giovedì 30 settembre 2010

FIDUCIA CONFERMATA A BERLUSCONI

IL LEADER DEL PDL DECISO
PER ATTUARE LE RIFORME
Si parla di rottura tra Berlusconi e Fini.
"Berlusconi deve governare fino al termine della legislatura - sostengono i parlamentari del PdL - perchè così hanno voluto gli Italiani".
Il Popolo della Libertà va rafforzato e questo presuppone che tutti i suoi componenti abbiano piena coscienza di far parte di un grande partito nazionale, attenti alla sua coesione interna.
"C'è un leader che guida la coalizione - ha detto il senatore Giuseppe Pisanu - e quello è il Presidente del Consiglio. Noi dobbiamo sostenerlo fino alla fine della legislatura. Ma non dobbiamo nemmeno nascondere che ci sono dei problemi aperti sui quali è necessario discutere".
Il potere della leadership nel PdL è confermato con il voto di fiducia alla Camera.
"Abbiamo i numeri per andare avanti - sostiene Berlusconi - come abbiamo ben chiaro il programma da attuare e siamo nelle condizioni di governare più sereni e nella chiarezza. Abbiamo avanti tre anni nei quali, superate le emergenze e accantonate le polemiche inutili, ci dedicheremo con determinazione alle riforme: la grande riforma della giustizia, la riforma fiscale per diminuire le tasse, la riforma dell'architettura istituzionale dello Stato. Abbiamo promesso agli Italiani un Paese più moderno, più libero, più sicuro, più prospero, meno oppresso dal fisco e dalla burocrazia. Vogliamo riuscire a realizzarlo entro la fine di questa legislatura".
“La libertà non è sinonimo di individualismo – ha scritto in una nota il Presidente del PdL – non significa libertà di fare ciò che più ci aggrada. La libertà è vera libertà quando è relazione con gli altri, cioè rivendica non solo i legittimi diritti, ma si fa carico dei doveri anche nei confronti degli altri. Questo è il nostro sentimento di libertà”.
Per il leader del partito, la libertà è l’essenza dell’uomo, l’essenza della nostra intelligenza e del nostro cuore, l’essenza della capacità di amare, l’essenza della nostra capacità di operare.
"La condivisione di principi comuni e il vincolo di solidarietà con i propri colleghi di partito - ripete Silvio Berlusconi - sono fondamenti imprescindibili dell'appartenenza a una forza politica".
“Accanto al bene individuale – scrive Benedetto XVI nella lettera enciclica “Caritas in Veritate”- c’è un bene legato al vivere sociale delle persone che è il bene comune. È il bene di quel “noi tutti”, formato da individui, famiglie e gruppi intermedi che si uniscono in comunità sociale. Volere il bene comune e adoperarsi per esso è esigenza di giustizia e di amore”.
La società politica è destinata essenzialmente allo sviluppo delle condizioni di ambiente che portino tutti i cittadini a un grado di vita materiale, intellettuale e morale conveniente al bene e alla pace sociale.
La comunità politica contribuisce, così come la comunità familiare, a procurare nella persona gli inizi di quella crescita che la persona conduce al suo termine. Occorre che la società abbia un'anima fatta di buona volontà, di relazione, di rispetto e di amore da persona a persona e tra persona e comunità che possono dare alla vita del corpo politico un carattere veramente umano.
Si tratta di costruire una società il cui centro non è l'individuo, ma la persona che si realizza liberamente nella comunità civile.
L'idea dinamica dominante in questo ideale concreto è quella della libertà e della realizzazione della dignità umana.
I Promotori della libertà si impegnano a realizzare questo ideale di società civile fondata sul rispetto dell’uomo esistenziale e concreto, dei suoi diritti, sulla fede nel progresso interno della vita e della storia del popolo italiano e sulla forza della libertà.
La libertà per Berlusconi deve essere anche libertà nell'economia che deve svilupparsi secondo i principi della libera iniziativa, del libero mercato, della competizione.
Il mercato deve tener conto di tutti, perché così può essere non solo morale ma anche efficiente, in quanto non si può escludere dal benessere, abbandonare nell’emarginazione, nella malattia e nella miseria una parte importante dei cittadini.
La libertà è anche quella di far valere il principio di sussidiarietà che sprona i cittadini a controllare lo Stato per farlo intervenire soltanto quando essi non possono raggiungere con le loro forze e istituzioni i beni e servizi a cui tengono. L'applicazione significa che lo Stato non deve togliere alla famiglia quei compiti che essa può svolgere da sola o associata con altre famiglie e deve garantirle il suo sostegno, assicurando l’aiuto di cui ha bisogno per assumere le sue responsabilità.
Soltanto la costituzione di una società a misura di famiglia” può garantirla dalle derive individualistiche perché la persona e i suoi bisogni sono al centro dell’attenzione delle autorità politiche.
La missione per i testimoni del popolo è quella di agire per poter partecipare alla costruzione di un Paese dove non ci siano cittadini di serie B, un Paese dove nessuno possa avere paura se al governo c’è il suo avversario politico, cioè un Paese dove ciascuno possa seguire la propria vocazione, possa realizzarsi e dare il meglio di sé, dove lo Stato non espropri i cittadini di ciò che sono riusciti a conquistare attraverso il lavoro e sacrifici di una vita. Si tratta di realizzare uno Stato dove ciascuno possa tenere aperta la porta della speranza e tenere alta la bandiera della libertà.
I testimoni della libertà agiscono per una società fondata sulla libertà, sullo sviluppo economico, sulla solidarietà, cioè una società basata sui valori del cristianesimo, sulla famiglia naturale fondata sul matrimonio, formata dall’unione di un uomo e di una donna, nella quale far nascere e far crescere i figli. Si tratta di promuovere una Patria nella quale tutti gli Italiani si riconoscono e che tutti amano, perché è la casa comune di tutti, senza distinzioni.
I cittadini con il loro voto riconoscono l'agire di Silvio Berlusconi per una società politica in cui vince l’amore e gli manifestano la loro fiducia affinché possa “realizzare le riforme necessarie per l'ammodernamento e lo sviluppo del Paese".

mercoledì 29 settembre 2010

VENEZIANI A COSTANTINOPOLI

Capitolo decimo

La servitù della ricca dimora
Oikantropos, eminente consigliere del basileus e senatore influente dell’Impero, eleva la sua mano destra e il servitore, gran cerimoniere della casa, si avvicina al padrone per ascoltare i suoi ordini. Tutti i commensali, sdraiati sui loro triclini, sono intenti a bere i vini pregiati dell’ospite e a osservare la danza delle ballerine di Mitilene.
“Al cambio delle ballerine – sussurra l’aristocratico nell’orecchio del fedele servo - mi reco nelle cucine per incontrare Rodopios. Fagli sapere di tenersi pronto vicino alla griglia delle carni per un messaggio da portare al bailo”.
Le cucine della grande dimora sono costituite da vari locali contigui che si aprono sull’immenso peristilio. Le prelibate carni bovine sono pronte per essere tranciate e deposte sui vassoi d’argento per essere portate nella grande sala. I cucinieri sono amici del servo del bailo perché provengono tutti dalla Tracia e amano parlare della loro terra lontana come appare nei loro sogni o come è immaginata dalle loro menti fantasiose. Rodopios frequenta spesso la casa per accompagnare i propri padroni o per recare un messaggio al Capo degli Antichi Aristocratici.
“Non ho visto il bailo – dice Sitiantropos, addetto a portare le vivande ai commensali – e il suo divano preferito è occupato da due giovani nobili che parlano in latino e da un dotto che conversa in lingua greca con la padrona di casa”.
“Il governatore della colonia di San Marco – risponde Rodopios - ha riunito i suoi consiglieri per importanti decisioni che riguardano la città di Tessalonica. Il suo segretario, ser Francesco Filelfo, è l’uomo più idoneo a sostituirlo nei conviti, per la sua dimestichezza con la lingua greca e per la sua conoscenza della cultura ellenistica. È raro incontrare un latino che parli la lingua greca come lui. Il mio padrone lo porta sempre con sé quando si reca a corte o è invitato dagli uomini influenti dell’Impero. I due giovani veneziani sono stati inviati dai loro genitori presso la casa del bailo per apprendere i segreti della mercatura e per imparare la lingua greca. La presenza delle belle donne che frequentano questa casa li stimola a imparare presto ad esprimere il proprio pensiero e i propri sentimenti con parole adeguate alla circostanza. Coloro che sono destinati a ricoprire le alte cariche di un governo non solo devono imparare a navigare su una galea ma devono soprattutto imparare le buone regole per conversare con le persone influenti degli altri popoli.
La Serenissima prepara a proprie spese i giovani patrizi per impiegarli nelle ambascerie presso le corti straniere. La potenza non si acquisisce solo con le armi, ma con il saper mediare i propri interessi, senza ricorrere al dispendio di ricchezze che possono essere investite proficuamente per accrescere le casse dello stato. La politica di Venezia è quella di stringere rapporti commerciali per la protezione delle rotte marine e delle strade percorse dai mercanti. La loro sicurezza viene ottenuta con trattati nei quali la Repubblica di San Marco, in cambio di agevolazioni commerciali, assicura il costante approvvigionamento dei prodotti indispensabili alla vita delle città e la protezione dei porti con le sue galee. La diplomazia costante e paziente riesce sempre a raggiungere i propri scopi perché mira sempre a cercare il giusto mezzo che possa appagare le controparti in competizione per il ruolo egemonico di potenza”.
“Rimango senza parole – afferma il fedele servo di Oikantropos – e mi chiedo da dove venga tutto questo tuo amore per la città del tuo padrone. Lo stendardo di San Marco si eleva superbo sulle sue galee e impone il rispetto per lo sbarco dei suoi mercanti. Gli equipaggi delle loro navi sono sempre pronti all’uso delle armi per difendere tutto quello che è depositato nelle stive”.
“Hai ragione – risponde il trace – sono riconoscente all’uomo che ripone in me la sua fiducia. Io apprezzo la sua generosità e la grandezza della città che promuove la libera circolazione dei manufatti e dei prodotti naturali della terra. La promozione del libero scambio delle merci conferisce alla Serenissima il rango di grande potenza che favorisce la pace e l’amicizia tra i popoli. La sua azione mediatrice tra il sultano e il coimperatore è disimpegnata dal mio padrone che spesso si reca nella città di Adrianopoli per mitigare le controversie politiche”.
“I commensali aspettano le carni – interrompe il cerimoniere Dulantropos – e il padrone desidera che siano servite ancora fumanti”.
“Sono pronto – esclama Sitiantropos – a portare in sala gli arrosti profumati per farli gustare agli amici del padrone. Le fanciulle con le anfore del vino sono appena salite dalla cantina per riempire i bicchieri degli ospiti. Il mio amico, che lavora nella casa del governatore veneziano, conosce tante cose del suo padrone e della sua patria lontana. Le donne della cucina parlano continuamente dei marinai e dei rematori della galea che vendono collane e bracciali davanti alla chiesa di Santa Sofia”.
“Il padrone – sollecita Dulantopos - vuole vedere i vassoi pieni di carne e le fanciulle che riempiono di vino i calici vuoti dei commensali”.
Un corteo di servi e di giovani donne entrano nella sala da pranzo per stuzzicare i palati degli ospiti e invogliarli alla conversazione con il dolce vino. Oikantropos si alza dal suo triclinio e fa un giro tra gli amici, per sentire esaltare la bontà dei suoi vini, importati con navi catalane dalla lontana Sardegna, dove il vitigno greco della Malvasia viene curato dai monaci dei conventi. Il padrone di casa si reca nelle cucine per incontrare Rodopios".
“Nella tua casa è sempre festa - esclama il trace appena vede il padrone – e gli ospiti fanno a gara per mostrarti la loro riconoscenza per la tua magnanimità. Ser Emo parla sempre con entusiasmo della tua ospitalità e della tua bontà perché dai lavoro a tanti popolani che servono nella tua ricca dimora. Il tuo cerimoniere mi ha riferito che vuoi parlarmi”.
“Avevo invitato il bailo – esclama sottovoce l’aristocratico - per parlargli di cose importanti, ma ser Filelfo mi ha comunicato che il governatore della colonia di San Marco è impegnato per decisioni urgenti che riguardano gli interessi veneziani nella città di Tessalonica. Fagli sapere che ho bisogno di parlare con lui al più presto. Domani lo aspetterò, all’ora terza, vicino alla colonna di Giustiniano e assieme andremo a vedere il collaudo della mia nuova galea nel Porto del Bucoleon”.
“Questa sera – risponde il trace – il mio padrone saprà del tuo desiderio. Penso che gli ospiti reclamino la tua presenza in sala. Alla fine del banchetto accompagnerò ser Filelfo e i due giovani mercanti al quartiere di San Marco”.
Oikantropos rientra nel salone con un radioso sorriso e nella mano destra un grande calice.
“Invito tutti a bere - eslama - in onore del basileus. Lunga vita al nostro imperatore”.
Un grido unanime si propaga per il salone: “Viva”.
I commensali brindano in onore di Manuele II che ha delegato tutto quello che riguarda la gestione dell’impero al figlio primogenito Giovanni. Gli amici del ricco aristocratico, pur manifestando il loro attaccamento alla casa paleologa, nutrono nell’intimo del loro spirito un profondo risentimento nei confronti all’Amministrazione imperiale che non consente loro di percepire quelle rendite che una volta traevano dai vasti territori in loro possesso.
Tra gli invitati ci sono anche i Principi e i mercanti ottomani stretti attorno al loro Kadi che è fatto oggetto di onori e di attenzione da parte del padrone di casa. Si brinda per l’imperatore e si onorano i rappresentanti ottomani il cui sultano assedia la città.
Gli aristocratici presenti e i ricchi Ottomani parlano in lingua greca e i loro rapporti sono amichevoli e pieni di reciproche cortesie. Tra i vecchi possessori dei territori dell’Impero romano d’Oriente e i nuovi dominatori dell’Impero ottomano c’è l’intesa di favorirsi a vicenda per favorire ogni attività che possa aumentare le loro ricchezze o mantenere il loro prestigio sociale. I nuovi padroni hanno bisogno di coloro che conoscono i modi per ottenere le lucrose rendite dai territori occupati.
I vecchi proprietari degli immensi territori imperiali vogliono riavere la gestione delle terre conquistate dagli Ottomani e una parte delle rendite per mantenere il loro tenore di vita. Tra i ricchi commensali si trovano gli accordi necessari per ottenere dall’Amministrazione ottomana le elargizioni del sultano per rimpinguare le proprie tasche e per versare al Tesoro di Adrianopoli tutto quello che appartiene all’imperatore ottomano.
“Ser Filelfo, vedo che qui tutti sono amici – sussurra Marco – e bevono allegramente. Gli uomini che indossano il turbante parlano degli antichi filosofi di Atene e dei grandi dotti arabi che hanno riempito le biblioteche dell’Oriente di testi sapienziali. I ricchi abitanti della città festeggiano con gli Ottomani che assediano la città”.
“Ti ho già detto tante volte che non devi meravigliarti – risponde il letterato – e non devi biasimare coloro che esprimono amicizia e sanno aprirsi alle persone che appartengono ad altri popoli. I loro atteggiamenti sono indipendenti dalle relazioni politiche dei loro capi, perché tendono a esprimere cordialità per facilitare le relazioni commerciali o favorire i loro interessi reciproci.
La politica dei monarchi, molte volte dettata da logiche di potere o di predominio, non coincide con i desideri dei sudditi che aspirano ad una elevazione spirituale o al conseguimento di un benessere per le proprie famiglie. Questa città, pur essendo attraversata da un fiume di ricchezza ha gli antichi monumenti che cadono a pezzi e il popolo che è affamato per le guerre civili e per i continui assedi. I principi paleologi non sanno trovare una mediazione con i guerrieri che assediano la città e non sanno ridurre i loro monopoli che non consentono alla ricchezza della città di entrare in ogni famiglia. L’unità di intenti tra le persone e i propri governanti si attua quando tra loro ci sono gli stessi interessi da salvaguardare.
L’esempio è dado dalla tua città, dove i governanti fanno delle leggi che salvaguardano le loro aspirazioni, che sono quelle di portare a Venezia tutto ciò che serve per il benessere di tutti gli abitanti. Il Serenissimo Governo di San Marco rappresenta la città stessa perché i suoi componenti sono la base di tutta la società. I senatori sono gli stessi mercanti che hanno solcato i mari per incontrare gli altri popoli e scambiare quelle merci che si tramutano in ricchezza e benessere che ricade su tutti. Le città governate dai loro stessi mercanti diventano grandi e potenti.
Tutto l’Occidente sta risorgendo con il commercio e il benessere dilaga nelle città. Piccoli borghi si ingrandiscono e si riempiono di palazzi di marmo. Le finestre di alcune dimore sono grandi quanto i portoni di ingresso e le pareti delle stanze si ricoprono di affreschi e di quadri che rappresentano le cose belle della vita. Le famiglie del popolo diventano ricche e i loro discendenti acquisiscono rispetto e decoro sociale”.
“Se i Veneziani sognano di venire in questa città – afferma Francesco – significa che qui è assicurata dall’imperatore la possibilità che tutti possano diventare ricchi”.
“Se gli aristocratici non hanno più il tenore di vita di una volta – risponde il segretario - e i popolani non hanno più la possibilità di realizzare i piccoli guadagni con un’attività autonoma, significa che la casa regnante non è in grado di assicurare il loro benessere. Una città che ha bisogno di stranieri per difendere sé stessa vuol dire che deve rinunziare al proprio benessere per pagare coloro che rischiano la propria vita per un paese che non è la propria patria.
Il padrone di questa casa, che ci ospita e ci onora, è stimolato da tutti coloro che hanno perso le proprie terre per trovare una soluzione di pace con il grande sultano. Le sue arringhe nel senato, in difesa degli interessi degli aristocratici terrieri, non sono servite a nulla, perché il senato non ha un potere decisionale.
Il coimperatore impone maggiori tasse e non permette ai produttori di ricchezza di aumentare i prezzi dei loro prodotti in vendita allo scopo di calmierare il mercato. La mano d’opera abbonda e le piazze sono piene di popolani che offrono le proprie braccia in qualsiasi ora del giorno. I lavori disponibili sono, per gli uomini, quelli della riparazione delle mura terrestri danneggiate dagli assedi e, per le donne, i servizi umili nelle case dei ricchi. Le fanciulle che versano il vino nei calici non sono serve ma figlie delle popolane che lavano i panni sporchi o che portano, nei campi liberi della città, tutti i rifiuti e gli escrementi dei ricchi”.
La grande sala da pranzo della dimora di Oikantropos offre ai due giovani patrizi l’immagine di uomini e donne felici nella loro opulenza. Le cucine sono piene di uomini e donne indaffarati a preparare le vivande prelibate per i palati esigenti degli ospiti. Tra il personale dei locali di servizio della casa si aggira Rodopios per salutare i compatrioti e per conoscere le condizioni dei popolani addetti ai lavori domestici. Il trace è un osservatore attento che sa preparare le giuste risposte da dare al bailo, interessato a conoscere le condizioni reali dei ricchi della città, per poter esprimere un giudizio pacato e sincero nelle riunioni del Consiglio della Colonia di San Marco.
“Che sorpresa – esclama Rodopios – nel vederti qui, Xariptina. Ho visto nell’estate scorsa il tuo consorte Nicola che andava al mercato a vendere la lana colorata nella sua tintoria. Come stanno le tue tre figliole Glaucopina, Prosorosina e Xeilomedia? Ho saputo che la prima è già promessa ad un abile tintore, la seconda aiuta il padre nella bottega e l’ultima sta imparando l’arte di confezionare i vestiti di lana in una bottega vicino alla tintoria. Non capisco la tua presenza in questa casa frequentata dagli aristocratici o dai servi del padrone di casa”.
“Mi meraviglio – risponde la donna - che tu non sappia quello che sta accadendo a molti artigiani della città. L’assedio e la chiusura delle porte terrestri hanno indotto mio marito a chiudere la tintoria perché la lana non arriva più a buon mercato dall’entroterra. L’esercito ottomano ha occupato tutti i territori della Tracia.
La lana dei pastori viene requisita per le esigenze dei soldati del sultano. Le stoffe di lana già tinte arrivano dall’Occidente con le galee veneziane. Si dice che nei giorni scorsi è approdata una nave piena di pezze di lana. Le botteghe si riempiono di acquirenti che possono permettersi di acquistarle.
Molti aristocratici, che una volta indossavano gli abiti di seta, si fanno confezionare delle vesti di lana con i tessuti inglesi e con le pezze delle città del Veneto e della Lombardia.Anche i rematori delle navi vendono a poco prezzo degli spezzoni di stoffa di lana. Davanti alla chiesa di Sant’Eufemia, questa mattina, alcuni remigi veneti hanno venduto spezzoni di lana che sono stati acquistati dai popolani a buon prezzo.
Ora vanno di moda i vestiti di lana confezionati con i tessuti portati dai mercanti stranieri. Il mio abito e quelli di tutti i servi sono di lana e sono stati acquistati dal padrone di casa in una bottega del Quartiere di San Marco. I mercanti veneziani si arricchiscono perché sanno vendere i loro prodotti a prezzi concorrenziali”.
“Le tue parole – afferma il trace – non mi sono nuove perché vivo nella casa del bailo. Il governatore della colonia si rende conto – afferma Rodopios – che il momento fortunato per le mercanzie venete può essere passeggero se non si risolve la liberalizzazione del commercio terrestre bloccato dalle truppe del sultano. Gli stessi mercanti ottomani che vivono in città sollecitano il loro kadi a una intermediazione, gestita dal nostro bailo, tra l’Amministrazione ottomana e la casa dei Paleologi.
Ser Emo ha riunito il Collegio dei suoi consiglieri per trovare una soluzione. Tutto dipende dal coimperatore che continua a favorire i pretendenti al trono imperiale ottomano contro l’attuale sultano. Il risentimento di Murad II è naturale e giustificabile perché il basileus si è sempre mostrato amico di suo padre che riconosceva la sua autorità sulle popolazioni di lingua greca.
I figli di Manuele II non si rendono conto che l’esercito ottomano è attualmente il più potente e che nessuno può fermare la sua irruenza. Si tratta di soldati motivati che vengono beneficiati con magnanimità dal loro sultano, mentre il coimperatore Giovanni VIII può fare affidamento su un esercito di mercenari che non sono ricompensati per il loro sacrificio. I mercenari mirano ad arricchirsi e ritornare nelle loro città d’origine, per godere del bottino che hanno raccolto durante la loro militanza sotto il regime di un imperatore straniero”.
“La colpa dell’attuale situazione – afferma la donna - è tutta del coimperatore che si rinchiude nella sua fortezza e non vede che le famiglie del popolo cadono in miseria. Molti aristocratici che frequentano questa casa si lasciano sfuggire parole ostili contro la sua ostilità all’attuale sultano, anche in presenza dei servi. Tutti i domestici hanno paura perché la città è piena di spie del Prefetto”.
“Hai detto che tuo marito ha chiuso il laboratorio – incalza Rodopios - e non hai chiarito la sua attuale occupazione”.
“La chiusura della tintoria – risponde Xariptina – ha indotto Nicola a cambiare tutto il progetto di vita della nostra famiglia. I piani per il futuro sono stravolti perché non c’è più la certezza per un domani migliore. Il nostro basileus si è ritirato in convento e suo figlio non sa gestire la città come suo padre perché i popolani non si sentono protetti dal loro imperatore e non capiscono perché il sultano continua ad assediare la città.
Mio marito lavora attualmente nella bottega di un mercante di seta arabo. I mercanti arabi e turchi, che provengono dall’Egitto e dalle altre città dell’Oriente, vivono tra di noi. I loro quartieri sono ordinati e fiorenti e le loro donne frequentano con devozione le moschee. I rappresentanti più eminenti della colonia ottomana sono rispettati e frequentano anche questa dimora.
Nella sala da pranzo di Oikantropos si vedono alcuni ricchi mercanti con un copricapo di stoffa colorata e parlano bene la nostra lingua. Anche le mie figlie si sono adattate al nuovo lavoro del padre. La prima, Glaucopina, è stata lasciata dal tintore che aveva promesso di sposarla e si è ritirata in un convento. La seconda, Prosorosina, che dava una mano al padre nella tintoria, lavora come domestica addetta al guardaroba nella casa di un ricco mercante veneziano. La terza, Xeilomedia, è stata assunta come lavorante giornaliera da un mastro sartor veneziano, perché il precedente sarto, di lingua greca, non riusciva ad avere il tessuto di lana grezza dai Bulgari. Il loro territorio è stato occupato dai soldati del sultano.
Quando i governanti di una città non offrono un avvenire sicuro ai suoi abitanti, i popolani si sentono abbandonati e si lasciano condurre facilmente da chi promette un cambiamento per il futuro. Gli aristocratici terrieri riescono ad accattivare le loro simpatie perché prospettano grandi elargizioni di ricchezze dai mercanti ottomani che stanno acquistando tante belle dimore nel quartiere delle Blacherne”.
“Sono colto da profondo stupore –afferma il trace - per le vicissitudini della tua famiglia. Sono contento che le figlie più giovani lavorino alle dipendenze dei residenti veneziani. La loro cultura è simile alla nostra e il nostro imperatore ha affidato la salvaguardia della sua casa alla Serenissima Repubblica. Venezia è la loro patria di origine e Costantinopoli è la loro secondo patria per la quale sono disposti a combattere e ad offrire anche la loro vita, perché questa città li nutre e li fa diventare ricchi.
La questione più delicata per la città è l’opposizione nascosta dei vecchi aristocratici che non si rassegnano ad avere un ruolo secondario nell’impero. Oikantropos è il loro rappresentante di spicco che si avvale degli uomini più saggi che si trovano nel monastero del Pantrocratore. La vicinanza dell’edificio alla reggia ha permesso al basileus un controllo assiduo e benevolo con ricche elargizioni imperiali per le necessità del sacro luogo. La devozione degli aristocratici si è sempre manifestata in questo luogo con le grandi elemosine per i luoghi di accoglienza e di cura per i bisognosi. La carità nel passato è sempre stata una manifestazione pubblica che serviva a elevare il misero tenore di chi non poteva esercitare un’attività lavorativa.
La perdita degli immensi territori imperiali non garantisce più il mantenimento delle opere assistenziali da parte dei monaci che non riecono più a far fronte alle richieste di soccorso. Il coimperatore non ha più la disponibilità di ricchezze per le opere di pietà perché il suo pensiero principale è quello di pagare i mercenari che devono fronteggiare l’irruenza dei soldati del sultano”.
“In questa casa – afferma la donna – Il ricco padrone è in grado di mantenere tutti i suoi servi e di vestirli con la seta pregiata. Il suo tenore di vita è tale che può permettersi di riunire a banchetto gli amici ogni martedì e di assumere anche del personale come me in aiuto ai suoi domestici.
La povertà è tra i popolani del quartiere mentre qui i servi vivono per disperdere gli avanzi del banchetto e per preparare il prossimo convivio. Il tempo che intercorre tra un ricevimento re un altro è impiegato dai servi per abbellire la casa e per curare il proprio corpo affinché sia sempre bello agli occhi degli ospiti.
Questa è la casa dell’abbondanza e dell’opulenza che si alimenta di proventi immobiliari della città e di lauti commerci con i porti occupati dai conquistatori ottomani. L’amicizia del padrone di casa con i principi della casa imperiale degli Ottomani è oggetto di discussione tra i servi durante le grandi pulizie della sala da pranzo. Coloro che hanno servito le vivande si divertono a ripetere i discorsi tenuti dall’uno o dall’ altro dei commensali. Si sussurra che tra la servitù ci siano delle spie che fanno parte della rete di informatori del Prefetto. La sua presenza discreta è avvertita in ogni luogo dove si riuniscono i sudditi del basileus”.
“L’attività di Oikantropos – afferma Rodopios - è nota anche al bailo e al suo Consiglio. La Serenissima è informata anche di quello che si sussurra contro l’imperatore. La mediazione del bailo tra la casa paleologa e il governo ottomano, per far togliere l’assedio alla città, è corroborata dalla conoscenza delle aspirazioni degli aristocratici terrieri favorevoli a una amicizia con il sultano. La sua azione si basa sulle buone relazioni commerciali che esistono tra i mercanti ottomani e quelli della colonia di San Marco. La loro amicizia è evidente in questa casa dove si riuniscono a banchettare tutti i ricchi della città che badano agli affari e non alle questioni politiche dei loro governanti.
Gli interessi dei singoli superano facilmente le diatribe di coloro che manifestano la loro potenza con le armi o con la chiusura delle città e dei porti. Il padrone di questa casa mantiene la sua ricchezza perché sa destreggiarsi tra l’autorità del basileus e la possibilità di far valere la sua amicizia con i mercanti ottomani. Questa sua capacità permette a te e a tanti popolani del quartiere di sopravvivere con l’assunzione di un lavoro domestico. La tua famiglia vive per i servizi resi ai residenti stranieri e alle loro capacità di commercio. Il loro mercato fa sopravvivere questa città”.
“Questa situazione precaria ci permette di vivere alla gornata – sostiene Xariptina – ma il futuro resta incerto. Mio marito lavora alle dipendenze di un mercante arabo, le mie figliole non sanno se troveranno un marito in grado di comprendere la loro cultura, perché il benessere è nelle mani degli stranieri che passano per le vie della città. Una volta vivevo sicura nella mia casa e sognavo un futuro con tanti nipoti, ora non so se le mie figlie saranno in grado di allevare i loro figli secondo le tradizioni dei nostri padri. I ceri vengono accesi davanti alle sacre icone e il pensiero si eleva nella speranza di un aiuto della Vergine che mostra la Santa Sapienza che permette di risolvere ogni questione umana e dissipare ogni dubbio dal petto ansioso delle madri di questa città”.

martedì 14 settembre 2010

VENEZIANI A COSTANTINOPOLI

Capitolo nono
Il palazzo del vecchio aristocratico
I remigi della Capitana scendono a passo veloce dalla galea lungo la passerella con la loro mercanzia. Il sole di ottobre e la speranza di fare buoni affari rendono loquaci i piccoli mercanti per la strada che li porta al quartiere di Santa Eufemia, dove intendono vendere i loro oggetti. Qualcuno di loro è già riuscito nei giorni precedenti a mostrare sul banchetto le collane e i braccialetti di Murano. Virgilio, il prodiere più influente del gruppo, conduce i suoi compagni nel quartiere vicino al grande ippodromo di Costantinopoli.
Le merci, esposte sotto i portici del Decumano e nei negozi della grande arteria commerciale che tutti chiamano Mesè, li invogliano ad accelerare il passo per mostrare gli oggetti portati dalla loro patria.
“Virgilio, non correre – esclama il giovane Tommaso – perché ti viene l’affanno. La mercanzia e il banchetto per l’esposizione hanno un peso che ci costringe a non correre. Non vedi che Marin non riesce a tenere il passo? Tu conosci la strada ed è opportuno stare tutti in gruppo perché alcuni di noi non conoscono il quartiere a cui siamo diretti”.
“Ci conviene arrivare alla piazza del quartiere prima dell’ora sesta – esclama il veterano del gruppo – perché le donne, interessate alla nostra merce, cominciano a ritirarsi per preparare il cibo per i loro uomini”.
Il vicolo del Carro veloce è una laterale della Mesè che, attraverso la piazza della chiesa di Sant’Eufemia, porta all’ippodromo della città. La strada, che un tempo era molto frequentata per gli amanti delle corse di cavalli, è anche percorsa, verso l’ora nona, da Francesco Filelfo, inviato con Marco e Francesco, come rappresentante del bailo, al banchetto del ricco Oikantropos. I due giovani veneziani sono accompagnati dal trace Rodopios, conosciuto dagli aristocratici di Sant’Eufemia come l’uomo fidato del bailo.
Il quartiere è ancora sede delle dimore degli aristocratici che amministravano i grandi latifondi prima delle conquiste dell’esercito ottomano. I grandi proprietari erano stati costretti dall’imperatore a risiedere nella capitale e a partecipare alle riunioni del Senato. La loro presenza era ritenuta obbligatoria in tutte le cerimonie pubbliche per le loro cariche onorifiche.
La riduzione dell’Impero ha costretto molti aristocratici a vivere come semplici funzionari governativi. I più fortunati sono coloro che riescono ad ottenere la gestione dei grandi monopoli dei Paleologi. Alcuni di loro posseggono in città estese proprietà immobiliari, date in affitto ai popolani in grado di pagare gli esosi affitti richiesti. Si tratta di laboratori per artigiani, negozi per bottegai e case per i popolani.
I più ricchi del quartiere si riuniscono spesso nella dimora di Oikantropos. Le terre della sua famiglia, nella vicina Tracia, sono state occupate dal sultano e la fonte attuale della sua ricchezza è data dai lucrosi proventi immobiliari. Ogni martedì, gli esponenti di spicco del Partito dei Vecchi Aristocratici vengono invitati al suo banchetto conviviale per far festa e per discutere su alcuni argomenti filosofici. I commensali di lingua greca sono tutti appartenenti alle famiglie che disponevano dei latifondi, passati sotto il governo ottomano di Adrianopoli. Tra gli invitati ci sono anche i più ricchi mercanti del quartiere arabo ed il Kadi del quartiere turco. Il santo Patriarca Giuseppe viene sempre invitato ma il Primate della Grande Chiesa di Costantinopoli invia il suo tesoriere laico, responsabile della raccolta delle elemosine per le opere di carità.
La casa dell’uomo più ricco del quartiere è vicino alla chiesa di Sant’Eufemia e per raggiungerla gli ospiti passano per il grande spiazzo, pavimentato da grossi lastroni di pietra, antistante l’ingresso del tempio. La piazza, adornata da una fontana che riceve l’acqua da una grande cisterna vicina, è il luogo in cui accorrono gli abitanti del quartiere per gli acquisti o per qualsiasi necessità. Il tenore di vita dei residenti si manifesta attraverso gli atteggiamenti degli uomini e delle donne che la frequentano per qualsiasi necessità. Il luogo è frequentato dai venditori ambulanti che occasionalmente espongono la loro merce e tra questi si mescolano tutti coloro che intendono comprare o vendere qualcosa lontano dal severo controllo degli agenti delle tasse.
Alcuni venditori, sotto il portico semicircolare antistante la chiesa, destano la curiosità di Marco e Francesco.
“Rodopios, fermiamoci un attimo – esclama Marco – per salutare i nostri amici della Capitana che espongono la loro merce sui banchetti. Vedo il prodiere Virgilio e i suoi amici”.
“Sono lieto di vedere i giovani balestrieri della mia galea – esclama il rematore - e di comunicarvi che gli affari vanno molto bene. Le popolane del quartiere scambiano i loro oggetti d’oro con le collane di Murano che luccicano sotto il sole e abbelliscono le loro ampie scollature. I miei amici, Tommaso e Marin, sono stati invitati a mostrare la loro merce nelle abitazioni di alcune donne per scambiarla con gli oggetti preziosi, custoditi nelle loro cassapanche”.
“Se le donne si avvicinano per ammirare la vostra merce – afferma Francesco – significa che riuscite a capire la lingua greca dei residenti”.
“Le donne di questo quartiere – risponde il prodiere – conoscono molte parole latine e anche il nostro veneziano, perché lavorano nei case dei mercanti. Sembra che in questa città le popolane siano in grado di esprimersi in varie lingue, senza aver ricevuto alcuna istruzione particolare. Da tanti secoli sono abituate a comprare dai venditori che provengono dall’Occidente e da quelli che provengono dall’Est. Alcune di loro conoscono anche la lingua araba e il linguaggio dei Turchi”.
“Non c’è da meravigliarsi – interviene Rodopios – se gli abitanti di questa città conoscono molte lingue. Costantinopoli è il centro del mondo e tutti gli uomini che la visitano o vi giungono per affari si sentono accolti dai residenti con le stesse parole amichevoli che si usano nelle loro lontane terre. Se il cuore è aperto all’amicizia, anche la mente si apre ad accettare la lingua e ad impararla per esprimere accoglienza e gioia di vivere. La facilità con cui i mercanti stranieri riescono a vendere la loro merce scaturisce proprio dalla predisposizione interiore degli abitanti ad accettare tutto ciò che proviene dalle altre culture”.
“Se questa città – afferma Marco - è conosciuta per la sua ospitalità, nessuno deve assediarla”.
“Hai ragione – risponde il trace – e ogni gesto ostile contro la città è uno scandalo per tutti coloro che vengono accolti dentro le sua mura. Gli abitanti della colonia turca si riuniscono ogni venerdì nella loro moschea e pregano perché la città sia risparmiata da qualsiasi atto ostile che danneggia la loro attività commerciale e non permette alle loro famiglie di vivere in pace. Il loro kadi è molto amico del bailo e viene invitato in tutti i ricevimenti degli aristocratici, perché è un uomo saggio e rispetta le tradizioni dei Latini e le istituzioni della cultura ellenistica”.
“Se i Turchi abitano in questa città – afferma Francesco – e frequentano le dimore dei ricchi aristocratici che parlano in greco, non capisco l’ostilità del loro imperatore che tiene sotto assedio questa città”.
“Sei ancora troppo giovane – risponde Rodopios – e non puoi capire i motivi che spingono gli uomini forti a risolvere le controversie territoriali con la guerra”.
“Noi Veneziani – afferma il prodiere Virgilio – vogliamo solo commerciare e vivere in pace con tutti. Questa città dà la possibilità di poter vendere i prodotti della nostra patria e di conoscere tante belle donne”.
“So cosa vogliono i marinai – esclama Rodopios – e ti auguro di incontrare una donna che possa comprare tutte le tue collane e possa conquistare anche il tuo cuore”.
“Il sole inizia a tramontare – continua il trace – e dobbiamo affrettarci per giungere alla dimora di Oikantropos”.
La dimora del ricco aristocratico è tra l’antico muro di Settimio Severo e il lato Sud-Occidentale dell’ippodromo. Le abitazioni dei popolani sono adiacenti al muro perimetrale della casa. Alcune case sono state ricavate dalle innumerevoli stalle di cavalli che nella zona abbondavano, quando l’imperatore amava assistere alle corse ed essere acclamato dalla folla. Le recenti guerre hanno impedito al Tesoro imperiale di sovvenzionare gli spettacoli. Molte taverne sono state chiuse ed il fiume di iperperi d’oro, che un tempo inondava il quartiere, non fluisce più per i suoi vicoli stretti e maleodoranti.
Rodopios precede gli inviati dal governatore della colonia dei Veneziani. Gli eunuchi, all’ingresso della grande casa, invitano gli ospiti ad entrare nella sala dell’atrio per le abluzioni di rito e ad indossare le tuniche di seta, ricamate con fili d’oro e d’argento, previste per i grandi banchetti. Gli invitati sostano vicino alle colonne che sorreggono il tetto dell’atrio, per rendere omaggio al padrone di casa, un uomo alto sulla sessantina che riceve gli amici nel suo studio.
La sua famiglia, appartenente alla classe dei Consiglieri dell’Impero, è originaria delle regioni della Tracia dove possedeva immense distese di terre, conquistate dagli Ottomani. Le immense ricchezze accumulate nei secoli hanno permesso ai suoi avi di acquistare delle proprietà immobiliari all’interno della città e di gestire alcuni monopoli imperiali. Gli imperatori della casa paleologa li hanno sempre designati come magistrati militari e civili. La riduzione dell’Impero ha limitato anche la sfera di influenza di Oikantropos che è il rappresentante nel Senato degli interessi degli Antichi Aristocratici. La sua voce è sempre ascoltata nelle grandi assemblee senatoriali e le sue parole sono oggetto di riflessione tra i ministri del Governo imperiale, perché rivelano spesso gli umori nascosti negli strati sociali del popolo.
Il rappresentante del bailo e i giovani mercanti vengono ricevuti con tutti gli onori nello studio di Oikantropos.
“Benvenuti nella mia casa – esclama a braccia aperte l’aristocratico – sappiate che gli amici di ser Emo sono per me gli ospiti più graditi che mi onoro di avere vicino durante l’intrattenimento conviviale. So che il segretario del bailo è un profondo conoscitore della nostra cultura. Il suo amore per le opere dei grandi filosofi e soprattutto per i testi delle antiche opere teatrali ci è noto da tanto tempo. Gli uomini colti dell’Occidente sono sempre bene accolti quando amano conoscere le nostre antiche tradizioni e sentirle come parte costitutive delle loro consuetudini. La conversazione si fa più spedita quando si condividono gli stessi amori per l’arte e per le istituzioni giuridiche che gli imperatori del passato ci hanno lasciato in custodia per lasciarle intatte alle future generazioni.
Sulle terre dell’Impero passano continuamente degli uomini in armi con un’altra cultura e con l’intento di impadronirsi della nostra città. Le sacre immagini della Vergine ci hanno sempre protetto e continueranno a proteggerci finché saranno accesi i ceri votivi. I nostri figli possono dormire tranquilli e dedicarsi alla cura del corpo e dello spirito. I principi guerrieri di altri popoli sono accolti purché rispettino le nostre usanze e lascino le rendite terriere a coloro che si mostrano ossequiosi nei loro confronti. Le conquiste durano nel tempo se le proprietà vengono lasciate in gestione a coloro che sanno farle fruttare e trasformarle in rendite apprezzabili da qualsiasi amministrazione imperiale. Non conta chi è l’imperatore, ma coloro che sanno ricavare dalle terre le rendite più proficue per rimpinguare le casse del tesoro imperiale. Gli aristocratici che sanno trarre profitti dalla gestione dei latifondi sono una garanzia sicura per mantenere un esercito e per dominare i popoli. Molti aristocratici dell’Impero sono rimasti nelle loro terre dopo la conquista ottomana. Il sultano ha destato nei loro animi una grande simpatia perché ha lasciato ai vecchi proprietari la gestione dei latifondi per ricavare le rendite necessarie a mantenere la loro corte di Adrianopoli.
Anche il nostro coimperatore dovrebbe mostrarsi amico del sultano che possiede quasi tutte le terre dell’Impero romano d’Oriente e non favorire un’altro pretendente al trono degli Ottomani. I principi paleologi non hanno imparato l’arte di mediare di cui i Veneziani sono maestri presso tutte le corti. Gli aristocratici della Serenissima trovano sempre il modo di risolvere le controversie e rimuovere tutti gli ostacoli che impediscono le relazioni politiche tra i governanti. I trattati di pace sono la premessa per il libero scambio dei prodotti commerciali. Mi riprometto di far visita a ser Emo per conoscere il suo parere su alcune questioni importanti che riguardano il recente comportamento del reggente Giovanni”.
Ser Filelfo, rinomato per la sua vasta cultura greco-ellenistica, viene accompagnato con i suoi amici ad occupare un triclinio marmoreo, ricoperto di morbidi cuscini di seta, attorno ad una delle tante tavole preparate nella grande sala. Il locale è sormontato da una cupola che appoggia su un tamburo, retto da colonne marmoree.
Dal vicino portico, i suonatori della Tracia rallegrano gli invitati con musiche e canti che rievocano le antiche tradizioni dei popoli che abitano i territori conquistati dal sultano. Gli aristocratici, che non posseggono più le rendite dei lori domini, sentono con nostalgia i canti delle loro terre d’origine.
Le vivande e i vini delle vicine isole della Propontide e dell’Egeo rallegrano gli animi ed inducono i convitati ad aprire il loro spirito alla ricerca dei consensi e all’appagamento intellettuale dei lunghi ragionamenti di circostanza. Una fila interminabile di servi, proveniente dalle cucine, si snoda lungo il peristilio per riempire le tavole di vassoi sempre pieni di carni arrostite e insaporite con le spezie più ricercate. I ceri dei candelabri sono accesi per dare luce a tutti i locali della casa.
“Il Grande Logoteta ha chiesto a tutti i senatori – sussurra Oikantropos nell’orecchio del ricco Teicantros, disteso al suo fianco sul grande triclinio – un incremento delle entrate del Tesoro imperiale con un ingente balzello sul materiale edilizio. Il Partito degli Antichi Aristocratici, che mi ha eletto suo portavoce nelle discussioni dell’Assemblea senatoriale, non concorda con l’aumento proposto dal primo ministro, perché le case e i locali commerciali, dati in affitto, hanno subito già dieci rincari negli ultimi sei mesi, per far fronte all’assedio del sultano. Le abitazioni e le botteghe richiedono continue manutenzioni che vanno a gravare sui fitti”.
“La concessione imperiale della gestione del monopolio sulle costruzioni pubbliche e private – risponde sottovoce il commensale – mi è costata un occhio della testa e bisogna far fronte alle riparazioni delle mura terrestri e dei bastioni, danneggiati negli ultimi assalti. I lavori pubblici devono essere sostenuti da tutti coloro che posseggono proprietà immobiliari e provvedono alla loro manutenzione”.
“I popolani si lamentano che le case date in affitto sono fatiscenti - afferma il padrone di casa – e i fitti sono esosi. Tutto il peso delle pubbliche riparazioni sta gravando sulle spalle degli aristocratici che sostengono le loro famiglie con le modeste rendite immobiliari. Il responsabile dell’amministrazione imperiale dovrebbe reperire i fondi, per le riparazioni degli edifici pubblici, con maggiori aumenti sulla compravendita delle stoffe. I mercanti di tessuti di lana e di seta sono diventati i più ricchi della città con la chiusura delle porte terrestri e con le modifiche del monopolio imperiale della lavorazione della seta. La lana non giunge più dalla Bulgaria e l’importazione dei bozzoli si è interrotta con le conquiste ottomane. Gli operai del quartiere, che lavoravano nelle industrie imperiali vicino alla reggia, sono rimasti senza lavoro e mi chiedono di procrastinare il pagamento dell’affitto della loro casa”.
“Il basileus Manuele II – afferma Oikantropos - è sempre riuscito a sollevare il tenore di vita degli abitanti del quartiere con delle donazioni specifiche al Patriarca, per le esigenze delle famiglie più povere. Il coimperatore Giovanni VIII ha dimenticato l’esempio di suo padre e i popolani si sentono ogni giorno abbandonati al loro destino di povertà. Le mie rendite non mi consentono di far fronte alle esigenze di lavoro di tutti gli abitanti del quartiere, perché posso dare una paga soltanto a chi serve nella mia casa”.
La speranza degli abitanti è quella di ricevere un lavoro o un sostegno dagli aristocratici che si sono arricchiti con le terre dell’Impero. Il malcontento di coloro che non hanno più le rendite fondiarie si riversa sui popolani che per vivere sono costretti a sostenere le loro rivendicazioni. Il malumore serpeggia anche nel popolo che contrasta le scelte politiche e culturali della casa imperiale.
L’imperatore e il reggente, per mantenere il loro potere contro l’invasione dell’esercito ottomano, si rivolgono al papa Martino V e ai Signori dell’Occidente. Le questioni patrimoniali dei vecchi aristocratici prendono il sopravvento sulle scelte politiche, perché influiscono quelle che riguardano il benessere comune di tutta la città. Le dialettiche mistiche dei santi padri della Chiesa vengono sfruttate da alcuni aristocratici per attirare dalla loro parte i poveri.
Il popolo non vuole l’intervento di un esercito latino perché ricorda le razzie e le distruzioni perpetrate nei secoli precedenti dai crociati che assalirono, per bramosia di ricchezza, la loro città e non andarono a liberare il Santo Sepolcro. Il risentimento degli abitanti per quei saccheggi è come una ferita profonda che non si rimargina perché si tramanda di generazione in generazione.
Le ferite, inflitte dai fratelli che hanno la stessa cultura storica e gli stessi fondamenti giuridici, sono tradimenti che riguardano il profondo dello spirito di un popolo. Soltanto chi è in grado di scrutare nelle sue profondità è in grado di lenire la memoria della sua offesa o di trovare la strada della conciliazione. L’imperatore e il santo Patriarca Giuseppe vorrebbero cancellare l’onta subita dalla città ma il popolo non è ancora pronto.
Si attende l’intervento della Santa Irene che riunirà tutti i popoli interessati alla conciliazione sotto la grande cupola della Santa Sapienza. Lo spirito di un popolo è imperscrutabile da uno o più uomini e può essere sanato dalle sue ferite se si lascia guidare dallo Spirito del Figlio della Vergine che indica la strada da seguire per il conseguimento del bene comune a tutti gli uomini.
Nel palazzo del capo del Partito degli Antichi Aristocratici, il desiderio di ricchezza di alcuni uomini, già beneficiati dalla magnanimità del basileus, contrasta con la povertà dei popolani del quartiere che cercano un lavoro per sostenere le proprie famiglie durante l’assedio dell’esercito del sultano.
Attorno ad ogni tavolo, i commensali, sdraiati sul loro triclinio, gustano le prelibate vivande e si dilettano a conversare con i vicini sulla situazione della città o sulle vicende personali dei membri della famiglia imperiale. Attorno al tavolo, attiguo a quello di Oikantropos, sono presenti anche le nobili donne, appartenenti alle famiglie aristocratiche più influenti della città. La sposa del padrone di casa, Alexandra, è adagiata sul divano con la sorella Licia e la nipote Pontina.
Marco e Francesco sono proprio vicini al loro triclinio. La loro collocazione è stata indicata dalla signora della casa perché desidera conoscere le novità dell’Occidente. Il segretario del bailo, Francesco Filelfo, conoscitore della cultura e della lingua degli ospiti, cerca di agevolare il dialogo tra le donne e i due giovani che fanno fatica a capire la lingua greca.
“Il bailo ha sempre accolto l’invito del mio consorte – dice Alexandra a ser Filelfo – ed oggi vedo che ci ha inviato due nobili mercanti per fare compagnia alle giovani donne di questo banchetto. Ho saputo che la consorte di Teodoro II, nipote del papa, è sbarcata la settimana scorsa da una galea veneziana e ha destato tanta meraviglia nel palazzo delle Blacherne per la sua bellezza. Gli eunuchi del palazzo imperiale fanno a gara per servirla e rimangono affascinati davanti al suo portamento disinvolto nel seguire il cerimoniale di corte. Si dice che le donne dei Signori dell’Occidente studiano come i grandi dotti e conoscono le opere degli antichi filosofi. La loro cultura è tale da influenzare anche i cortigiani più raffinati. Il suo consorte è diventato un mecenate perché sta attirando nel suo palazzo i migliori artisti dell’Impero per rendere la capitale del Despotato della Morea piena di monumenti come la città sede dell’imperatore.
I nostri edifici pubblici vanno in rovina perché mancano i fondi, mentre una lontana città dell’Impero riceve i fondi per ingrandirsi e abbellirsi. I consiglieri del Patriarca sono preoccupati e si lamentano perché il coimperatore non elargisce le sovvenzioni alle chiese per le esigenze dei poveri. Suo padre Manuele II ha sempre concesso grandi donazioni alla chiesa del Pantocratore per le opere assistenziali”.
“Sono grato a ser Emo – risponde il segretario – per avermi dato l’opportunità di partecipare a questo banchetto insieme a Marco e Francesco, inviati dai loro genitori presso la casa del bailo per imparare l’arte della mercatura e conoscere gli uomini e le donne che animano il grande emporio commerciale di questa città.
La Serenissima fa imbarcare a proprie spese i giovani patrizi sulle galee come balestrieri per abituarli alla vita del mare. Il loro addestramento diventa proficuo con la conoscenza delle usanze dei popoli con cui Venezia scambia i propri prodotti.
La dimora di Oikantropos è considerata dal bailo una palestra di vita e fonte di conoscenza dei costumi, delle usanze e delle istituzioni dell’Impero. Qui si apprendono le norme di convivenza dei popoli che in Occidente e in Oriente riconoscono il sistema giuridico, tramandato dagli imperatori romani e riconosciuto dai sacri Padri che nei secoli hanno custodito e guidato con saggezza lo spirito dei credenti nella Santa Sapienza.
In questa casa si danno convegno gli aristocratici per decidere quello che deve essere discusso nelle assemblee del Senato e portato a conoscenza dell’imperatore per le sue deliberazioni. Si tratta di ottenere il consenso degli uomini più eminenti sulle questioni che riguardano il futuro di questa città.
I giovani patrizi della città di San Marco, che partecipano alle riunioni conviviali, hanno l’occasione di conoscere le donne di questa città che a fianco dei loro uomini traducono le dure leggi del diritto in norme di vita quotidiana per le relazioni tra coloro che vogliono vivere in pace e progredire nella crescita dello spirito umano. Gli uomini colti e i saggi dell’Occidente hanno sempre ascoltato le parole e gli insegnamenti degli spiriti eletti che si riunivano sotto la protezione dell’imperatore per dirimere le controversie devozionali. I governanti latini applicano le norme del diritto romano garantite in questa città. Le manifestazioni della cultura ellenistica sono studiate in tutte le loro corti.
I mercanti riportano in patria gli usi, i costumi e il modo di vestire delle donne e degli uomini di questa città. Le donne delle nobili famiglie, scelte come consorti dei Principi paleologi, sono già state educate secondo la cultura del popolo che parla la lingua greca e conoscono le norme di vita delle corte delle Blacherne".
“La tua preparazione culturale – continua la padrona di casa – ci è nota e il mio consorte ha appreso con gioia la tua partecipazione al posto di ser Emo, impegnato in una riunione urgente del Consiglio della colonia, per risolvere le questioni commerciali, nate con l’assedio della città. Il mio consorte è preoccupato per le scelte del coimperatore che non facilitano le buone relazioni con il sultano. Il matrimonio del reggente con una nobildonna del Monferrato e quello di suo fratello Teodoro con la nipote del papa suscitano apprensione negli aristocratici che temono una seconda invasione dell’esercito dei Latini.
Il Partito degli Antichi Aristocratici, costituito da coloro che hanno perso le rendite delle terre conquistate dagli Ottomani, preferisce trovare degli accordi con il sultano per ottenere la gestione delle terre perdute. La politica delle unioni dei Principi di casa paleologa con le nobildonne dell’Occidente non favorisce i buoni rapporti con i conquistatori che si sentono traditi dall’imperatore che ha stipulato con loro trattati di pace. L’assedio e la povertà dei quartieri della città dipendono dal comportamento del coimperatore ostile al sultano e agli interessi di tutti gli aristocratici”.
“Il comportamento delle spose dell’Occidente – risponde ser Filelfo – è sempre stato favorevole alla salvezza della città e alla salvaguardia delle istituzioni dell’Impero. L’intraprendenza della basilissa, la reggente Anna di Savoia, nonna di Manuele II, salvò il trono all’imperatore Giovanni V e alla casa dei Paleologi. L’ingresso di Cleofe dei Malatesta e di Maria di Monferrato nella famiglia imperiale porterà dei benefici al popolo che parla la lingua greca. Il mecenatismo di Teodoro, suggerito dalla colta consorte, è segno che la cultura ellenistica è viva e si rinnova con gli apporti degli artisti dell’Impero che esprimono le loro doti artistiche secondo i modelli della cultura tramandata nei secoli dagli uomini saggi di questa città. Costantinopoli vive grazie all’amore di coloro che sanno rinnovare la sua cultura nell’arte e nei nuovi monumenti. La povertà non deriva da coloro che amano le istituzioni giuridiche romane e la cultura ellenistica ma dalla paura di coloro che non vogliono cercare la vera via della salvezza della città che consiste nell’affermazione della sua autonoma attraverso la stesura di trattati di pace e di accordi commerciali. Questa capitale è nata come centro di pace, come emporio di un grande Impero, dove tutti gli uomini possono scambiare i loro prodotti. Le città dell’Occidente sono pronte a salvaguardare la sua indipendenza anche con ingenti spese di denaro e con il sacrificio dei propri figli”.
“Le tue parole sono lodevoli - afferma Alexandra – e non bastano a difendere la città. La sua salvezza dipende dai suoi abitanti che non posseggono più le grandi rendite terriere per sostenere il Tesoro imperiale. Le tasse e le soprattasse sui prodotti importati ed esportati non sono sufficienti a mantenere il decoro della reggia e la sopravvivenza degli abitanti. La ricchezza proveniente dallo scambio delle merci è dirottata nelle città che inviano i loro mercanti. I monopoli imperiali impediscono a chi ha denaro di investire nelle imprese produttive. L’unica rendita proficua è quella degli immobili che si danno in affitto a chi non ha la possibilità di acquistarli. La colpa è dei principi della casa imperiale che non concedono agli uomini la libertà di produrre secondo le capacità individuali. Tanti commensali presenti non sanno come spendere il loro denaro accumulato con le rendite terriere e si rivolgono a Oikantropos per cercare una soluzione anche al di fuori della città. L’imperatore non è in grado di assicurare agli aristocratici quella fonte di ricchezza che rende grandi e potenti le famiglie nobili delle città dell’Occidente. Se i Paleologi non sono in grado di assicurare il decoro di una capitale imperiale, gli uomini emergenti della città hanno il dovere di cercare un’altra casa potente in grado di riportarla agli antichi splendori con un esercito potente”.
“Questa città – ribatte ser Filelfo – non è solo la capitale di un impero che deve reggersi sulla ricchezza o su dei soldati ben pagati, ma il centro di una cultura millenaria. Per più di un millennio le popolazioni dell’Occidente e dell’Oriente hanno utilizzato il Mediterraneo come via di scambio commerciale ed hanno condiviso le leggi romane promulgate sotto il segno del Grande Costantino. Tutto questo retaggio rischia di cadere nelle mani di un Principe guerriero che possiede tante ricchezze da mantenere un grande esercito, ma proviene da un’altra cultura”.
“Si dice che i principi della casa imperiale ottomana – sostiene la donna – vengono allevati da uomini saggi. I loro maestri conoscono le norme della convivenza pacifica e le leggi della natura che devono essere rispettati da tutti gli uomini. Se la città fosse amministrata sotto il patrocinio ottomano, gli uomini ricchi potrebbero investire il loro denaro nelle imprese commerciali per versare le dovute tasse al Tesoro e ritornare a gestire le terre che possedevano un tempo le loro famiglie. Quello che interessa agli aristocratici è di mantenere il loro tenore di vita nella capitale ed eliminare la povertà che aumenta in ogni quartiere. Qualunque sovrano va bene per Costantinopoli purché assicuri la pace e la libertà di produrre la ricchezza necessaria a mantenere la popolazione di una capitale. I timori dei Latini non ci interessano perché le loro città sono lontane e i loro Signori pensano a salvaguardare solo i loro possedimenti. Le richieste di aiuto di Manuele II non sono state accolte dall’Occidente. La prosperità di questa città dipende dall’azione mediatrice dei suoi abitanti più ragguardevoli”.
“Una città non può basare la sua sopravvivenza sulla ricchezza di alcuni uomini – incalza ser Filelfo – ma deve tener conto delle sue tradizioni più profonde e della sua storia. Le madri allevano i figli secondo i canoni condivisi dalle generazioni precedenti e trasmettono i loro valori che sono alla base della vita di una comunità. La loro trasmissione costituisce la via per realizzare il bene comune, necessario a mantenere coesi tutti gli abitanti. La ricchezza di una città non è costituita soltanto dalla quantità di oro o di cibo ma soprattutto dalla libertà dei suoi abitanti di poter realizzare l’elevazione spirituale di ognuno che chiede di essere libero di aprirsi alle esperienze dei suoi simili. La venuta di un imperatore che promuove una cultura che si basa su altri canoni di esperienza produce dei traumi nella popolazione e interrompe il flusso dei valori che si trasmette da una generazione all’altra. Non è sufficiente che un nuovo imperatore sia stato allevato secondo le regole dei saggi o secondo le norme della natura, ma occorre che tutti i suoi sostenitori siano garanti del mantenimento dei costumi condivisi da un’intera città. Colui che possiede il potere di governare lo può esercitare soltanto se è appoggiato da uomini che condividono le sue stesse idee. La storia ci insegna che ogni governante deve avere la stessa cultura del suo popolo per amministrare la giustizia, altrimenti l’anarchia dilagherà in ogni istituzione e gli uomini non potranno più vivere in pace”.
“Si dice che i sultani – controbatte Alexandra – concedano, nei territori conquistati, un’ampia libertà ai sudditi che vogliono seguire le loro tradizioni, purché paghino le tasse e non propaghino idee diverse dalla cultura dei loro conquistatori. I sacri ordini monastici hanno fatto atto di sottomissione al sultano, hanno mantenuto le loro proprietà e sono liberi di officiare tutte le funzioni nelle loro chiese. Le terre sono state restituite ai legittimi proprietari che possono esigere le loro rendite purché versino una quota all’Amministrazione ottomana. Mi sembra che sia riconosciuta la libertà a chi abbia dimostrato di accettare la giurisdizione dell’Imperatore degli Ottomani”.
“Quello che dici – afferma ser Filelfo – è vero ma i cambiamenti istituzionali non avvengono con modalità pacifiche e non è detto che i ricchi beneficiati da un imperatore possano esserlo anche da un altro che agisce secondo una cultura diversa e si propone fini diversi. La famiglia paleologa ha lottato per restituire al basileus il trono che era stato usurpato dai Latini. L’attuale Anninistrazione imperiale ha concesso dei privilegi importanti alle Repubbliche marinare dell’Occidente che dominano con le loro galee le rotte commerciali del Mediterraneo. La loro potenza si basa sulla ricchezza che nasce dal controllo del mercato di questa città che è il crocevia dove i mercanti scambiano le loro mercanzie. Questa città produce ricchezza e potenza per tanti popoli che sono disposti a difendere i loro interessi ad ogni costo. I benefici, ottenuti dal governo imperiale, sono stati acquisiti con grossi pagamenti in oro o con la promessa di difendere la casa regnante contro gli usurpatori e contro qualsiasi esercito nemico. Le loro navi presidiano gli ingressi di tutti i porti e i loro capitani sorvegliano le porte terrestri e marittime della città. Le questioni degli aristocratici di lingua greca dovrebbero essere risolte all’interno della città senza ricorrere all’arbitrato di un principe forte e potente che favorirebbe soltanto i suoi sostenitori”.
“Le esigenze degli aristocratici che hanno perso le rendite fondiarie – afferma Alexandra - e la povertà dei popolani è oggetto di discussione in Senato. La causa del malessere urbano sta nel controllo capillare di ogni attività produttiva e nell’imposizione delle percentuali di guadagno per qualsiasi lavoro o rendita. L’imperatore è il signore di tutto e concede a chi vuole la possibilità di diventare ricco. Le uniche fonti di ricchezza sono le gestioni dei monopoli e chi non è favorito perde con il tempo anche le ricchezza che aveva accumulato in precedenza. Le cariche imperiali vengono concesse agli eunuchi e agli abitanti che sono in grado di studiare e pagare i propri maestri. Si tratta di uomini appartenenti ai ceti medi della scala sociale di cui l’Amministrazione ha piena fiducia per il loro attaccamento alle istituzioni. Molti amministratori dei beni imperiali provengono dal clero o dagli ordini monastici della città, perché la loro preparazione culturale e la loro dedizione alla sacra persona dell’imperatore è garantita dal Patriarca. Solo i prescelti ricevono abbondanti ricompense e possono permettersi di riempire le loro casse di iperperi d’oro. In qualche città dell’Impero i ceti produttivi si sono fatti sentire e si sono opposti compatti ai despoti che appartengono alla casa paleologa. Nella nostra città il Prefetto, di nomina imperiale, possiede una fitta rete di uomini fidati che si mescolano tra il popolo e ascoltano qualsiasi parola proferita contro la sacra persona del basileus o contro la gestione amministrativa delle proprietà imperiali. Anche le mie parole sono controllate e sono oggetto di attento esame da parte degli ufficiali della sicurezza”.
“Le tue parole – afferma il segretario del bailo – descrivono una situazione preoccupante che preannuncia una guerra civile tra i fautori degli aristocratici che si sono arricchiti con il possesso delle terre imperiali e i nuovi aristocratici che gestiscono tutti i rami dell’amministrazione paleologa. In apparenza, a parte qualche negozio o laboratorio che viene chiuso per mancanza di richieste specifiche da parte dei popolani o di penuria di fondi, necessari a mantenere un piccolo esercizio commerciale, tutto sembra normale e la città è percorsa da un fiume di ricchezza per le merci che vengono sbarcate e per quelle che riempiono le stive delle navi pronte a partire lungo le rotte dell’Occidente e i porti del Ponto Eusino. Le carovane di cammelli portano le preziose merci dall’Arabia e dalle lontana India. Il Leone alato di San Marco si mostra splendente sotto i raggi del sole in tutti i porti dell’Impero. Nessuna nave pirata osa attaccare le galee della Serenissima, dopo la recente pace con il Governo ottomano di Adrianopoli. I principi e i mercanti turchi costruiscono i loro palazzi fuori della colonia del Kadì e fanno a gara con quelli dei banchieri e dei ricchi mercanti di Venezia che hanno iniziato a costruire sontuose dimore nel quartiere delle Blacherne.