NELLA SOCIETÀ CIVILE
SPAZI PER IL CONFRONTO
Il politologo Gian Enrico Rusconi, già docente di Scienza politica presso l’Università di Torino, ha aperto, venerdì 7 dicembre 2012, un dibattito sulla “laicità dello Stato” per il “discorso alla città di Milano”, pronunciato dal cardinale Angelo Scola in occasione della Solennità di Sant’Ambrogio, patrono della Chiesa ambrosiana.
“L'evoluzione degli Stati democratico-liberali - ha sostenuto l'arcivescovo di Milano – è andata sempre più mutando l’equilibrio su cui tradizionalmente si reggeva il potere politico. Ancora fino a qualche decennio fa, si faceva riferimento sostanziale ed esplicito a strutture antropologiche generalmente riconosciute, almeno in senso lato, come dimensioni costitutive dell'esperienza religiosa: la nascita, il matrimonio, la generazione, l’educazione, la morte. Si sono andate assolutizzando in politica delle procedure decisionali che tendono ad autogiustificarsi in maniera incondizionata. Il presupposto teorico dell'evoluzione si rifà, nei fatti, al modello francese di “laicité” che è parso ai più una risposta adeguata a garantire una piena libertà religiosa, specie per i gruppi minoritari. Esso si basa sull'idea di “neutralità” delle istituzioni statuali rispetto al fenomeno religioso. L’idea di “neutralità” non è applicabile alla società civile la cui precedenza lo Stato deve sempre rispettare, limitandosi a governarla e non pretendendo di gestirla. Oggi nelle società civili occidentali, soprattutto europee, le divisioni più profonde tra cultura secolarista e fenomeno religioso e non tra credenti di diverse fedi. L’aconfessionalità dello Stato ha finito per dissimulare, sotto l’idea di “neutralità”, il sostegno dello Stato ad una visione del mondo che poggia sull’idea secolare e senza Dio. Sotto una parvenza di neutralità e oggettività delle leggi, si cela e si diffonde – almeno nei fatti – una cultura priva di apertura al trascendente. Se lo Stato la fa propria finisce inevitabilmente per limitare la libertà religiosa. È necessario uno Stato che apra spazi in cui ciascun soggetto personale e sociale possa portare il proprio contributo all’edificazione del bene comune”.
Per Rusconi ha senso il dialogo tra laici e cattolici se il laico può sostenere il principio della laicità come statuto della cittadinanza non come questione di fede. Laicità, per il politologo, è statuto di cittadinanza democratica. È discorso pubblico la laicità e non privato. Un conto è sfera pubblica, in cui si confrontano tutti, e un altro è discorso pubblico, mirato alla determinazione della legge. Laicità è modo di concepire la vita in maniera democratica. La democrazia delle regole: visione di vita diversa.
Più volte nel passato Rusconi ha tentato di confutare le parole di Scola ed è ricorso agli slogan: “Auctoritas, non veritas...”. “Auctoritas” è primato. “Etsi Deus non daretur ... ".
Qual è il problema che turba Gian Enrico?
Quali sono i fondamenti del suo pensiero?
Quale futuro si ritiene compatibile con le sue affermazioni?
Il politologo è vicino al pensiero critico neo-marxista della Scuola di Francoforte di cui è stato un profondo studioso?
L’intellettuale torinese ritiene che la “questione cattolica” sia diventata la “questione della democrazia” perché la Chiesa da alcuni anni altera i rapporti tra società civile e politica in quanto dichiara non negoziabili i propri valori e non si assume la responsabilità delle conseguenze che ne derivano per la funzionalità del sistema democratico.
Per la Chiesa si tratta di affrontare le “grandi problematiche etiche ed antropologiche” emerse per i “profondi cambiamenti” dei costumi, dei comportamenti e per le nuove applicazioni delle biotecnologie agli uomini. La contesa ha una dimensione privata e pubblica. La concezione dell’uomo è soltanto quella di un essere della natura, frutto dell’evoluzione oppure anche quella di una dimensione non riducibile soltanto al dato fisico?
Gian Enrico ha sostenuto che l’influenza della Chiesa si basa sul fatto che nella problematica bioetica viene giocata la concezione della “natura umana” che condiziona la costruzione che presiede la legislazione restrittiva sulle unioni familiari, sulla fecondazione assistita e il proibizionismo della ricerca.
La questione dell'origine dell'uomo, con le sue implicazioni scientifiche, etiche e politiche, crea, oggi, un contrasto di idee tra i credenti e i diversamente credenti che utilizzano i mezzi della comunicazione pubblica.
Da dove deriva questo scontro che investe le istituzioni religiose e gli ordinamenti politici?
Il processo di separazione della politica dalla morale, iniziato con Machiavelli, proseguito con Hobbes, Bodin e Bacone, rafforzato con il razionalismo, scaturito dal pensiero di Cartesio, con le idee di Locke, con l’invenzione dello “stato di natura” e della “volontà generale” di Jean Jacques Rousseau, con la diffusione dell’illuminismo radicale, con la separazione di scienza e coscienza ( distinzione dei giudizi scientifici e giudizi di valore) di Max Weber, trionfa con lo Stato di diritto che costruisce una serie di norme che sono obbligazioni, diritto, soggetto giuridico.
Lo Stato tedesco di Hitler è stato uno Stato di diritto ed ha imposto il suo diritto di guerra, il diritto di internare nei lager, il diritto dello sterminio e del genocidio.
Lo Stato sovietico di Stalin è stato uno Stato di diritto ed ha imposto il suo diritto di internare nei gulag e il suo diritto di eliminare i nemici politici.
Oggi le social democrazie seguono il pensiero di Kelsen che è stato uno degli artefici della costituzione di Vienna del 1920, dopo la Prima guerra mondiale.
Lo Stato per Hans Kelsen, giurista tedesco nato nel 1881 a Praga, naturalizzato americano e morto nel 1973 a Berkeley, è lo Stato normativo, Stato del diritto come insieme di norme.
Kelsen, sulla scia del pensiero di Kant, ritiene che l’uomo non può andare al di là dell’esperienza del conoscere, cioè la realtà esiste solo nella conoscenza umana, nel senso che è relativa al soggetto conoscente.
Nella democrazia, secondo lo scrittore, si dice: “L’état siamo noi”, cioè è la totalità politica che forma la società civile e lo Stato.
Kelsen sostiene la democrazia esclusivamente procedurale.
La democrazia procedurale è intesa da tutti come insieme di regole che stabiliscono chi è autorizzato a prendere le decisioni collettive e con quali procedure. Questa procedura lascia impliciti i presupposti della democrazia, come governo dal basso e suffragio universale, lascia impliciti i valori e i fini ma lascia imprecisati i contenuti.
Le regole non stabiliscono il reale contenuto delle decisioni, cioè che cosa è giusto e che cosa è insoddisfacente. Una democrazia procedurale sarebbe aperta a ogni contenuto e comporta la neutralizzazione pubblica dei valori.
La democrazia procedurale entra in crisi quando nella società circolano tensioni che lacerano le coscienze delle persone. Una democrazia marcatamente procedurale finisce per attribuire riconoscimento ai poteri forti di fatto.
I cittadini avendo codici di riferimento morale lontani non possono mettersi d’accordo su cose fondamentali per cui c’è richiesta di procedure.
La Piazza pubblica ricorre a procedure, ciò che conta sono le procedure, cioè le regole del gioco ci forniscono le regole. Tutti quelli che partecipano al gioco seguono regole, così il gioco politico deve avere regole di procedura. Il problema nasce quando il contenuto è lasciato fuori dalle regole del gioco.
Dall'Illuminismo in poi la ragione europea ritiene di farcela da sola a salvaguardare i valori umanistici. La critica della religione è fatta sulla base di idea che l’ora del cristianesimo sia suonata, perché ostile alla conoscenza e anche perché si vuole evitare che il “trono” dei monarchi della restaurazione si possa unire “all’altare”, cioè al clero dei privilegi. Questo postulato si è dimostrato largamente a-critico.
Per le liberal democrazie, la religione è un fatto privato della coscienza nei confronti di cui vince la libertà. Si rimane neutrali, indifferenti di fronte alle posizioni religiose universalistiche.
Tocqueville nel 1831 osserva che la critica della religione, instaurata dagli illuministi, è quella di ritenere che la religione finisca con la diffusione della libertà e della conoscenza.
I fatti non concordano con l'opinione della critica illuministica. Lo scrittore francese ha dinanzi la situazione americana dove la religione ha mantenuto presenza forte nella vita pubblica. In Europa ha inciso la Rivoluzione francese che è stata a-religione, nazionalistica, con la concezione della “dea-ragione”.
Alcuni autori notano la differenza tra l'impostazione anglosassone-americana e l’impostazione del continente europeo, in cui c’è stato l’illuminismo liberale, segnato da carattere antireligioso.
Oggi si assiste a una ripresa del ruolo pubblico della religione.
Per Kelsen la legge è esclusiva espressione di arbitrio, cioè di volontà attualmente dotata di potere nel senso che “auctoritas, non veritas facit legem”, cioè è il potere vigente.
Il potere della legge, nel momento storico, può stabilire il diritto positivo vigente.
Se la maggioranza che fa la legge non è vincolata da qualcosa di superiore che la guida, allora può decidersi qualsiasi cosa.
La regola della maggioranza, il principio maggioritario non assolutizzato, significa decidere senza la garanzia di contenuti. Con il relativismo morale esistono nuclei indisponibili al confronto per alcuni diritti fondamentali dell’uomo. C’è controversia nelle nostre società.
Il grande problema di oggi è: “Chi è l’altro che si affaccia nello spazio pubblico?”, cioè “chi è l’altro?” nel luogo dell’interesse, dove si usano delle procedure senza i valori.
C’è ancora il criterio che le questioni dei valori siano portate in ambito privato e soltanto ciò che interessa è pubblicizzato. Gli interessi stanno in piazza ma i valori non possono entrarvi perché hanno “dignità” (secondo Kant) e non possono essere misurati economicamente. Dove ci sono in gioco gli interessi, si può trovare un punto di mediazione e dove sono in discussione i principi e i valori non c'è mediazione. Il valore morale “uccidere o non uccidere” non ha un punto medio. C’è solo la dialettica della “domanda e della offerta” per i beni che possono essere misurati con un prezzo, allora c’è trattativa.
Nella società democratica libera c’è la tendenza di riportare i valori nel privato perché non si trova la regola. Se bisogna decidere sui valori non si decide direttamente ma si trovano procedure neutrali dove non si decide sui contenuti ma si lascia alla procedure trovare soluzioni. La società ha creato benessere e tenore di vita elevato, cioè le istituzioni libere democratiche hanno sviluppato saggezza per cui si è sviluppato benessere e pace.
Ci si interroga come bilanciare, oggi, il pluralismo morale e la legge civile, cioè la legge del nostro ordinamento. Ci sono leggi che permettono di fare qualcosa, altre che vietano, altre che comandano e altre ancora che permettono a certe condizioni di fare o non fare. La società non dispone più di universo ma di un pluriuniverso morale.
Negli ultimi 40 anni, il codice univoco di comportamento morale è diventato plurimo. Quello che una volta era emarginato nella piazza pubblica con giudizio negativo, a prescindere dalla legge civile, oggi non ha più rilevanza morale.
Il compito della legge civile è quello di garantire il pluralismo ai comportamenti dei cittadini oppure quello di fornire anche un indirizzo di vita buona, cioè un indirizzo pedagogico?
Si può passare da un pluralismo morale al pluralismo etico?
La democrazia procedurale della società pluralistica chiede alla legge civile di essere totalmente neutrale, cioè di dare spazio massimo alle leggi che permettono e spazio minimo alle leggi che tendono a vietare, in modo che ogni individuo possa scegliere ciò che gli sembra meglio.
Tra la libertà individuale autonoma e la gestione del bene e del giusto, la legge civile dovrebbe indirizzare a fare ciò che è giusto.
Nell'etica pubblica deve prevalere la libertà o ciò che è giusto?
La legge non solo deve essere uguale per tutti ma deve anche essere giusta.
La giustizia si rivolge all’altro nel rapporto sociale. Siamo in rapporto secondo regole di giustizia.
Se la giustizia riguarda l'altro, chi è l’altro? Se si ritiene che la giustizia debba riguardare il rapporto con l’altro, il problema è la determinazione del soggetto a cui spetta il carattere di essere altro.
A chi spetta lo statuto di essere altro?
Se la legge prevede qualcosa che l’opinione pubblica non accetta vuol dire che la legge non funziona. La legge deve veicolare sempre l'idea di bene e di male, di giusto e ingiusto, cioè veicolare l’idea di ciò che è contenuto nella vita buona.
Alcuni ritengono che lo Stato debba trasfondere nella legge l’idea di vita buona mentre altri si oppongono dicendo che lo Stato non deve violare la neutralità, cioè non deve privilegiare una concezione di vita rispetto ad un’altra, altrimenti verrebbe meno l’imparzialità.
In tutti i sistemi socio-politici ci sono alcuni valori e concezioni più visibili, più urgenti e altri non urgenti. Nella società libera riconosciamo che è giusta la libertà di parola e di stampa. Siamo anche in grado di dire che è migliore la società che riconosce la libertà rispetto ad altre che negano certi diritti.
Si accusa la Chiesa di entrare nello spazio pubblico con vigore.
Si proclama l'autonomia.
Che significa una completa autonomia? Nessuno mi può giudicare.
La vita civile si manifesta con criteri e principi autonomi nei vari settori dell’economia, della politica e della scienza.
Oggi si dice che i cittadini nei meandri della vita civile devono vivere come se Dio non ci fosse (“ Etsi Deus non daretur…).
Il liberalismo del Settecento e dell’Ottocento ha derivato gran parte della sua forza dalla dottrina del diritto naturale legato alla dottrina dei diritti innati e imprescindibili della persona umana.
La concezione liberale prevalente interpreta il diritto come uno strumento di regolazione sociale e i diritti dell’uomo soltanto come un confine rizzato verso lo Stato.
Nel pensiero politico contemporaneo, cioè nelle attuali liberal democrazie, l’aspetto di come educare il cittadino è omesso. Prevale l’idea di trovare le regole di giustizia, le regole del gioco che consentono la convergenza degli interessi, come se il buon comportamento seguisse l’aver tracciato le procedure giuste.
Le procedure sono una cosa e il comportamento è altra cosa.
La pedagogia politica nel senso alto e intenso del termine è estranea nella politica di oggi. Si riscontrano soltanto procedure e tecnologie dell’educazione, usate in modo sminuzzato in una società pluriculturale.
Il bilanciamento dei poteri nelle liberal democrazie significa che c’è da un lato un pessimismo antropologico e dall’altro un ottimismo misurato nelle capacità della ragione di poter dominare la realtà. L’esperienza insegna che il potere cerca di bilanciarsi e tende a prevaricare, cioè chiede per sé ciò che spetta agli altri.
L'ordinamento giuridico è pensato da alcuni politici come sovrano e generale nel divenire generale positivo. Il potere giuridico stabilisce ciò che a lui conviene. La spinta della potenza perviene su tutto. La legge valida è solo quella del potere in vigore che stabilisce ciò che lui ritiene utile per tutti.
Il diritto naturale è ritenuto come cosa che sia ingiusta o giusta in sé senza alcuna influenza sulle decisioni del potere assoluto. I rappresentanti eletti dal popolo non tengono conto della coscienza delle persone, l’unica idonea a stabilire ciò che è giusto o ingiusto, cioè la morale dei cittadini a cui lo Stato riconosce la cittadinanza.
La cittadinanza è pienezza dei diritti civili, politici e sociali da parte dei cittadini, cioè il loro modo di essere, il loro status e il loro rapporto con lo Stato.
La posizione di Kelsen si allinea a forme ostili alle istanze di giustizia delle persone che chiedono il confronto dei valori. Non si tratta di scegliere come vuole Weber, cioè ognuno sceglie a modo proprio, ma di tener conto di ciò che è tradizione e modo di sentire del popolo.
Il pensiero degli autori, ritenuti classici nel campo della filosofia politica, della scienza politica, della sociologia, del diritto, della storia, che hanno studiato la vita dei popoli europei, ci aiuta a capire l’attuale società italiana e i turbamenti sociologici di Gian Enrico Rusconi.
L'intellettuale torinese rifiuta l'intervento degli esponenti della Chiesa che esprimono le loro opinioni per indirizzare i credenti e i diversamente credenti a fare delle scelte attinenti alla morale tradizionale degli Italiani.
Rusconi utilizza i concetti della democrazia come “slogan” per ottenere il consenso dei lettori dei giornali. Si enfatizza la “laicità” come principio fondamentale della democrazia. Si chiama in causa la cittadinanza per imporre ai cattolici il “dovere” di rispettare la laicità. Si mettono in guardia i cattolici a non strumentalizzare la democrazia per difendere i “valori inviolabili”. Si sono accusati i cattolici di controllare la sfera pubblica e di influenzare il discorso pubblico. Si sono lanciati proclami per richiamare il primato del potere (auctoritas) della legge. Si sono utilizzati spezzoni di testi in latino (…etsi Deus non daretur…), attribuiti a scrittori cristiani che seguivano la legge naturale, avvertita dai loro intelletti perspicaci e dai loro cuori generosi, per indurre i cittadini a vivere come se i valori della vita, riconosciuti storicamente da tutti i popoli, non esistessero.
Il concetto di “laicità” è invocato in tanti modi come un “dio-laicità” che deve essere sempre venerato e deve essere garante in ogni trattativa pubblica e privata.
L’idea della “laicità”, scaturita dalla ragione, diventa un frutto del razionalismo costruttivo e volontaristico e viene trasformata empiricamente e con ingegno in ideologia che può portare a conseguenze totalitarie.
Qual'è l'auctoritas che il professore accetta come primato?
La società politica italiana ha scelto la democrazia, ha stabilito di reggersi con forma repubblicana e costituirsi in Stato, retto da norme costituzionali.
Il popolo italiano, come società politica costituita, cioè come insieme di coscienze personali che, avendo una storia in comune attestata dall’unità del linguaggio, avendo scelto di vivere insieme con giustizia e cultura civica, ha deciso, dopo la Seconda guerra mondiale, di autogovernarsi, di eleggere i propri governanti e l’Assemblea costituente che danno agli Italiani la Costituzione della Repubblica.
Nella società, prodotto di ragione e forza morale, la priorità è data dalla coscienza personale. Il popolo è fatto di persone umane che si riuniscono sotto giuste leggi e da reciproca amicizia per il bene comune della loro esistenza.
Il pensiero repubblicano democratico assegna grande rilievo alle virtù civiche. La Repubblica con l’articolo 2 della Costituzione riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali dove si svolge la sua personalità.
Il cittadino, dopo le grandi rivoluzioni politiche in cui ha chiesto la libertà da tutti i legami che impediscono il suo sviluppo naturale, esige la libertà di partecipazione politica. Nella piazza pubblica è meno sentita la resistenza al relativismo etico, tramandato dalla Rivoluzione Francese, e il rapporto civile diventa anche rapporto morale.
Nel momento in cui il popolo esercita il suo diritto naturale e inalienabile all’autonomia e all’autogoverno si pone come sorgente di autorità dal basso e come fondamento di politica democratica.
Da dove nasce il motivo del confronto politico nella sfera pubblica e nello spazio pubblico distinti da Rusconi?
I cittadini avendo codici di riferimento morale lontani non possono mettersi d’accordo su cose fondamentali per cui si ricorre a procedure della piazza pubblica, ciò che conta sono le procedure, cioè le regole del gioco politico. Il problema è dato dai contenuti che sono lasciati fuori dalle regole che stabiliscono soltanto chi deve prendere le decisioni.
Il pluralismo morale richiede che lo Stato e la legge dello Stato devono lasciare ai singoli di scegliere la strada per sviluppare la loro dignità. Lo spazio pubblico è luogo di interessi e di valori. Tutto viene pubblicizzato e i valori divengono oggetto di discussione perché non possono essere misurati economicamente in quanto hanno dignità
Lo Stato ha le sue radici nella società politica, cioè è strumento del corpo politico. Nella società democratica c’è idea di socialità ascendente, lo Stato emerge come autoorganizzazione della società. Il fenomeno dello Stato è espressione al sevizio di persone, cioè è parte della società politica e deve curarsi del bene pubblico, inteso come sicurezza, istruzione e universalità della legge.
La Costituzione italiana ( articolo 7) definisce anche la distinzione tra Stato e Chiesa. I loro rapporti sono regolati dai Patti Lateranensi. Il problema del rapporto tra religione e politica viene affrontato con la Costituzione perché i cittadini sono usciti dagli schemi dell’Illuminismo che vedeva la religione come fatto privato della coscienza.
La religione della Chiesa nasce da eventi storici e intende svolgere un ruolo non soltanto nelle coscienze ma anche nella società. La grande maggioranza dei membri della Chiesa è costituita da cittadini che non sono né sacerdoti né appartenenti a ordini religiosi ma semplicemente credenti, cioè laici (da parola greca = membri del popolo) che vivono la realtà del mondo contemporaneo e cercano di animarlo con le loro capacità fisiche e razionali.
Nella Costituzione non c’è il termine laico o laicità.
Nell'accordo di revisione del Concordato lateranense del 18 febbraio 1984 è scritto: “La Santa Sede e la Repubblica italiana, tenuto conto del processo di trasformazione politica e sociale verificatosi in Italia e degli sviluppi promossi nella Chiesa dal Concilio Vaticano II… la Repubblica italiana riconosce alla Chiesa cattolica la piena libertà di svolgere la sua missione pastorale… È ugualmente assicurata la libertà di pubblicazione e diffusione degli atti e decisioni relativi alla missione della Chiesa…È garantita ai cattolici e alle loro associazioni organizzative la piena libertà di riunione, di manifestazione del pensiero con le parole, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione”.
Nel Concordato non sono usati i concetti di sfera pubblica o discorso pubblico ma si parla di coscienze e modo di essere dei cristiani nella società, cioè della cittadinanza democratica italiana costituita di persone che interagiscono per una vita buona, tenendo presente i diritti enunciati nella Costituzione e i diritti elencati nella “Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo".
La Repubblica italiana e la Chiesa si sono impegnati reciprocamente per la promozione dell'uomo e il bene del Paese. Si tratta di apertura di collaborazione della fede. È presente nella formula di collaborazione l’intento che la fede religiosa possa portare qualcosa di positivo per il bene degli Italiani.
Per alcuni la religione e Dio stesso devono essere esclusi dal pubblico a livello di ipotesi e sostengono che le relazioni della vita civile si debbono attuare come se Dio non ci fosse (etsi Deus non daretur). Si tratta di parole desunte dall’opera “De iure belli ac pacis” pubblicata nel 1625 dall’olandese Ugo Grozio. Nel trattato Grozio parla di diritto naturale che è universale e oggettivo, questo varrebbe anche se Dio non ci fosse.
La posizione “come se Dio non ci fosse” diventa la base dello spazio morale pubblico che si definisce come spazio in cui vale l’ipotesi “come se Dio non ci fosse”.
Altri, tra cui Rusconi, si riferiscono al pensiero del teologo luterano tedesco Dietrich Bonhoeffer, ucciso dai nazisti nel campo di concentramento di Flossenburg il 9 aprile 1945. Il teologo nei suoi scritti chiede di vivere nel mondo “come se Dio non ci fosse” e ritiene che questa sia la volontà di Dio.
Bonhoeffer afferma che il Dio davanti a cui stiamo è lo stesso Dio che ci comanda di fare a meno di Lui nelle cose mondane. Questo è inteso dallo scrittore luterano come se l’uomo di fede debba decidere facendo a meno dell’ipotesi di Dio. Quanto sostiene il teologo suscita delle obiezioni perché con l’idea di un Dio che ci fa conoscere che dobbiamo affrontare la vita senza “l’idea di Dio”, sembra togliere l’influsso positivo del Cristianesimo sulla vita civile.
Alcuni utilizzano le parole del teologo tedesco perché ritengono vincolante la proposta cristiana di vita che deve essere abbandonata. I problemi etici debbono essere gestiti facendo riferimento all’ordinamento giuridico italiano. Altri sospinti dallo spirito rivoluzionario della tecnica non accettano imposizioni ultramondane.
Hans Kelsen nei suoi scritti afferma: “Coloro che assumono verità ferme non sono veri democratici”, perché i veri democratici devono sempre ammettere che la verità varia con il gioco di maggioranze e quindi non esistono verità ferme.
Il discorso pubblico è influenzato dal pensiero di Kelsen per il quale è valida la formula: “Il potere vigente fa la legge e non la verità”.
Durante la Rivoluzione francese, nella democrazia giacobina, il principio assembleare è alla base della legge. Il potere assoluto dell’assemblea è legge. È l’anticamera del Totalitarismo.
In Kelsen il potere della maggioranza è legge. La democrazia è il potere assoluto della maggioranza. Il principio maggioritario diventa unica regola di ordinamento, cioè diventa principio ordinativo della democrazia e assume valore assoluto.
Rusconi ha detto: “Laicità è modo di concepire la vita in maniera democratica. La democrazia delle regole: visione di vita diversa”.
Il desiderio illuministico dell'intellettuale torinese di separare la Chiesa e lo Stato, senza tener conto di quanto concordato tra la Repubblica italiana e la Santa Sede, si traduce in un continuo stillicidio di articoli e discorsi pubblici che mirano a impedire con la parola “laicità”, le istanze dei cattolici agli organi dello Stato per il rispetto dei diritti inviolabili dell’uomo, sia come singoli, sia nelle formazioni sociali ove si svolga la loro personalità, come previsto dall’articolo due della Costituzione.
I patti devono essere osservati (così si esprimeva l’olandese Grozio).
Lo spirito rivoluzionario costruttivistico e volontaristico, nato con la Rivoluzione francese ed ancora presente, non può imporre oggi il potere giacobino con il dogmatismo della legge.
La democrazia costituzionale della Repubblica italiana garantisce la cittadinanza a tutti, anche ai cattolici.
Per Rusconi non esiste alcuna Autorità in grado di far fronte alla nostra società decaduta.
A quale autorità si riferisce?
Al potere del “principe” di Machiavelli che separa politica e morale?
Al potere dello Stato di Hobbes che tiene sia la spada sia il pastorale (potere temporale e potere religioso) per imporre la legge con la forza?
Al potere dello Stato sovrano di Bodin ( quello di Luigi XIV) che è distaccato dal popolo?
Al potere della democrazia giacobina, nata dall’illuminismo radicale, che, imponendo la legge dell’assemblea, senza tener conto delle esigenze del popolo, apre al totalitarismo di Napoleone e dei governi che impongono un progresso industriale senza tener conto dei veri problemi della cittadinanza?
Al potere giudiziario neutro del monarca costituzionale descritto dal liberale francese Benjamin Costant?
Al potere della democrazia federalista di Proudhon?
Al potere legale razionale del tedesco Weber che apre ai regimi totalitari e catastrofici del Novecento?
Al potere della legge di Kelsen, esclusiva espressione di arbitrio?
Al potere dell'ideologia della “laicità” che, seguendo il mito dell’Illuminismo, presagisce l’avvento di un nuovo regime autoritario che non tiene conto delle coscienze dei cittadini?
Dove guarda la saggezza di Rusconii?
Dov’è il primato del suo potere? Nel dogma della legge vigente?
I miti dell’Illuminismo sono ancora forieri di “laicità” o promotori di libertà per le coscienze?
Gli interrogativi sorgono spontanei perché le parole dell’intellettuale sono piene di significati che ci spingono a ripercorrere il pensiero politico moderno, dalle origini fino ai nostri giorni, per capirne il senso e le allusioni.
La sua sapienza desta in noi meraviglia e le sue parole, espressione della sua anima, piene di rancore nei confronti di Angelo Scola, chiamato per servire con la sua ragione e la sua fede i cattolici, scuotono le nostre coscienze e ci fanno gridare il nostro “Sì” alla vita e alle relazioni umane.
Gli Italiani, con la loro ragione e volontà, sapranno attingere alla loro fede nel progresso interno della vita e della loro storia, alla forza della loro libertà, posta al centro della cittadinanza, quale apertura di fini e di senso del loro futuro.