venerdì 15 marzo 2013

VENEZIANI A COSTANTINOPOLI

Capitolo ventunesimo
Il kadì del sultano
Il basileus Manuele II ha concesso piena autonomia ai mercanti ottomani di Costantinopoli. Il loro governatore è stato scelto dal sultano Yildirim Bayezid I, per le sue capacità di impresario logistico nelle conquiste dei vasti territori dei Serbi e dei Bulgari.
Il funzionario turco è conosciuto in città come il kadì del sultano. Il suo palazzo si erge maestoso sulla via che unisce la Mesè al porto del Corno d'Oro, nelle vicinanze del mercato del Leomakellon, dietro le mura marittime dell’Heptaskalon. La dimora del rappresentante del governo di Adrianopoli è alle pendici del quarto colle della città.
Mehemet, discendente da una ricca famiglia di giudici di Brussa, è il garante degli interessi dei Turchi ed invita i credenti ad obbedire a Dio, al suo Messaggero e a quelli che detengono l’autorità. Il kadì fa osservare la legge, attenedosi alla Parola rivelata del Corano.
Il quartiere musulmano, ad Ovest di quello veneziano, si abbellisce ogni giorno di nuove case che ostentano il raggiungimento di un benessere diffuso per tutti i residenti. Gli Ottomani e quelli che seguono l’esempio del Profeta si lasciano guidare dal Kadì che promuove ordine e sicurezza tra le vie del suo rione.
Tutti i capitani delle imbarcazioni turche, che attraccano alle banchine del porto, sentono il dovere di pagare il giusto tributo, per il trasporto delle marcanzie, agli esattori del governatore locale, incaricato dal Gran Logoteta di percepire non solo la tassa del basileus ma anche di trarre la gabella per il mantenimento delle strade rionali e per il sostentamento dei poveri, alloggiati nell’edificio adiacente alla moschea.
I mercanti del Levante, dell’Africa e dell’Asia Minore, all’arrivo e alla partenza delle navi, si recano a far visita a Mehemet, per testimoniare la loro riconoscenza al giudice del sultano o ascoltare il suo parere per la composizione delle controversie sullo scambio e la compravendita delle merci .
L’edificio del rappresentante della corte ottomana è ben visibile dagli approdi per lo splendore delle sue cupole dorate. È una costruzione in pietra e mattoni, abbellita con finestre i cui davanzali marmorei spiccano sotto i raggi del sole. Gli amministratori della colonia spesso aprono le imposte per scorgere nel porto del Corno d’Oro le navi commerciali che inalberano i vessilli degli emiri. Gli ufficiali di dogana sanno sempre quante imbarcazioni attraccano o partono cariche di mercanzie preziose.
La via che conduce al palazzo del kadì è sempre affollata di donne e uomini che con passo celere entrano nell’edificio del giudice ed escono pieni di ammirazione e gratitudine per l’accoglienza ricevuta. Mehemet è sempre disponibile ad esaudire non solo le richieste della sua gente ma anche degli altri residenti che intendono avere buone relazioni con la comunità turca e portare a buon fine qualsiasi attività commerciale.
I mercanti della città del basileus, romei di lingua greca, latini, saraceni, arabi, armeni, russi, giudei e di altre nazionalità, si sentono rassicurati dalla presenza del Kadì del sultano e si rivolgono con fiducia ai suoi uomini, per ottenere i lasciapassare che permettono di uscire dalle porte della città ed entrare nei territori del Grande Emiro Murad II. Il salvacondotto è indispensabile per tutti coloro che escono dalle mura terrestri per non essere assaliti, derubati e fatti schiavi dalle milizie turche.
Il monastero del Cristo Pantokrator si trova a breve distanza della strada che unisce il quartiere musulmano alla grande arteria commerciale della Mesè. Il complesso è anche sede di un ospedale per uomini e donne, con annessa scuola di medicina, per la cura degli ammalati, una biblioteca, un grande ricovero per poveri e bisognosi, un bagno con acqua proveniente dall’acquedotto della città, un luogo di accoglienza per bambini abbandonati ed orfani.
Le famiglie imperiali dei Comneni e dei Paleologi, gli arconti, proprietari di terre prima della conquista ottomana, hanno sempre dimostrato con donazioni e sovvenzioni il loro attaccamento al tempio e agli altri edifici.
Il sacro luogo è anche centro di aggregazione di tutti gli aristocratici contrari all’unione con i Latini dell’Occidente e favorevoli a un compromesso con il sultano. La basilissa Elena Dragas, dopo il ritiro di Manuele II in Santa Maria Peribleptos, dimostra la sua devozione con frequenti visite alla chiesa del monastero. Si tratta di un posto dove si riuniscono gli uomini più influenti dell’Impero romano d’Oriente per gli studi di medicina, per le attività culturali e per le grandi decisioni, legate alla vita e alla sopravvivenza di Costantinopoli.
Il ricco Oikantropos, senatore autorevole, capo del Partito degli antichi aristocratici, rappresentante degli arconti moderati e contrari alla guerra contro il sultano, è un assiduo frequentatore delle sedute e delle discussioni tra i sapienti monaci e gli uomini più ricchi della città.
Nei grandi refettori e sotto i portici del complesso, religiosi dotti e responsabili delle sorti dei cittadini cercano di risolvere i problemi connessi ai continui assedi, alla chiusura dei laboratori degli artigiani, alla scarsità di risorse per le famiglie dei popolani e alle diminuzioni di proventi per le chiese.
Il Patriarca, gli uomini responsabili dei luoghi di culto e i religiosi dei monasteri devono provvedere alla manutenzione dei loro edifici, al vitto dei poveri, alle spese degli ospizi per la degenza dei malati, al seppellimento dei morti, ai rimedi per arginare e tenere lontano le pestilenze dalle case e dalle vie, al soccorso dei bisognosi che non hanno nulla per sfamare i loro figli.
Il basileus e i suoi figli non vivono più nella sovrabbondanza dei proventi commerciali del passato e devono interessarsi con il Grande Logoteta dei mercenari che esigono il pagamento delle loro prestazioni con iperperi d’oro. La difesa della città dipende dalla loro continua vigilanza alle porte e sui bastioni della città continuamente assediata.
Le mura difensive hanno bisogno di riparazioni urgenti e l’erario non è in grado di iniziare i lavori. Manuele II e suo figlio Giovanni lasciano al Patriarca e ai responsabili dei monasteri l’incombenza di provvedere ai bisogni dei poveri e al decoro dei loro quartieri. Le opere di carità e di benessere dei cittadini sono lasciate alla Chiesa.
La ricchezza e la disponibilità di denaro, non più prerogative esclusive del basileus che incarna l’autorità della legge e il potere di dispensare monopoli e privilegi, appartengono a coloro che sanno gestire i guadagni, investendoli in quei beni che rendono un ulteriori profitti.
I rischi e le fatiche di chi deve viaggiare per terra e per mare vengono riconosciuti nel giusto corrispettivo della rivendita o dello scambio delle merci e dei metalli preziosi, fusi in lingotti o coniati dai vari popoli.
Anche i re e i principi bussano alle porte dei mercanti e dei banchieri che offrono i loro denari. L'oro e l'argento servono per pagare gli uomini che combattono e i fabbri che forgiano le armi, indispensabili per procacciarsi o mantenere il possesso delle terre e il dominio delle città.
Anche per le guerre di difesa occorrono tanti ducati e iperperi d'oro. Soltanto i governanti che possono disporne in abbondanza sono sicuri di assicurare la pace ai loro sudditi e di respingere gli assalitori.
I Turchi-Ottomani sono valenti guerrieri e molti hanno imparato l’arte del commercio. I seguaci di Maometto sono diventati indispensabili intermediari nei grandi flussi di scambio e di copravendita di tutte le ricchezze e i manufatti dei popoli dell’Asia e dell’Africa. I residenti del quartiere musulmano dicono: “È la nostra città, l’hanno desiderata tutti i credenti ed ora l’abitiamo per sempre”.
La vicinanza del Pantokrator al quartiere musulmano permette all’igumene, responsabile del complesso monastico, di cogliere l’occasione della presenza del kadì del sultano e predispone nell’ospedale dei posti per i malati delle ricche famiglie turche.
Mehemet e sua moglie soffrono di reumatismi e sono ben lieti di ricevere le cure dei medici o comprare i farmaci preparati dai monaci nei loro laboratori.
Il rappresentante del governo imperiale di Adrianopoli è accolto con tutti gli onori quando giunge con il suo seguito di alti funzionari, perché sa apprezzare l’accoglieza, l’esperienza e la dedizione dei monaci. Il portinaio del Pantokrator, quando sente lo scalpitìo del cavallo di Mehemet, avverte frate Basilio, responsabile del monastero. Si tratta di accogliere con devozione l’uomo che, con le sue donazioni personali, permette ai monaci e ai loro aiutanti di continuare, in un momento di crisi, quell'attività di socorso e di cura per tutti i poveri e i malati.
Il coimperatore Giovanni VIII spende tutti i denari, versati nelle casse imperiali, per difendere la città dagli attacchi esterni del sultano di Adrianopoli; il governatore del quartiere ottomano dà con generosità gran parte delle sua ricchezza, per mantenere il complesso monastico.
Il Grande Emiro vuole abbattere le mura terrestri e dall’interno il suo kadì cerca di tenere in piedi la città della carità.
I Romèi nel momento del bisogno vedono che i loro concittadini ottomani si arricchiscono e spendono le loro fortune per la comunità, assediata da guerrieri turchi che vogliono imporre con la spada la loro legge.
La generosità del kadì lenisce i dolori e le privazioni dei popolani. Si percepisce un’atteggiamento di rassegnazione e di speranza per un avvenire migliore e, nello stesso tempo, ci si compiace dell’aiuto di coloro che traggono le loro ricchezze dall’espansione della dominazione ottomana.
L’opulenza dei mercanti del quartiere musulmano è visibile non solo per la grande arteria commerciale della Mesè ma anche per tutte le vie che la collegano al Corno d’Oro. La colonia turco-ottomana non solo fa da cerniera tra il distretto delle Blacherne, sede del potere della corte dei Paleologi, e il quartiere veneziano, ma diventa anche il centro di interessi finanziari tra i banchieri del distretto di Galata e i commercianti del Foro di Costantino.
Il giudice Mehemet è diventato negli ultimi tempi il modello di riscontro tra i cittadini moderati, favorevoli alla supremazia del sultano e i gruppi radicali, capeggiati dal coimperatore Giovanni, che vogliono scompaginare il grande dominio di Murad II.
I residenti, beneficiati dal commercio con gli emiri dell’Asia Minore e i governanti ottomani dei Balcani, parlano a favore di una sottomissione all'autorità del sultano che garantirebbe libertà religiosa e abolizione dei privilegi concessi agli Occidentali.
Tra i moderati, oltre gli arconti del partito di Oikantropos, ci sono anche i rappresentanti dell’alto clero e i monaci che hanno sempre tratto le loro rendite dalle fattorie fuori città o dagli immobili urbani, utilizzati come laboratori nei quartieri o come magazzini nelle zone portuali.
Nel complesso del Pantokrator si ritrovano gli aristocratici che non accettano l’intervento di Martino V nelle scelte dei Romèi. I signori dell’Occidente, obbedienti al papa, continuano a organizzare crociate contro l’esercito degli Ottomani. Il sultano scatena le ire dei suoi pascià nella Macedonia e spinge i corsari saraceni a devastare le isole dell’Egeo, le coste della Morea e della Dalmazia.
Il terrore dei guerrieri della IV Crociata, partiti per liberare il Santo Sepolcro e traviati dalla cupidigia per rubare gli oggetti d’oro e d’argento delle chiese di Costantinopoli o depredare i monumenti e le case dei suoi abitanti, è sempre ricordato per giustificare l'avversione alle ingerenze del Patriarca di Roma.
I Franchi e i Latini, partiti da Venezia per uno slancio di generosità e il conseguimento di un nobile fine per la liberazione dei sacri luoghi della Palestina, si sono lasciati spingere dalle loro passioni e hanno sprigionato la loro sfrenata libidine di ricchezza e di potere sulla città della Santa Pace. La devastazione subita dalla città è una ferita sanguinate che non si rimargina.
La Grande Chiesa, inorridita, ha visto i sacrileghi crociati profanare i simboli della fede e spezzare l’altare del sacrificio. I sacri ministri invano hanno proteso il Figlio innocente della Vergine ai guerrieri latini, scomunicati per le loro nefandezze. Sul seggio del Patriarca si è assiso il miliziano blasfemo, provocando l’indignazione e la costernazione del papa. I sacrileghi guerrieri si sono divisi i sacri paramenti e i loro capi si sono spartiti il suolo dell'Impero romano d'Oriente.
Gli antiunionisti ricordano e non vogliono il ripristino del dominio dei Latini. L’edificio più grande del monastero è già stato occupato dai loro principi che hanno fatto mercato delle sacre icone, espressione dello spirito mistico dei religiosi. Gli oggetti più preziosi sono stati venduti dal regnante franco.
I dominatori stranieri hanno prelevato e trasportato nelle loro dimore e negli edifici pubblici delle loro città le preziose manifatture della fede del popolo. Le ragioni di commercio o di legale compravendita non bastano a giustificare il depauperamento degli edifici religiosi.
Gli oggetti di voto e di devozione che hanno ornato gli altari, manifestazione spontanea di sentimenti religiosi di un popolo, espressione tangibile di spiritualita vissuta, testimonianza della fede dei Romèi, sono andati ad impreziosire gli edifici di lontane contrade.
I popoli dell’Ovest si sono arricchiti di una nuova linfa vitale, fatta di ammirazione estatica di fronte alle sacre immagini di Costantinopoli, di una rinnovata fede, di fronte all'espressione visiva e profondamente sentita delle anime dei mistici dell’Oriente. Dall’Est è giunta di nuovo una certezza di verità soltanto per gli spiriti liberi dall'egoismo e dal possesso sfrenato delle ricchezze.
Le signorie occidentali hanno acquisito con la spada i tesori della città della Santa Sapienza e non si impegnano per la sua difesa contro le incessanti conquiste ottomane.
Venezia è certa che la ricchezza della città del basileus non dipende soltanto dai tesori delle sue chiese e dei suoi monumenti ma anche dall'operosità commerciale e artigianale dei suoi abitani.
La Repubblica di San Marco trae motivo di interesse e di nuovo slancio dal possesso delle ricchezze, conquistate con la IV Crociata, per investire le sue fortune nella difesa della città di Manuele II, considerata emporio insostituibile del Mediterraneo e fonte inesauribile di ricchezza. I senatori legano il loro destino alla sopravvivenza dell'Imperto romano d'Oriente. La cultura, gli apparati strutturali e manifesti del potere del basileus vengono ereditati dai nobili e trasmessi a tutta la città lagunare che vive e prospera solcando i mari e percorrendo le vie carovaniere dell’Asia e dell’Africa.
La tradizione della corte imperiale della reggia delle Blacherne si trasferisce a Venezia dove la sovrabbondanza di ricchezza e l’ingente flusso di oro permettono ai suoi abitanti di estendere il dominio non solo sul mare ma anche sulla terraferma.
La restaurazione dell’autorità del basileus Michele VIII Paleologo e dei suoi discendenti, fino a Manuele II e alla sua consorte, di nobile famiglia serba, ha dato al popolo la possibilità di manifestare la propria devozione alla Vergine e alla gloria di suo Figlio. Nuove e preziose offerte votive hanno sostituito gli antichi oggetti del culto, portati via dai crociati.
L’insediamento monastico del Pantokrator ha avuto particolare sostegno negli ultimi anni dalla famiglia imperiale. Ora, il complesso, ingrandito con le strutture per la cura dei corpi e per l'approfondimento delle ricerche filosofiche degli uomini colti, non è più soltanto luogo di elevazione spirituale o di guarigione degli ammalati ma è diventato anche un centro fondamentale di questioni sociali per coloro che si oppongono alle pretese dominatrici degli Occidentali.
L'antica aristocrazia antiunionista vuole contrastare il radicale atteggiamento antiturco del coimperatore Giovanni VIII e desidera un’autonomia dalla dominazione commerciale delle repubbliche marinare dell’Occidente.
Arconti, alti prelati, igumeni, uomini di pensiero e maestri delle arti nobili, decidono di diffondere nuovi sentimenti di accondiscendenza alle pretese del sultano e di fomentare il malcontento tra le masse popolane per l’ospitalità concessa al giovane principe Mustafà che vuole sostituirsi al fratello, legittimo imperatore di Adrianopoli.
I propagatori delle nuove idee, ben prezzolati e motivati con promesse di ulteriori ricompense, vengono fatti girare per i mercati e per tutti i locali pubblici di ritrovo e di divertimento. Si fa sussurrare che è meglio il governo di un sultano che vince e lascia vivere nel decoro coloro che si sottomettono alla sua legge.
I mercanti stranieri che entrano in città e girano per le piazze dicono di essere trattati bene dai nuovi padroni che agevolano con ordinanze e capitolazioni, affisse nei luoghi pubbici, le attività necessarie al movimento delle merci e alla diffusione del benessere. Il popolo del sultano della Rumelia e dei Balcani plaude alle nuove leggi per il rifornimento dei generi necessari alla vita quotidiana e per l’apertura dei negozi. Con il nuovo ordine ottomano la vita continua, dopo le scorribande dei guerrieri vincitori, desiderosi di bottino e di ruberie nelle case. Si riprende a lavorare nei campi con i nuovi signori che si avvalgono dei servigi dei vecchi sudditi del basileus per la gestione delle fattorie.
L’erario del sultano necessita di ingenti introiti per mezzo di una tassazione, rispondente ai bisogni dell’Aministrazione ottomana. Il Grande Emiro di Adrianopoli lascia gestire i suoi territori conquistati a coloro che si sottomettono e sanno amministrare le case e gli opifici a beneficio della sua corte. I vecchi padroni diventano fattori e consulenti dei pascià del sultano. La sua espansione continua e deve essere alimentata da risorse continue per mantenere i guerrieri pronti alle opere di conquista e di sottomissione.
Il sultano ha bisogno di un uomo fidato nel grande emporio di Costantinopoli e questo è Mehemet, kadì fedele e intelligente che sa districarsi nel mercato degli interessi tra Occidente e Oriente.
Il giudice ottomano è amico degli uomini più influenti della città che orientano a proprio favore le dispute cortigiane o che decidono il movimento dei flussi commerciali e finanziari nei consigli delle grandi imprese della città. Mercanti, banchieri, arconti che gestiscono i monopoli imperiali, fanno a gara per invitarlo ai loro banchetti. Anche la basilissa consiglia il figlio Giovanni di riservare nei banchetti della reggia un posto al suo tavolo per il governatore della colonia ottomana.
Il Pantokrator, centro di interesse spirituale, sanitario e sociale, diventa luogo prescelto dove si manifesta la magnanimità del kadì e di tutti i ricchi mercanti del quartiere musulmano.
La scuola di medicina e i laboratori di farmacia e di erboristeria sono frequentati non solo da uomini e donne di lingua greca ma anche da altri residenti ricchi che possono pagare il soggiorno, le attività di studio e di pratica per apprendere l’arte della cura e del sollievo dei corpi.
L’ospedale è gestito dai monaci e dalle monache che si avvalgono dell’aiuto e dell’esperienza di medici e infermieri che hanno imparato a curare le malattie, secondo le antiche tradizioni della cultura greco-romana e delle varie scuole arabe di Bagdad e dell’Egitto.
L’insediamento costituisce una struttura articolata in vari settori della medicina per accogliere tutti gli abitanti della città affetti da malattie o bisognosi di cure particolari. I costi vengono sostenuti dalla generosità dei mercanti e dei banchieri più sensibili alle esigenze della propria gente.
La disponibilità dei religiosi, di accogliere esponenti di culture appartenenti alle varie nazionalità presenti nei quartieri, è motivo di continue elargizioni spontanee da parte dei turchi ottomani che si sentono accolti e ben voluti da uomini e donne che vivono nell’amore, secondo il nuovo comandamento del Figlio della Vergine.
I seguaci del Profeta che bussano al monastero sanno di trovarsi tra veri amici che non tengono conto dell’azione del sultano che incita i suoi guerrieri alla conquista della città del basileus. Tutti i residenti della città soffrono per le restrizioni imposte dal Prefetto per lo stato d’assedio e il responsabile è il Grande Emiro di Adrianopoli che vuole punire i Paleologi.
L’igumene Basilio, dotto monaco responsabile della disciplina dei religiosi, scelto dal basileus, con l’approvazione del Patriarca, si avvale dei suoi confratelli più esperti per la conduzione dell’ospedale e dei laboratori, provvedendo al reperimento dei fondi necessari per il mantenimento e la vita di tutto il complesso monastico, compreso il cenobio delle monache che svolgono la loro opera di carità per le donne ricoverate nel luogo di cura.
L’eminente monaco, affiancato dal suo tesoriere Demetrio, attende l’arrivo di Mehemet che ha l’abitudine di recarsi all’ospedale, dopo la preghiera nella moschea del suo quartiere. Il musulmano sente l’esigenza di ottemperare alla Parola rivelata del Corano, facendosi accompagnare al Pantokrator per visitare i suoi connazionali ammalati e per informarsi sulle opere di manutenzione delle strutture sanitarie, per le quali offre sempre con generosità il suo contributo.
“Sono veramente lieto – dice l’igumene appena scorge il kadì – di rivederti e ringraziarti per la tua generosità. Il monaco Demetrio ha ricevuto questa mattina il tuo segretario Mustafà che gli ha consegnato un cofanetto pieno di ducati d’oro della Repubblica di San Marco. Il padiglione della scuola dei giovani medici e infermieri ha bisogno di un tetto nuovo. Il tuo dono giunge proprio nel momento giusto”.
“Il tuo monastero - risponde Mehemet – è argomento di dibattito nei simposi dei dotti e nei ricevimenti dei principi ottomani. Anche il sultano è informato di quello che accade in questo monastero.
L’accoglienza dei malati e dei bisognosi, le cure e l’ospitalità, offerte a maschi e femmine, secondo le loro necessità, da monaci e monache che non tengono conto della fede dei loro assistiti, sono fatti di saggezza e di buon senso per i savi e gli studiosi dei Sacri Libri.
Le argomentazioni e le stesse parole dei commensali dei convivi o degli esperti delle regole giuste, sul comportamento da tenersi nelle relazioni tra coloro che osservano religioni diverse, non mi hanno mai convinto.
Io seguo l’esempio del Profeta Muhammad e mi attengo alla parola rivelata del Libro: Così rivela a te e a coloro che ti precedettero Iddio, il Possente, il Saggio. Eseguite la preghiera, corrispondete l'obolo e curvatevi insieme con quelli che si curvano. Perchè raccomandare agli altri la pietà, dimendicandovi di farne obbligo a voi stessi? Proprio voi che recitate la Scrittura? Pio è chi crede in Dio; che offre il suo denaro, per quanto lo ami, ai parenti, agli orfani, ai poveri, al viaggiatore, ai mendicanti. A ognuno di voi noi abbiamo dato norma e una via. Coloro che spendono le loro ricchezze per la causa di Dio sono come un granello che produce sette spighe ognuna con cento granelli...Coloro che daranno in elemosina, per l'amor di Dio, quelli sì che riavranno il doppio ".
“ Noi siamo monaci – afferma Basilio – e seguiamo la mitezza e la misericordia del nostro Maestro”.
“Ognuno ha la sua direzione verso cui si rivolge – dice il kadì – ed io amo recitare la parola del Corano: … I maggiori simpatizzanti verso i credenti li troverai in coloro che dicono “ noi siamo cristiani ”. Ciò perchè fra essi vi sono preti e monaci, e perchè essi non sono superbi ”.
“Io sono un ieromonaco – dice l’igumene – e i religiosi dotti di questo monastero hanno comunicato al basileus e al Patriarca il mio nome per amministrare questo complesso ed essere il loro priore, in sostituzione del defunto monaco Teodoro che per tanti hanni ha sostenuto il peso e la responsabilità di provvedere al mantenimento di questo sacro insediamento.
Un tempo gli arconti della Tracia manifestavano la loro devozione al Pantokrator e si sottomettevano alla famiglia imperiale con doni in oggetti d’oro per ornare le pareti della chiesa. Una parte delle loro ricchezze veniva versata nelle casse del monastero per il mantenimento dell’ospedale e per il sostentamento delle centinaia di religiosi che si dedicavano alle opere di pietà e di misericordia, per la salute delle anime e dei corpi di tutti quelli che bussavano alla porta di questo comlesso.
Le conquiste del sultano hanno interrotto il principale sostentamento di questo centro perché dall’esterno non giungono più i versamenti in denaro degli arconti proprietari di terre e amministratori di città per conto dell’imperatore. Le guerre civili e gli assedi si abbattono come catastrofi non solo sul popolo, che trae sostentamento dall’attività commerciale e artigianale, ma soprattutto sui luoghi dove vivono i religiosi che si dedicano alla preghiera e alle attività di aiuto e assistenza dei più poveri”.
“Il tuo monastero – sostiene Mehemet – è sempre frequentato dai principi dei Paleologi e dagli aristocratici più influenti del senato imperiale. La mia presenza è testimonianza di attaccamento a un’istituzione benefica per tutti gli abitanti della città.
I residenti turchi, pur vivendo in autonomia sotto la mia giurisdizione, voluta dal sultano, sono onorati di essere ospitati e curati dai monaci cristiani che per loro hanno un particolare atteggiamento di benevolenza e di affetto proprio perché appartengono ad un’altra nazionalità e ad un’altra fede”.
“È vero - risponde Basilio – spesso qui convengono gli esponenti moderati dell’aristocrazia per uno scambio di opinioni, rispondente ai loro bisogni di vivere in pace, cercare una via per uscire dall’attuale stato di assedio e di blocco di tutte le attività commerciali.
L’attuale crisi non permette il sostentamento dei popolani e degli artigiani, costretti a bussare alle porte dei ricchi per un lavoro giornaliero, alle dipendenze dei loro servi, e sostenere le incombenze più umili delle loro case. La devozione all’icona dell’imperatore non è più sentita dalla gente dei quartieri poveri. I piccoli oboli non vengono più versati alle chiese per le spese dei ceri e per la pulizia dei pavimenti.
Non è possibile lasciare che le cose si evolvano spontaneamente ed occorre porre rimedio a un situazione insostenibile. In questa città ci sono coloro che prosperano con il commercio mentre altri non riescono nemmeno a prendere gli spiccioli che possono cadere dai banchi dei ricchi mercanti, uomini abituati a maneggiare senza scrupoli immense fortune in monete d’oro e d’argento.
La ricchezza della città è nelle mani dei mercanti stranieri che fanno a gara per ottenere esenzioni e privilegi. I banchieri veneziani hanno ottenuto il controllo sul monopolio della coniazione imperiale delle monete d’oro e d’argento. Il commercio delle materie pregiate e delle manifatture lussuose è nelle loro mani. Le loro navi trasportano solo merci pregiate che consentono ai mercanti della Serenissima Repubblica di riempire sacchi di ducati e iperperi, ottenendo crediti in cambiali da spendere in Occidente o nei mercati di Tabriz e di Trebisonda.
I nostri mercanti riescono a sopravvivere con le mediazioni o con il commercio al minuto che rende soltanto agli uomini più intraprendenti, capaci di districarsi tra le consorterie e le associazioni di maestri d'arte e di impresari stranieri”.
“Ci sono tanti arconti – sostiene il kadì – in grado di tener testa alle astuzie e alle intraprendenze dei mercanti e banchieri veneziani. Alcuni sono diventati amici delle signorie italiane, ottenendo titolo alla loro cittadinanza per commerciare sotto le loro bandiere. Le famiglie della vecchia aristocrazia, private dei loro possedimenti terrieri, hanno mantenuto in città le loro rendite di immobili e si fanno pagare ingenti somme dai mercanti turchi per l’affitto dei magazzini che si affacciano sul Corno d’Oro. I redditi cospicui permettono ai possessori di questi immobili di investire il loro denaro in altre attività commerciali.
Il sultano è sempre generoso con i sudditi del basileus che impegnano le loro fortune nei noli o nelle costruzioni delle imbarcazioni. Il piccolo commercio della Propontide e lungo le sponde del Mar Pontico non interesa ai capitani veneziani, comandanti di ciurme e balestrieri sulle grandi galee di mercato. I generi di prima necessità per il popolo e i materiali per le costruzioni delle case urbane sono sono ancora sotto il controllo di Romei che hanno imparato l’idioma dei mercanti turchi con i quali fanno buoni affari.
Da quando gli Ottomani sono venuti in aiuto di Giovanni VI Cantacuzeno, acclamato basileus dalle sue milizie della Tracia, i principi turchi sono diventati ospiti graditi della corte di Paleologi e visitatori acclamati dal popolo. I generali e i pascià di Adrianopoli inviano in città i loro sottoposti per l’acquisto delle pregiate manifatture degli artigiani. Grandi somme vengono elargite agli orefici e agli argentieri per l’acquisto di gioielli e di oggetti pregiati, per ornare le braccia e le chiome delle loro donne. Le monete dei guerrieri ottomani si riversano in mille rivoli tra i quartieri della città.
I popolani e i mercanti di lingua greca traggono beneficio dalla presenza ottomana e sono consapevoli che gli Occidentali mirano soltanto ad ottenere forti percentuali di guadagno dalle imprese per arricchire le loro signorie o trasferire i proventi su altri mercati dell’Oriente.
La città è assediata militarmente dal’esercito del sultano ma i piccoli commercianti riescono con le loro amicizie e con la conoscenza del territorio a stipulare buoni contratti che permettono sia alle loro famiglie un decoroso benessere sia di far ricadere parte dei loro guadagni sugli uomini addetti al trasporto e all’immagazzinnaggio dei prodotti.
 residenti turchi sono cittadini affidabili che vogliono convivere in armonia con i loro amici del luogo. Io amministro la giustizia nel mio quartiere, per conto del sultano e per concessione del basileus. Le controversie con i Romèi sono sempre composte con soddisfazione e consenso dei presenti”.
“Il ricco Oikantropos - afferma il religioso - viene spesso in questo monastero, accompagnato dai suoi amici, per chiedere consiglio ai monaci più dotti e per le decisioni più importanti, lontano dai cortigiani di Giovanni VIII.
Il coimperatore vuole liberarsi dalle prepotenze delle milizie ottomane che hanno sottomesso tutte le popolazioni dei Balcani. Il suo scopo è quello di liberare i territori della Tracia dalle scorribande dei pascià del sultano e ripristinare il commercio in tutti i territori che si affacciano sul Mare della Propontide.
L’agire di Giovanni è considerato troppo radicale dagli aristocratici del partito di Oikantropos perchè le sue scelte non consentono di ripristinare la pace tra Murad II e il basileus.
Anch’io ritengo che sia indispensabile trovare una via pacifica per risolvere la vertenza tra il sultano e il figlio di Manuele II. I monaci di questo complesso sono tutti concordi con gli arconti moderati e vogliono favorire una riconciliazione, aprendo un dialogo tra i mercanti ottomani e gli aristocratici, responsabili del benessere della città, per mitigare il risentimento del Grande Emiro. La sua vendetta, per l’ospitalità data dai Paleologi al fratello Mustafà, si è tramutata in un danno per tutto il popolo”.
“Il sultano - sostiene il kadì – è sempre minacciato da nuovi pretendenti, prima lo zio Mustafà, adesso, anche il fratello più giovane trama alle sue spalle e fomenta la rivolta tra le tribù turche.
La ribellione è appoggiata apertamente da Giovanni Paleologo e dagli aristocratici della sua amministrazione. La sua avversione non è soltanto limitata alle mire espansionistiche di Murad II ma provoca la corte ottomana e gli alti prelati locali perchè riceve messi religiosi del papa. Martino V intende estendere la sua autorità di Primo Patriarca con la proclamazione di nuove crociate contro i Turchi.
La coalizione delle signorie occidentali e la discesa in campo di un esercito contro l’espansione ottomana nei Balcani preoccupa il sultano che non è riuscito ancora a far accettare la sua supremazia sugli emirati turchi e sulle eminenti famiglie dei Serbi e dei Bulgari.
Il coimperatore intende emulare il suo genitore e prepara un viaggio in Occidente per sensibilizzare i regnanti ad eliminare la presenza turca nelle terre danubiane. Tedeschi e Ungheresi, influenzati dal Vescovo di Roma e dai suoi alti prelati, preparano una grande offensiva per eliminare la presenza turca dai territori conquistati.
Giovanni VIII promette titoli imperiali ai principi italiani per riavere la Tracia e liberare Costantinopoli dall’assedio. Il condottiero delle Blacherne sostiene di essere ancora forte e di ottenere l’appoggio incondizionato dei suoi fratelli che dispongono di ampi possedimenti nel Peloponneso. La Morea è ben salda sotto la sua famiglia e gli arconti locali sono in grado di finanziare un esercito in grado di contrastare le milizie dei pascià turchi che devastano la Macedonia e la Tracia.
I mercanti veneziani finanziano i suoi mercenari e mantengono la sua corte per continuare a godere dei loro privilegi. Il potere incontrastato sui mari delle loro navi li rende miopi perchè non si rendono conto che le vie terrestri sono presidiate dagli Ottomani e le rotte marine sono sorvegliate notte e giorno dalle imbarcazioni dei pirati e dei corsari turchi.
Ogni carovana è ispezionata e costretta a pagare un dazio per il transito. Ogni imbarcazione è oggetto di arrembaggio se non è in grado di difendersi in modo autonomo con uomini armati e pronti al combattimento. I capitani saraceni hanno spie in tutti i porti del Ponto e della Propontide. Ogni carico di merce pregiata, in partenza dagli scali marittimi controllati dagli amici del basileus, viene riferito all’autorità turca più vicina che provvede ad inviare una nave corsara, per intercettare l'imbarcazione e imprigionare i naviganti che saranno venduti al mercato degli schiavi.
Le coste della Bitinia e lo stretto del Bosforo pullulano di piccole e veloci imbarcazioni, comandate da uomini assoggettati al dominio turco e pronti a morire per avere un titolo onorifico dell’Amministrazione di Adrianopoli.
Gli esperti marinai delle città costiere dell’Asia minore, diventati tributari del governo ottomano, hanno coperto il loro capo con vistosi turbanti. Si tratta di sudditi devoti che si sono improvvisati capitani audaci, pronti a sacrificare le ciurme di schiavi e rematori, comprati al mercato, pur di dimostrare la loro bravura nell’arte del comando e nell’acquisizione dei ricchi bottini, strappati ai vascelli dell’Occidente.
Anche loro hanno imparato a chinare il capo verso la città del Profeta, diventando credenti che osservano la parola rivelata del Corano. Il sultano sa premiare tutti coloro che collaborano nei territori conquistati all’applicazione della sua legge, contribuendo e facilitando il compito degli amministratori ottomani. I religiosi delle altre fedi sono liberi di continuare la loro attività, riconoscendo le nuove autorità e versando le tasse alle loro amministrazioni.
Il bailo veneziano fa sapere che la Repubblica di San Marco rispetta i patti stipulati con il defunto sultano Mehemet I e non si schiera apertamente contro Murad II. Le sue parole non lasciano adito a discussioni ma i banchieri residenti della sua colonia sostengono di essere autonomi e di finanziare ogni emiro che promette nuovi privilegi.
Il denaro dei mercanti sostiene le pretese dei capi tribù turchi nei confronti della corte di Adrianopoli. Il ribelle Mustafà è sicuro degli investimenti, promessi dagli uomini dei banchi, per l’acquisto di equipaggiamenti necessari ai suoi combattenti. La sua tracotanza è condivisa da altri turchi padroni di terre e di antiche fortezze. I loro possedimenti sono merce di scambio per i sacchi di ducati d’oro e d’argento necessari per arruolare uomini ed armarli. Le strade carovaniere dell’Anatolia sono percorse da manipoli di armati comandati da guerrieri che si schierano per i due contendenti ottomani. Gli stretti che dal Mar Pontico portano al Mar Egeo sono attraversati da imbarcazioni carichi di milizie pronte al combattimento.
Il Grande Emiro, per colpire alle spalle il Paleologo, invia i suoi pascià ad attaccare le città della Macedonia e i suoi corsari a depredare le città e ad attaccare i castelli lungo le coste della Morea, presidiate dalle milizie del despota Todoro II, figlio del basileus. Il suo scopo è quello di evitare la formazione di un esercito diretto a difendere il Nord del Peloponneso e sconfinare nei possedimenti dei baroni latini, sostenuti dall’Amministrazione di Adrianopli contro le mire espansionistiche di Giovanni VIII e dei suoi fratelli. Corsari e pirati turchi collaborano per attaccare anche le fortezze e gli approdi veneziani lungo i litorali della Dalmazia e le coste del Mar Egeo”.
“I senatori della Serenissima Repubblica – dichiara il monaco – non tollereranno gli attacchi alle loro strutture portuali fortificate lungo le rotte commerciali del Mediterraneo”.
“Il mio signore – dice Mehemet - è deciso a sferrare una grande offensiva per eliminare tute le strutture difensive dei sostenitori dell’Impero romano d’Oriente ed isolare la città di Costantino. È giunto il momento di riconoscere la supremazia del sultano dei Romèi su tutti i territori conquistati ed aprire le porte della città del basileus, per rendere il giusto tributo d’omagggio al Grande Emiro, comandante di invincibili guerrieri ottomani.
L’esercito più potente non conosce sconfitta e i raggruppamenti di mercenari latini, capeggiati dai loro principi tedeschi e polacchi non riusciranno a sconfiggere gli Ottomani.
Anche la Repubblica di San Marco capirà che è più conveniente la neutralità nel momento di in cui la spada ottomana decide del destino di tutti i popoli che hanno riconosciuto la potestà imperiale dei Paleologi.
Il vessillo della famiglia dei Paleologi prima o poi cadrà e sarà innalzato l’emblema del condottiero degli Ottomani in grado di rifondare un nuovo impero. Gli aristocratici di lingua greca sono stanchi di servire un basileus che non è in grado di condurre un esercito a sicura vittoria ma intento a proteggersi, ricorrendo all’oro di Venezia e alle armi di altri sovrani dell’Occidente, desiderosi di conferme regali o aspiranti a nuove supremazie territoriali.
Il sultano è in grado di valorizzare questa città, ponendola al centro di un grande dominio turco che unisce tutti i popoli del Mediterraneo. L’imperium romano finirà e una nuova capitale risorgerà dalle sue ceneri, centro di traffici e sede di un’unica giustizia, uguale per tutte le nazioni che si sottomettono”.
Francesco Liparulo - Venezia


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