martedì 8 giugno 2010

MERCANTI VENEZIANI A COSTANTINOPOLI Cap. XX

Capitolo ventesimo
I consiglieri del bailo

Il rito mattutino della Santa Messa è appena terminato nella chiesa della colonia veneziana di Costantinopoli. Il bailo, Ser Benedetto Emo, accompagnato dal segretario Francesco Filelfo e dai membri del Consiglio Maggiore, prende posto nella sala delle riunioni, allestita nel primo edificio della via dei laboratori e dei negozi, affiancata da un doppio porticato con colonne, che unisce il rione di San Marco alla strada imperiale della Mesè.
L’organo di governo e di amministrazione dei mercanti e dei residenti veneziani si unisce per fronteggiare gli attacchi delle imbarcazioni ottomane che non rispettano gli accordi di pace, stipulati nel 1421 tra Venezia e il sultano Maometto I, per la vittoria delle galee di San Marco a Gallipoli.
Il nuovo sultano Murad II, per fronteggiare la ribellione del fratello minore Mustafà, ostacola il traffico marittimo lungo le coste occidentali del Ponto Eusino. Le galee veneziane, che trasportano mercanzie e quantitativi di argento per gli emiri e i signori delle terre dei Moldavi e dei Bulgari, vengono abbordate da pirati e corsari turchi.
L’imperatore ottomano da più di un anno cerca di consolidare il suo potere e deve far fronte ai vari pretendenti della sua famiglia che vogliono dividere il dominio in due governi distinti: quello di Occidente, con capitale Adrianopoli nella Tracia, e quello di Oriente, con capitale Brussa nell’Anatolia.
I governatori e i pascià turchi dei Balcani e della Moldavia parteggiano per il principe Mustafà che promette terre e città in cambio di milizie disposte a combattere l’esercito del legittimo successore del defunto Maometto I.
Il coimperatore Giovanni Paleologo si schiera con il giovane pretendente ottomano, disposto a restituire la città di Gallipoli e le altre terre conquistate sulla sponda occidentale dei Dardanelli, per consentire a Costantinopoli di beneficiare in piena libertà della sua attività commerciale e di ricevere nel suo porto anche le navi che non dispongono di scorte e di armati pronti a difendere la merce trasportata.
Le continue guerre di espansione dei sultani e le lotte fratricide tra i membri della stessa famiglia imperiale turca hanno portato scompiglio nel mare, solcato dalle innumerevoli imbarcazioni commerciali che portano i prodotti dalle terre del Nord, lungo i fiumi che si gettano nel Mare Eusino. Le loro foci pullulano di mercanti occidentali che hanno creato nuove colonie e zone portuali per lo scambio delle merci che provengono dalla Cina e dalle terre dei Lituani e dei Russi. Oro, grano, spezie, pellicce, cera, riempiono i magazzini di Caffa e della Tana.
I guerrieri ottomani hanno spazzato via la “Pace mongola" , instaurata negli ultimi secoli dai discendenti di Gengis Khan, e sono subentrati alle scorribande distruttrici delle orde di Tamerlano.
Il commercio degli schiavi dei Mongoli dell’Orda D’Oro, imbarcati nei porti del Mar d’Azof, è interrotto per gli abbordaggi dei pirati turchi. Il sultano dei Mamelucchi d’Egitto utilizza l’influenza del califfo abbaside, ospitato dopo la distruzione di Bagdad nelle terre dell’antico faraone, per convincere il Gran Vizir di Adrianopoli a non ostacolare il transito dei fanciulli e delle fanciulle che vengono venduti nei mercati dell’Anatolia e dell’Africa.
Il trasporto del grano lungo le coste della Dobrugia richiede la protezione delle galee armate per il combattimento. I costi degli approvvigionamenti delle derrate provenienti dal Nord favoriscono soltanto gli interessi dei mercanti stranieri in grado di armare galee cariche di balestrieri e di uomini abili al combattimento con lancia e spada.
Il console veneziano alla Tana non riesce a contenere le proteste delle famiglie aristocratiche stanziali ed invia al bailo di Costantinopoli un resoconto dettagliato delle perdite subite dagli uomini d’affari. Ser Benedetto Emo, che è stato per alcuni anni residente nella colonia, sorta nel territorio dell’Orda d’Oro alle foci del Tanais, conosce bene l’importanza di quel mercato ed è tenuto a seguire le raccomandazioni dei senatori della Serenissima.
Banchieri e notai della nobiltà veneziana sono impegnati nel lucroso commercio con Russi, Lituani e Mongoli del Khanato che controllano il flusso della seta e dell’oro.
La piazza della colonia del Nord è percorsa da Tatari, Armeni, Greci, Genovesi e Fiorentini. Tutti intrattengono relazioni con i commissionari veneziani, rappresentanti delle nobili famiglie della Repubblica di San Marco. Le stanze dei notai sono piene di mercanti che attendono la consegna delle carte ufficiali per le transazioni commerciali, necessarie per i noli delle navi e per la sicurezza del trasporto delle mercanzie.
Il banchiere ser Francesco è invitato dal bailo ad esprimere il suo pensiero.
“Mio fratello ser Giacomo – dice l’aristocratico veneziano – mi ha inviato una lettera in cui elenca in modo dettagliato i pericoli della navigazione nel Mare Eusino. La sua dimora è situata sulla piazza della Tana e da molti anni vi tiene un banco frequentato non solo dai nostri mercanti ma anche da genovesi e uomini d’affari di altre nazionalità. Anche lui è consigliere del governatore veneziano dell’insediamento commerciale. Egli è amico di molti funzionari del Khan tartaro dell’Orda d’Oro che favoriscono ottime transazioni commerciali con i capi dei clan che governano il territorio solcato dal fiume Tanais”.
“Ser Francesco, questo consiglio – afferma ser Antonio – è ansioso di conoscere le azioni piratesche compiute dalle imbarcazioni ottomane lungo la rotta commerciale del Mar del Ponto occidentale, percorso dalle nostre galee e dalle navi che riforniscono questo mercato. Tutti conosciamo l’onore e le grandi disponibilità finanziarie di Ser Giacomo.
Alcuni intermediari romei di lingua greca, interessati al rifornimento di grano, pellicce e di cera, sono allarmati perché da alcuni mesi non riescono più a trarre un giusto guadagno per le loro famiglie. Le imbarcazioni non protette, cariche di merci, provenienti da Soldaia e da Caffa, vengono abbordate dai pirati con il turbante. Gli equipaggi e i rematori vengono fatti prigionieri e venduti nei mercati saraceni.
I guerrieri turchi lasciano passare soltanto le galee di Pera, dove il podestà è sempre disponibile per il trasporto tra le sponde dei Dardanelli delle milizie dei pascià, fedeli al sultano di Adrianopoli. I mercanti genovesi ottengono dei noli inferiori a quelli richiesti dalla nostra amministrazione e possono garantire un trasporto delle merci più a buon mercato.
Lo stendardo di San Marco è rispettato soltanto quando sui ponti delle nostre navi appaiono i balestrieri e gli uomini armati pronti a respingere qualsiasi abbordaggio. Le leggi marittime non vengono rispettate dai capitani dell’Asia che si sono sottomessi ai giovani emiri, ansiosi di ottenere regalie e benefici, promessi da Murad II per ogni nave catturata. I sultani non riconoscono i trattati dei predecessori e alzano la posta del loro balzello in bisanti d’oro sonanti e in lingotti d’argento”.
“I tributi imposti dai nuovi imperatori turchi – sostiene il ricco mercante ser Domenico – possono essere pagati con l’innalzamento dei prezzi delle vendite delle seterie pregiate e dei manufatti di lusso. I nostri clienti, disponibili a pagare sempre le vesti ricamate con filo d’oro e d’argento, offrono qualsiasi cifra richiesta. Noi vendiamo merci che hanno un grande valore e sono a disposizione delle donne e degli uomini aristocratici dell’Impero dei Paleologi. Non ci interessa la provenienza delle loro ricchezze, ma soltanto il pagamento giusto per l’offerta di prodotti che vengono da lontano e richiedono un prezzo rispondente alla loro manifattura e al loro trasporto”.
“Non basta innalzare i prezzi di vendita – dice ser Giacomo, venditore all’ingrosso di stoffe dell’Occidente ed acquirente delle spezie e delle pietre preziose che provengono dall’India – ma bisogna tener conto anche della concorrenza nei mercati della Lombardia e della Toscana. Questa città è soltanto un transito per i traffici diretti a Rialto e ad Alessandria. La concorrenza straniera va affrontata per non disaffezionare i nostri clienti che ci permettono di mantenere le nostre famiglie. La lotta tra il sultano e suo fratello non deve toglierci la preminenza sugli altri mercanti e la fiducia ben riposta in noi da parte degli intermediari di lingua greca.
Lo stendardo del Leone alato può proteggere anche le imbarcazioni commerciali che trasportano le vettovaglie e le materie necessarie ai laboratori degli artigiani di questa città. Si tratta di organizzare dei convogli protetti dalle nostre galee armate. Si deve far conoscere al Gran Logoteta i giorni più favorevoli per la sicurezza delle imbarcazioni che non dispongono di rematori, addestrati a tenere il ritmo di voga delle navi costruite nell’Arsenale della nostra Repubblica”.
"Il problema dei pirati – afferma il nobile ser Filippo che ha la sua dimora nel quartiere delle Blacherne – non riguarda soltanto le imbarcazioni provenienti dai territori del Khan dell’Orda d’Oro, ma anche le navi che giungono da Trebisonda, cariche di merci che provengono da Ormuz e dalla lontana Cina.
Le navi dei corsari partono dalle coste della Bitinia e della Paflagonia, conquistate dagli Ottomani di Brussa. Gli emiri dell’Anatolia, sottomessi al sultano, armano imbarcazioni con saraceni e marinai che un tempo appartenevano alle marinerie delle città costiere, convertite alle usanze dei nuovi padroni turchi. Le isole del Mar Egeo e le coste dell’Asia Minore sono sottoposte ai continui sbarchi e alle devastazioni di questi predoni del mare. I loro capitani fanno a gara per razziare e per depredate gli agglomerati urbani costieri.
Il terrore regna dove la cupidigia e la prevaricazione dei miliziani ottomani non sono più arginate dai duchi fedeli al basileus. Le terre rimangono incolte e il deserto avanza. I contadini e i proprietari di piccoli appezzamenti di terreno vengono fatti schiavi e venduti lontano dalle loro dimore e dai loro affetti più cari.
Durante il mio ultimo viaggio a Trebisonda, la galea, con le stive piene di mercanzie e di sacchetti pieni di oro e argento, è stata attaccata dai pirati che intendevano impossessarsi del carico e fare schiavi i mercanti, per ottenere un riscatto dai loro parenti. La loro provenienza è nota a tutti coloro che percorrono le coste del Ponto Eusino lungo la rotta commerciale, illuminata dal grande faro di Trebisonda.
L’esperienza di ser Giovanni, capitano della nave, la bravura dei rematori e il coraggio dei balestrieri sono stati indispensabili per sconfiggere i predoni del mare”.
“I pirati che ostacolano la navigazione – dice ser Ludovico, camerlengo del bailo - hanno ridotto gli introiti derivanti dalle tasse e dai noli delle aste delle navi da carico a vela, adibite al grande trasporto delle vettovaglie. Il porto del Corno d’Oro è pieno di navi che non possono uscire. I loro equipaggi hanno paura di essere abbordati fuori dal Bosforo”.
“Questo è vero – sostiene il banchiere ser Francesco – ma in compenso sono aumentate le richieste di rematori e sono aumentate le loro paghe. Ho apposto il mio nome su molte lettere di cambio per la costruzione di galee più grandi in grado di imbarcare non solo più merci ma anche un congruo numero di rematori e di balestrieri per la difesa del carico e della vita dei naviganti.
Si riduce il numero delle imbarcazioni ma si armano galee più idonee per il trasferimento delle merci e il movimento dei capitali. Gli introiti aumentano con navi più veloci che permettono un numero magiore di viaggi. L'aumento di naviganti, che si spostano con rapidità da un porto a un altro, consente maggiore flessibilità e diversificazione dei prodotti necessari alle esigenze individuali.
I costi della sicurezza si trasformano in maggiori entrate per gli investitori e per gli uffici doganali. Navi più sicure con guerrieri e rematori ci permettono di lasciare un maggiore numero carte di credito per i nobili che vogliono spostarsi per commerciare o per trasferirsi in Occidente, dove i regnanti e le signorie locali non sono assillati dalle invasioni ottomane.
Le filiali dei nostri banchi registrano un aumento di aristocratici che vogliono recarsi a Venezia e a Firenze per una sistemazione più sicura e per un avvenire più certo per i loro figli. Molti mercanti ci chiedono il risarcimento delle loro merci e anche il pagamento dei riscatti in caso di abbordaggio piratesco. I notai sono pronti a redigere qualsiasi contratto di assicurazione per i carichi e per la vita stessa degli uomini e delle donne trasportate”.
“Il nocciolo del problema - dice ser Antonio – è quello di contrastare l’azione dei pirati con navi veloci, protette da balestrieri e vogatori in grado di difendersi e di combattere”.
“L’origine degli atti corsari – afferma il bailo - è il sultano Murad II che vuol far pagare ai Paleologi la loro politica di contrasto a un grande impero ottomano. La scelta di favorire altri pretendenti al sultanato di Adrianopoli suscita le ire del legittimo sovrano turco che non vuol condividere il suo potere con gli altri membri della sua famiglia. I capi delle tribù otomane hanno designato il primogenito del defunto Maometto I a succedere al padre. Le mire degli altri pretendenti suscitano soltanto delle guerre a danno di Costantinopoli.
Lo zio Mustafà ha cercato più volte di impadronirsi del trono con promesse al basileus e ai pascià della Tracia e della Macedonia ed è stato sconfitto. La sua eliminazione non ha rasserenato gli animi ma è stato motivo di un sanguinoso assedio a questa città e l’ascesa di un altro pretendente, appoggiato dal coimperatore Giovanni VIII.
Da una parte c’è il fratello più giovane del sultano che vuole per sé il governo delle regioni occidentali e dall’altra parte c’è il legittimo imperatore che reclama il diritto assoluto di dominare tutti i territori conquistati dai suoi avi. Tra i due contendenti c’è la sopravvivenza di questa città e del suo mercato, fonte di ricchezza per Venezia.
Le mire dei Paleologi sono quelle di fomentare la discordia nel campo avversario per arginare lo strapotere ottomano e separare l’esercito dei guerrieri turchi che hanno invaso i territori dei Bulgari e degli Slavi.
In questa contesa c’è l’aumento dei pericoli per la navigazione e per la movimentazione delle merci lungo le rotte marine. La nostra Repubblica deve fronteggiare questi ostacoli, mantenendosi neutrale e dimostrando di essere in grado di difendersi in modo autonomo ed efficace contro coloro che non rispettano i trattati e le regole della navigazione.
La Serenissima non si schiera apertamente contro l’aggressione delle milizie del sultano ma non può lasciare indifesa questa città e i suoi governanti, perché non può far a meno di difendere questo emporio dove affluiscono da secoli tutte le ricchezze che hanno reso grande la nostra patria.
Gli interessi della Serenissima sono prettamente commerciali e bisogna difendere i Paleologi anche se la loro politica non è condivisa dai nostri senatori. Venezia si identifica in Costantinopoli e condivide ogni azione intesa a mantenere la sua sopravvivenza.
Questa città è per noi una seconda patria, come ci hanno indicato i nostri padri e come noi la additiamo ai nostri figli, perché da essa sono stati tramandati il diritto romano e la cultura della Santa Sapienza.
A noi non interessano le finezze dei filosofi ma ci lega alla città la nostra fede e il credo degli antichi Padri che nei Sacri concili sanzionarono le parole da proferire come espressione delle nostre anime. Per noi è sacra l’autorità del successore dell’apostolo Pietro e riconosciamo giusto l’imperium del basileus come fonte del diritto che consente a tutti di commerciare in libertà, secondo regole riconosciute da tutti i popoli.
Il Senato dei Veneziani è pronto a farsi mediatore pur di salvaguardare la libera circolazione delle merci”.
“Il guerriero ottomano – afferma ser Filippo – riconosce soltanto la forza della spada e l’obbedienza al sultano, padrone di tutti i territori conquistati e signore in grado di decidere della vita e della morte di tutti i sudditi.
Nella reggia delle Blacherne viene invitato con tutti gli onori e viene riservato un posto d’onore, alla destra del basileus, a un giovane turco della casa imperiale ottomana che auspica l’avvento del dominio della sua gente su tutti i popoli. Il suo desiderio è quello di imporre anche all’Occidente un nuovo diritto che trae i suoi fondamenti dalle antiche usanze dei popoli nomadi delle steppe asiatiche.
Dopo i Mongoli arrivano questi nuovi Turchi che dichiarano di possedere una nuova cultura che racchiude quella di tutti i grandi imperi della storia. I nuovi conquistatori vogliono spazzare via tutte le leggi vigenti e soprattutto il testimone della loro validità che è l’imperatore di Costantinopoli. Il venerabile governante legittima e rende attuabile l’unico mercato in cui tutti gli uomini si sentono liberi di poter esprimere le loro capacità commerciali e imprenditoriali. All’imperatore dei Romei si vuole sostituire il sultano turco che vuole impadronirsi del mercato della città per diventare il nuovo signore di tutte le merci che si scambiano tra l’Occidente e l’Oriente.
Perché il coimperatore Giovanni VIII Paleologo sostiene questo nuovo pretendente al sultanato di Adrianopoli? I suoi propositi di conquista e di sottomissione sono noti a tutti gli aristocratici di lingua greca. L’ostensione della sua superbia è manifesta a tutti i commensali dei banchetti imperiali. Al giovane guerriero non interessa il commercio ma solo l’arroganza del potere che permette di dominare su tutti gli uomini”.
“Anch’io ho ascoltato le parole del fratello del sultano – dice il bailo – durante un banchetto in onore del despota Teodoro II. Il mio segretario Francesco Filelfo è stato testimone attento del pensiero di un giovane guerriero che conosce soltanto la forza delle armi come mezzo per sottomettere i più deboli e rendere schiavi coloro che non accettano il dominio ottomano.
Venezia ha la supremazia sui mari ed è in grado di difendere i porti dell’Egeo, gli stretti dei Dardanelli e del Bosforo. Le rotte del Mare Eusino possono diventare sicure con una maggiore organizzazione del movimento delle navi. Si tratta di procedere con piccoli convogli, scortati da galee veloci in grado di muoversi con qualsiasi tipo di vento e di fronteggiare le sorprese dei predoni del mare”.
“Il mercato della città è grande – afferma ser Domenico – e le galee sottili spinte da vogatori esperti non son sufficienti a garantire l’approvvigionamento delle derrate e il rifornimento di tutti i magazzini. Ser Francesco sostiene che è pronto a firmare tante carte di credito per la costruzione di altre galee e fronteggiare il pericolo degli abbordaggi. Si tratta di reperire i fondi per garantire i banchi e pagare i maestri d’ascia per l'approntamento di nuove imbarcazioni. Soltanto l’Arsenale della Serenissima dispone di uomini capaci di costruire in tempi rapidi delle galee solide e veloci.
In attesa delle nuove navi da guerra, occorre utilizzare la flotta disponibile e predisporre le unità a imbarcare più uomini armati con balestre. Tutti i rematori devono avere in dotazione elmetti per proteggersi dai dardi dei predoni del mare ed avere scudi sulle fiancate.
Il nostro commercio non può subire interruzioni perché potremmo essere sostituiti da mercanti stranieri più docili alle intenzioni dei turchi e disposti ad ogni compromesso, pur di lucrare a spese degli onesti, cioè a danno di coloro che vogliono far rispettare le regole della compravendita dei prodotti e dei manufatti che provengono da terre lontane”.
“Molti aristocratici di questa città – sostiene ser Filippo – posseggono ingenti fortune. La fonte della loro ricchezza nasce da un rapporto di mutuo sostegno che si è instaurato tra i mercanti ottomani, insediati in questa città, e i vecchi arconti.
Oikantropos, capo del Partito degli aristocratici che un tempo gestivano immensi latifondi imperiali, ha di recente collaudato una nave per inviare i suoi commissionari nei porti degli emirati turchi.
Anch’io sono diventato suo rappresentante in un recente viaggio a Trebisonda per l’acquisto di pietre preziose provenienti dall’India. L’arconte più influente del senato del basileus non tiene conto delle antiche usanze imperiali che impediscono ancora il commercio ai nobili della corte. I suoi agenti si recano nelle città conquistate di recente dal sultano e comprano tutto le merci che i razziatori hanno accumulato nelle loro azioni di guerra.
Si tratta di prede belliche svendute nei mercati occasionali delle nuove città turche e acquistate da mercanti compiacenti che non tengono conto della loro provenienza. Tra le cose svendute ci sono anche le schiave stimate ad un prezzo inferiore all’acquisto di un cavallo.
I capi dei guerrieri ottomani cedono ben volentieri il loro bottino in cambio di cavalli e armature luccicanti. Le case lussuose dei vecchi proprietari vengono svuotate per essere riempite con nuovi mobili ed abbellite con simboli arabi e turchi. Artigiani del legno, muratori e scalpellini vengono ingaggiati dai pascià per costruire nuove dimore con cupole dorate. Gi intermediari edili greci fanno affari d’oro con i nuovi padroni.
Il degano dei vecchi arconti è onorato tra i mercanti turchi che si avvalgono di lui per ottenere lettere di credito firmate dai banchieri di lingua greca. I guadagni e i profitti, ottenuti al di fuori delle regole del Prefetto, permettono al ricco senatore dell’Impero romano d’Oriente di avere una ricca dimora piena di eunuchi, servi e domestici. I popolani del quartiere di Sant’Eufemia si rivolgono ai rappresentanti del culto per farli assumere come lavoranti giornalieri nella grande villa del senatore più influente dell'Impero romano d'Oriente.
Il prestigio e l’amicizia con i ricchi mercanti turchi consentono al capo degli aristocratici moderati di farsi portavoce di un grande partito, contrario all’azione del coimperatore. Giovanni VIII Paleologo impone il rispetto delle regole nelle attività commerciali dei sudditi e favorisce la ribellione del principe Mustafà, fratello giovane del sultano”.
“Le carte di credito rilasciate dai banchieri greci – dice ser Francesco – trovano giustificazione perché sono garantite da depositi di oro e argento custoditi nei loro forzieri. Il metallo è rifornito dai miei tesorieri e anche da altri mercanti che tengono un banco riconosciuto dal Gran Logoteta del basileus.
Tutto il flusso dell’oro e dell’argento che circola nel Mar Mediterraneo passa ancora per Costantinopoli. Una percentuale rilevante è sotto la sorveglianza di banchieri dell’Occidente. Venezia è a conoscenza del movimento dei metalli preziosi e riesce a ottenere un giusto ricavato in percentuale dalla loro fusione e dal cambi delle valute straniere.
I ducati d’oro e i grossi d’argento veneziani sono garanzia per tutte le transazioni commerciali della città. Anche i mercanti ottomani utilizzano le nostre monete e le nostre carte di credito per il grande commercio.
L’amministrazione del sultano di Adrianopoli e gli emiri delle città turche dell’Asia Minore hanno bisogno di attingere all’emporio di questa città per armare e vestire i loro guerrieri. I palazzi degli emiri e dei pascià ottomani vengono costruiti con la manodopera specializzata proveniente da questa città che per secoli ha custodito e tramandato i segreti della conoscenza per le grandi opere dell’uomo. I materiali arrivano ai luoghi, prescelti dai nuovi signori turchi, grazie al flusso dei rifornimenti di materie prime trasportate dai mercanti di terra e di mare”.
“Il basileus di Costantinopoli – afferma il bailo - anche se non è più il padrone di tutto l’oro e l’argento, che permettono di acquistare e trasportare le merci, è oggi il perno della bilancia commerciale dell’Occidente e dell’Oriente. La sua autorità è sacra perché è l’unica sorgente del Diritto e delle leggi che permettono la vita e le relazioni tra i popoli nel Mediterraneo.
La grandezza di Venezia deriva dall’osservanza di queste leggi e il Senato della Serenissima avverte l’importanza della figura dell’imperatore. La sua sostituzione con il sultano degli Ottomani sarebbe una catastrofe perché il grande emiro turco imporrebbe la legge del conquistatore, per la quale tutto appartiene al più forte.
Il Diritto romano e il riconoscimento della libertà di ogni uomo verrebbero spazzati via. La facoltà di poter vivere secondo le norme delle relazioni che permettono di progredire nel bene della comunità a cui ognuno appartiene verrebbe annullata. Nessuno potrebbe acquisire il giusto beneficio per sé e la sua famiglia. Tutti diventeremmo schiavi di un unico padrone”.
“Ser Benedetto, conosciamo tutti – dice ser Matteo, rappresentante dei drappieri – il pericolo sovrastante per la guerra scatenata dall’azione radicale di Giovanni VIII e dei baroni favorevoli al suo atteggiamento di sfida nei confronti del sultano. L’appoggio dato al giovane Mustafà rientra negli interessi dei Paleologi ma ci preme avere anche dalla nostra parte i ricchi acquirenti turchi ed essere amici di tutti i commercianti della città.
Molti arconti mantengono un atteggiamento moderato e sono favorevoli a conservare buone relazioni con tutti i mercanti della città per il ripristino degli accordi che permettono di navigare lungo le coste della Romània, senza essere ostacolati dai blocchi delle navi ottomane fuori dai porti.
L’insediamento di ricchi Ottomani, provenienti dall’Asia Minore, nel contesto commerciale del Corno d’Oro, facilita la nascita di rapporti amichevoli. Iperperi e ducati d’oro vengono versati in abbondanza dalle borse dei nuovi trafficanti turchi sui tavoli dei negozi e dei banchi.
Il metallo prezioso apre tutte le porte, anche a coloro che con le insegne del sultano hanno assediato la città. Le vesti di seta e il seguito di servi dei ricchi signori, con le mani piene di anelli e pietre preziose, sono un lasciapassare sicuro per l’ingresso alla città sulla via che proviene da Adrianopoli.
La città offre le sue delizie a tutti coloro che sanno essere generosi con i guardiani dei cancelli. Carrozze con insegne nobiliari e cavalieri scortati da scudieri fanno aprire al loro passaggio le porte della città, sempre lieta di ricevere coloro che vogliono spendere le loro ricchezze nelle botteghe e negli alberghi della Mesè”.
“Le mercanzie della Macedonia e della Tracia – sostiene il camerlengo ser Ludovico – non entrano più attraverso i varchi delle mura terrestri e i gabellieri non riempiono le casse imperiali con le percentuali sulle entrate delle materie necessarie ai manufatti degli artigiani. Il commercio si è interrotto sulla via Ignazia controllata dalle milizie del sultano Murad II. I commercianti si sottraggono al controllo delle dogane e preferiscono condurre le loro transazioni senza il rigore delle norme prefettizie la cui applicazione richiede la contribuzione percentuale di una tassazione.
Negozianti furbi e intermediari scaltri di lingua greca traggono il loro sostentamento con le operazioni di scambi e profitti fuori le mura o in ambiti urbani seminascosti dove impera l’adescamento di approfittatori senza scrupoli.
La lievitazione dei costi per lo stato di guerra è aggirata con piccoli traffici che si svolgono nei vicoli laterali della Mesè o nei suburbi dei quartieri degli stranieri, senza il pagamento del dovuto all’erario dei Paleologi.
Uomini e donne senza scrupoli utilizzano i locali di mescita vicino ai piccoli approdi per il loro mercimonio, lontano da occhi indiscreti. Popolani indaffarati e trasportatori portuali offrono le loro braccia per ogni smercio illegale”.
“Il commercio illegale – interviene ser Antonio - riguarda il Prefetto della città. L’argomento in questione è quello di fronteggiare la minaccia dei pirati che abbordano le nostre galee.
Il Ponto Eusino e la Propontide sono infestati da predoni del mare che rendono schiavi i nostri figli impegnati come balestrieri sulle imbarcazioni della Serenissima.
Gli stendardi con l’effigie del nostro santo protettore diventano trofei nelle mani di uomini senza scrupoli che desiderano soltanto riempite le loro borse di empie monete.
I nostri affetti più cari sono allo sbaraglio in mezzo ai mari infestati da guerrieri che vivono di abbordaggi e di prede strappate ai legittimi proprietari. Mia figlia è sempre in pena per il suo promesso sposo che lavora alla Tana nelle nostre filiali, per aiutare i mercanti nelle trattazioni e nel trasporto dei valori. Un grande pericolo sovrasta i giovani balestrieri, figli di nobili famiglie, che seguono le mercanzie dei loro padri.
Il rischio è avvertito soprattutto quando occorre trasportare casse di lingotti d’argento, sacchi pieni di oro e pietre preziose nei viaggi di andata e ritorno tra le foci del fiume Tanais e le banchine ben protette della città.
Le carte di credito rilasciate ai mercanti agevolano la sicurezza delle loro vite, ma i dipendenti dei banchi devono provvedere al trasferimento delle ricchezze accumulate nei forzieri e far arrivare l’oro al mercato di Rialto. I capi delle tribù dei Mongoli e gli uomini delle carovane che giungono dalla lontana Cina e dall’India vogliono avere, in cambio dei loro prodotti, i lingotti e i grossi d’argento provenienti dalle fonderie veneziane.
Oro e argento vengono scambiati nei banchi delle nostre filiali, dislocate nei territori dell’Orda d’Oro. Il loro trasporto è preavvisato con lettere recapitate dai corrieri. La notizia del prezioso trasferimento è spesso carpita da orecchie di uomini che la vendono a peso d’oro ai capitani delle ciurme piratesche”.
“Le locande e le osterie delle zone portuali – afferma ser Matteo – sono affollate di mediatori commerciali greci, armeni, arabi e turchi. Uomini d’affari che portano alla cintola borse piene di iperperi e di grossi d’argento riescono a piazzare le loro merci a prezzi proporzionali alla loro scarsità per l’assedio e il blocco dei porti.
Tutte le merci delle navi, sfuggite al controllo minuzioso dei gabellieri e doganieri imperiali, vegono caricate dai bastasi e portate nelle case degli smerciatori locali per viuzze e sottoportici, lontano dagli occhi e dalle orecchie delle spie governative. I nostri concorrenti riescono a vendere anche stoffe pregiate, bottino di navi piratesche, con sconti che allettano i venditori che utilizzano lo spaccio al miglior offerente.
Le robe sono piazzate dai sensali che si muovono con discrezione e cercati con susssurri e parole pronunciate agli orecchi dei venditori e degli acquirenti. Il mercato al minuto clandestino è più grande di quello ufficiale ed è fondato sull’iniziativa illegale di affaristi scaltri che non tengono conto delle leggi e dei regolamenti del Prefetto della città.
I beni indispensabili alla sopravvivenza del popolo son sorvegliati dal Gran duca delle vettovaglie e i prezzi calmierati per evitare le sommosse dei popolani. I generi di lusso, non reperibili nei negozi della Mesè, vengono venduti, su richiesta specifica degli interessati, agli amici dei trafficanti di quartiere. Lo smercio illegale avviene in locali privati affittati per le varie occasioni seconto contrattazioni amichevoli e compiacenti.
La guerra tra il sultano e i Paleologi innesca un fiume di traffici che sfuggono al controllo governativo ed alimentano la corruzione degli addetti alle ronde e ai controlli nelle vie dei distretti urbani. Il frutto degli abbordaggi spesso rienta nei canali di distribuzione con la complicità di funzionari che arrotodano le loro paghe con abbondanti mance, elargite dai fautori del mercato non controllato dalle norme di mercato.
La vendita di queste merci costituisce un serio danno per tutti i venditori della Mesè e costringono molti drappieri greci a chiudere la loro bottega, perché sottoposti ai controlli degli uomini del Gran Logoteta che hanno l’incarico di riscuotere le percentuali sulle vendite per i servigi e la sicurezza dispensati dal basileus.
Gli arconti del Partito dei Nuovi aristocratici, beneficiati con incarichi e prebende imperiali, sono assillati con insistenza di richieste di soccorso dai drappieri. I rappresentanti della loro associazione chiedono l’eliminazine della tassazione, eccessivamente onerosa, per far fronte alle spese dell’Amministrazione, per la riparazione della pavimentazione e la sicurezza dei portici della grande via commerciale che dalle mura terrestri porta gli acquirenti alla piazza dell’imperatore Giustiniano”.
“Il nostro compito – dice il bailo – è quello di tutelare i diritti dei nostri compatrioti e salvaguardare che le azioni commerciali avvengano nel rispetto dell’onestà e nella fedetà alle tradizioni dei cittadini veneziani. Questo Consiglio deve espimersi sulle competenze specifiche del commercio della Serenissima che lascia libertà ai nobili, su questo e sugli altri mercati, di scegliere le merci e le modalità di vendere ed acquistare più consone alle loro capacità. Ognuno può trarre il giusto guadagno dopo aver pagato i noli stabiliti per il trasporto e lo scarico delle merci sulle banchine del porto, messe a disposizione dal Gran Loteta per la nostra colonia. Il mio camerlengo e il mio tesoriere riscuotono le tasse per mezzo dei nostri commerciari. Il danaro raccolto serve per il mantenimento della colonia e per il corrispettivo dovuto all’erario del basileus.
Il Funzionario delle finanze imperiali ha il compito di riscuotere attraverso i suoi gabellieri le percentuali di tasse, fissate dalle tabelle per ogni genere di merce comprata o venduta, dai mercanti residenti abituali dei quartieri greci, arabi, armeni, giudei, turchi, catalani e delle altre nazionalità.
Le transazioni commerciali, stipulate in città tra residenti e mercanti di transito, tramite l’azione degli intermediari, devono essere registrate e i contraenti sono tenuti al versamento delle quote. L’intermediazione privata è regolata in modo preciso anche per le merci portate con navi turche. Tutto ciò che passa sul suolo urbano è sottoposto alla concessione governativa.
Le carceri abbondano di truffatori e di spacciatori che eludono le gabelle. La giustizia dell'imperatore si abbatte pesantemente su coloro che di notte si aggirano per le strade con carri pieni di merce senza farli passare per le dogane.
Il piccolo commercio delle osterie è sotto il controllo delle spie governative che riferiscono con tempestività le illegalità dei residenti e degli stranieri. Le ronde assicurano il controllo di tutti i locali pubblici e individuano le attività illegali”.
“Ser Matteo si preoccupa – sostiene il banchiere ser Antonio – anche dei drappieri greci e questo lo onora in modo ragguardevole perché esalta la sua rispettabilità nella vendita al dettaglio delle stoffe. I commercianti locali guardano alla nostra agiatezza, raggiunta con sacrifici e rischi di ogni genere. Il commercio è fatto anche di azioni concorrenziali e richiede spesso il rischio di dover chiudere il negozio per mancanza di acquirenti o per l’impossibilità di trarre un giusto guadagno.
La guerra fuori le mura genera miseria per coloro che non sono protetti dalle loro corporazioni e dai loro concittadini più eminenti nel governo della città. La chiusura degli opifici imperiali e l’interruzione dei rifornimenti generano costernazione nei cittadini. I residenti veneziani sono protetti dal Leone di San Marco che incute rispetto dagli alberi delle nostre galee ed hanno crediti agevolati dagli altri mercanti.
Il commercio in questa città è ancora sostenibile perché è garantito dalle lettere di cambio che permettono ai nobili e ai loro commissionari di muoversi con sicurezza e di investire con profitto i crediti concessi dai banchi di Rialto e dalle filiali presenti in tutti i porti del Mediterraneo e dell’Egeo.
Costantinopoli e i suoi abitanti vivono grazie ai prestiti voluti dai senatori della Repubblica di San Marco. La sopravvivenza della città permette al basileus di mantenersi sul trono e ai suoi sudditi di resistere ai guerrieri Ottomani.
Le nobili famiglie veneziane che investono le loro ricchezze nel commercio sono consapevoli del rancore che negli ultimi secoli si è generato negli animi degli arconti. Una volta gli aristocratici di questa città possedevano immensi territori da cui traevano le loro ricchezze con il lavoro e con il commercio dei prodotti dei loro sudditi. Ora non hanno più le terre e i loro abitanti sono diventati servitori dell’imperatore turco.
I commercianti locali non traggono più beneficio dalle ricchezze dei loro arconti e sono costretti a chiudere botteghe e laboratori perché non c’è più la richiesta di abiti e monili dei tempi d’oro dell’Impero. Le famiglie nobili si sono immiserite senza i proventi delle ricche provincie e gli artigiani non hanno più le loro richieste di manufatti locali.
Il sultano di Adrianopoli brama impossessarsi della città per eliminare l’utimo baluardo che mantiene in vita l’imperium del discendente di Costantino il Grande. Il segno vincente dell’imperatore romano è ancora radicato nello spirito di coloro che esultano nella risurrezione del Figlio della Vergine e intendono percorrere la vera via della vita.
Il popolo si rivolge con fede alla Vergine che eleva le sue braccia per l’incolumità dei credenti e delle loro famiglie.
Costantinopoli è la città che custodisce i fondamenti del Diritto romano nella persona del basileus. È la sorgente della Santa Pace che si mantiene tra coloro che sanno rispettare le regole dell’amicizia. La comunanza di intenti, lo scambio reciproco dei prodotti della natura e dei manufatti dell’uomo nell’attività commerciale portano benessere e prosperità a chi sa impegnarsi affrontando le fatiche e i rischi del vivere quotidiano. Qui si innalza il tempio della Santa Sapienza dove i credenti dell’Occidente e dell’Oriente possono darsi la mano per scambiare i doni più preziosi dello spirito umano che sono la fede, la ragione e i prodotti della sua laboriosità.
Venezia è presente con lo stendardo del Santo Evangelista e si sente erede di questo spirito che rivoluziona gli animi e aguzza l’ingegno per rendere possibile la convivenzac tra tutti i popoli.
La Serenissima Repubblica si sente erede di questa pace basata sul diritto e sul rispetto delle norme che permettono di acquisire quel bene comune che possa riversarsi su tutti coloro che vogliono la pace e la prosperità delle loro famiglie”.

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