STATO NAZIONALE IN CRISI
FEDERALISMO IERI E OGGI
“La memoria degli eventi - afferma il 17 marzo Giorgio Napolitano alla Seduta comune del Parlamento, in occasione dell’apertura delle celebrazioni del 150° Anniversario dell'Unità d'Italia – che condussero alla nascita dello Stato nazionale unitario e la riflessione sul lungo percorso successivamente compiuto, possono risultare preziose nella difficile fase che l’Italia sta attraversando, in un’epoca di profondo e incessante cambiamento della realtà mondiale. E oggi dell’unificazione celebriamo l’anniversario vedendo l’attenzione pubblica rivolta a verificare le condizioni alle quali un’evoluzione in senso federalistico – e non solo in campo finanziario – potrà garantire maggiore autonomia e responsabilità alle istituzioni regionali e locali rinnovando e rafforzando le basi dell’unità nazionale. È tale rafforzamento, e non il suo contrario, l’autentico fine da perseguire. D’altronde, nella nostra storia e nella nostra visione, la parola unità si sposa con altre: pluralità, diversità, solidarietà, sussidiarietà”.
La questione del federalismo domina nello spazio pubblco.
Si parla di Unità d’Italia , di crisi e di federalismo.
Quali i fini dell’agire degli uomini che crearono l’Italia una e indivisibile? Quali sono i fini di oggi di fronte alla globalizzazione?
La Rivoluzione francese francese spazza via il dispotismo e la tirannia dei sovrani che con l’abuso del diritto divino manifestavano la loro tracotanza sui sudditi. I rivoluzionari “illuminati”, interpretando il pensiero dello svizzero Jean-Jacques Rousseau, aboliscono ogni sociatà intermedia tra individuo e Stato e impongono una democrazia totalitaria con le decisioni della volontà generale dell’assemblea parlamentare che non tiene conto delle esigenze materiali, spirituali e sociali dei cittadini.
Il cittadino è costretto a fare quello che decide la volontà generale.
In Italia si diffonde il pensiero del socialista Pierre-Joseph Proudhon. Il tipografo francese dice: “Federazione è pluralità, autogoverno, è diritto determinato dal libero contratto; la legge, il diritto, la giustizia sono statuto e fondamento del movimento federalista”. Si tratta di un federalismo radicale che vuole limitare i poteri dello Stato e la sua burocratizzazione. Il federalismo è presentato come rivolta libertaria che propone la poliarchia libertaria, il pluralismo, l’autoemancipazione della società contro l’autoritarismo.
Per Proudhon il federalismo è completamento della democrazia, cioè la democrazia sostanziale si identifica con il federalismo: “o sarà federalista la democrazia o non sarà affatto”.
Il correlativo polemico contro cui il federalismo prende forma è il dispotismo che si manifesta sotto varie maschere.
I padri del federalismo italiano, tra cui Carlo Cattaneo, Vincenzo Gioberti, Bettino Ricasoli, parlano di integralismo di aspetti etici. Si tratta di spiriti generosi, aperti che avvertono l’esigenza di una unità nazionale e una garanzia costituzionale per tutto il popolo italiano. Si vuole la realizzazione dello spirito giuridico che nasca dall’idea di maggiore equità nel lavoro, legando l’idea del “pane” a quella della “libertà” come è avvenuto in America dove, secondo la testimonianza di Tocqueville, la libertà si esprime con l’amministrazione da parte del popolo di tutti gli affari della società.
Si pensa alla costituzione federale sul modello americano o alla tradizione elvetica.
In Italia l'unitarismo prevale sul federalismo.
Il 17 marzo 1861 nasce lo Stato unitario con la proclamazione della legge n. 4671 del Regno di Sardegna: “Il Re Vittorio Emanuele II assume per sé e i suoi successori il titolo di Re d’Italia”.
Il dispotismo nel primo Novecento si manifesta con lo statalismo dittatoriale che plasma gli animi con le ideologie e gli utopismi.
Si afferma in Italia l'ideologia del fascismo.
Lo Stato assorbe la società civile: “Niente al di fuori dello Stato”.
“La memoria degli eventi - afferma il 17 marzo Giorgio Napolitano alla Seduta comune del Parlamento, in occasione dell’apertura delle celebrazioni del 150° Anniversario dell'Unità d'Italia – che condussero alla nascita dello Stato nazionale unitario e la riflessione sul lungo percorso successivamente compiuto, possono risultare preziose nella difficile fase che l’Italia sta attraversando, in un’epoca di profondo e incessante cambiamento della realtà mondiale. E oggi dell’unificazione celebriamo l’anniversario vedendo l’attenzione pubblica rivolta a verificare le condizioni alle quali un’evoluzione in senso federalistico – e non solo in campo finanziario – potrà garantire maggiore autonomia e responsabilità alle istituzioni regionali e locali rinnovando e rafforzando le basi dell’unità nazionale. È tale rafforzamento, e non il suo contrario, l’autentico fine da perseguire. D’altronde, nella nostra storia e nella nostra visione, la parola unità si sposa con altre: pluralità, diversità, solidarietà, sussidiarietà”.
La questione del federalismo domina nello spazio pubblco.
Si parla di Unità d’Italia , di crisi e di federalismo.
Quali i fini dell’agire degli uomini che crearono l’Italia una e indivisibile? Quali sono i fini di oggi di fronte alla globalizzazione?
La Rivoluzione francese francese spazza via il dispotismo e la tirannia dei sovrani che con l’abuso del diritto divino manifestavano la loro tracotanza sui sudditi. I rivoluzionari “illuminati”, interpretando il pensiero dello svizzero Jean-Jacques Rousseau, aboliscono ogni sociatà intermedia tra individuo e Stato e impongono una democrazia totalitaria con le decisioni della volontà generale dell’assemblea parlamentare che non tiene conto delle esigenze materiali, spirituali e sociali dei cittadini.
Il cittadino è costretto a fare quello che decide la volontà generale.
In Italia si diffonde il pensiero del socialista Pierre-Joseph Proudhon. Il tipografo francese dice: “Federazione è pluralità, autogoverno, è diritto determinato dal libero contratto; la legge, il diritto, la giustizia sono statuto e fondamento del movimento federalista”. Si tratta di un federalismo radicale che vuole limitare i poteri dello Stato e la sua burocratizzazione. Il federalismo è presentato come rivolta libertaria che propone la poliarchia libertaria, il pluralismo, l’autoemancipazione della società contro l’autoritarismo.
Per Proudhon il federalismo è completamento della democrazia, cioè la democrazia sostanziale si identifica con il federalismo: “o sarà federalista la democrazia o non sarà affatto”.
Il correlativo polemico contro cui il federalismo prende forma è il dispotismo che si manifesta sotto varie maschere.
I padri del federalismo italiano, tra cui Carlo Cattaneo, Vincenzo Gioberti, Bettino Ricasoli, parlano di integralismo di aspetti etici. Si tratta di spiriti generosi, aperti che avvertono l’esigenza di una unità nazionale e una garanzia costituzionale per tutto il popolo italiano. Si vuole la realizzazione dello spirito giuridico che nasca dall’idea di maggiore equità nel lavoro, legando l’idea del “pane” a quella della “libertà” come è avvenuto in America dove, secondo la testimonianza di Tocqueville, la libertà si esprime con l’amministrazione da parte del popolo di tutti gli affari della società.
Si pensa alla costituzione federale sul modello americano o alla tradizione elvetica.
In Italia l'unitarismo prevale sul federalismo.
Il 17 marzo 1861 nasce lo Stato unitario con la proclamazione della legge n. 4671 del Regno di Sardegna: “Il Re Vittorio Emanuele II assume per sé e i suoi successori il titolo di Re d’Italia”.
Il dispotismo nel primo Novecento si manifesta con lo statalismo dittatoriale che plasma gli animi con le ideologie e gli utopismi.
Si afferma in Italia l'ideologia del fascismo.
Lo Stato assorbe la società civile: “Niente al di fuori dello Stato”.
Lo slogan di Giovanni Gentile è definito “panteismo di Stato” da Luigi Sturzo perché lo Stato diventa principio assoluto.
La stagione del fascismo si conclude con la fine della 2^ Guerra Mondiale e con l’esilio dei Savoia..
Il dispotismo nel secondo Novecento cambia maschera ed è indicato dal prete di Caltagirone con il termine di “male bestie ”. Sturzo si preoccupa dell’invadenza dello Stato e del clientelismo che può alimentare la corruzione.
Il pensiero di Luigi Sturzo prevede un “sistema politico e sociale che comprende l’intero popolo, organizzato su una base di libertà per il bene comune”.
L’uomo di fede pensa a una democrazia non individualista, cioè intende ripristinare nella vita civile quel giusto rapporto tra “Religione e Politica”, interrotto dall’antireligiosità degli illuministi del Settecento e dagli atteggiamenti a-religiosi degli uomini della Rivoluzione francese, per il radicamento ion Europa delle idee assolutistiche e totalitaristiche di Rousseau.
“Il 150° Anniversario dell’Unità d'Italia –sostiene Pier Ferdinando Casini – è una grande occasione per una riflessione collettiva sul nostro passato ed un ripensamento, per il futuro, del senso di appartenenza alla comunità nazionale. Purtroppo oggi il distacco tra la politica e i cittadini si è gravemente accentuato e le rivendicazioni del cosiddetto “federalismo” alimentate dalla Lega, cui fanno eco dal Sud lamentazioni nostalgiche del Regno delle Due Sicilie, mettono in discussione le ragioni stesse dell’Unità”.
Oggi occorre vincere il "dispotismo" delle maggioranze parlamentari che, imponendo la loro volontà, non tengono conto del continuo aumento del distacco tra le persone e lo Stato.
La società democratica dovrebbe strutturasi come società pluralistica organizzata secondo livelli diversi, cioè ordinata da persone, cittadini che formano una rete intermedia fatta di famiglie, sindacati e associazioni che danno struttura alla società e forma politica allo Stato.
La Repubblica Italiana con l’art.2 della Costituzione ha adottato il modello di socialità pluralistica per garantire i diritti delle persone singole e delle persone delle organizzazioni sociali.
La socialità umana ha grande varietà di espressione associativa: famiglia, comunità di lavoro, sindacati, comunità religiose, associazioni sportive, economiche e culturali.
Nella società democratica c’è idea di socialità ascendente, cioè dalla formula più umile della socialità familiare si dovrebbe ascendere alla socialità politica.
Lo Stato, espressione della società politica, dovrebbe partire dal basso, cioè emergere come auto-organizzazione politica della società civile. Il suo compito primo è il bene pubblico, cioè l’amministrazione della giustizia nel senso che deve garantire il diritto penale, affinché nessuno sia leso, e anche risolvere i problemi sociali, economici, amministrativi senza amministrare direttamente ma ammaestrando, cioè dando direttive e fissando le regole del gioco. Si tratta di dare spazio alla iniziativa privata perché lo Stato è gestore sprecone e maldestro. La società politica è in grado di essere autosufficiente, cioè in grado di poter garantire la buona vita, il vivere bene dei cittadini.
Oggi lo Sato è in crisi perchè troppo angusto per risolvere i problemi imposti dalla globalizzazione ed è troppo dilatato per rappresentare gli interessi elementari dei cittadini.
Si utilizza lo slogan del “federalismo” per affrontare la crisi imposta dal mondo globalizzato.
Essenza del federalismo come movimento, per il politologo Gianfranco Miglio, è la partecipazione dei cittadini verso l’autogoverno responsabile.
Il federalismo in sostanza presuppone un tessuto sociale robusto, una coesione sociale forte e una compagine politica vigorosa. La prospettiva federale non è dissolutiva, cioè non è disgregazione ma è liberalizzazione generale, pluralismo dinamico e auto emancipazione. Non si tratta di un restringimento della democrazia ma come allargamento, come meta della democrazia, cioè come autogoverno.
In tempi recenti, è avvenuto un equivoco dove “federalismo appare come vertigine scompositiva, cioè si vuol plasmare gli spiriti con l’idea che gli organismi della società politica debbano segmentarsi. Il dispotismo si trasforma in demagogia con “l’esaltazione dell’etnos”, cioè preminenza della comunità chiusa o ripiegamento sulla realtà del campanile.
Il federalismo non è etnicismo ma integralismo di aspetti etici.
L’atteggiamento come quello etnicista che si ammanta del nome di federalismo ha radice nella paura. Si teme la globalizzazione e lo sconfinamento dei nuovi mercati vissuti come ribaltamento, cioè come voragine che viene ad aprirsi improvvisamente. Tutto ciò genera ansietà e ci si ripiega su se stessi. Si tratta di un problema psicologico collettivo dove il federalismo non ha nulla a che fare.
Il federalismo se diventa solidale verso gli amici è solo spreco perché si aiuta chi non ha bisogno di essere aiutato e sfigura l’ideale stesso di solidarietà se è praticato per ottenere appoggio o voti politici. Il sistema assistenzialista o clientelare non è solidarietà.
Il federalismo può giungere a maturazione se muove dal libero convergere degli spiriti che presuppone la società plurale.
Lo Stato deve essere “veramente popolare”, riconoscere i limiti della sua attività, rispettare gli organismi naturali e sociali intermedi, applicare il principio di sussidiarietà, cioè aiutare economicamente, istituzionalmente e legislativamente tutte le entità sociali piccole, iniziando dalla famiglia. Si tratta di recuperare “le radici della crescita delle Regioni per promuovere le loro qualità produttive che fanno vincere le sfide della globalizzazione.
Il pensiero politico democratico deve essere personalistico e pluralistico, cioè un pensiero che fa riferimento alla persona e che auspica un corpo politico o società politica articolata, cioè strutturata in una grande quantità di società o comunità di ordine inferiore che costituiscono la struttura della società che con articolazione dal basso arriva poi in alto.
L'imposizione della “volontà generale” della rappresentanza parlamentare di maggioranza crea distacco tra il popolo e lo Stato perché è solo un’autorità lontana dalle vere esigenze degli Italiani.
Si auspica un diverso rapporto tra individui e corpo politico, un diverso modo di concepire la dignità della persona e la dignità del lavoro, cioè si chiede una maggiore cittadinanza attraverso una maggiore attenzione alla persona e ai suoi bisogni di esistenza.
La stagione del fascismo si conclude con la fine della 2^ Guerra Mondiale e con l’esilio dei Savoia..
Il dispotismo nel secondo Novecento cambia maschera ed è indicato dal prete di Caltagirone con il termine di “male bestie ”. Sturzo si preoccupa dell’invadenza dello Stato e del clientelismo che può alimentare la corruzione.
Il pensiero di Luigi Sturzo prevede un “sistema politico e sociale che comprende l’intero popolo, organizzato su una base di libertà per il bene comune”.
L’uomo di fede pensa a una democrazia non individualista, cioè intende ripristinare nella vita civile quel giusto rapporto tra “Religione e Politica”, interrotto dall’antireligiosità degli illuministi del Settecento e dagli atteggiamenti a-religiosi degli uomini della Rivoluzione francese, per il radicamento ion Europa delle idee assolutistiche e totalitaristiche di Rousseau.
“Il 150° Anniversario dell’Unità d'Italia –sostiene Pier Ferdinando Casini – è una grande occasione per una riflessione collettiva sul nostro passato ed un ripensamento, per il futuro, del senso di appartenenza alla comunità nazionale. Purtroppo oggi il distacco tra la politica e i cittadini si è gravemente accentuato e le rivendicazioni del cosiddetto “federalismo” alimentate dalla Lega, cui fanno eco dal Sud lamentazioni nostalgiche del Regno delle Due Sicilie, mettono in discussione le ragioni stesse dell’Unità”.
Oggi occorre vincere il "dispotismo" delle maggioranze parlamentari che, imponendo la loro volontà, non tengono conto del continuo aumento del distacco tra le persone e lo Stato.
La società democratica dovrebbe strutturasi come società pluralistica organizzata secondo livelli diversi, cioè ordinata da persone, cittadini che formano una rete intermedia fatta di famiglie, sindacati e associazioni che danno struttura alla società e forma politica allo Stato.
La Repubblica Italiana con l’art.2 della Costituzione ha adottato il modello di socialità pluralistica per garantire i diritti delle persone singole e delle persone delle organizzazioni sociali.
La socialità umana ha grande varietà di espressione associativa: famiglia, comunità di lavoro, sindacati, comunità religiose, associazioni sportive, economiche e culturali.
Nella società democratica c’è idea di socialità ascendente, cioè dalla formula più umile della socialità familiare si dovrebbe ascendere alla socialità politica.
Lo Stato, espressione della società politica, dovrebbe partire dal basso, cioè emergere come auto-organizzazione politica della società civile. Il suo compito primo è il bene pubblico, cioè l’amministrazione della giustizia nel senso che deve garantire il diritto penale, affinché nessuno sia leso, e anche risolvere i problemi sociali, economici, amministrativi senza amministrare direttamente ma ammaestrando, cioè dando direttive e fissando le regole del gioco. Si tratta di dare spazio alla iniziativa privata perché lo Stato è gestore sprecone e maldestro. La società politica è in grado di essere autosufficiente, cioè in grado di poter garantire la buona vita, il vivere bene dei cittadini.
Oggi lo Sato è in crisi perchè troppo angusto per risolvere i problemi imposti dalla globalizzazione ed è troppo dilatato per rappresentare gli interessi elementari dei cittadini.
Si utilizza lo slogan del “federalismo” per affrontare la crisi imposta dal mondo globalizzato.
Essenza del federalismo come movimento, per il politologo Gianfranco Miglio, è la partecipazione dei cittadini verso l’autogoverno responsabile.
Il federalismo in sostanza presuppone un tessuto sociale robusto, una coesione sociale forte e una compagine politica vigorosa. La prospettiva federale non è dissolutiva, cioè non è disgregazione ma è liberalizzazione generale, pluralismo dinamico e auto emancipazione. Non si tratta di un restringimento della democrazia ma come allargamento, come meta della democrazia, cioè come autogoverno.
In tempi recenti, è avvenuto un equivoco dove “federalismo appare come vertigine scompositiva, cioè si vuol plasmare gli spiriti con l’idea che gli organismi della società politica debbano segmentarsi. Il dispotismo si trasforma in demagogia con “l’esaltazione dell’etnos”, cioè preminenza della comunità chiusa o ripiegamento sulla realtà del campanile.
Il federalismo non è etnicismo ma integralismo di aspetti etici.
L’atteggiamento come quello etnicista che si ammanta del nome di federalismo ha radice nella paura. Si teme la globalizzazione e lo sconfinamento dei nuovi mercati vissuti come ribaltamento, cioè come voragine che viene ad aprirsi improvvisamente. Tutto ciò genera ansietà e ci si ripiega su se stessi. Si tratta di un problema psicologico collettivo dove il federalismo non ha nulla a che fare.
Il federalismo se diventa solidale verso gli amici è solo spreco perché si aiuta chi non ha bisogno di essere aiutato e sfigura l’ideale stesso di solidarietà se è praticato per ottenere appoggio o voti politici. Il sistema assistenzialista o clientelare non è solidarietà.
Il federalismo può giungere a maturazione se muove dal libero convergere degli spiriti che presuppone la società plurale.
Lo Stato deve essere “veramente popolare”, riconoscere i limiti della sua attività, rispettare gli organismi naturali e sociali intermedi, applicare il principio di sussidiarietà, cioè aiutare economicamente, istituzionalmente e legislativamente tutte le entità sociali piccole, iniziando dalla famiglia. Si tratta di recuperare “le radici della crescita delle Regioni per promuovere le loro qualità produttive che fanno vincere le sfide della globalizzazione.
Il pensiero politico democratico deve essere personalistico e pluralistico, cioè un pensiero che fa riferimento alla persona e che auspica un corpo politico o società politica articolata, cioè strutturata in una grande quantità di società o comunità di ordine inferiore che costituiscono la struttura della società che con articolazione dal basso arriva poi in alto.
L'imposizione della “volontà generale” della rappresentanza parlamentare di maggioranza crea distacco tra il popolo e lo Stato perché è solo un’autorità lontana dalle vere esigenze degli Italiani.
Si auspica un diverso rapporto tra individui e corpo politico, un diverso modo di concepire la dignità della persona e la dignità del lavoro, cioè si chiede una maggiore cittadinanza attraverso una maggiore attenzione alla persona e ai suoi bisogni di esistenza.
La società civile è tale se fondata sul rispetto dell’uomo esistenziale e concreto, dei suoi diritti, se è ben salda sulla fede nel progresso interno della vita e della storia del popolo italiano e se si avvale della forza della libertà.