSSI
SI APPELLA A JACQUES ROUSSEAU
Luca Zaia, laureato in “Scienze della Produzione animale” alla
Facoltà di Medicina Veterinaria dell’Università degli Studi di Udine, nominato nel 2005 vice presidente della Regione del Veneto, ministro dall’8 maggio 2008 delle Politiche agricole alimentari e forestali del governo, è stato scelto quale candidato PdL – Lega alla presidenza del Veneto per la successione dell’attuale governatore Giancarlo Galan.
In una recente intervista ha affermato: “Ricordo l’esperienza al fianco di Galan come una delle più belle della mia storia politica … Ripartirò da lì per cercare di fare ancora meglio ... Noi siamo dei manager. Il problema è l’obiettivo: il manager ragiona per obiettivi da raggiungere … A livello Veneto, penso che dobbiamo trovare l’aggregazione su un programma, sul quale cercherò di fare squadra, di fare famiglia, per realizzarlo. È il cittadino destinatario del nostro lavoro… Il Contratto Sociale di Rousseau dice che il popolo delega le istituzioni a esercitare alcune competenze”.
L’onorevole è “convinto che la Lega in questo momento sia l’unico partito che rappresenta il Contratto Sociale. Rousseau dice che il popolo delega lo Stato a gestire alcune funzioni, quindi i politici”.
“Noi sappiamo – sostiene Zaia - come scrive… addirittura Jean Rousseau, che chi governa deve interpretare la volontà generale”.
L’uomo comune che legge i quotidiani italiani si chiede: “Chi è Jean-Jacques Rousseau? Cos’è il Contratto Sociale? Quali politici nel passato si sono ispirati al suo pensiero? Di chi è la Volontà Generale e dove ci portano i politici che vogliono imporla alla società civile?”.
Lo svizzero Jean-Jacques Rousseau con l’opera il “Contratto Sociale”, scritto nel 1762, manifesta il suo pensiero antidemocratico. Attraverso un patto o contratto, ciascun cittadino, in perfetta indipendenza dagli altri e dalla città, attribuisce la sua volontà al sovrano, cioè alla “volontà generale”.
L’idea del contratto sociale non è reale ma è un canone astratto di ragionamento. Si forma una struttura di pensiero che attua il mito di volontà generale. Rousseau ha l’idea di uno “stato di natura” originario dell’umanità, cioè un’antropologia ottimista. Gli uomini per il moralista svizzero hanno una socievolezza originaria deformata dalla creazione delle istituzioni sociali che impoveriscono l’umanità e creano una diseguaglianza tra gli individui.
La volontà generale per Rousseau è il popolo, cioè un essere collettivo.
Il politico della Lega Nord nell’estate 2009 ha affermato: “Per citare il contratto sociale di Rousseau intendiamo rispettare il mandato che il popolo ci ha conferito e che è riportato sul programma”.
La forma di governo migliore per il pensatore illuminista del Settecento è quella democratica e nello stesso tempo ritiene che una forma così perfetta non conviene agli uomini, cioè non pensa a una democrazia rappresentativa per i cittadini. La sua volontà generale non può essere rappresentativa perché è solo un'autorità lontana dal popolo. Il contratto sociale dà al corpo politico il potere assoluto.
Il popolo nell’unità di volontà generale rappresenta se stesso. La sua autorità è un potere forte e non ha bisogno di essere controllato dal basso. Il cittadino è indipendente dagli altri e dipende dalla città, cioè tra cittadino e Stato non c'è alcuna società. Il cittadino costretto a fare quello che vuole la volontà generale in quanto non c’è possibilità di dissenso. Quest’idea che non vi sia alcuna società parziale tra cittadini e volontà generale genera nel 1794 la Rivoluzione francese.
Il terrore rivoluzionario è conseguenza dell’astrazione, cioè della sovrapposizione della ragione alla realtà. Dietro la volontà di abuso dell’astrattismo c’è la volontà di potenza degli “illuminati”. Coloro che non si piegano alla progettualità astratta della volontà generale sono piegati con la forza.
Di fronte ai problemi dell’aristocrazia invecchiata, ai privilegi di alcuni uomini del clero, gli intellettuali illuministi francesi, che rappresentano la volontà generale, evocano forze irrazionali per civilizzare la società. Si scatena il caos dei giacobini che pretendono di usare le parole di Jean-Jacques Rousseau e di plasmare la società per organizzarla.
Dopo Rivoluzione la libertà dei moderni diventa sfera privata, cioè sfera della libertà individuale.
Pierre-Joseph Proudhon, teorico francese del socialismo e lettore di Rousseau, nel 1840 con la sua opera “Che cos’è la proprietà”, sostiene che il dispotismo e i privilegi scompariranno con l’abolizione della proprietà. Il suo desiderio è quello di realizzare una democrazia federalista, cioè un patto, un contratto tra le persone responsabili che si danno delle regole, come una nuova religione dell’umanità.
Proudhon dice : “Federazione è pluralità, autogoverno, è diritto, è diritto determinato dal libero contratto; la legge, il diritto, la giustizia sono statuto e fondamento del movimento federalista.
I promotori del movimento abusano, eccedono nella loro razionalità che è pura astrazione, cioè sovrapposizione alla realtà con promesse irrealizzabili. Non si tratta più di prescindere dalla religione, come affermavano gli illuministi, ma di sostituirsi alla religione cristiana. Si prende di petto la religione cattolica e si propone di ripensare un nuovo cristianesimo come vincolo sociale a vantaggio di tutti i seguaci. La società viene divinizzata, quello che conta è la società e la persona non conta più nulla. Si tratta di trasformare la società in una forma di collettivismo.
In Italia i seguaci di Proudhon presentano il federalismo come rivolta libertaria contro l'autoritarismo. Si tratta di democraticismo.
La democrazia auspicata dal “Popolo della Libertà”, i cui fondatori sono Silvio Berlusconi e Gianfranco Fini, è quella indicata dal pensiero di don Luigi Sturzo che prevede un “sistema politico e sociale che comprende l’intero popolo, organizzato su una base di libertà per il bene comune”.
L'uomo di fede pensava a una democrazia non individualista, cioè intendeva ripristinare nella vita civile quel giusto rapporto tra “Religione e Politica”, interrotto dall’antireligiosità degli illuministi del Settecento e dagli atteggiamenti a-religiosi degli uomini della Rivoluzione francese, per il radicamento in Europa delle idee assolutistiche e totalitaristiche di Rousseau.
Le attuali democrazie devono fare i conti con le sfide del mondo globalizzato.
Si auspica un diverso rapporto tra individui e società civile, un diverso modo di concepire la dignità della persona e la dignità del suo lavoro, cioè si chiede una maggiore cittadinanza attraverso una maggiore attenzione alla persona e ai suoi bisogni di esistenza.
Si tratta di costruire una civiltà in cui possa attuarsi quello che importa di più all’essere umano, cioè la realizzazione della dignità della persona umana. Il Popolo della Libertà si è impegnato per questo ideale di società civile fondata sul rispetto dell’uomo esistenziale e concreto, dei suoi diritti, sulla fede nel progresso interno della vita e della storia del popolo italiano, sulla forza della libertà.

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