lunedì 20 luglio 2009

MERCANTI VENEZIANI A COSTANTINOPOLI Cap. XVIII


I banchieri delle Blacherne

La strada che porta alla reggia delle Blacherne è fiancheggiata da portici e palazzi fino alla grande piazza dell’omonimo quartiere, dove sono dislocati gli uffici degli amministratori del basileus. La vicinanza della sede dell’imperatore conferisce importanza e prestigio al rione che è diventato il centro economico in cui si decide la vita stessa della città e dei suoi abitanti.
I mercanti si alternano nei cortili e nelle grandi sale delle dimore lussuose dei banchieri veneziani che investono nelle mercanzie orientali. I loro notai e scrivani riempiono i libri contabili del dare e dell’avere per annotare tutti i trasferimenti di denaro necessari per le imprese commerciali. I forzieri custoditi nelle stanze segrete sono pieni di oro e argento a disposizione di coloro che sanno farli fruttare, offrendo come garanzia il possesso di immobili nella città o di titoli nobiliari riconosciuti dalla Repubblica di San Marco.
Anche la rendita percentuale dei denari, affidati alle nuove istituzioni che controllano la circolazione monetaria, è una certezza di guadagno per gli aristocratici che hanno perso i propri possedimenti terrieri con l’avanzata dei Turchi e si sono rifugiati nella città del basileus. I loro gioielli di famiglia vengono lasciati in pegno per ottenere un credito necessario a mantenere un certo decoro familiare o per essere investiti nell’acquisto di qualche magazzino vicino al porto che possa dare una buona rendita edilizia. Alcuni residenti più coraggiosi provano a utilizzare i denari, ottenuti dai banchi, nelle piccole manifatture non soggette ai monopoli imperiali.
Gli uomini che conoscono il greco e le lingue degli altri popoli vengono utilizzati come intermediari nell’attività dei banchi. Il loro compito è quello di facilitare il compito dei notai che devono redigere gli atti necessari al cambio delle valute o al riconoscimento delle carte di credito redatte da mercanti di città lontane.
Il commercio con l’Oriente è protetto dai trattati che Venezia e Genova hanno stipulato con i principi delle città costiere dell’Asia Minore e con i signori che controllano le vie carovaniere dirette ad Est o agli scali marittimi arabi di Ormuz a cui approdano le navi provenienti dall’India.
Tutti a Costantinopoli si sentono sicuri e garantiti dalle famiglie veneziane che sostengono con i loro prestiti l’amministrazione della città. La famiglia dell’autarca da molti anni si mantiene con la fiducia accordata dal Senato della Repubblica di San Marco per mezzo di ingenti versamenti nelle casse del Grande Logoteta che controlla tutti gli uffici imperiali. Il governatore della colonia dei Veneziani, ser Angelo Emo, rappresenta la volontà della Serenissima e la esprime con la sua presenza e la vicinanza ai governanti dell’impero.
Gli uomini d’affari, mercanti attempati che hanno accumulato ingenti fortune con le spezie, preferiscono gestire, stando nei loro palazzi, i denari propri e quelli degli altri con l’apertura di edifici in cui operano con contabili e scrivani. La loro attività principale è quella di finanziare privatamente il noleggio, l’armamento delle navi e le compagnie d’impresa per il commercio. I cortili interni delle loro case hanno porticati che permettono di allineare al coperto i banchi degli uomini adibiti a ricevere qualsiasi pegno o moneta d’oro straniera in cambio di monete d’argento.
La moneta in argento è utilizzata per gli acquisti all’ingrosso della mercanzia custodita nei magazzini o per le compravendite dei popolani benestanti ai mercati fuori le mura, lungo le rive del Corno d’oro. I denari veneziani con l’effigie del Leone alato di San Marco riempiono di orgoglio i piccoli commercianti locali che si recano al mercato per gli acquisti e fanno gioire i venditori di lingua greca che abitano nelle città che si affacciano sul mare tra il Bosforo e i Dardanelli o nelle isole dell’Egeo.
Ser Francesco, ricco mercante residente da molti anni nella città di Costantino, controlla attraverso la porta del suo ufficio la sala dei notai. I contabili sono intenti a ricevere i clienti che portano piccole casse piene di monete e le depongono sui tavoli. Gli esperti dell’oro e dell’argento pesano e osservano con scrupolo tutti i pezzi di metallo coniati dalle zecche per trascrivere sui libri il loro valore in ducati d’oro o iperperi con l’effigie del basileus.
Il signore dei banchi, già esperto nel trarre il giusto guadagno nella compravendita delle spezie, delle stoffe e di tutti i materie prime ricercate dai Latini, considerano le monete d’oro e d’argento, utilizzate nell’acquisizione dei beni, come una merce perché da esse riescono ad ottenere delle percentuali di profitto che superano anche il venti per cento.
La Repubblica di Venezia utilizza il mercato di Costantinopoli come centro del commercio tra l’Est e l’Ovest e acquisisce il monopolio di tutto il flusso monetario per l’acquisto dei prodotti naturali e manifatturieri.
I mercanti acquistano le merci con i denari dei banchieri e questi stipano grossi quantitativi di metalli preziosi con le monete che le compravendite portano nelle loro casse. Ogni prodotto ha un valore in un determinato luogo e viene acquistato con i soldi messi a disposizione dai governanti. Le singole regioni hanno bisogno di determinati beni a cui conferiscono un particolare valore a seconda della loro posizione geografica.
Alcuni popoli hanno troppo grano perché hanno acqua e irraggiamento solare favorevole alla crescita del frumento. Altri hanno tanta lana perché la natura dona pascoli erbosi indispensabili per l’allevamento degli animali. Coloro che vivono nelle zone aride o montuose hanno bisogno della lana per trasformarla in indumenti caldi. I popoli del Nord hanno tante foreste e possono cacciare per ottenere le pellicce necessarie a chi deve coprirsi durante gli inverni rigidi. Ogni uomo ha le sue esigenze e conferisce importanza a ciò che è indispensabile per la vita di tutti i giorni.
Il Senato della Serenissima conosce, attraverso la fitta rete dei suoi informatori commerciali, ciò che avviene in qualsiasi territorio secondo gli eventi naturali e secondo i fatti politici. Le carestie legate agli eventi naturali e alle guerre civili si alternano alla caduta di re e al sorgere di nuove signorie.
I generi alimentari, le materie prime e le monete sono soggetti ai cambiamenti climatici e alle variazioni politiche delle singole società. Le oscillazioni dei prezzi, dei fatti naturali e politici si traducono in cambiamenti dei rapporti tra i valori dell’oro e dell’argento.
Gli aristocratici del governo veneziano riescono a gestire con lungimiranza il flusso delle loro monete ricavando ogni anno degli utili, sulle entrate e sulle uscite dei ducati d’oro e d’argento, che oscillano tra il trenta e il quaranta per cento. L’argento, in forma di moneta o lingotto, esce dalle casse dell’amministrazione veneziana già con la sua potenziale percentuale di guadagno perché è diretto ai porti o mercati dove i denari in quel metallo riempiono le tasche del popolo. I loro governati sono disposti a cederlo in abbondanza, per ottenere ciò di cui hanno bisogno. I mercanti veneziani portano la merce nei luoghi in cui possono ottenere le percentuali più alte di guadagno.
I popoli dell’Occidente ricavano grossi quantitativi d’argento dalle loro miniere per tramutarli in moneta necessaria per importare i generi necessari alla vita e le materie prime per le manifatture. I mercanti raccolgono le monete in argento in cambio di prodotti o di monete in oro coniate con l’effigie di San Marco. I regnanti sono lieti di riempire i loro forzieri con le monete in oro che possono essere fuse per ricavare il metallo prezioso. La valutazione diversa del rapporto tra l’oro e l’argento permette di guadagnare sulla merce venduta e sul metallo delle monete che vengono portate alla fusione e tramutate in ducati d’argento.
I Veneziani vivono in una laguna dove il flusso e il riflusso delle maree permettono alla loro città di ricevere e di far partire le navi cariche di merci. L’osservazione delle oscillazioni delle onde è oggetto di studio da parte dei dotti della natura e le loro deduzioni vengono trasformate in piani di progresso economico e ricchezza per coloro che sanno adeguare il commercio agli avvenimenti fisici e sociali.
Il Mediterraneo è il mare con cui ogni anno il doge celebra lo sposalizio per indicare a tutti i popoli il dominio marittimo di Venezia. I suoi mercanti sanno sfruttare il flusso e il riflusso dei bisogni e delle ricchezze dei popoli con cui si intessano relazioni commerciali. Se ad Ovest c’è tanto argento e i popoli necessitano di spezie, seterie cinesi e pietre dell’India, le navi arrivano cariche di merci e ripartono cariche d’argento e di legname ricercati dai popoli dell’Africa e dell’Asia che dispongono di molto oro.
I Mongoli di Gengis khan e di Tamerlano, con le loro conquiste e distruzioni di città, rinomate per i loro palazzi pieni di oggetti preziosi, hanno accumulato ingenti quantitativi d’oro. I loro governanti scambiano a gran dovizia l’argento necessario per la coniazione delle loro monete, le manifatture militari e le diverse esigenze di vita sociale.
La Serenissima fa pervenire ai popoli e ai governanti dell’Oriente l’argento e i manufatti di lana prodotti in Occidente. Ciò che è in abbondanza in un luogo è trasportato con le navi veneziane nei porti dove è maggiormente ricercato per le necessità delle città dell’entroterra.
Il denaro in argento dei Latini è ricercato dai mercanti veneziani che lo scambiano con le merci e ducati d’oro, ottenendo una doppia percentuale di utile.
Le galee portano merci e uomini fidati del Senato di San Marco che notificano tutto ciò che accade nei più remoti angoli della Terra. I funzionari veneziani fanno pervenire al Maggior Consiglio tutte le informazioni che permettono ai loro governanti di formulare previsioni e ordini che si traducono in politiche commerciali e in protezione di tutti i convogli navali e di tutte le carovane. I signori delle città portuali e delle regioni interne facilitano il passaggio delle merci perché sottoscrivono contratti con cui ottengono il pagamento delle imposte di passaggio e ricchi doni da parte del Serenissimo doge.
L’attività dei banchieri è quella di far fruttare il denaro, ricevuto o prestato, in tutti gli affari pubblici e privati, intessendo in tutte le piazze commerciali, una fitta rete di amici, mercanti, banchieri e commissionari. I corrieri postali portano qualsiasi notizia che possa agevolare la concessione dei crediti o il trasferimento delle somme nei luoghi più redditizi.
Il mezzo bancario più richiesto da coloro che si trasferiscono da un mercato all’altro è la lettera di cambio. Un semplice pezzo di carta o di pergamena, avente le annotazioni e i sigilli di colui che presta il denaro, permette di ottenere le somme pattuite nel luogo giusto all’affare e nel momento più propizio per ottenere il maggior utile possibile nelle compravendite. Il mercante può ottenere una cambiale versando prima della partenza una certa somma e sottoponendosi a determinate condizioni. I suoi viaggi sono esenti dal rischio di perdere la propria ricchezza che, in caso di naufragio o di abbordaggio dei pirati, rimane a disposizione della propria famiglia.
“Ti vedo da alcuni giorni assorta nei tuoi pensieri – dice ser Francesco, rivolgendosi a sua figlia sedicenne, seduta vicino alla finestra – e i nostri clienti non vedono il tuo sorriso”.
“Sono preoccupata – risponde Maria – perché sono giunte due galee dalla Tana e non ho ricevuto nessuna lettera da parte di Lorenzo, mio promesso sposo”.
“Ho rimandato di un anno – afferma il padre – il giorno del tuo matrimonio perché il padre del tuo amato, ser Antonio, banchiere anche lui come me, ha voluto inviarlo, insieme a un suo commissionario, a far pratica di commercio alle foci del fiume Tanais. La filiale della Tana, diretta da mio fratello Giacomo, è ben avviata e tramuta in denari sonanti le nostre cambiali per tutti i nostri clienti. Le popolazioni locali, sotto il governo del Khan mongolo, producono pellicce e offrono, in cambio dei nostri ducati d’oro, dei giovani forti per gli emirati dell’Asia Minore e l’esercito del sultano dei Mamelucchi.
“I mercanti del Ponto Eusino – sostiene la fanciulla – riferiscono ai nostri contabili che i pirati ottomani assalgono tutte le navi per impadronirsi delle merci e rendere schiavi gli uomini per venderli al mercato”.
“Non angustiarti – risponde il genitore – i mercanti veneziani sanno combattere e difendere con valore i rematori. Lorenzo è anche un ottimo balestriere e ben presto ritornerà con una galea carica di merce. Il suo credito
“L’anima di una donna – sostiene Maria con i suoi occhi neri e umidi per l’ansia – soffre nell’attesa che l’amato possa mantenere le promesse fatte”.
“Un giovane mercante – risponde il banchiere – prima del suo matrimonio deve consolidare la sua posizione economica per poter onorare il suo pegno d’amore”.
“ Ser Antonio – dice la giovane – è molto ricco e i suoi fratelli posseggono banchi e palazzi lungo il Canal Grande di Venezia. Il figlio unico di un patrizio non ha bisogno di dar prova di possedere grandi capacità nelle transazioni commerciali perché rischia la sua vita e compromette la trasmissione dell’eredità paterna”.
“Le tue parole – dice il padre – sono sagge ma un veneziano deve saper rischiare per salire i gradini del governo della Serenissima. La nostra prosperità si basa su tradizioni di famiglia. Il mare è favorevole a chi sa avventurarsi con fedeltà per qualsiasi impresa. Il profitto è sempre legato al rischio che va ponderato soprattutto da chi è giovane per acquisire esperienza e sicurezza nelle transazioni commerciali, indispensabili per l’attività del nostro banco”.
“Tu parli il linguaggio della ragione – dice Maria – e dimentichi gli anni in cui, balestriere sulle galee veneziane, ti tormentavi al pensiero di stare lontano da mia madre”.
“La chiave del mio cuore – risponde il genitore emozionato – è nei tuoi sguardi e sulle tue labbra che mi ricordano gli anni più belli della mia vita, quando, con un gruzzolo di ducati d’argento, percorrevo le rotte marine della Romania, sognando di diventare ricco e acquistare una casa sul Canal Grande dove vivere insieme alla mia promessa”.
Davanti all’ufficio del banchiere si presenta, accompagnato da un notaio della sala, l’arconte Xrusantros, gestore della Zecca del basileus.
“Spero di non interrompere la tua conversazione – esclama sulla soglia della porta il banchiere greco – e di gioire nel vederti in buona salute”.
“Sei sempre il benvenuto nella mia casa – risponde ser Francesco – e le tue parole presagiscono sempre un futuro foriero di ricchezza e di prosperità. Ti presento mia figlia, promessa sposa a ser Lorenzo di ser Antonio”.
“Sono onorato di fare la tua conoscenza – esclama l’aristocratico - e di essere amico del padre di Lorenzo”.
“Mia figlia mi aiuta nel lavoro del banco – dice il padre – e mi è preziosa nelle transazioni con i mercanti arabi per aver imparato, nella casa della sua nutrice, il linguaggio del Profeta Maometto”.
“Soltanto a Costantinopoli – sostiene il banchiere greco – il commercio consente di far crescere i nostri figli in armonia e nel rispetto delle tradizioni delle diverse famiglie che riconoscono l’autorità del nostro imperatore. Nell’Asia Minore il culto alla Vergine Maria è rispettato da tutti quelli che vogliono vivere in pace secondo la Parola di suo Figlio. Gli emiri e il popolo del Profeta rispettano i luoghi sacri fondati dai discepoli del Maestro della Santa Sapienza”.
“Il nostro mondo – afferma ser Francesco – non è più come prima. La potenza degli Ottomani e le distruzioni di Tamerlano hanno rotto gli antichi equilibri. Le rotte commerciali sono disturbate dai pirati e le carovane sono assalite dai predoni. Il Senato dei Veneziani cerca di mantenersi neutrale nei confronti del sultano ottomano di Adrianopoli che mira a estendere il suo dominio sui territori dei principi latini e a sostituire i governanti degli emirati con i suoi pascià. I guerrieri turchi assalgono le città dell’Occidente e distruggono i sacri luoghi dei popoli conquistati. Il papa Martino si rivolge al Serenissimo Principe e chiede che vengano inviate galee in soccorso del basileus”.
“Bisogna ostacolare – afferma il banchiere greco – la supremazia militare degli Ottomani e cercare il male minore favorendo l’ascesa dei loro principi che rispettano il governo del nostro imperatore e dei suoi familiari. Il fratello minore del sultano, l’emiro Mustafà, è attualmente ospite del nostro coimperatore Giovanni VIII. Il giovane principe turco potrebbe bilanciare lo strapotere del primogenito e frenare l’irruenza dei suoi miliziani”.
“Murad II possiede un grande esercito – risponde il veneziano – e dispone delle ricchezze accumulate con la conquista dei Balcani e delle coste orientali del Ponto Eusino. Il sultano lascia vivere alcuni aristocratici greci e slavi per garantirsi le loro rendite agrarie e fondiarie. La sua benevolenza nei confronti dei vinti permette il regolare flusso delle tasse nell’erario ottomano. La vita in cambio della fedeltà al nuovo padrone”.
“Il potere di chi comanda gli Ottomani – dice Xrusantros – non è riconosciuto da tutti i musulmani. La loro guida spirituale è il califfo che appartiene alla tribù del Profeta ed è ospitato dal sultano d’Egitto, dopo la distruzione di Bagdad da parte dei Mongoli di Gengis Khan.
Il signore dei guerrieri mamelucchi controlla il commercio del Levante e quello che passa attraverso il Mar Rosso. I porti della Siria e dell’Africa, che ricevono gran parte delle merci orientali provenienti dall’India, gli forniscono immense ricchezze. Al Cairo sono custoditi immensi forzieri pieni di lingotti e di grossi d’argento portati dai mercanti veneziani in cambio di spezie.
Le signorie dell’Occidente mandano i loro ambasciatori alla corte del sultano d’Egitto e ricchi doni al califfo abbaside per ottenere un’alleanza contro il dilagare dell’esercito ottomano che minaccia gli emirati siriani”.
“Il bailo – afferma ser Francesco – mi ha confidato che il signore di Trebisonda ha ricevuto ingenti quantitativi d’argento per organizzare in Asia Minore una coalizione di emiri a sostegno del giovane Mustafà, per aiutarlo a detronizzare il fratello Murad II. Il Principe dimostra coraggio ed ha grandi doti per comandare un esercito. Per sostenerlo occorrono oro e argento da parte di finanziatori, disposti a impegnare i propri denari in cambio di benefici commerciali o di cariche pubbliche”.
“I miei clienti, mercanti arabi e turchi della città – dice il greco – sono d’accordo per il versamento nel mio banco di seicento sacchetti di iperperi che io posso cambiare con ducati d’oro e con grossi d’argento veneziani. Il tasso di cambio è favorevole in questo momento per tutti e due. Ho già approntato un adeguato numero di lettere di cambio per i banchieri di Trebisonda e di Tabriz. I mercanti hanno bisogno di avere monete sonanti per comprare spezie e pietre preziose. Gli uomini abili al combattimento chiedono in anticipo monete d’argento per le loro famiglie e per il loro equipaggiamento da guerra”.
“Il tuo imperatore – sostiene ser Francesco – non nasconde le sue simpatie per l’ascesa di Mustafà al sultanato ottomano. Giovanni VIII è giovane e spera di ottenere i Balcani con l’aiuto dell’amico turco, appoggiato dagli emiri dell’Asia Minore. Suo padre Manuele II ha posto tutto il futuro nelle sue mani e spera che possa arginare l’avanzata ottomana creando dispute e rivalità tra i fratelli della famiglia imperiale ottomana.
Il giovane pretendente è uscito dalla corte di Adrianopoli ed è stato inviato dalla sua tribù per apprendere l’arte del governo in un piccolo territorio. I suoi consiglieri gli sussurrano che è già pronto per sostituire il fratello maggiore e può fare promesse di benefici a tutti coloro che lo sostengono.
Murad II ha già sconfitto suo zio che voleva spodestarlo ed ora gli emiri dell’Anatolia hanno eletto un giovane senza barba quale loro capo per governare tutte le tribù turche.
Il vecchio pretendente disponeva di ingenti fortune e autorità tribale. Il suo clan aveva prestigio a Brussa, sede del fondatore degli Ottomani, e poteva contare su molti simpatizzanti dei fratelli del sultano Maometo I, favorevoli alla conquista dei Balcani e delle sponde occidentali del Ponto Eusino.
Il comandante della flotta veneziana ha già inflitto una sconfitta alle navi turche vicino Gallipoli ed ha imposto il rispetto del Leone di San Marco che sventola sulle galee della Romania e del Levante. Venezia non vuole impegnarsi in altre avventure per rispettare le clausole di pace e mantenere le fortezze costiere lungo le coste del Peloponneso.
L’appoggio al giovane turco deve essere finanziato soltanto in autonomia e libertà senza coinvolgere i funzionari della Serenissima Repubblica. Il bailo non ci può sostenere ufficialmente. Il rischio è grande, la posta in gioco è alta e i tassi di sconto sono bassi. Molti mercanti ci hanno rimesso con l’assedio dell’estate scorsa e ora non vogliono perdere il loro pegno per preparare una nuova guerra di successione al sultanato in cui Venezia si mantiene neutrale. Le promesse del giovane turco non bastano. I depositi e i prestiti bancari devono essere garantiti dalla concessione governativa di un monopolio sulla raccolta delle gabelle o anche l’esclusiva per il conio delle monete con l’effigie del basileus.
Il coimperatore prevede di estendere il suo impero, il giovane ottomano di ascendere al sultanato ma il banchiere deve poter aumentare le sue entrate per far fronte ai tassi di interesse richiesti dai depositari. L’erario dei Paleologi, depositato nei forzieri dei banchi della città, è per noi una garanzia sicura per qualsiasi investimento o prestito”.
“Le nostre mire coincidono – afferma Xrusantros – e possiamo trovare un accordo. Il tuo banco mi fornisce i ducati in oro e i lingotti d’argento per coniare gli iperperi con l’immagine del nostro imperatore, necessari al pagamento delle milizie mercenarie e all’approvvigionamento del grano proveniente dal porto della Tana. Il Gran logoteta farà versare nelle tue casse le gabelle per il commercio stabilite per i mercanti stranieri. I tassi di cambio e la caratura delle monete della Zecca imperiale li stabiliremo secondo il momento più favorevole ai nostri intendimenti”.
“Nella prossima riunione dei consiglio del bailo – dice ser Francesco – manifesterò la tua proposta. Sono certo che il governatore della colonia dei Veneziani non vuole immischiarsi nelle faccende che riguardano il principe turco Mustafà che aspira a scalzare il fratello maggiore dal trono.
Il desiderio del coimperatore Giovanni di frenare la prepotenza di Murad II, opponendogli un giovinetto che si fida dei consiglieri della sua tribù, pronti a tradirlo alla prima occasione e a passare dalla parte del fratello in cambio della loro salvezza, non convince ser Benedetto Emo.
La Serenissima non vuole compromettere la sua libertà di percorrere le rotte marine lungo le coste occupate dai Turchi. Il Senato ha inviato i suoi corrieri a tutti i responsabili delle colonie e ha imposto di non utilizzare il vessillo con Leone alato di San Marco sulle galee noleggiate dai cospiratori, per non compromettere la pace con il governo ottomano.
Il sultano è interessato a vendicarsi soltanto contro i Paleologi.
Il basileus ha la facoltà di intraprendere le azioni più idonee a raggiungere il suo scopo. Poiché non dispone di un esercito da mettere in campo, cerca di allearsi con un membro della famiglia imperiale ottomana, per distogliere il l’imperatore turco dal suo intento di impadronirsi di Tessalonica e di invadere il Peloponneso”.
“Gli affari dei privati – sostiene il banchiere greco – non hanno l’ufficialità delle azioni dei governanti che devono mantenere il potere sul popolo. Il commercio e il flusso dei denari interessano ugualmente gli schieramenti contrapposti. L’oro e l’argento non hanno nemici ma tutti li vogliono da chi li possiede o con la prepotenza della spada o in cambio di pegni e di donazioni lusinghiere, trascritte su atti notarili.
Nella nostra città esiste la legge garantita dal basileus che la fa rispettare e condanna con pene severe coloro che la infrangono. Le percentuali di interesse per i contraenti delle transazioni commerciali, anche se sono stabilite dalle norme imperiali, lasciano a noi banchieri un largo margine di libertà nella comprensione dei rischi e dei servizi di intermediazione.
La disponibilità delle monete per gli affari nei vari mercati permettono ad alcuni di guadagnare sulle compravendite e a noi di trarre il giusto utile dai denari offerti nel momento giusto a chi li chiede per i suoi bisogni.
Gli iperperi d’oro sono fatti coniare dal coimperatore per pagare i suoi soldati. L’uso della moneta imperiale è imposto nel pagamento delle tasse governative e nel commercio interno alla città. Le monete straniere, non autorizzate dalle bolle imperiali, devono essere cambiate nei nostri banchi.
Ai mercanti turchi che si rivolgono ai nostri cambiavalute non viene chiesto la provenienza o la destinazione del denaro. Ci sono famiglie provenienti dai territori governati da emiri favorevoli al rovesciamento del sultanato di Murad II e fautori di Mustafà, aspirante al trono ottomano, che promette un futuro di pace e di benessere per tutti.
Il crogiuolo della Zecca fonde tutte le diverse monete per coniare soltanto quella con l’immagine del basileus. La percentuale di oro della lega metallica dell’iperpero viene stabilita dall’autarca per far fronte alle esigenze belliche del momento. La circolazione monetaria è resa difficile dall’assedio e il valore del denaro cresce, apportando utili apprezzabili per i nostri contabili e per coloro che investono nella compravendita dei magazzini vicino ai porti del Corno d’Oro.
Le conquiste ottomane hanno accumulato l’oro nell’erario del sultano che lo distribuisce ai suoi fedeli pascià. I nuovi signori fanno sfoggio di ricchezza e vogliono superare in magnificenza le dimore dei vecchi arconti greci. I loro amministratori si rivolgono ai nostri banchi per depositare il bottino in monete d’oro e chiedere dei prestiti per le loro corti in attesa di ulteriori conquiste. I contabili ricevono le monete di tutti i regni e offrono carte di cambio riscuotibili in ogni luogo e per qualsiasi esigenza. Noi riceviamo l’oro anche dai mercanti ottomani, pur sapendo che è bottino di risulta delle conquiste del sultano. Murad II si rivolge a loro per mantenere il suo esercito e paga con le monete dei popoli conquistati. Il diritto di togliere al vinto quello che gli appartiene è una consuetudine che nasce dalla prepotenza del guerriero più forte che uccide l’avversario o lo rende schiavo per farlo vendere dai suoi seguaci”.
“Il nostro compito – sostiene ser Francesco – è quello di seguire con cura il flusso del denaro che entra ed esce da Costantinopoli. Le leggi imperiali sui tassi di sconto e di interesse sono per noi le regole di comportamento e tutti i passaggi di proprietà del denaro sono trascritti da notai riconosciuti dall’Amministrazione imperiale.
La correttezza dei nostri contabili e la giusta tenuta dei loro libri sono garanzia per i creditori di avere quello che hanno versato con l’aggiunta degli interessi. I mercanti sono sicuri di trovare sul mercato, dopo un lungo viaggio e innumerevoli rischi e pericoli , un rappresentante del banco che mette a disposizione la somma pattuita e accreditata alla partenza.
La stabilità di un governo si basa sulla nostra solidità e serietà di corrispondere ad ognuno quello che è pattuito e di garantire con la forza della legge l’osservanza delle regole condivise dal popolo e sostenute dai suoi maggiorenti.
La Serenissima Repubblica con le deliberazioni dei suoi senatori guida con la sua lungimiranza l’azione dei suoi governatori in tutte le colonie di mercanti e favorisce la loro residenza nei luoghi di maggiore possibilità di scambio commerciale. La loro attività è garantita dai trattati dei sovrani che sanno mantenere le promesse con il loro sigillo d’oro.
Il basileus è riconosciuto in Oriente e in Occidente. La legge da lui garantita è universale e vale sempre in ogni epoca. Venezia la rappresenta e mantiene, con il vessillo del Leone di San Marco, il diritto romano della libertà a percorrere tutte le rotte marine e le vie delle carovane per lo scambio delle merci, frutto della natura, del lavoro e dell’ingegno del suo popolo. La sua moneta è riconosciuta e preferita per la sua massima caratura in ogni angolo della terra. Ogni porta si apre ai mercanti veneziani che sanno offrire i prodotti che ogni uomo, ricco o povero, desidera per vivere e per manifestare con vesti e ornamenti appropriati il suo posto nella società.
Costantinopoli è l’unica città che custodisce il diritto di Roma. La validità della sua legge si basa sul riconoscimento del progetto che la Divina Sapienza ha proclamato per gli uomini che vogliono percorrere la vera via della vita”.
“Il governo presieduto dal doge Mocenigo – afferma Xrusantros – proclama il suo sostegno al coimperatore e nello stesso tempo si dichiara neutrale nella contesa tra il sultano e il basileus. Murad II ha un esercito di uomini che mirano ad arricchirsi con il saccheggio delle città e denari per mantenerlo. Le milizie che difendono le mura della nostra città sono mercenari provenienti da popoli che parlano lingue diverse. Il loro scopo è mettere da parte un gruzzolo di denari e ritornare nel loro paese di origine.
La soluzione ottimale sarebbe quella di costituire un esercito come quello del sultano d’Egitto che è riuscito a sconfiggere i guerrieri mongoli di Tamerlano con un esercito di uomini del Nord comprati alla foce del fiume Tanais dove è stata costruita una colonia veneziana. Si tratta di uomini della Circassia, fatti prigionieri nelle scorribande dei Mongoli e venduti nei porti della Krimea. Alcuni dicono che sono prigionieri appartenenti a tribù turche che si sono stanziate nel Caucaso durante l’invasione di Grengis Khan. I mercanti ottengono buoni guadagni con il loro trasporto a Tabriz e alle città della Siria governata dal Signore del Nilo”.
“Il coimperatore Giovanni – dice ser Francesco – vuole mercenari addestrati all’uso della balestra e alle macchine che lanciano pietre per colpire gli assedianti oltre le mura. I signori dell’Occidente spendono tutte le loro sostanze per accaparrasi i mercenari più valenti e difendere i loro possedimenti.
L’autarca preferisce rivolgersi al papa per invogliare le signorie latine a offrire le loro milizie per difendere la città in cambio della proclamazione del primato del Patriarca di Roma e la promessa di titoli nobiliari alle famiglie nobili per governare le terre dell’Impero romano d’Oriente che ora sono sotto il dominio degli Ottomani.
La soluzione dei Paleologi non sembra per il momento realizzabile per l’ostilità degli arconti favorevoli a un compromesso con il sultano. Le sottomissioni all’autorità religiosa fatte dal basileus Michele VIII Paleologo e da altri imperatori non hanno cambiato la mentalità dei popolani guidati dai prelati e monaci antiunionisti.
Martino V, eletto successore dell’apostolo Pietro per eliminare le divisioni che si sono create tra i credenti, è favorevole a un Concilio per ascoltare la voce di tutti i vescovi. Il suo amore paterno per i credenti dell’Oriente non trova accoglimento favorevole tra i sovrani europei, impegnati in scaramucce locali per questioni di confine e di avvicendamento dinastico delle corti regali.
I banchieri lombardi e toscani rischiano continuamente i loro crediti per il sostegno dei pretendenti locali che non mantengono le promesse e non onorano i contratti notarili. Il Serenissimo Principe Mocenigo consiglia sempre ai Pregati del Senato di volgere l’attenzione ai traffici marittimi e di non interessarsi delle beghe territoriali dei nobili che disperdono le loro ricchezze, facendo fallire i mercanti che prestano il loro denaro.
La situazione qui è diversa perché la città è centro di commerci e la sua difesa è indispensabile per mantenere la legge dei naviganti, salvaguardata dall’autorità del basileus. I prestiti alla casa imperiale sono finalizzati al mantenimento del grande emporio, punto di riferimento di tutti i mercanti del Mediterraneo.
L’esistenza di Costantinopli è ormai legata ai suoi magazzini e alla possibilità offerta dalle Repubbliche marinare dei Latini di mantenere libero l’approdo delle navi ai suoi porti. Il centro del nostro mondo economico è qui, nella città della Santa Sapienza. I potenti dell’Occidente da più di mille anni guardano l’Oriente pieni di speranza per il loro futuro.
Il sultano ottomano vuole impadronirsi della città per diventare il nuovo signore dei traffici e il padrone di tutte le ricchezze della Terra. Il suo desiderio di imporre una nuova legge ai mercanti è avvertito come una tragedia per i governanti della Serenissima che perderebbero la disponibilità delle rotte marittime. I senatori veneziani sono disposti a mettere in gioco tutto l’oro e l’argento accumulato nei loro forzieri”.
“Sono d’accordo con te – esclama il greco – ed occorre finanziare il giovane Mustafà senza compromettere le concessioni ottomane al commercio veneziano. Si tratta di frantumare la compattezza dell’esercito nemico con la creazione di fazioni antagoniste a Murad II, per distoglierlo dal suo proposito egemonico. È un problema di denari e noi li abbiamo per investirli con sicurezza, avendo alle nostre spalle lo stesso imperatore.
Il governatore della colonia veneziana non estende la sua giurisdizione negli affari privati e acconsente tacitamente che i banchieri possano emettere cambiali anche a favore dei principi ottomani.
Il credito serve per acquistare le merci dei nostri mercanti in qualsiasi porto o città senza destare sospetti di compromissione negli affari dei regnanti. I denari vengono utilizzati per compravendita di generi di largo consumo che possono essere trasformati dagli utilizzatori in oggetti per usi pacifici o per gli armamenti.
A noi interessa che il denaro prestato ai ricchi possa fruttare un lauto guadagno quando ritornerà sui nostri banchi. Io, Xrusantos, ho ottenuto il beneficio della Zeccca del basileus, dopo aver versato all’erario tre casse piene di monete d’oro provenienti dalle città dell’Asia conquistate dall’esercito di Tamerlano e governate dal Khan di Herat. Il Gran Logoteta le ha fatto fondere per pagare le milizie che difendono la nostra città.
Ho a disposizione un periodo breve di tempo per far rientrare nel mio banco l’oro che ho offerto all’Amministrazione imperiale. I mercanti del Ponto Eusino ottengono i prestiti nei miei banchi di Caffa e di Tana per noleggiare le navi, caricarle di uomini e donne, ceduti dai mercanti delle tribù del Nord, e farle approdare a Trebisonda.
Il commercio dei giovani tartari o circassi rende ai miei clienti che sanno offrire un buon prodotto naturale. Il loro vanto è quello di saper offrire, ai figli delle popolazioni impoverite dalle razzie, la possibilità di elevare le loro condizioni di vita. Gli uomini intelligenti servono nei palazzi e nelle dimore per controllare le economie dei nobili, impegnati nelle corti dei sovrani. I più forti saranno utilizzati nelle aziende agricole per far fruttare i terreni dei grandi proprietari. Le fanciulle più belle sono al servizio personale delle signore per ornare le loro dimore ed allietare con i loro canti le serate dei loro padroni. Le giovani meno appariscenti possono avere fortuna con impieghi di responsabilità nel governo domestico dei loro signori.
Non riesco a capire la chiusura mentale dei signori dell’Occidente che non aprono i loro mercati all’acquisto dei giovani, offerti dai mercanti del Caucaso. Soltanto le corti dei regnanti fanno sfoggio di uomini che hanno una lontana provenienza asiatica o africana”.
“Le popolazioni barbare – sostiene ser Francesco – dopo aver distrutto l’Impero romano d’Occidente hanno assimilato la sua cultura. Roma ha conquistato gli invasori con il diritto e con la fede dei suoi credenti che hanno trasmesso la parola del Maestro.
Gli uomini hanno imparato a venerare il Segno che ha permesso a Costanino il Grande di vincere i sostenitori degli dei pagani. La schiavitù degli antichi è schiacciata con la diffusione in tutto l’Occidente di un nuovo modo di considerare l’essere umano. I credenti, ricchi o poveri, dicono di essere tutti fratelli perché figli di un unico Padre. Lo schiavo viene affrancato e tutti si sentono liberi di vivere seconda la propria coscienza”.
“Sono d’accordo con te – dice il greco – e anche qui diciamo che siamo tutti fratelli perché i nostri padri ci hanno insegnato che in ogni uomo c’è un’anima immortale ed doveroso aiutare i poveri. I ricchi fanno a gara per costruire luoghi sacri e abbellirli con mosaici”.
“Il continuo avvicendarsi in Oriente delle culture dei popoli che non hanno assimilato il diritto romano - sostiene il veneziano – ha cambiato il comportamento reciproco degli uomini. Un uomo dell’Impero dei Cesari poteva appellarsi al diritto di essere un cittadino romano e giudicato secondo leggi condivise da tutti. Le invasioni dei Mongoli e le conquiste ottomane hanno fatto dimenticare le leggi dell’antico senato romano e ognuno si sente in balia dell’uomo che distrugge intere città e trasporta gli abitanti vivi nelle città sottomesse per venderli al miglior offerente. L’antica schiavitù è ritornata nei territori conquistati dall’imperatore Costantino.
In Occidente, anche il più audace guerriero che conquista le città si astiene dalla pratica della vendita dei vinti. Ai vinti si preferisce imporre la scelta di inchinare il capo al nuovo governante o di fuggire in esilio per non soccombere ai sicari del nuovo padrone”.
“Il desiderio del denaro – afferma Xrusantos – non conosce ostacoli e anche il nostro simile può servire ad ottenere un guadagno quando la sua vita non è considerata pari a un animale da soma. La fede tiene a freno i comportamenti dei potenti quando vivono in una società che rispetta le istituzioni primarie della vita in comune”.
“Sono d’accordo – dice ser Francessco – ed occorre batterci anche sacrificando tutto il nostro denaro perché sia mantenuta la libertà di vivere secondo le tradizioni dei nostri padri”.

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