martedì 22 giugno 2010

VENEZIANI A COSTANTINOPOLI

Capitolo sesto
La reggia delle Blacherne
Il palazzo del basileus non è più vicino al sacro edificio della Santa Sofia. L'estremità Nord-Ovest del territorio urbano, vicino al santuario della Vergine Blachernissa, ospita da molti anni la dimora dell'imperatore. I funzionari dell'Impero romano d'Oriente, aristocratici in possesso di titoli onorifici, hanno costruito le loro dimore vicino alla reggia, dando luogo al quartiere delle Blacherne.
Il nuovo agglomerato urbano, costruito attorno ad una grande piazza, è il luogo dove lavorano funzionari governativi e banchieri con i loro uffici di rappresentanza. I palazzi più belli del distretto appartengono ai mercanti più ricchi della città e ai principi stranieri, accreditati presso la corte imperiale. Nella zona più alta si erge un grande palazzo, circondato da torri e mura, dove la famiglia imperiale si rifugia nei momenti turbolenti. Il sito permette di controllare la città, l'estuario del Corno d'Oro, il territorio fuori le mura terrestri e il Mar Pontico.
Qualsiasi forza ostile che si avvicina alla città è avvistata in tempo da mettere in allarme le difese necessarie a salvaguardare la sicurezza dei suoi abitanti. Il coimperaratore Giovanni VIII e suo fratello Costantino da alcuni mesi presidiano questo luogo fortificato, per far fronte agli attacchi sferrati dall'esercito ottomano.
La piazza e le strade dei quartiere, pur essendo vicini alle mura terrestri, piene di soldati pronti a respingere qualsiasi attacco esterno, sono gremite di uomini e donne, intenti ai loro impegni e affari. Nella piazza, centro dell'alta finanza dell'impero, si muovono nello loro vestì sontuose i rappresentanti dell'aristocrazia che decidono sulle necessità della città e sulle loro possibilità di arricchimento.
La presenza a corte di Teodoro, figlio di Manuele II, ha innescato una frenesia nei ricchi abitanti del quartiere per l'invito al banchetto imperiale, in onore del despota della Morea e di sua moglie Cleofe dei Malatesta. Le sale per il convito si trovano in un edificio dislocato più in basso della roccaforte, circondato da giardini e fontane, nell'area della grande reggia, costituita da varie costruzioni di propriètà della famiglia imperiale. Il complesso è protetto da un alto muro che si collega alle fortificazioni della città ed è controllato dalla Guardia Variaga.
Alcuni funzionari dell'imperatore, gli eunuchi, gestiscono tutto quello che riguarda la sacra persona del basileus e nessuno vi si può avvicinare senza il loro permesso. Ogni avvenimento nella reggia si svolge secondo regole che si tramandano da secoli e sono rimaste invariate. Il cerimoniale di corte è fatto osservare dagli eunuchi con scrupolosità e con assoluto silenzio. Il tempo è scandito dai sacri gesti dell’imperatore.
Da molti mesi l'imperatore si è ritirato nel convento di Santa Maria Peribleptos, vicino alla grande via che conduce alla Porta Aurea. La sua assenza e l'assedio fuori le mura terrestri hanno portato un senso di tristezza nella reggia. L'arrivo del fratello del coimperatore rompe l'attesa di tempi migliori e dà l'occasione per festeggiare.
L'attesa si carica di nuove aspettative per quegli aristocratici desiderosi di onori e di cariche imperiali, elargiti in occasione delle grandi cerimonie. La nomina di nuovi ministri e di nuovi funzionari, che gestiscono i monopoli imperiali e la riscossione dei tributi e delle tasse, crea nuovi aristocratici che si aggiungono a quelli che si sono arricchiti nel passato.
La suddivisione dei nuovi e dei vecchi signori delle finanze imperiali ha dato vita ai due schieramenti: il Partito degli Antichi Aristocratici e il Partito dei Nuovi Aristocratici. Le due fazioni, pur non essendo strutturate gerarchicamente, fomentano la popolazione ad esprimersi a favore o contro la politica del coimperatore e dei suoi funzionari. Gli aristocratici, padroni delle terre conquistate dagli Ottomani, sono delusi e vorrebbero riavere i possedimenti perduti. Le loro simpatie camuffate in pubblico da gesti e parole ambigue, sono per il sultano, il Signore del nuovo impero che ha per capitale la città di Adrianopoli. I nuovi aristocratici, detentori di proventi che scaturiscono dalle loro cariche imperiali, sono legati al loro benefattore e sostengono la politica della casa dei Paleologi.
La sopravvivenza dell’imperatore dipende dall'aiuto delle potenze dell'Occidente. Le conquiste ottomane nella Dalmazia non fanno paura ai re latini. Le potenze marinare si preoccupano dei loro traffici e cercano di controllare il flusso commerciale che passa per Costantinopoli. Il papa Martino V avverte îl pericolo dei condottieri ottomani che sì avvicinano alle terre dei popoli latini e cerca di soccorrere l’imperatore, ultimo baluardo dell'Oriente a difesa della cultura degli antichi padri dell'Impero romano. La distruzione delle fonti della cultura greco-latina sarebbe una catastrofe per il responsabile del Soglio romano di San Pietro. Il papa si sente padre spirituale di tutti i popoli che si riconoscono nelle antiche tradizioni difese dalla Nuova Roma, fondata da Costantino il Grande.
Gli ultimi difensori della città degli imperatori romani sono Manuele II e i suoi figli che non hanno più le risorse per pagare l'esercito di mercenari che deve difendere le mura della città. La loro politica è ostacolata dagli aristocratici che hanno perso terre e cariche imperiali. Nella corte della città e in quelle dei despotati della Morea e di Tessalonica, si annidano personaggi influenti che ostacolano i principi paleologi.
Nelle terre conquistate, il governo ottomano di Adrianopoli, pur di avere continui proventi fondiari, ha permesso ai vecchi proprietari la riscossione delle rendite delle terre che ora appartengono al sultano. I possedimenti terrieri dei sacri conventi hanno subito la stessa sorte e i monaci si sono sottomessi al nuovo padrone, per poter continuare la loro scelta di vita comunitaria.
I funzionari fedeli all'imperatore hanno creato una rete di informatori fidati per conoscere la fonte del malumore che serpeggia tra i vecchi aristocratici.
Il primo ministro, il grande Logoteta, è favorevole al banchetto che si sta preparando in onore del despota della Morea. I più ricchi faranno a gara per offrire somme ingenti per ottenere gli appalti dei servizi e delle concessioni imperiali. Le casse del Tesoro si riempiranno di una parte dell'oro che fluisce negli infiniti rivoli delle imprese e delle transazioni commerciali.
Il grande cerimoniere di palazzo, l'eunuco coordinatore di tutti i funzionari addetti alla persona dell'imperatore, ha ricevuto l'ordine di preparare le sale che ospiteranno i grandi dell'impero. Il quartiere delle Blacherne brulica di rifornitori che dai mercati portano tutto ciò che serve ad allestire un sontuoso banchetto. Il personale addetto alle cucine della reggia è stato rinforzato da una miriade di cuochi e inservienti per l'allestimento delle attrezzature necessarie per la preparazione delle i vivande.
I messi imperiali sono inviati presso i grandi palazzi della città per la consegna degli inviti. Tutti gli artigiani sono sotto pressione per confezionare i prodotti più raffinati per vestire i notabili dell'impero. Le donne invitate sono principesse di case regnanti. II bailo ha ricevuto l'invito purpureo e potrà occupare un posto nella sala che ospita 1'imperatore, i suoi familiari, i principi accreditati alla corte, il Grande Logoteta e i suoi ministri, i governanti delle colonie straniere. Gli inviti di rango inferiore, distinti per ogni categoria di grandi contribuenti, sono consegnati a coloro che ogni anno versano parte dei loro proventi nelle casse del Tesoro.
La grande basilica, costituita da un grande salone poligonale sormontato da una grande cupola e da un susseguirsi di sale minori, è approntata per ospitare i commensali dell’imperatore. I giardini che circondano l'edificio sono pieni di invitati che aspettano di essere introdotti nelle sale dagli eunuchi imperiali. L'inizio del banchetto è dato dal suono delle dodici trombe d'oro. Una musica d'organo si diffonde in ogni angolo e crea un'atmosfera irreale in attesa dell'ingresso del coimperatore Giovanni VIII. Il basileus è nel suo ritiro spirituale ed ha designato il figlio a manifestare i sacri simboli imperiali.
Il Grande Cerimoniere impone il rispetto dell'assoluto silenzio iniziale per accogliere l'erede dell'Impero romano d'Oriente. Tutti coloro che vengono introdotti al suo cospetto rendono omaggio alla sua persona secondo l'usanza della corte.
Ogni commensale indossa la veste con il colore stabilito ed occupa il posto indicato nell'invito. La musica dell'organo, le portate di vivande e la mescita di vini delle cantine imperiali, favoriscono la conversazione e stimolano gli animi dei festanti. La luce rossa del tramonto penetra attraverso le finestre del tamburo poligonale della cupola. I ceri dei grandi candelabri sono già accesi.
Una processione di saraceni si snoda al cospetto di Giovanni VIII e vengono aperti alla sua vista i grandi forzieri, ricolmi di pietre preziose, di perle e di monete d'oro. Il dono del principe ottomano, pretendente al trono imperiale di Adrianopoli, suscita stupore e consensi tra i commensali.
Il coimperatore, sdraiato sul suo divano, ha come commensali alla sua tavola dodici amici e tra questi è stato designato anche il bailo e il suo segretario personale Francesco Filelfo, esperto di cultura e di lingua greca. La sua presenza è ritenuta indispensabile per rendere più efficace e piacevole la conversazione tra persone che siedono alla stessa tavole. Al ricco principe ottomano è riservato un posto d’onore alla destra di Giovanni VIII e vicino al divano del Principe Teodoro II. Il giovane ospite, pur appartenendo alla casa imperiale di Adrianopoli, è stato addestrato non solo all’arte della guerra , ma anche educato alla conoscenza della cultura classica. La sua conversazione in lingua greca e latina attira l’attenzione del bailo.
"Il mio segretario - dice ser Benedetto al guerriero turco ­mi sussurra che non ha mai ascoltato un giovane così ben preparato e conoscitore della lingua di Cicerone e di quella degli antichi filosofi della Grecia. Anch'io devo correggere le mie opinioni sui nuovi conquistatori ottomani che riescono a governare popoli che una volta erano governati dal basileus. Ho conosciuto durante i miei viaggi in Egitto e in Siria dei mercanti arabi conoscitori di tutte le opere dei filosofi greci ed in possesso di splendidi palazzi. Le loro case sono dotate di biblioteche piene di opere dei grandi storici e filosofi del passato".
"Mi stupisco - replica il principe ottomano - che un nobile patrizio della Serenissima Repubblica non conosca i costumi e le usanze delle grandi famiglie turche ottomane. Il loro dominio si sta espandendo in tutto l'Oriente e ben presto anche l'Occidente sarà alle dipendenze della volontà del sultano. La formazione di un grande impero richiede che i figli delle nuove case regnanti siano preparati alla guerra e ad imporre un nuovo diritto.
La legislazione, imposta dai nuovi conquistatori, è basata sia sulle antiche tradizioni dei nostri padri, sia sulla cultura assorbita dagli Arabi. I grandi condottieri, per governare i popoli e le terre conquistate, hanno saputo, fin dall'inizio, rispettare la cultura dei nuovi sudditi e farla propria. I miei padri hanno appreso un nuovo modo di vivere e una nuova sapienza dai dotti Arabi.
Agli uomini del deserto è stato rivelato un modo di essere uomini che permette di rispettare l'ordine della natura e di costituire delle comunità su norme rispettate da tutti. Questa nuova possibilità ha dato loro la capacità di attirare e di convincere tante popolazioni a vivere secondo regole giuste, cioè più rispondenti alle esigenze dello spirito umano. Tutto l'Oriente si è adeguato a questo nuovo modo di essere uomini e gli Arabi hanno costituito dei grandi imperi senza cancellare la sapienza dei popoli sottomessi. Molti di loro hanno migliorato e arricchito la conoscenza umana con un sapere sempre più ricco di cognizioni che rivelano i segreti nascosti nelle cose dei nostro mondo.
Tutto quello che viene acquisito dalla ragione umana si tramanda alle nuove generazioni e si diffonde tra le popolazioni. Il sapere degli Egiziani, degli Assiro-Babilonesi, degli Ebrei, dei Greci, dei Romani, dei Cristiani, degli Arabi, è stato assorbito dal nostro popolo. I Turchi hanno appreso tutte queste conoscenze e le hanno impiegate per costituire dei nuovi regni. Dopo i periodi delle grandi culture, seguono sempre nella storia i periodi di cambiamento, causati dai popoli che hanno la capacità pratica e la forza di applicare le nuove idee al contesto delle comunità umane che evolvono verso nuove aggregazioni in territori diversi.
Ora spetta agli Ottomani governare e imporre la loro volontà, perché hanno la capacità di dominare e di imporre le loro regole di vita. Quello che vogliono le popolazioni è di vivere sereni e disporre di quello che necessita al sostentamento delle famiglie. Tutti coloro che accettano di essere governati dai sultano possono liberamente continuare le loro attività. La sottomissione garantisce a loro una nuova prosperità sotto il volere del sultano. Tutti devono riconoscere il nuovo Signore che si fa chiamare Sultano dei Romani.
"Come possono sussistere - afferma Giovanni VIII - due imperatori con due culture diverse sul territorio che per più di un millennio è stato governato con la legislazione ereditata da Costantino il Grande? Il grande condottiero romano in questa città stabilì la una nuova capitale dell'Impero romano e fece erigere un monumento alla Santa Sapienza. La Nuova Roma ha dominato per tanti secoli perché il suo dominio si è sempre fondato sul diritto di ciò che è giusto per qualsiasi uomo. La cultura del giusto è condivisa da tutti perché ogni persona riceve quello che gli è dovuto secondo le sue condizioni e le sue origini.
Mio padre, Manuele II, rispetta la supremazia dei sultano sulle terre da lui conquistate ed è sempre stato in ottimi rapporti con i signori ottomani che riconoscevano il suo titolo di basileus. Se la sua designazione imperiale è ostacolata, non rimane che chiedere aiuto all'Occidente o trovare un principe ottomano che posa prendere le sue difese nei confronti di un giovane sultano che non rispetta le sue prerogative di dominio su questa città".
"Il nodo della questione - dice il giovane interlocutore - è proprio questo dominio sulla città che è il centro di tutto il commercio. Chi domina questo centro è signore di tutto il mondo. Al sultano spetterebbe il dominio su questo centro commerciale e al basileus potrebbe essere riconosciuta la sua autorità sugli abitanti della città. Al sultano dei Romani spetta la capitale dei Romani perché ha conquistato tutte le terre e le popolazioni che una volta appartenevano all’Impero romano d'Oriente.
Se la casa dei Paleologi non si sottomette alla volontà del sultano, non si può ripristinare la pace in questo crocevia di rotte commerciali. Un dominio su tante popolazioni non può reggersi su due capitali diverse. Una sola deve essere la capitale e questa è Costantinopoli. Il basileus potrebbe governarla in nome del sultano, rispettando la sua volontà e versando al suo erario una parte dei proventi derivanti dal transito delle merci.
La diversità delle culture tra le due case imperiali può trovare un giusto accordo, come si è verificato con i possedimenti dei conventi della Penisola Calcidica. Il governo ottomano chiede ai proprietari dei beni immobili una semplice sottomissione alla sovranità del sultano e il pagamento di una parte dei proventi. La costruzione della Santa Sofia è riconosciuta sacra dalle culture di tutte le popolazioni dell'impero ottomano e il sultano garantisce la sua incolumità".
"Per più di un millennio - afferma ser Benedetto - si sono consolidate delle norme commerciali, tra l'Occidente e l'Oriente, garantite dall’imperatore. Il prezzo delle merci è stato stabilito dopo un attento esame dei noli e delle tasse imposte dai vari governi. Le continue guerre di conquista degli Ottomani hanno causato l'interruzione di flussi commerciali dai paesi del Nord e uno scompiglio in tutto il Mar Egeo.
Le carovane che portavano la seta da Bagdad a Trebisonda sono state dirottate per altre vie più costose. La Serenissima Repubblica è costretta a spendere una notevole quantità di ducati in oro per la costruzione di galee per la protezione dei convogli che attraversano il Mediterraneo. L'atteggiamento dei sultani nei confronti delle potenze marittime cambia con le loro successioni. Alla loro morte sorgono molti pretendenti che creano scompiglio per la loro ricerca di sostenitori stranieri che appoggino la loro ascesa. La mancanza di regole certe rende l'attività commerciale priva di sicurezza. I tempi di partenza e di arrivo delle merci richiedono di essere rispettati per il rifornimento dei mercati e delle fiere che si tengono in determinate date.
L'insicurezza spinge i mercanti e i loro governi a stringersi attorno alla casa imperiale dei Paleologi e a difenderla anche con notevoli costi pur di garantire la regolarità del traffico commerciale che passa per la città. Le sue mura sono solide e il porto è presidiato dalle potenze marinare dell'Occidente".
"L'attuale situazione - risponde il principe - è soltanto momentanea e tutto il settore commerciale prima o poi troverà una sistemazione più rispondente alle forze in gioco. Io ho chiesto aiuto al coimperatore per diventare sultano e ricambierò l'ospitalità se riuscirò nel mio intento".
"La mia città - interviene Giovanni VIII - apre le porte a tutti coloro che vogliono farla prosperare e le chiude a chi vuole sostituirsi a colui che è stato designato a governarla. Anche il sultano vi potrebbe essere accolto se rinunciasse alle sue pretese di dominio. La forza delle armi non basta a far aprire le porte se a difenderle ci sono coloro che credono nella giustizia e nel diritto dei Romani ad esprimersi secondala cultura dei loro padri e ad esercitare liberamente le loro attività commerciali. Il potere delle armi passa con il tempo ma le radici profonde di una cultura, basata sulla libertà dello spirito umano, emetteranno nuovi germogli dopo l'esplosione degli odi e degli egoismi di possesso. Le grandi potenze dell'Occidente sono sempre disposte a presidiare le mura di questa città che è la loro fonte di ricchezza".
"La città potrà resistere - interrompe il guerriero ottomano - se arriveranno le navi colme di soldati e di rifornimenti. Quando la potenza ottomana bloccherà l'ingresso al porto con la chiusura degli stretti del Bosforo e dei Dardanelli, la città non avrà più le forze sufficienti ad arginare l'ondata delle milizie assetate di bottino che si scaglieranno contro le mura terrestri.
Il governo di Adrianopoli recluta, nei territori conquistati. tutti i falegnami e i costruttori di navi che una volta costruivano le navi per il basileus. Anche i costruttori navali delle città latine vengono allettati con paghe esorbitanti. La loro maestria serve a costruire le navi che ostacoleranno la supremazia delle potenze marinare dell'Occidente.
Se l'imperatore di questa città non dispone di forze autonome, in grado di respingere gli attacchi del sultano, la città cade e gli abitanti vengono fatti schiavi. Prima o poi lascerò questa città e affronterò il mio destino.
Costantinopoli è città di pace e non è la mia città. lo amo la guerra perché mi permette di conquistare il potere ed ottenere il dominio sulle popolazioni. Il commercio non è la mia aspirazione e non mi consente di esprimere la forza racchiusa nel mio spirito e nelle mie braccia. Sono nato per galoppare nelle distese sconfinate dei campi di battaglia e intendo conquistare il trono imperiale degli Ottomani. Mio padre era sultano e anch'io voglio dîventarlo, anche se mio fratello, più anziano di me, si è già seduto sul trono."
"Il tuo ardore giovanile ti fa onore - dice il ballo - ed apprezzo il tuo desiderio di combattere e di coprirti di gloria. L'ospitalità del mio coimperatore potrebbe tradursi in una profonda riconoscenza se tu impegnassi le tue energie e il tuo esercito personale per difendere questa città e i suoi traffici. Non basta desiderare di diventare un grande sultano, occorre anche la capacità di riflettere e di stipulare giuste alleanze per impiegarle nel tempo e nel modo più giusto, secondo il momento propizio. La città dispone di uomini saggi che ti possono aiutare a vagliare più attentamente i tuoi propositi e a forgiare il tuo carattere prima di intraprendere un grande progetto. Le grandi potenze marittime, interessate a questa città, potrebbero aiutarti nel tuo desiderio, se ti impegni a riconoscere il ruolo del basileus e a salvaguardare i suoi diritti imperiali."
"La mia riconoscenza - replica il principe ottomano -- nei confronti di Giovanni VIII è stata dimostrata con un dono che è un pegno di amicizia che può sostenere l'incolumità di questo grande emporio commerciale. L'arbitrato della casa paleologa su tutto il traffico, di mercanzie è riconosciuto dalla mia scelta di essere sostenuto dal coimperatore".
"Non bisogna dimenticare che anche la città di Tessalonica sta vivendo un brutto momento - sostiene il principe Tommaso, terzogenito dell’imperatore - ed è continuamente assediata. I rifornimenti giungono soltanto con le navi. Tutta la Macedonia è stata conquistata e la città, considerata il secondo emporio più importante dell'impero per il traffico commerciale e per le sue industrie, rischia la distruzione completa. Le industrie non ricevono più le materie prime e i mercati sono sprovvisti delle merci dell'entroterra. Il fiorente flusso commerciale con la capitale dell'impero si sta spegnendo e la città sta sopravvivendo con i rifornimenti che arrivano con le galee veneziane.
Il Serenissimo Governo di San Marco, pur avendo stipulato un contratto si pace con il sultano è continuamente costretto a difendere il porto della città per salvaguardare il suo traffico commerciate. Io, despota della città, non riesco più a tenere a bada il partito dei bottegai e piccoli commercianti, perché non hanno la possibilità di sfamare le proprie famiglie. Le casse dei principato sono vuote, perché non sono più alimentate dai proventi commerciali. La situazione è drammatica e sono venuto a chiedere aiuto a mio fratello per sostenere il governo della città ".
"Anch'io sono qui - interviene prontamente Teodoro II - ­per sostenere il governo della Morea. L'esercito del sultano, attraverso l'Istmo di Corinto, cerca di penetrare nel mio despotato e conquistare tutta la regione. Le fiorenti città dell'Attica non mandano più i loro manufatti perché tutto il flusso commerciale, proveniente dalla Beozia e dalla Tessaglia, è stato bloccato o dirottato verso i mercati controllati dagli Ottomani. La mia corte è mantenuta con il commercio sostenuto dai mercanti veneziani che difendono le rotte commerciali verso la capitale dell'impero e verso le città dell'Occidente.
Molti principi e signori latini sono interessati al centro culturale, sostenuto dai dotti dell'impero che si sono rifugiati presso la mia corte. Mia moglie Cleofe mi spinge a proteggere e ad accogliere tutti i dotti dell'impero e a promuovere ogni espressione artistica. Grandi monumenti ed opere d'arte abbelliscono la città di Mistrà, centro politico e commerciale del mio piccolo principato.
Le minacce ottomane assorbono la maggior parte dei proventi del mio piccolo stato servono per pagare i soldati e per ottenere la protezione delle galee che inalberano il Leone di San Marco. La salvezza del mio governatorato dipende dalla sopravvivenza del centro commerciale della capitale dell'impero. Le famiglie aristocratiche della Morea mandano i loro figli a combattere sulle mura di questa città. Il loro sacrificio è il pegno della devozione al basileus che ha speso tante energie per proteggere il despotato. I giovani guerrieri, eredi del valore degli antichi Spartani, preferiscono morire in questa città, per difendere le sue porte.
Costantinopoli è l'ultimo baluardo che custodisce la storia e la cultura greco-latina. Se la città viene conquistata dai guerrieri che provengono dall'Est, tutta l'antica cultura dei loro padri viene abbattuta e su di essa nascerà un altro modo di vivere e di vedere il mondo. I principi latini che sono cresciuti secondo il pensiero e le leggi dei nostri saggi non avvertono l’importanza di questa città. Mio padre ha cercato di stipulare patti di sangue con i signori dell'Occidente, favorendo il mio matrimonio con una donna latina. Anche mio fratello ha sposato una donna del Monferrato per portare nuova linfa e nuovo vigore.La salvezza della Nuova Roma può venire solo dal luogo dove nacque il diritto dell'uomo di essere libero. Dalla capitale dell'antico impero dei Romani può venire l'aiuto che il basileus e suo padre hanno sempre invocato. Il papa Martino V è figlio di quella antica città che custodisce la fonte della libertà a cui aspira ogni persona per progredire e per acquisire un vero benessere. La mia devozione al sua augusta persona è continuamente proclamata con la richiesta di aiuti concreti per sostenere la casa dei Paleologi".
"Anche la Serenissima Repubblica - esclama il bailo - avverte la necessità di arginare l'avanzata inarrestabile dei guerrieri ottomani. Il loro valore e la loro intelligenza rende vani tanti sforzi per combattere il loro poderoso esercito che abbatte ogni difesa. L'unica arma per combatterli è la mediazione e la capacità di convincerli a favorire il commercio che porta ogni beneficio ed è la fonte vera della ricchezza. I giovani sultani fanno fatica a capire la necessità di tenere aperte le vie commerciali. Molte volte devo avvalermi dell'aiuto dei saggi mercanti ottomani, al fine di ottenere dei salvacondotti o dei permessi speciali per fare circolare le merci sotto lo stendardo del Leone alato di San Marco.
La colonia turca di questa città è piena di ricchi mercanti che desiderano soltanto commerciare. Tra di loro spesso nascono accese discussioni, per trovare una soluzione al conflitto che impedisce alla città di tenere aperte le. porte delle mura terrestri e far transitare le merci destinate ai mercati. Il. loro governatore, ricco mercante che in varie occasioni dell'anno mi invita a gustare ì succulenti cibi turchi, mi accompagna spesso presso il governo imperiale di Adrianopoli per perorare la causa commerciale. La sua intercessione ha sempre avuto buoni frutti quando il basileus favoriva le istanze presso il governo ottomano. Il giovane sultano Murad II si sente ostacolato nella sua azione imperiale e vorrebbe vedere prove tangibili di amicizia da parte della casa paleolaga”.
"Mio padre - interviene il coimperatore - mi consiglia dì non intromettermi nelle faccende familiari della casa imperiale di Adrianopoli. Come posso rimanere insensibile alle richieste di soccorso che mi provengono dai principi e alle loro attestazioni di amicizia? Anch'io sono giovane e mi sento di aiutare chi mi chiede ospitalità e mi promette di essere amico di tutti gli abitanti di questa città. La mia dimora è sempre aperta a chi bussa per essere aiutato, anche se ci sono dei rischi da non sottovalutare. Il futuro mi è sconosciuto e nel presente vedo soltanto gli occhi di chi mi chiede aiuto”.
Il nocciolo della questione - dice il principe ottomano - non è l'ospitalità concessa alla mia persona ma il potere dell'imperatore che non può essere diviso tra due persone perché spetta solo al più forte. Le usanze del mio popolo si basano ancora sulle leggi della natura dove chi ha più forza domina gli altri ed è padrone di tutto. La supremazia del più forte crea l'ordine secondo natura che dà vita ad una gerarchia subordinata. Ognuno riceve dall'alto un potere secondo la volontà di chi lo precede nella gerarchia. Al sultano spetta tutto e lui decide a chi concedere onore e potere. L'esercito è alle sue dirette dipendenze e lo segue nella sua azione di potere. Chi ottempera ai suoi desideri può vivere e prosperare perché è suo amico, mentre chi lo ostacola viene eliminato o fatto schiavo, perché impedisce al potere di avere il suo corso naturale.
Il basileus non ha un esercito in grado di contrastare il sultano ma si nasconde dietro delle mura di pietre e di mattoni. Le porte chiuse della città lo irritano perché l'imperatore dei Romani non apprezza la sua amicizia e non vuole vivere in pace. La resistenza al sultano e lo spargimento di sangue dei suoi amici diventano il presupposto per la schiavitù e la strage. Questa città è al centro delle sue conquiste e deve diventare una sua proprietà. La questione della cultura, ritenuta essenziale per ostacolare il dominio dell'imperatore turco, è soltanto una opposizione che pregiudica la sua offerta di pace in cambio di una semplice imposta. Il rifiuto della sua amicizia in nome di una cultura, ritenuta condivisione di usanze e costumi di comunità, crea un continuo stato di incomprensione e di guerra".
"Le tue idee sono apprezzabili - sostiene ser Benedetto - ­ma non tengono conto che lo spirito dell'uomo aspira alla libertà, cioè alla possibilità di poter decidere non solo secondo ragione ma anche secondo i sentimenti che nascono dal profondo del cuore. Le cose della natura hanno le proprie leggi che permettono uno sviluppo secondo un ordine già prestabilito, L'uomo, oltre al corpo che segue la legge naturale, avverte in sé uno spirito di libertà che è ricerca di progredire secondo la propria volontà interiore. La scelta autonoma di un modo di vivere non può essere imposta da chi si ritiene il più forte perché cadrebbe il presupposto della scelta individuale di libertà. L'amicizia imposta con la forza non è condivisione di arricchimento reciproco ma un ricatto, perché costringe l'interlocutore ad accettare una interazione che non corrisponde al suo desiderio.
L'imperatore e suo figlio Giovanni non vogliono cedere la città al dominio del sultano perché ritengono di essere gli eredi degli imperatori che per più di un millennio hanno governato questa capitale. Questo dominio ritenuto da loro sacro, cioè ottenuto secondo una Volontà che si è manifestata al popolo per tanti secoli, non può essere ceduto secondo una richiesta di amicizia che è la semplice espressione di una volontà basata sulla forza fisica. Nella cultura dei Romani, la forza dello spirito dell'uomo è ritenuta più grande di quella che proviene da un esercito. Tanti eserciti si sono scagliati contro le mura terrestri della città e questo ricordo rafforza lo spirito dei suoi abitanti a resistere e a sperare in un futuro migliore".
"L'amicizia e l'ospitalità ricevuta - afferma il principe ottomano - sono per me motivo per augurare al Signore di questa città e ai suoi discendenti i poter regnare per salvaguardare questo grande centro commerciale, dove ogni uomo può liberamente scambiare la propria mercanzia. L'appartenenza al popolo turco non mi impedisce di essere amico e di manifestare la mia riconoscenza e la mia solidarietà. La cultura di questa città non è lontana da quella che mi hanno trasmesso î miei precettori. Alla stessa sorgente attingono gli uomini provenienti dai vari punti della Terra ed ognuno ha il recipiente che gli è stato assegnato. Tutto ciò che è stato rivelato e trasmesso ci porta a condividere i valori più profondi e a comprendere le passioni che scaturiscono dalla nostra umanità. Il desiderio del potere assoluto scaturisce dalla natura fisica dell'uomo che è simile a tutti gli esseri viventi. Nella vita ognuno lotta secondo la vitalità interna della propria specie. Il basileus ha tutte le ragioni per opporsi a chi insidia la sua supremazia, ma deve avere anche la linfa vitale della forza fisica per farle valere. Anch'io ho le mie ragioni per pretendere il posto del sultano e devo fare affidamento sulla forza dei miei sostenitori per diventare imperatore".
"Le tue motivazioni sono comprensibili - sostiene ser Benedetto - ma le istituzioni delle comunità cercano tutti i mezzi per impedire l'emergere di passioni individuali. L'emergere di forze che possono ledere l'equilibrio che permette a tanti uomini, uniti dagli stessi ideali, di vivere secondo un benessere comune, è combattuto secondo le leggi delle città. Le energie giovanili dovrebbero essere incanalate ad alimentare le forze di coesione di un popolo e non a disgregare le comunità. Le tue aspirazioni scaturiscono da natali regali ma dovrebbero avere delle fondamenta solide, fatte di legittimità e di motivazioni concrete, scaturite dalle necessità di tutto il tuo popolo.
Il Serenissimo Governo di San Marco è molto preoccupata per le lotte tra i principi della casa imperiale ottomana, perché coinvolgono il basileus e i despotati dei suoi figli. Il commercio di questa città è ostacolato dai provvedimenti di sicurezza lungo le mura terrestri e dalle deviazioni di carovane lungo le vie commerciali dell'Anatolia. Le famiglie dei piccoli artigiani e delle piccole botteghe risentono delle continue interruzioni nel flusso dei rifornimenti. L'aumento delle tasse e delle imposte, per far fronte agli assedi dei guerrieri ottomani, sta eliminando il piccolo commercio interno".
"Apprezzo le considerazioni e le preoccupazioni del nobile Benedetto - afferma il coimperatore - ma il principe Mustafà ha i suoi diritti da far valere e a me non dispiace essere amico di chi sa essere riconoscente. Si tratta di favorire l'ascesa di un amico al trono imperiale ottomano. La riuscita dell'impresa va a vantaggio della città".
Il Grande Cerimoniere fa suonare le dodici trombe d'oro ed impone il silenzio nella grande basilica. Giovanni VIII si alza dal suo divano e si dirige verso il grande trono, rivestito d'oro, collocato sopra una piattaforma, a pochi metri dalla tavola imperiale. Un grande sipario di seta purpurea viene alzato per nascondere il movimento dei coimperatore. L'organo della basilica diffonde un soave musica di attesa. Gli eunuchi fanno apparire il futuro imperatore sul trono con al fianco la sua giovane consorte. La coppia imperiale si eleva su tutti e riceve le acclamazioni di rito pronunciate dai grandi dignitari imperiali: «Gloria al basileus». Il momento più atteso dell'anno è vissuto con trepidazione dagli aristocratici.
L'imperatore toglie l'anello d'oro dalla pergamena e legge i nomi dei grandi funzionari a cui affida la gestione dei monopoli dell'impero.
Il primo ministro, il Grande Logoteta, chiama gli aristocratici designati: "Foinicantros, arconte del monopolio della seta e delle manifatture di porpora, rendi omaggio al basileus e dimostri la sua riconoscenza".L'aristocratico, coperto di vesti di seta con grandi frange d'orate e con una grossa collana al collo, avanza nella sala seguito da sei uomini che portano tre forzieri d'argento. La gratitudine per il beneficio concesso è dimostrata con un dono all'erario. imperiale in oro, argento e pietre preziose, diviso in tre casse. Il funzionario si prostra davanti al trono imperiale ed esclama: "Lunga vita al basileus ".
Foinicantros, diventa l'uomo più importante della città perché è il responsabile di tutte le industrie della seta presenti nel territorio urbano. Tutto il commercio della seta è sottoposto ad un rigido controllo, Le quantità che entrano ed escono dalla città devono bilanciare la produzione interna della seta grezza, la produzione dei tessuti pregiati di seta e la loro tintura. Al monopolio è strettamente legata la produzione delle manifatture di porpora, destinate ai re, ai principi ed ai grandi dignitari dell'impero e dei regni stranieri. Ogni pezza di porpora, per uscire dalla città deve essere registrata secondo il regolamento del Prefetto. I mercanti sono tenuti a comprare tutte la seta prodotta dall'industria locale e provvedere alla sua commercializzazione. La mancanza di rispetto dei regolamento è severamente punita dall'arconte preposto alla giurisdizione del commercio.
Gli altri beneficiari delle concessioni imperiali sono gli aristocratici Xrusantros per la Zecca imperiale, Timemantros per la riscossione delle imposte commerciali, Tamiantros per la gestione delle spese militari e Teicantros per le costruzioni pubbliche e private. Ognuno dimostra la sua riconoscenza con il pagamento pubblico e anticipato del beneficio ricevuto. I grandi beneficiari sono gli uomini più acclamati e più invidiati perché diventeranno i più ricchi della città.

martedì 8 giugno 2010

MERCANTI VENEZIANI A COSTANTINOPOLI Cap. XX

Capitolo ventesimo
I consiglieri del bailo

Il rito mattutino della Santa Messa è appena terminato nella chiesa della colonia veneziana di Costantinopoli. Il bailo, Ser Benedetto Emo, accompagnato dal segretario Francesco Filelfo e dai membri del Consiglio Maggiore, prende posto nella sala delle riunioni, allestita nel primo edificio della via dei laboratori e dei negozi, affiancata da un doppio porticato con colonne, che unisce il rione di San Marco alla strada imperiale della Mesè.
L’organo di governo e di amministrazione dei mercanti e dei residenti veneziani si unisce per fronteggiare gli attacchi delle imbarcazioni ottomane che non rispettano gli accordi di pace, stipulati nel 1421 tra Venezia e il sultano Maometto I, per la vittoria delle galee di San Marco a Gallipoli.
Il nuovo sultano Murad II, per fronteggiare la ribellione del fratello minore Mustafà, ostacola il traffico marittimo lungo le coste occidentali del Ponto Eusino. Le galee veneziane, che trasportano mercanzie e quantitativi di argento per gli emiri e i signori delle terre dei Moldavi e dei Bulgari, vengono abbordate da pirati e corsari turchi.
L’imperatore ottomano da più di un anno cerca di consolidare il suo potere e deve far fronte ai vari pretendenti della sua famiglia che vogliono dividere il dominio in due governi distinti: quello di Occidente, con capitale Adrianopoli nella Tracia, e quello di Oriente, con capitale Brussa nell’Anatolia.
I governatori e i pascià turchi dei Balcani e della Moldavia parteggiano per il principe Mustafà che promette terre e città in cambio di milizie disposte a combattere l’esercito del legittimo successore del defunto Maometto I.
Il coimperatore Giovanni Paleologo si schiera con il giovane pretendente ottomano, disposto a restituire la città di Gallipoli e le altre terre conquistate sulla sponda occidentale dei Dardanelli, per consentire a Costantinopoli di beneficiare in piena libertà della sua attività commerciale e di ricevere nel suo porto anche le navi che non dispongono di scorte e di armati pronti a difendere la merce trasportata.
Le continue guerre di espansione dei sultani e le lotte fratricide tra i membri della stessa famiglia imperiale turca hanno portato scompiglio nel mare, solcato dalle innumerevoli imbarcazioni commerciali che portano i prodotti dalle terre del Nord, lungo i fiumi che si gettano nel Mare Eusino. Le loro foci pullulano di mercanti occidentali che hanno creato nuove colonie e zone portuali per lo scambio delle merci che provengono dalla Cina e dalle terre dei Lituani e dei Russi. Oro, grano, spezie, pellicce, cera, riempiono i magazzini di Caffa e della Tana.
I guerrieri ottomani hanno spazzato via la “Pace mongola" , instaurata negli ultimi secoli dai discendenti di Gengis Khan, e sono subentrati alle scorribande distruttrici delle orde di Tamerlano.
Il commercio degli schiavi dei Mongoli dell’Orda D’Oro, imbarcati nei porti del Mar d’Azof, è interrotto per gli abbordaggi dei pirati turchi. Il sultano dei Mamelucchi d’Egitto utilizza l’influenza del califfo abbaside, ospitato dopo la distruzione di Bagdad nelle terre dell’antico faraone, per convincere il Gran Vizir di Adrianopoli a non ostacolare il transito dei fanciulli e delle fanciulle che vengono venduti nei mercati dell’Anatolia e dell’Africa.
Il trasporto del grano lungo le coste della Dobrugia richiede la protezione delle galee armate per il combattimento. I costi degli approvvigionamenti delle derrate provenienti dal Nord favoriscono soltanto gli interessi dei mercanti stranieri in grado di armare galee cariche di balestrieri e di uomini abili al combattimento con lancia e spada.
Il console veneziano alla Tana non riesce a contenere le proteste delle famiglie aristocratiche stanziali ed invia al bailo di Costantinopoli un resoconto dettagliato delle perdite subite dagli uomini d’affari. Ser Benedetto Emo, che è stato per alcuni anni residente nella colonia, sorta nel territorio dell’Orda d’Oro alle foci del Tanais, conosce bene l’importanza di quel mercato ed è tenuto a seguire le raccomandazioni dei senatori della Serenissima.
Banchieri e notai della nobiltà veneziana sono impegnati nel lucroso commercio con Russi, Lituani e Mongoli del Khanato che controllano il flusso della seta e dell’oro.
La piazza della colonia del Nord è percorsa da Tatari, Armeni, Greci, Genovesi e Fiorentini. Tutti intrattengono relazioni con i commissionari veneziani, rappresentanti delle nobili famiglie della Repubblica di San Marco. Le stanze dei notai sono piene di mercanti che attendono la consegna delle carte ufficiali per le transazioni commerciali, necessarie per i noli delle navi e per la sicurezza del trasporto delle mercanzie.
Il banchiere ser Francesco è invitato dal bailo ad esprimere il suo pensiero.
“Mio fratello ser Giacomo – dice l’aristocratico veneziano – mi ha inviato una lettera in cui elenca in modo dettagliato i pericoli della navigazione nel Mare Eusino. La sua dimora è situata sulla piazza della Tana e da molti anni vi tiene un banco frequentato non solo dai nostri mercanti ma anche da genovesi e uomini d’affari di altre nazionalità. Anche lui è consigliere del governatore veneziano dell’insediamento commerciale. Egli è amico di molti funzionari del Khan tartaro dell’Orda d’Oro che favoriscono ottime transazioni commerciali con i capi dei clan che governano il territorio solcato dal fiume Tanais”.
“Ser Francesco, questo consiglio – afferma ser Antonio – è ansioso di conoscere le azioni piratesche compiute dalle imbarcazioni ottomane lungo la rotta commerciale del Mar del Ponto occidentale, percorso dalle nostre galee e dalle navi che riforniscono questo mercato. Tutti conosciamo l’onore e le grandi disponibilità finanziarie di Ser Giacomo.
Alcuni intermediari romei di lingua greca, interessati al rifornimento di grano, pellicce e di cera, sono allarmati perché da alcuni mesi non riescono più a trarre un giusto guadagno per le loro famiglie. Le imbarcazioni non protette, cariche di merci, provenienti da Soldaia e da Caffa, vengono abbordate dai pirati con il turbante. Gli equipaggi e i rematori vengono fatti prigionieri e venduti nei mercati saraceni.
I guerrieri turchi lasciano passare soltanto le galee di Pera, dove il podestà è sempre disponibile per il trasporto tra le sponde dei Dardanelli delle milizie dei pascià, fedeli al sultano di Adrianopoli. I mercanti genovesi ottengono dei noli inferiori a quelli richiesti dalla nostra amministrazione e possono garantire un trasporto delle merci più a buon mercato.
Lo stendardo di San Marco è rispettato soltanto quando sui ponti delle nostre navi appaiono i balestrieri e gli uomini armati pronti a respingere qualsiasi abbordaggio. Le leggi marittime non vengono rispettate dai capitani dell’Asia che si sono sottomessi ai giovani emiri, ansiosi di ottenere regalie e benefici, promessi da Murad II per ogni nave catturata. I sultani non riconoscono i trattati dei predecessori e alzano la posta del loro balzello in bisanti d’oro sonanti e in lingotti d’argento”.
“I tributi imposti dai nuovi imperatori turchi – sostiene il ricco mercante ser Domenico – possono essere pagati con l’innalzamento dei prezzi delle vendite delle seterie pregiate e dei manufatti di lusso. I nostri clienti, disponibili a pagare sempre le vesti ricamate con filo d’oro e d’argento, offrono qualsiasi cifra richiesta. Noi vendiamo merci che hanno un grande valore e sono a disposizione delle donne e degli uomini aristocratici dell’Impero dei Paleologi. Non ci interessa la provenienza delle loro ricchezze, ma soltanto il pagamento giusto per l’offerta di prodotti che vengono da lontano e richiedono un prezzo rispondente alla loro manifattura e al loro trasporto”.
“Non basta innalzare i prezzi di vendita – dice ser Giacomo, venditore all’ingrosso di stoffe dell’Occidente ed acquirente delle spezie e delle pietre preziose che provengono dall’India – ma bisogna tener conto anche della concorrenza nei mercati della Lombardia e della Toscana. Questa città è soltanto un transito per i traffici diretti a Rialto e ad Alessandria. La concorrenza straniera va affrontata per non disaffezionare i nostri clienti che ci permettono di mantenere le nostre famiglie. La lotta tra il sultano e suo fratello non deve toglierci la preminenza sugli altri mercanti e la fiducia ben riposta in noi da parte degli intermediari di lingua greca.
Lo stendardo del Leone alato può proteggere anche le imbarcazioni commerciali che trasportano le vettovaglie e le materie necessarie ai laboratori degli artigiani di questa città. Si tratta di organizzare dei convogli protetti dalle nostre galee armate. Si deve far conoscere al Gran Logoteta i giorni più favorevoli per la sicurezza delle imbarcazioni che non dispongono di rematori, addestrati a tenere il ritmo di voga delle navi costruite nell’Arsenale della nostra Repubblica”.
"Il problema dei pirati – afferma il nobile ser Filippo che ha la sua dimora nel quartiere delle Blacherne – non riguarda soltanto le imbarcazioni provenienti dai territori del Khan dell’Orda d’Oro, ma anche le navi che giungono da Trebisonda, cariche di merci che provengono da Ormuz e dalla lontana Cina.
Le navi dei corsari partono dalle coste della Bitinia e della Paflagonia, conquistate dagli Ottomani di Brussa. Gli emiri dell’Anatolia, sottomessi al sultano, armano imbarcazioni con saraceni e marinai che un tempo appartenevano alle marinerie delle città costiere, convertite alle usanze dei nuovi padroni turchi. Le isole del Mar Egeo e le coste dell’Asia Minore sono sottoposte ai continui sbarchi e alle devastazioni di questi predoni del mare. I loro capitani fanno a gara per razziare e per depredate gli agglomerati urbani costieri.
Il terrore regna dove la cupidigia e la prevaricazione dei miliziani ottomani non sono più arginate dai duchi fedeli al basileus. Le terre rimangono incolte e il deserto avanza. I contadini e i proprietari di piccoli appezzamenti di terreno vengono fatti schiavi e venduti lontano dalle loro dimore e dai loro affetti più cari.
Durante il mio ultimo viaggio a Trebisonda, la galea, con le stive piene di mercanzie e di sacchetti pieni di oro e argento, è stata attaccata dai pirati che intendevano impossessarsi del carico e fare schiavi i mercanti, per ottenere un riscatto dai loro parenti. La loro provenienza è nota a tutti coloro che percorrono le coste del Ponto Eusino lungo la rotta commerciale, illuminata dal grande faro di Trebisonda.
L’esperienza di ser Giovanni, capitano della nave, la bravura dei rematori e il coraggio dei balestrieri sono stati indispensabili per sconfiggere i predoni del mare”.
“I pirati che ostacolano la navigazione – dice ser Ludovico, camerlengo del bailo - hanno ridotto gli introiti derivanti dalle tasse e dai noli delle aste delle navi da carico a vela, adibite al grande trasporto delle vettovaglie. Il porto del Corno d’Oro è pieno di navi che non possono uscire. I loro equipaggi hanno paura di essere abbordati fuori dal Bosforo”.
“Questo è vero – sostiene il banchiere ser Francesco – ma in compenso sono aumentate le richieste di rematori e sono aumentate le loro paghe. Ho apposto il mio nome su molte lettere di cambio per la costruzione di galee più grandi in grado di imbarcare non solo più merci ma anche un congruo numero di rematori e di balestrieri per la difesa del carico e della vita dei naviganti.
Si riduce il numero delle imbarcazioni ma si armano galee più idonee per il trasferimento delle merci e il movimento dei capitali. Gli introiti aumentano con navi più veloci che permettono un numero magiore di viaggi. L'aumento di naviganti, che si spostano con rapidità da un porto a un altro, consente maggiore flessibilità e diversificazione dei prodotti necessari alle esigenze individuali.
I costi della sicurezza si trasformano in maggiori entrate per gli investitori e per gli uffici doganali. Navi più sicure con guerrieri e rematori ci permettono di lasciare un maggiore numero carte di credito per i nobili che vogliono spostarsi per commerciare o per trasferirsi in Occidente, dove i regnanti e le signorie locali non sono assillati dalle invasioni ottomane.
Le filiali dei nostri banchi registrano un aumento di aristocratici che vogliono recarsi a Venezia e a Firenze per una sistemazione più sicura e per un avvenire più certo per i loro figli. Molti mercanti ci chiedono il risarcimento delle loro merci e anche il pagamento dei riscatti in caso di abbordaggio piratesco. I notai sono pronti a redigere qualsiasi contratto di assicurazione per i carichi e per la vita stessa degli uomini e delle donne trasportate”.
“Il nocciolo del problema - dice ser Antonio – è quello di contrastare l’azione dei pirati con navi veloci, protette da balestrieri e vogatori in grado di difendersi e di combattere”.
“L’origine degli atti corsari – afferma il bailo - è il sultano Murad II che vuol far pagare ai Paleologi la loro politica di contrasto a un grande impero ottomano. La scelta di favorire altri pretendenti al sultanato di Adrianopoli suscita le ire del legittimo sovrano turco che non vuol condividere il suo potere con gli altri membri della sua famiglia. I capi delle tribù otomane hanno designato il primogenito del defunto Maometto I a succedere al padre. Le mire degli altri pretendenti suscitano soltanto delle guerre a danno di Costantinopoli.
Lo zio Mustafà ha cercato più volte di impadronirsi del trono con promesse al basileus e ai pascià della Tracia e della Macedonia ed è stato sconfitto. La sua eliminazione non ha rasserenato gli animi ma è stato motivo di un sanguinoso assedio a questa città e l’ascesa di un altro pretendente, appoggiato dal coimperatore Giovanni VIII.
Da una parte c’è il fratello più giovane del sultano che vuole per sé il governo delle regioni occidentali e dall’altra parte c’è il legittimo imperatore che reclama il diritto assoluto di dominare tutti i territori conquistati dai suoi avi. Tra i due contendenti c’è la sopravvivenza di questa città e del suo mercato, fonte di ricchezza per Venezia.
Le mire dei Paleologi sono quelle di fomentare la discordia nel campo avversario per arginare lo strapotere ottomano e separare l’esercito dei guerrieri turchi che hanno invaso i territori dei Bulgari e degli Slavi.
In questa contesa c’è l’aumento dei pericoli per la navigazione e per la movimentazione delle merci lungo le rotte marine. La nostra Repubblica deve fronteggiare questi ostacoli, mantenendosi neutrale e dimostrando di essere in grado di difendersi in modo autonomo ed efficace contro coloro che non rispettano i trattati e le regole della navigazione.
La Serenissima non si schiera apertamente contro l’aggressione delle milizie del sultano ma non può lasciare indifesa questa città e i suoi governanti, perché non può far a meno di difendere questo emporio dove affluiscono da secoli tutte le ricchezze che hanno reso grande la nostra patria.
Gli interessi della Serenissima sono prettamente commerciali e bisogna difendere i Paleologi anche se la loro politica non è condivisa dai nostri senatori. Venezia si identifica in Costantinopoli e condivide ogni azione intesa a mantenere la sua sopravvivenza.
Questa città è per noi una seconda patria, come ci hanno indicato i nostri padri e come noi la additiamo ai nostri figli, perché da essa sono stati tramandati il diritto romano e la cultura della Santa Sapienza.
A noi non interessano le finezze dei filosofi ma ci lega alla città la nostra fede e il credo degli antichi Padri che nei Sacri concili sanzionarono le parole da proferire come espressione delle nostre anime. Per noi è sacra l’autorità del successore dell’apostolo Pietro e riconosciamo giusto l’imperium del basileus come fonte del diritto che consente a tutti di commerciare in libertà, secondo regole riconosciute da tutti i popoli.
Il Senato dei Veneziani è pronto a farsi mediatore pur di salvaguardare la libera circolazione delle merci”.
“Il guerriero ottomano – afferma ser Filippo – riconosce soltanto la forza della spada e l’obbedienza al sultano, padrone di tutti i territori conquistati e signore in grado di decidere della vita e della morte di tutti i sudditi.
Nella reggia delle Blacherne viene invitato con tutti gli onori e viene riservato un posto d’onore, alla destra del basileus, a un giovane turco della casa imperiale ottomana che auspica l’avvento del dominio della sua gente su tutti i popoli. Il suo desiderio è quello di imporre anche all’Occidente un nuovo diritto che trae i suoi fondamenti dalle antiche usanze dei popoli nomadi delle steppe asiatiche.
Dopo i Mongoli arrivano questi nuovi Turchi che dichiarano di possedere una nuova cultura che racchiude quella di tutti i grandi imperi della storia. I nuovi conquistatori vogliono spazzare via tutte le leggi vigenti e soprattutto il testimone della loro validità che è l’imperatore di Costantinopoli. Il venerabile governante legittima e rende attuabile l’unico mercato in cui tutti gli uomini si sentono liberi di poter esprimere le loro capacità commerciali e imprenditoriali. All’imperatore dei Romei si vuole sostituire il sultano turco che vuole impadronirsi del mercato della città per diventare il nuovo signore di tutte le merci che si scambiano tra l’Occidente e l’Oriente.
Perché il coimperatore Giovanni VIII Paleologo sostiene questo nuovo pretendente al sultanato di Adrianopoli? I suoi propositi di conquista e di sottomissione sono noti a tutti gli aristocratici di lingua greca. L’ostensione della sua superbia è manifesta a tutti i commensali dei banchetti imperiali. Al giovane guerriero non interessa il commercio ma solo l’arroganza del potere che permette di dominare su tutti gli uomini”.
“Anch’io ho ascoltato le parole del fratello del sultano – dice il bailo – durante un banchetto in onore del despota Teodoro II. Il mio segretario Francesco Filelfo è stato testimone attento del pensiero di un giovane guerriero che conosce soltanto la forza delle armi come mezzo per sottomettere i più deboli e rendere schiavi coloro che non accettano il dominio ottomano.
Venezia ha la supremazia sui mari ed è in grado di difendere i porti dell’Egeo, gli stretti dei Dardanelli e del Bosforo. Le rotte del Mare Eusino possono diventare sicure con una maggiore organizzazione del movimento delle navi. Si tratta di procedere con piccoli convogli, scortati da galee veloci in grado di muoversi con qualsiasi tipo di vento e di fronteggiare le sorprese dei predoni del mare”.
“Il mercato della città è grande – afferma ser Domenico – e le galee sottili spinte da vogatori esperti non son sufficienti a garantire l’approvvigionamento delle derrate e il rifornimento di tutti i magazzini. Ser Francesco sostiene che è pronto a firmare tante carte di credito per la costruzione di altre galee e fronteggiare il pericolo degli abbordaggi. Si tratta di reperire i fondi per garantire i banchi e pagare i maestri d’ascia per l'approntamento di nuove imbarcazioni. Soltanto l’Arsenale della Serenissima dispone di uomini capaci di costruire in tempi rapidi delle galee solide e veloci.
In attesa delle nuove navi da guerra, occorre utilizzare la flotta disponibile e predisporre le unità a imbarcare più uomini armati con balestre. Tutti i rematori devono avere in dotazione elmetti per proteggersi dai dardi dei predoni del mare ed avere scudi sulle fiancate.
Il nostro commercio non può subire interruzioni perché potremmo essere sostituiti da mercanti stranieri più docili alle intenzioni dei turchi e disposti ad ogni compromesso, pur di lucrare a spese degli onesti, cioè a danno di coloro che vogliono far rispettare le regole della compravendita dei prodotti e dei manufatti che provengono da terre lontane”.
“Molti aristocratici di questa città – sostiene ser Filippo – posseggono ingenti fortune. La fonte della loro ricchezza nasce da un rapporto di mutuo sostegno che si è instaurato tra i mercanti ottomani, insediati in questa città, e i vecchi arconti.
Oikantropos, capo del Partito degli aristocratici che un tempo gestivano immensi latifondi imperiali, ha di recente collaudato una nave per inviare i suoi commissionari nei porti degli emirati turchi.
Anch’io sono diventato suo rappresentante in un recente viaggio a Trebisonda per l’acquisto di pietre preziose provenienti dall’India. L’arconte più influente del senato del basileus non tiene conto delle antiche usanze imperiali che impediscono ancora il commercio ai nobili della corte. I suoi agenti si recano nelle città conquistate di recente dal sultano e comprano tutto le merci che i razziatori hanno accumulato nelle loro azioni di guerra.
Si tratta di prede belliche svendute nei mercati occasionali delle nuove città turche e acquistate da mercanti compiacenti che non tengono conto della loro provenienza. Tra le cose svendute ci sono anche le schiave stimate ad un prezzo inferiore all’acquisto di un cavallo.
I capi dei guerrieri ottomani cedono ben volentieri il loro bottino in cambio di cavalli e armature luccicanti. Le case lussuose dei vecchi proprietari vengono svuotate per essere riempite con nuovi mobili ed abbellite con simboli arabi e turchi. Artigiani del legno, muratori e scalpellini vengono ingaggiati dai pascià per costruire nuove dimore con cupole dorate. Gi intermediari edili greci fanno affari d’oro con i nuovi padroni.
Il degano dei vecchi arconti è onorato tra i mercanti turchi che si avvalgono di lui per ottenere lettere di credito firmate dai banchieri di lingua greca. I guadagni e i profitti, ottenuti al di fuori delle regole del Prefetto, permettono al ricco senatore dell’Impero romano d’Oriente di avere una ricca dimora piena di eunuchi, servi e domestici. I popolani del quartiere di Sant’Eufemia si rivolgono ai rappresentanti del culto per farli assumere come lavoranti giornalieri nella grande villa del senatore più influente dell'Impero romano d'Oriente.
Il prestigio e l’amicizia con i ricchi mercanti turchi consentono al capo degli aristocratici moderati di farsi portavoce di un grande partito, contrario all’azione del coimperatore. Giovanni VIII Paleologo impone il rispetto delle regole nelle attività commerciali dei sudditi e favorisce la ribellione del principe Mustafà, fratello giovane del sultano”.
“Le carte di credito rilasciate dai banchieri greci – dice ser Francesco – trovano giustificazione perché sono garantite da depositi di oro e argento custoditi nei loro forzieri. Il metallo è rifornito dai miei tesorieri e anche da altri mercanti che tengono un banco riconosciuto dal Gran Logoteta del basileus.
Tutto il flusso dell’oro e dell’argento che circola nel Mar Mediterraneo passa ancora per Costantinopoli. Una percentuale rilevante è sotto la sorveglianza di banchieri dell’Occidente. Venezia è a conoscenza del movimento dei metalli preziosi e riesce a ottenere un giusto ricavato in percentuale dalla loro fusione e dal cambi delle valute straniere.
I ducati d’oro e i grossi d’argento veneziani sono garanzia per tutte le transazioni commerciali della città. Anche i mercanti ottomani utilizzano le nostre monete e le nostre carte di credito per il grande commercio.
L’amministrazione del sultano di Adrianopoli e gli emiri delle città turche dell’Asia Minore hanno bisogno di attingere all’emporio di questa città per armare e vestire i loro guerrieri. I palazzi degli emiri e dei pascià ottomani vengono costruiti con la manodopera specializzata proveniente da questa città che per secoli ha custodito e tramandato i segreti della conoscenza per le grandi opere dell’uomo. I materiali arrivano ai luoghi, prescelti dai nuovi signori turchi, grazie al flusso dei rifornimenti di materie prime trasportate dai mercanti di terra e di mare”.
“Il basileus di Costantinopoli – afferma il bailo - anche se non è più il padrone di tutto l’oro e l’argento, che permettono di acquistare e trasportare le merci, è oggi il perno della bilancia commerciale dell’Occidente e dell’Oriente. La sua autorità è sacra perché è l’unica sorgente del Diritto e delle leggi che permettono la vita e le relazioni tra i popoli nel Mediterraneo.
La grandezza di Venezia deriva dall’osservanza di queste leggi e il Senato della Serenissima avverte l’importanza della figura dell’imperatore. La sua sostituzione con il sultano degli Ottomani sarebbe una catastrofe perché il grande emiro turco imporrebbe la legge del conquistatore, per la quale tutto appartiene al più forte.
Il Diritto romano e il riconoscimento della libertà di ogni uomo verrebbero spazzati via. La facoltà di poter vivere secondo le norme delle relazioni che permettono di progredire nel bene della comunità a cui ognuno appartiene verrebbe annullata. Nessuno potrebbe acquisire il giusto beneficio per sé e la sua famiglia. Tutti diventeremmo schiavi di un unico padrone”.
“Ser Benedetto, conosciamo tutti – dice ser Matteo, rappresentante dei drappieri – il pericolo sovrastante per la guerra scatenata dall’azione radicale di Giovanni VIII e dei baroni favorevoli al suo atteggiamento di sfida nei confronti del sultano. L’appoggio dato al giovane Mustafà rientra negli interessi dei Paleologi ma ci preme avere anche dalla nostra parte i ricchi acquirenti turchi ed essere amici di tutti i commercianti della città.
Molti arconti mantengono un atteggiamento moderato e sono favorevoli a conservare buone relazioni con tutti i mercanti della città per il ripristino degli accordi che permettono di navigare lungo le coste della Romània, senza essere ostacolati dai blocchi delle navi ottomane fuori dai porti.
L’insediamento di ricchi Ottomani, provenienti dall’Asia Minore, nel contesto commerciale del Corno d’Oro, facilita la nascita di rapporti amichevoli. Iperperi e ducati d’oro vengono versati in abbondanza dalle borse dei nuovi trafficanti turchi sui tavoli dei negozi e dei banchi.
Il metallo prezioso apre tutte le porte, anche a coloro che con le insegne del sultano hanno assediato la città. Le vesti di seta e il seguito di servi dei ricchi signori, con le mani piene di anelli e pietre preziose, sono un lasciapassare sicuro per l’ingresso alla città sulla via che proviene da Adrianopoli.
La città offre le sue delizie a tutti coloro che sanno essere generosi con i guardiani dei cancelli. Carrozze con insegne nobiliari e cavalieri scortati da scudieri fanno aprire al loro passaggio le porte della città, sempre lieta di ricevere coloro che vogliono spendere le loro ricchezze nelle botteghe e negli alberghi della Mesè”.
“Le mercanzie della Macedonia e della Tracia – sostiene il camerlengo ser Ludovico – non entrano più attraverso i varchi delle mura terrestri e i gabellieri non riempiono le casse imperiali con le percentuali sulle entrate delle materie necessarie ai manufatti degli artigiani. Il commercio si è interrotto sulla via Ignazia controllata dalle milizie del sultano Murad II. I commercianti si sottraggono al controllo delle dogane e preferiscono condurre le loro transazioni senza il rigore delle norme prefettizie la cui applicazione richiede la contribuzione percentuale di una tassazione.
Negozianti furbi e intermediari scaltri di lingua greca traggono il loro sostentamento con le operazioni di scambi e profitti fuori le mura o in ambiti urbani seminascosti dove impera l’adescamento di approfittatori senza scrupoli.
La lievitazione dei costi per lo stato di guerra è aggirata con piccoli traffici che si svolgono nei vicoli laterali della Mesè o nei suburbi dei quartieri degli stranieri, senza il pagamento del dovuto all’erario dei Paleologi.
Uomini e donne senza scrupoli utilizzano i locali di mescita vicino ai piccoli approdi per il loro mercimonio, lontano da occhi indiscreti. Popolani indaffarati e trasportatori portuali offrono le loro braccia per ogni smercio illegale”.
“Il commercio illegale – interviene ser Antonio - riguarda il Prefetto della città. L’argomento in questione è quello di fronteggiare la minaccia dei pirati che abbordano le nostre galee.
Il Ponto Eusino e la Propontide sono infestati da predoni del mare che rendono schiavi i nostri figli impegnati come balestrieri sulle imbarcazioni della Serenissima.
Gli stendardi con l’effigie del nostro santo protettore diventano trofei nelle mani di uomini senza scrupoli che desiderano soltanto riempite le loro borse di empie monete.
I nostri affetti più cari sono allo sbaraglio in mezzo ai mari infestati da guerrieri che vivono di abbordaggi e di prede strappate ai legittimi proprietari. Mia figlia è sempre in pena per il suo promesso sposo che lavora alla Tana nelle nostre filiali, per aiutare i mercanti nelle trattazioni e nel trasporto dei valori. Un grande pericolo sovrasta i giovani balestrieri, figli di nobili famiglie, che seguono le mercanzie dei loro padri.
Il rischio è avvertito soprattutto quando occorre trasportare casse di lingotti d’argento, sacchi pieni di oro e pietre preziose nei viaggi di andata e ritorno tra le foci del fiume Tanais e le banchine ben protette della città.
Le carte di credito rilasciate ai mercanti agevolano la sicurezza delle loro vite, ma i dipendenti dei banchi devono provvedere al trasferimento delle ricchezze accumulate nei forzieri e far arrivare l’oro al mercato di Rialto. I capi delle tribù dei Mongoli e gli uomini delle carovane che giungono dalla lontana Cina e dall’India vogliono avere, in cambio dei loro prodotti, i lingotti e i grossi d’argento provenienti dalle fonderie veneziane.
Oro e argento vengono scambiati nei banchi delle nostre filiali, dislocate nei territori dell’Orda d’Oro. Il loro trasporto è preavvisato con lettere recapitate dai corrieri. La notizia del prezioso trasferimento è spesso carpita da orecchie di uomini che la vendono a peso d’oro ai capitani delle ciurme piratesche”.
“Le locande e le osterie delle zone portuali – afferma ser Matteo – sono affollate di mediatori commerciali greci, armeni, arabi e turchi. Uomini d’affari che portano alla cintola borse piene di iperperi e di grossi d’argento riescono a piazzare le loro merci a prezzi proporzionali alla loro scarsità per l’assedio e il blocco dei porti.
Tutte le merci delle navi, sfuggite al controllo minuzioso dei gabellieri e doganieri imperiali, vegono caricate dai bastasi e portate nelle case degli smerciatori locali per viuzze e sottoportici, lontano dagli occhi e dalle orecchie delle spie governative. I nostri concorrenti riescono a vendere anche stoffe pregiate, bottino di navi piratesche, con sconti che allettano i venditori che utilizzano lo spaccio al miglior offerente.
Le robe sono piazzate dai sensali che si muovono con discrezione e cercati con susssurri e parole pronunciate agli orecchi dei venditori e degli acquirenti. Il mercato al minuto clandestino è più grande di quello ufficiale ed è fondato sull’iniziativa illegale di affaristi scaltri che non tengono conto delle leggi e dei regolamenti del Prefetto della città.
I beni indispensabili alla sopravvivenza del popolo son sorvegliati dal Gran duca delle vettovaglie e i prezzi calmierati per evitare le sommosse dei popolani. I generi di lusso, non reperibili nei negozi della Mesè, vengono venduti, su richiesta specifica degli interessati, agli amici dei trafficanti di quartiere. Lo smercio illegale avviene in locali privati affittati per le varie occasioni seconto contrattazioni amichevoli e compiacenti.
La guerra tra il sultano e i Paleologi innesca un fiume di traffici che sfuggono al controllo governativo ed alimentano la corruzione degli addetti alle ronde e ai controlli nelle vie dei distretti urbani. Il frutto degli abbordaggi spesso rienta nei canali di distribuzione con la complicità di funzionari che arrotodano le loro paghe con abbondanti mance, elargite dai fautori del mercato non controllato dalle norme di mercato.
La vendita di queste merci costituisce un serio danno per tutti i venditori della Mesè e costringono molti drappieri greci a chiudere la loro bottega, perché sottoposti ai controlli degli uomini del Gran Logoteta che hanno l’incarico di riscuotere le percentuali sulle vendite per i servigi e la sicurezza dispensati dal basileus.
Gli arconti del Partito dei Nuovi aristocratici, beneficiati con incarichi e prebende imperiali, sono assillati con insistenza di richieste di soccorso dai drappieri. I rappresentanti della loro associazione chiedono l’eliminazine della tassazione, eccessivamente onerosa, per far fronte alle spese dell’Amministrazione, per la riparazione della pavimentazione e la sicurezza dei portici della grande via commerciale che dalle mura terrestri porta gli acquirenti alla piazza dell’imperatore Giustiniano”.
“Il nostro compito – dice il bailo – è quello di tutelare i diritti dei nostri compatrioti e salvaguardare che le azioni commerciali avvengano nel rispetto dell’onestà e nella fedetà alle tradizioni dei cittadini veneziani. Questo Consiglio deve espimersi sulle competenze specifiche del commercio della Serenissima che lascia libertà ai nobili, su questo e sugli altri mercati, di scegliere le merci e le modalità di vendere ed acquistare più consone alle loro capacità. Ognuno può trarre il giusto guadagno dopo aver pagato i noli stabiliti per il trasporto e lo scarico delle merci sulle banchine del porto, messe a disposizione dal Gran Loteta per la nostra colonia. Il mio camerlengo e il mio tesoriere riscuotono le tasse per mezzo dei nostri commerciari. Il danaro raccolto serve per il mantenimento della colonia e per il corrispettivo dovuto all’erario del basileus.
Il Funzionario delle finanze imperiali ha il compito di riscuotere attraverso i suoi gabellieri le percentuali di tasse, fissate dalle tabelle per ogni genere di merce comprata o venduta, dai mercanti residenti abituali dei quartieri greci, arabi, armeni, giudei, turchi, catalani e delle altre nazionalità.
Le transazioni commerciali, stipulate in città tra residenti e mercanti di transito, tramite l’azione degli intermediari, devono essere registrate e i contraenti sono tenuti al versamento delle quote. L’intermediazione privata è regolata in modo preciso anche per le merci portate con navi turche. Tutto ciò che passa sul suolo urbano è sottoposto alla concessione governativa.
Le carceri abbondano di truffatori e di spacciatori che eludono le gabelle. La giustizia dell'imperatore si abbatte pesantemente su coloro che di notte si aggirano per le strade con carri pieni di merce senza farli passare per le dogane.
Il piccolo commercio delle osterie è sotto il controllo delle spie governative che riferiscono con tempestività le illegalità dei residenti e degli stranieri. Le ronde assicurano il controllo di tutti i locali pubblici e individuano le attività illegali”.
“Ser Matteo si preoccupa – sostiene il banchiere ser Antonio – anche dei drappieri greci e questo lo onora in modo ragguardevole perché esalta la sua rispettabilità nella vendita al dettaglio delle stoffe. I commercianti locali guardano alla nostra agiatezza, raggiunta con sacrifici e rischi di ogni genere. Il commercio è fatto anche di azioni concorrenziali e richiede spesso il rischio di dover chiudere il negozio per mancanza di acquirenti o per l’impossibilità di trarre un giusto guadagno.
La guerra fuori le mura genera miseria per coloro che non sono protetti dalle loro corporazioni e dai loro concittadini più eminenti nel governo della città. La chiusura degli opifici imperiali e l’interruzione dei rifornimenti generano costernazione nei cittadini. I residenti veneziani sono protetti dal Leone di San Marco che incute rispetto dagli alberi delle nostre galee ed hanno crediti agevolati dagli altri mercanti.
Il commercio in questa città è ancora sostenibile perché è garantito dalle lettere di cambio che permettono ai nobili e ai loro commissionari di muoversi con sicurezza e di investire con profitto i crediti concessi dai banchi di Rialto e dalle filiali presenti in tutti i porti del Mediterraneo e dell’Egeo.
Costantinopoli e i suoi abitanti vivono grazie ai prestiti voluti dai senatori della Repubblica di San Marco. La sopravvivenza della città permette al basileus di mantenersi sul trono e ai suoi sudditi di resistere ai guerrieri Ottomani.
Le nobili famiglie veneziane che investono le loro ricchezze nel commercio sono consapevoli del rancore che negli ultimi secoli si è generato negli animi degli arconti. Una volta gli aristocratici di questa città possedevano immensi territori da cui traevano le loro ricchezze con il lavoro e con il commercio dei prodotti dei loro sudditi. Ora non hanno più le terre e i loro abitanti sono diventati servitori dell’imperatore turco.
I commercianti locali non traggono più beneficio dalle ricchezze dei loro arconti e sono costretti a chiudere botteghe e laboratori perché non c’è più la richiesta di abiti e monili dei tempi d’oro dell’Impero. Le famiglie nobili si sono immiserite senza i proventi delle ricche provincie e gli artigiani non hanno più le loro richieste di manufatti locali.
Il sultano di Adrianopoli brama impossessarsi della città per eliminare l’utimo baluardo che mantiene in vita l’imperium del discendente di Costantino il Grande. Il segno vincente dell’imperatore romano è ancora radicato nello spirito di coloro che esultano nella risurrezione del Figlio della Vergine e intendono percorrere la vera via della vita.
Il popolo si rivolge con fede alla Vergine che eleva le sue braccia per l’incolumità dei credenti e delle loro famiglie.
Costantinopoli è la città che custodisce i fondamenti del Diritto romano nella persona del basileus. È la sorgente della Santa Pace che si mantiene tra coloro che sanno rispettare le regole dell’amicizia. La comunanza di intenti, lo scambio reciproco dei prodotti della natura e dei manufatti dell’uomo nell’attività commerciale portano benessere e prosperità a chi sa impegnarsi affrontando le fatiche e i rischi del vivere quotidiano. Qui si innalza il tempio della Santa Sapienza dove i credenti dell’Occidente e dell’Oriente possono darsi la mano per scambiare i doni più preziosi dello spirito umano che sono la fede, la ragione e i prodotti della sua laboriosità.
Venezia è presente con lo stendardo del Santo Evangelista e si sente erede di questo spirito che rivoluziona gli animi e aguzza l’ingegno per rendere possibile la convivenzac tra tutti i popoli.
La Serenissima Repubblica si sente erede di questa pace basata sul diritto e sul rispetto delle norme che permettono di acquisire quel bene comune che possa riversarsi su tutti coloro che vogliono la pace e la prosperità delle loro famiglie”.

lunedì 7 giugno 2010

IL SOSPIRO DEI PIÚ DEBOLI


SCIENZA & VITA: DAL LIBRO BIANCO SUGLI STATI VEGETATIVI DIGNITÀ DELLA PERSONA E DIGNITÀ DI CURA
L’Associazione Scienza & Vita accoglie con favore e condivide il Documento sullo stato vegetativo e di minima coscienza elaborato dal Gruppo di lavoro a cura del Ministero della Salute, presieduto dal Sottosegretario On. Eugenia Roccella. “La definizione di persona in stato vegetativo, da considerare come gravissima disabilità, è fondata sui dati più recenti della ricerca scientifica – sottolinea il copresidente Lucio Romano – e coniuga in maniera virtuosa tali considerazioni con un’organizzazione assistenziale di accoglienza e prossimità anche a livello domiciliare. Si fa chiarezza, inoltre, in merito a una terminologia spesso fuorviante e obsoleta, che, attraverso l’uso dei termini “permanente” e “persistente”, ha creato confusione in ambito classificativo e normativo e nell’opinione pubblica”. Scienza & Vita condivide una politica sanitaria di assistenza che garantisca anche a domicilio i necessari interventi sanitari finalizzati ad assicurare le cure ordinarie e la prevenzione delle complicanze. Dal documento si rilevano altri dati molto significativi: il 50-75% dei pazienti in stato vegetativo post traumatico recupera l’attività di coscienza, e la sopravvivenza è migliorata superando nettamente i 5 anni. “I risultati cui è pervenuto il Gruppo di lavoro – conclude Lucio Romano – non escludono inoltre la possibilità di elementi di coscienza in persone in stato vegetativo, anche con possibili recuperi tardivi. Tutto ciò si traduce in orientamenti assistenziali rispettosi del rigore scientifico e della dignità delle persone con gravissime disabilità”.

Associazione Scienza&Vita
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