martedì 23 dicembre 2008

MERCANTI VENEZIANI A COSTANTINOPOLI Cap. XVI

Il mercato

I raggi del sole attenuano la luce del grande faro di Trebisonda. Le navi mercantili entrano nel porto, all’ora del rito mattutino, dopo il ritiro della grande catena posta all’imboccatura dell’approdo. Le guardie aprono i cancelli della città murata e le vie si riempiono di uomini e donne che si recano fuori le mura della città, per comprare la merce esposta sui banchi del grande mercato.
Gli ultimi animali da soma fanno sentire il battere cadenzato degli zoccoli dietro i loro conducenti che si affrettano per occupare il posto già assegnato sul grande spiazzo della compravendita.
I carovanieri arabi escono dalla moschea, dopo la recitazione dell’alba, tirano i cordoni delle tende e mostrano i prodotti dell’Oriente che i cammelli hanno portato dalla città di Tabriz.
Le barche dei pescatori sono tirate sull’arenile e il pesce è in vendita sui banchetti. Le popolane fanno sentire le loro voci per la trattazione del prezzo delle acciughe.
Le mercanzie sono scaricate, sotto il controllo vigile dei gabellieri, per il deposito nei magazzini o la vendita diretta.
L’amministrazione imperiale riempie le sue casse con le imposte, determinate in percentuale, per ogni oggetto di commercio. Il giusto dovuto è stabilito con apposite tabelle, fissate sulle pareti dell’edificio della dogana.
Il governatore della colonia veneziana ha il suo ufficiale nell’edificio della riscossione delle tasse, per far rispettare le norme del diploma dei privilegi concessi dal basileus alla Repubblica di Venezia. Una piccola parte della percentuale è fissata per il mantenimento del suo ufficio di rappresentanza. I suoi concittadini sono sempre sicuri di aver garantiti i propri privilegi mediante la sua intercessione.
Il duca imperiale provvede alla sicurezza di tutto il distretto commerciale adiacente all’area portuale. Le sue guardie, costituite da guerrieri delle lontane regioni del Nord, sorvegliano a cavallo e a piedi gli edifici costruiti tra l’approdo delle navi e le mura della fortezza esterna. Gli ingressi alla città murata sono sotto il loro controllo. La vigilanza prevede anche l’impiego di uomini fidati del popolo, per ascoltare e riferire tutto quello che può interessare il governo della città.
Il prefetto, granduca di Alessio, è responsabile di tutto quello che avviene all’interno delle mura e si avvale anche della collaborazione del presidio per la sorveglianza esterna.
Il basileus di Trebisonda, coadiuvato dai suoi cavalieri più fidati, governa ed osserva, dall’alto della grande torre del suo castello, la magnificenza dei palazzi, edificati dai ricchi mercanti della sua città.
Teodora Cantacuzena ama scendere con la carrozza imperiale dal suo palazzo fortificato ed attraversa la città per recarsi al mercato. Il suo passaggio è salutato con gioia dalle donne che sventolano fazzoletti colorati e dagli uomini che si inchinano con devozione alla vista della loro imperatrice. Il popolo manifesta la sua riconoscenza alla consorte dell’imperatore che fa prosperare e governare in pace la città.
Le principesse, ciascuna con un proprio seguito di damigelle e di paggi, scendono su docili cavalli, condotti per mano dai servi della casa, per acquistare i monili esposti sui banchi dei mercanti della Georgia.
Anche Maria scende con il suo destriero dalla reggia di suo padre, per accompagnare Marco e Francesco tra i venditori arabi di seta. Prima di avviarsi all’appuntamento, la fanciulla entra nel tempio della cupola dorata dedicato alla Vergine.
Il metropolita fa scendere su di lei e il suo augusto genitore la benedizione della Santa Sapienza. Il basileus si raccoglie in preghiera per decidere sul futuro del suo regno e per chiedere un consiglio al suo confessore, al fine di dare la risposta all'ambasciatore di Manuele II Paleologo.
Il primate religioso della città avverte le stesse preoccupazioni del patriarca Giuseppe II al quale è unito nel magistero della Grande Chiesa di Costantinopoli.
Due uomini di scorta attendono l’uscita della principessa per accompagnarla e proteggerla nel grande mercato, dove affluiscono i guerrieri turcomanni per vendere i loro prodotti e per cercare le belle fanciulle della città.
Ser Francesco Filelfo e i suoi accompagnatori hanno trascorso la notte nel palazzo del bailo della Serenissima, edificato all’interno delle mura della città bassa. Il governatore della colonia veneziana ha fatto preparare un all’alloggio sontuoso per gli inviati dell’imperatore di Costantinopoli.
L’ambasciatore, in attesa della risposta del Gran Comneno, partecipa alla riunione straordinaria del Consiglio del bailo e fa presente le raccomandazioni di ser Emo: “Proteggere le navi commerciali con le galee ben armate dalla pirateria turca che infesta il Ponto Eusino e il mar Egeo. I mercanti che percorrono le vie carovaniere dell’Asia Minore devono sottoporsi alla protezione degli emiri turcomanni e offrire loro ricchi doni per il passaggio delle spezie e delle stoffe pregiate. Il piano di difesa delle merci trasportate per mare e per terra comprende il sostegno all’imperatore di Costantinopoli contro l’invasione degli Ottomani”.
I due giovani mercanti hanno il permesso di poter esercitare il loro piccolo commercio con l’aiuto della principessa Maria. Il luogo stabilito per l’incontro è il cancello del muro perimetrale che permette l’accesso alla spianata orientale della zona portuale.
Anche gli altri componenti dell’impresa commerciale, che hanno viaggiato sulla nave dell’ambasciatore, convengono al luogo prefissato. Il prodiere Virgilio, la tessitrice Trixobostrina, il tintore Nicola, agente del mercante arabo Muhammad, escono dall’albergo e si avviano a piedi verso la porta della città.
“Vi stavamo aspettando, seduti su questo muretto – esclama Virgilio, appena vede arrivare Marco e Francesco – per recarci dai venditori arabi della seta grezza. Siamo impazienti di andare dai mercanti. Dobbiamo arrivare prima degli altri acquirenti, per scegliere la merce migliore. I marinai della nave ci hanno riferito che la galea è pronta a partire in qualsiasi momento per riportare l’ambasciatore a Costantinopoli”.
“Non aver fretta – dice Marco – e preoccupati di scorgere in mezzo alla folla la nostra protettrice, la principessa Maria. La figlia dell’imperatore conosce il mercante che ci può offrire la migliore merce al prezzo di mercato. La sua presenza è necessaria per non essere raggirati come inesperti della compravendita con i mercanti arabi.
La basilissa ha consigliato a sua figlia di chiedere per noi la protezione di un emiro turcomanno, un principe che risiede a Bagdad ed è fratello di Iskander, capo tribù delle Pecore Nere, che ha conquistato l’Armenia e la Mesopotamia. Tutte le carovane arabe passano per Tabriz, capitale del suo regno. I mercanti dell’Est portano ricchi doni alla suo palazzo ed in cambio ottengono il lasciapassare per giungere fino a questo mercato.
I Turcomanni sono i nuovi padroni dell’Asia Minore e pretendono dai Comneni il tributo che il basileus Manuele III pagava ai khan mongoli di Samarcanda. La loro amicizia è indispensabile per far passare le merci che attraversano le montagne dell’Est o giungono per il deserto, provenienti dai mari dell’India e dell’Arabia”.
“Io sono un remigio di San Marco – afferma il prodiere – e conosco soltanto quello che vedo o sento da chi mi passa vicino. Una principessa con abiti sontuosi, so distinguerla da lontano”.
“Una nobildonna che si reca al mercato – continua Marco - veste in modo sobrio per camminare con più speditezza fra le popolane ed avvicinarsi ai banchi di vendita senza creare scompiglio o meraviglia. Il rango di una nobildonna è riconoscibile soltanto dalla finezza dei lineamenti e dalle sue movenze leggiadre”.
“Un uomo di mare – replica Virgilio – è abituato a conoscere la gente dei mercati e a riconoscere i costumi locali per potersi muovere liberamente e non essere considerato uno sconosciuto che non sa condividere le usanze del popolo. Un donna è sempre riconoscibile sotto qualsiasi abito, per le parti tondeggianti del suo corpo”.
“Comunque stai attento – dice Marco – e non pensare alla partenza della nave. La galea potrà partire soltanto quando ser Filelfo avrà una risposta dal Gran Comneno. L’impero di Trebisonda è soltanto un piccolo regno commerciale, circondato da emiri turchi ben armati. La sua esistenza è legata al consenso dei vicini che sono interessati a non provocare il sultano di Adrianopoli che dispone di un esercito in grado di occupare tutta l’Asia Minore. Il basileus ha bisogno di tempo per ponderare con calma la sua decisione e noi frattanto acquistiamo la seta”.
“Come può una giovane donna di corte – dice Trixobostrina – conoscere ciò che è giusto per un mercante di seta grezza? La merce ha un costo che comprende non solo il lavoro di chi l’ha tratta dai bozzoli del baco ma anche le fatiche e i pericoli dei trasportatori che hanno rischiato la loro vita attraversando fiumi e percorrendo territori impervi e deserti”.
“La presenza di Maria Comnena – sostiene Francesco – è per noi un motivo di orgoglio che ci fa capire quanto importante sia per la sua famiglia la presenza dei commercianti veneziani. La sua premura è l’espressione della stima che ha suo padre per noi".
"Durante il ricevimento di ieri - racconta il giovane - il basileus ha detto: " I governanti del popolo di San Marco riconoscono che il basileus ha il diritto di riscuotere le tasse sulle mercanzie importate in città e su quelle caricate sulle navi.
Le altre signorie dell’Occidente pretendono privilegi senza corrispondere il giusto tributo sui commerci. I loro mercanti compiono soprusi e pretendono di entrare nel porto della città soltanto perché dispongono di navi in grado di affondare le nostre galee.
Il senatori veneziani inviano le loro navi per presidiare l’approdo di Trebisonda e per far rispettare le norme commerciali. Ai mercanti della Serenissima Repubblica congedo sconti percentuali sui tributi, facilitazioni per l’apertura di ingenti crediti commerciali e per la circolazione delle loro monete. La mia amministrazione è sempre ben disposta a esaudire tutte le loro istanze. Trebisonda sarà sempre riconoscente a coloro che si battono per la difesa del suo impero”.
“Noi siamo qui – bisbiglia il tintore Nicola, rivolto alla tessitrice - perché il nostro basileus non è più in grado di assicurare il flusso delle materie prime per rifornire i laboratori delle varie arti, esercitate da tanti secoli dal suo popolo. Questa città prospera grazie all’azione accorta ed equilibratrice del Gran Comneno che dà le sue figlie in sposa agli emiri turcomanni. I veneziani sono diventati ricchi rischiando le loro vite sulle le navi che trasportano le mercanzie attraverso il Ponto Eusino.
Non viviamo più tranquilli con la manifattura che ci è stata tramandata dai nostri avi. Non abbiamo esperienza della mercatura ed abbiamo lasciato i nostri cari lontano. Quale sarà il nostro futuro?”.
“Io penso a mia figlia – risponde a bassa voce la donna – e sono preoccupata perché è in età da marito e nessun uomo le è accanto per proteggerla. Tua moglie, essendo vicini di casa, senza dubbio le può dare qualche consiglio per tenere a bada i pretendenti focosi. La mancanza del padre, morto per difendere la nostra città, è costantemente avvertita dalla sua anima che manifesta, attraverso le parole, un profondo dolore per la sua perdita”.
“Laimorosina non è più una bambina – afferma il tintore – ed è cresciuta nell’affetto dei suoi genitori. Noi siamo popolani, artigiani che lavoriamo rispettando le regole della manifattura e viviamo secondo i principi che ci sono stati tramandati dai nostri genitori”.
“Una volta - sostiene la popolana - l’imperatore provvedeva ai bisogni delle famiglie con abbondanti approvvigionamenti di derrate e rifornimenti per i laboratori. La nostra fede sembrava solida perché il basileus ci garantiva l’esistenza del bene comune, cioè ognuno si sentiva appagato nei suoi desideri al rango di appartenenza. La sua immagine, portata nelle processioni, era venerata accanto alle sacre icone, perché rappresentava la Provvidenza che elargiva una vita serena ai suoi figli tramite il suo operato.
La prosperità dell’industria della seta ci dava speranza per il futuro. La manifattura mi permetteva di accantonare dei risparmi per la dote di mia figlia. Mio marito, quando era in vita, pensava di ingrandire il nostro laboratorio e di comperare altri telai per la tessitura della seta. Il monopolio imperiale della porpora mi garantiva degli iperperi che investivo con l’acquisto di fili d’oro per intrecciarli con la seta. I miei tessuti servivano per confezionare i vestiti degli amministratori delle Blacherne”.
“La realtà presente – interrompe Nicola – ci costringe a prendere l’iniziativa del rifornimento della seta grezza, acquistandola direttamente a Trebisonda. Non siamo commercianti e non intendiamo rivendere la materia prima ma lavorarla, per il confezionamento delle vesti pregiate. Sappiamo conoscere il prodotto che compriamo perché lo lavoriamo ogni giorno e ne saggiamo la qualità con il telaio e con la tintura. La nostra esperienza dell’arte del tessere e del tingere le stoffe di seta ci permette di non essere raggirati dai mercanti e di parlare con competenza”.
“Non è mio mestiere – replica la donna - trattare il prezzo giusto con gli arabi. Non sono abituata ai viaggi in mare, rischiando di annegare o di essere fatta schiava dai pirati. La mia condizione, di donna che viaggia per affari, attira l’attenzione dei viaggiatori e mi costringe a stare rintanata nella stiva con l’olezzo che proviene dai rematori.
Sono qui soltanto per assicurare una dote a mia figlia e per conservare l’attività del laboratorio che mi è stato tramandato dai miei genitori. Fin da bambina mi hanno insegnato ad essere brava al telaio e i miei sogni erano legati alla produzione dei tessuti. Ho imparato la mia arte stando vicino a mia madre e riproducendo i suoi stessi gesti con lo sguardo compiaciuto di mio padre che mi augurava di trovare un marito abile come lui all’acquisto del filo di seta più pregiato”.
“Non serve a nulla – afferma il tintore – rimpiangere il passato. La nostra arte non tramonta mai perché ci sono sempre nuovi ricchi che vogliono coprirsi con vesti di seta. Fuori le mura della città, vicino, a questo grande mercato, vediamo uomini e donne che indossano indumenti ricchissimi. La loro lingua e la loro pelle è diversa dalla nostra ma dimostrano di possedere ingenti ricchezze, perché portano vistosi ornamenti d’oro.
Una volta la nostra città imponeva i suoi tributi a tante genti e accumulava tutto l’oro del mondo. Oggi Trebisonda risplende con le sue cupole d’oro ed è diventata un grande emporio dell’Asia Minore, sostituendosi a Bagdad, la capitale dell’impero arabo conquistata dai turchi e distrutta dai mongoli. I nomadi delle steppe sono i nuovi signori delle città. Gli antichi imperatori devono rendere omaggio ai nuovi padroni che vogliono superare la sontuosità dei loro palazzi e sfoggiare vesti ricchissime. Il nostro futuro dipende dai principi turchi ai quali lo stesso Gran Comneno deve la sua ricchezza”.
“Io non so ancora distinguere – afferma la donna – tra i guerrieri che assediano la nostra città e gli amici del basileus di Trebisonda. So soltanto che i musulmani recitano il Corano ed elogiano il profeta Maometto. Alcune mie amiche, tessitrici del quartiere di Sant’Eufemia, hanno detto di aver fatto dei buoni guadagni, vendendo le stoffe di seta ai mercanti del quartiere turco. I loro principi, invitati ai banchetti dei ricchi amministratori imperiali, circolano per il ricco quartiere delle Blacherne con molti servi vestiti di tuniche di seta”.
“Costantinopoli è il luogo dove dimora la Santa Sapienza – sostiene Nicola – e dove risiede il rappresentante in terra dell’Onnipotente. Tutti i grandi guerrieri sognano di conquistarla per dominare il mondo. Il sultano di Adrianopoli è il capo di un grande esercito e spera di sostituirsi al basileus per diventare il nuovo imperatore dei Romani e governare l’Occidente e l’Oriente.
I condottieri musulmani, per dimostrare di essere forti e potenti, dicono sempre : “Andiamo alla città, c’è oro per tutti”. Il loro desiderio di ricchezza è alimentato dai racconti dei mercanti arabi. La loro narrazione non è più reale perché l’imperatore non riesce più a sfamare il popolo con le industrie della seta e le tasse sul commercio servono a pagare i mercenari.
Le strade del quartiere di Sant’Eufemia non sono più animate come quando si aprivano le porte dell’ippodromo e i giocatori puntavano le loro fortune sui focosi cavalli da corsa. Le tessitrici di seta degli opifici imperiali non fanno più sentire i loro canti giovanili all’approssimarsi del matrimonio. I telai sono fermi e le operatrici hanno trovato lavoro nei palazzi degli amministratori governativi.
Gli artigiani offrono i loro servigi ai mercanti stranieri che riempiono e svuotano i loro magazzini nelle vicinanze della cerchia muraria marittima. La nostra città si sta svuotando e gli abitanti cercano di trovare rifugio in Occidente, dove prosperano le arti e i principi mecenati offrono denaro contante a coloro che sanno abbellire le loro dimore con gli arazzi di seta”.
“Io non fuggo dal paese – esclama la donna - dove i miei genitori mi hanno insegnato ad esistere per concretizzare i propri desideri. La famiglia è tutto quello che ho di più caro e per essa sono disposto anche ad affrontare i pericoli del mare. Chi lascia la patria per mantenere la famiglia, desidera ritornarvi al più presto per vedere realizzati i sogni della propria vita.
Mio marito è morto, ucciso dai guerrieri turchi, ma la sua immagine vive in me e in mia figlia per la quale continuo a sperare in un futuro migliore. Le promesse nuziali si mantengono anche quando uno dei coniugi muore. Chi rimane provvede ad allevare la prole secondo la legge che ci è stata tramandata dai nostri padri”.
“Guardate quei due cavalieri che seguono quella cavallerizza dai biondi capelli – esclama il prodiere, indicando con la mano la loro provenienza da Ovest – ed ascoltate le urla gioiose della folla”.
“È la figlia del Gran Comneno – esclama Marco – che ci aiuterà nell’acquisto della seta. La principessa Maria cavalca come un uomo e porta un piccolo scudo su cui è raffigurata un’aquila bicipite”.
I due mercanti veneziani, insieme alla tessitrice, al prodiere e al tintore, sventolano, in una maniera convenuta, piccoli fazzoletti colorati per farsi riconoscere in mezzo alla folla.
L’incontro è festoso ed accompagnato dai saluti e dal rispetto dovuto ad una principessa. La nobildonna, coadiuvata dai suoi accompagnatori, lascia il cavallo in custodia al comandante della guardia della porta delle mura che si affacciano sul mercato del porto. La figlia del basileus, affiancata da Marco e Francesco con al seguito gli altri acquirenti e la scorta, si inoltra tra i banchi dei venditori.
“Il mercato all’aperto – afferma Maria – si tiene tutti i giorni feriali e in alcune domeniche ci sono le grandi fiere in onore dei santi. La merce, esposta sui banchi dei tessuti, rappresenta soltanto il campionario delle stoffe giacenti nei grandi magazzini, allestiti all’interno della cerchia muraria della città bassa.
I mercanti pagano somme ingenti ai ricchi che investono le loro fortune nella costruzione e nell’affitto dei locali destinati alla conservazione momentanea dei manufatti provenienti da tutta l’Asia.
Le potenze marinare dell’Occidente hanno stipulato un contratto con l’amministrazione imperiale per l’edificazione di fondaci fortificati al di fuori delle mura. La loro vicinanza al porto e alla zona del mercato è sempre oggetto di contesa. Chi ha il magazzino a portata di mano ha meno spese per il trasporto”.
“Noi siamo veneziani – esclama Virgilio – e dovremmo avere dei privilegi commerciali nell’acquisto della seta. I nostri mercanti ne hanno accumulato dei grossi quantitativi e potremmo acquistarla da loro a buon prezzo. Il costo del trasporto non dovrebbe gravare sulle loro spese perché carichiamo la merce sulla nostra galea”.
“Fidati della principessa – dice Francesco – e non pensare a chi ha comprato la merce per trarne un onesto guadagno. Ognuno ha diritto di essere ripagato per i propri sacrifici e di trarne il giusto compenso per le spese sostenute.
Il nostro privilegio è unico e irripetibile. Nessun diploma, scritto su pergamena, lo prevede ma è conferito sulla parola e scaturisce dal prestigio di una donna della casa imperiale. La sua disponibilità per i veneziani è frutto di buoni rapporti tra suo padre e la nostra repubblica. La reciproca comprensione, tra giovani che desiderano scambiare le loro esperienze, crea un vero legame di amicizia. Marco ed io seguiamo la principessa che si fa portatrice di istanze commerciali a nostro favore. La sua disponibilità scaturisce dalla nostra specifica situazione, cioè di far parte di un’ambasceria imperiale e di essere affidati al suo patrocinio, per ottenere dai mercanti arabi quelle agevolazioni previste per gli acquisti dei principi di Trebisonda”.
“La tua stima – esclama Maria, rivolta a Francesco – mi riempie di gioia e mi fa capire che i veneziani sanno apprezzare il sostegno di una donna negli affari di commercio, pur di raggiungere il vero scopo della compravendita, cioè acquistare la merce con il minor denaro possibile e rivenderla o trasformarla per ottenere un giusto guadagno”.
“A noi giovani – esclama Marco – non interessa l’utile commerciale per diventare ricchi ma ci preme stare assieme per manifestarci ed apprezzare gli sforzi degli amici che condividono le nostre aspirazioni.
La tua disponibilità ci rende felici perché condividi con noi un momento importante che è quello di sperimentare le nostre capacità di interagire con uomini e donne che hanno una storia diversa e si esprimono seguendo usanze tramandate da secoli attraverso le generazioni. La loro conoscenza arricchisce la nostra cultura e ci rende più sensibili ai costumi degli altri popoli”.
“Non dimenticarti di noi – interrompe il prodiere Virgilio – ed affrettiamo il passo perché qui i banchi dei mercanti di seta non finiscono mai. I venditori parlano in arabo e io non capisco le loro parole. Voi giovani volete spiegare tutto con le parole, mentre a me interessano le monete d’oro con cui vivere bene, stare con gli amici e raccontare la vita trascorsa”
“Chi è costretto a remare per vivere – esclama la tessitrice - pensa di trovare un tesoro, nascosto nelle case delle città costiere assalite dai pirati saraceni, per trascorrere il resto della vita gozzovigliando nelle taverne dei porti.
Le donne sfortunate sono costrette a mendicare sotto i portici dei luoghi sacri o servire le padrone delle ricche dimore della città.
Io ho imparato a tessere la seta in casa e i governanti della mia città non sono in grado di provvedere al normale afflusso delle materie prime. I miei genitori guadagnavano tanti iperperi d’oro, stando seduti al telaio, invece sono costretta a navigare, stando nascosta nella stiva di una nave, e a passare, con la testa coperta di veli, in mezzo ai guerrieri turcomanni, per comprare il filo di seta”.
“Non farti sentire dalla principessa – sussurra il tintore Nicola, rivolto alla tessitrice – e segui la figlia del basileus di questa città. Siamo in buone mani e potremo portare a casa tanta seta grezza, usufruendo della franchigia imperiale e della protezione del Leone alato di San Marco”.
“Non farti delle illusioni – risponde sottovoce la donna - e ricordati che la fanciulla ci aiuta perché è affascinata dai veneziani. I giovani mercanti provengono da famiglie nobili dell’Occidente ed hanno la capacità di meravigliare con le parole e gli atteggiamenti le donne che vivono nelle fortezze. Il Gran Comneno è un signore che tiene la famiglia isolata su un colle e le sue figlie sono circondate da nutrici accorte a salvaguardare il loro onore. I loro custodi sono eunuchi preposti alla loro sicurezza e le seguono quando escono dalle loro stanze. Ogni fatto che riguarda le principesse imperiali viene riferito al granduca della casa, consigliere dell’imperatore. Anche noi siamo sotto il controllo di uomini fidati del prefetto della città”.
“Avviciniamoci di più ai nostri amici – consiglia Nicola – e seguiamoli in silenzio senza aver paura”.
“Affrettiamoci – dice la tessitrice – e teniamo il loro passo, altrimenti rischiamo di perderci in mezzo alla folla”.
Sul lato Est del muro della città, emerge un piccola collina che sovrasta la valle dei conciatori, percorsa dal fiume che scende dalle montagne del Ponto. Un grande ponte di legno la collega all’area del grande mercato di Trebisonda.
I padiglioni del principe turcomanno spiccano per i loro colori e per le insegne della tribù delle “Pecore Nere". I cammelli e gli altri animali da soma sono sistemati al coperto in attesa di ritornare ai mercati dell’Oriente. I cavalli dei guerrieri pascolano nei recinti dell’accampamento del signore delle montagne. I suoi servi preparano le vivande di carne allo spiedo per gli ospiti della festa serale.
I mercanti arabi vengono ricevuti dall’emiro dopo il mercato, per il pagamento dei tributi di passaggio e per ricevere il lasciapassare di transito che consentirà alle carovane di attraversare il dominio dell’emiro Iskander, capo della tribù turcomanna dei “Kara Koyunlu” che in Occidente dicono: “I Turchi delle Pecore Nere”.
La capitale del suo regno è Tabriz, città persiana, divenuta centro commerciale e carovaniero dopo la distruzione di Bagdad per opera dei mongoli. Il fratello del capo turcomanno, Jahan Shah, emiro della Mesopotamia, ha sposato la figlia del basileus di Trebisonda. Il suo incarico è quello di riscuotere i tributi dei mercanti che attraversano le montagne armene per portare la seta dall’impero del Khan dei mongoli fino al Ponto Eusino.
I "Kara Koyunlu", una volta pastori delle steppe asiatiche messi in fuga dalle orde di Gengis Khan, hanno conquistato il territorio degli Armeni e si sono impossessati delle terre persiane del grande impero dei Mongoli. Il loro eroe, vincitore del khan di Samarcanda e di Herat, è stato Qara Yusuf, padre di Iskander, che ha preteso dal Gran Comneno il tributo dovuto a Tamerlano.
I Turchi, nomadi disposti a combattere e a servire gli Arabi e gli imperatori di Costantinopoli nei primi secoli del secondo millennio, sono stati sospinte ad Ovest dai Mongoli e si sono insediati nelle terre che appartenevano all’Impero Romano d’Oriente. I loro capi, feroci guerrieri abituati a difendersi dalle orde mongole e sopraffare qualsiasi resistenza degli imperatori di Costantinopoli e dei sultani arabi, hanno costituito una miriade di emirati in Asia Minore.
Gli Ottomani, chiamati dal basileus dei Romani per difendere le sue propietà o per sostenerlo durante le guerre civili, hanno abbandonato le loro istituzioni tribali ed hanno costruito un nuovo impero con capitale Adrianopoli, città dell’antica Tracia. Il loro sultano, Murad II, ha assediato la città di Costantino e mira a imporre la sua volontà agli emiri dell’Anatolia. Il grande mercato della città dipende dagli approvvigionamenti che arrivano con le navi e le vie commerciali tra l’Occidente e l’Oriente passano per l’emporio di Trebisonda, dove affluiscono e partono le merci.
L’Asia Minore è contesa dall’imperatore ottomano, dai capi tribù turcomanni delle “Pecore Nere” che si sono insediati a Tabriz e da quelli delle “Pecore Bianche” che si sono insediati a Diyarbakir, l’antica Amida sulle sponde del fiume Tigri. La loro egemonia è minacciata ad Est dai Khan mongoli di Samarcanda che vogliono riprendere i territori conquistati da Tamerlano. I signori dell’Occidente inviano i loro diplomatici con ricchi doni alla corte del sultano ottomano e alle residenze degli emiri turchi per ottenere il lasciapassare dai nuovi padroni delle strade, percorse dalle carovane cariche di spezie, di seti pregiate e di pietre preziose provenienti dalla Cina e dall’India.
Il Gran Comneno di Trebisonda deve compiacere con tributi e ricchi doni ai signori della guerra che controllano le vie di comunicazione che permettono di alimentare la sua città. La sua arte di intermediario tra le varie contese è celebrata con feste matrimoniali allietate con lo sposalizio delle sue figlie e dei principi turchi.
Il grande palazzo del basileus, sormontato da una grande cupola coperta di lamine d’oro, è frequentato dai figli degli emiri turchi che salgono il colle della fortezza comnena con la speranza di scegliere la principessa più bella e portarla nei loro sontuosi palazzi.
Le strade della città vengono cosparse di fiori quando le figlie dell’imperatore partono per il viaggio d’amore e di speranza. Il loro passaggio, al fianco di uno sposo turco, è considerato dai Trapezuntini di buon auspicio per il mercato perché invoglia le donne ricche della tribù turca del nuovo genero del Gran Comneno a comprare le stesse stoffe preziose e i gioielli della moglie del loro principe.
Una sorella della principessa Maria è entrata a far parte della grande famiglia delle “Pecore Nere” il cui capo domina tutta le regione attorno al grande emporio di Trebisonda. I mercanti arabi delle stoffe e dei gioielli fanno affari d’oro con i nuovi signori del territorio che vogliono emulare il fasto del palazzo del basileus.
Il piccolo tratto di strada che dal mercato conduce all’accampamento dell’emiro è gremito di uomini e donne turcomanne che rendono omaggio al loro principe e si presentano al suo cospetto coperti di vestiti di seta, confezionati dai sarti della città.
L’emiro Jahan Shah è stato già avvertito dell’arrivo della figlia di Alessio e l’attende insieme alla sua consorte che per l’occasione ha adornato il petto e il capo con le pietre preziose ricevute in dono dal suo sposo. Gli orafi della città hanno confezionato i gioielli della trapezuntina secondo le prescrizioni del tesoriere turcomanno.
Le mogli dei principi turchi hanno il dovere di vestire secondo le usanze della tribù di appartenenza. I colori degli indumenti e i monili delle donne indicano la loro appartenenza alla famiglia del capo eletto dagli anziani dei "Kara Koyunlu".
Le insegne delle “Pecora Nere” son inalberate sulle aste ai bordi dell’accampamento il cui accesso è presidiato da guerrieri con le armature brunite. Il consigliere dell’emiro, Yusuf di Shirvan, attende all’ingresso dell’accampamento la principessa imperiale Maria per accompagnarla fino alla sontuosa tenda da campo dell’emiro. Il percorso è cosparso di ghiaia di fiume e di fronde per agevolare il cammino dell’ospite che si reca al cospetto del signore di Bagdad e di vasti territori della Mesopotamia.
La figlia del Gran Comneno e i suoi amici vengono scortati con grande onore e introdotti al cospetto di Jahan Shah e di sua moglie, adagiati su grandi cuscini al centro del padiglione adornato con drappi di seta e tappeti di Tabriz.
“Tua sorella ed io – esclama l’emiro – abbiamo appreso dal nostro tesoriere che dei giovani mercanti, membri dell’ambasceria imperiale del basileus di Costantinopoli, vogliono acquistare un grosso quantitativo di seta grezza. Tuo padre, durante il ricevimento dell’altro giorno, mi ha consigliato di agevolare i loro acquisti per permettere una rapida partenza della nave che inalbera il vessillo della Repubblica di San Marco”.
“Sono venuta – risponde Maria – per salutare mia sorella e il suo sposo prima della loro partenza per il palazzo di Bagdad. Mio padre mi ha incaricato di dirti che ti aspetta a palazzo nella prossima primavera per vedere il suo nipotino che nascerà fra qualche mese”.
“Le nebbie autunnali – afferma l’emiro – penetrano nei padiglioni ed il fuoco dei bracieri non riesce a riscaldare l’interno delle tende da campo. La dimora che ho fatto erigere nella nuova città di Bagdad potrà accogliere degnamente il mio primo figlio. Mia moglie è sempre presente nell’accogliere i mercanti delle grandi città che versano i tributi e a festeggiare gli anziani della federazione delle “Pecore Nere” che vengono a rendermi omaggio”.
“L’attesa del primo figlio – sostiene la principessa – richiede una maggiore quiete per mia sorella, abituata a vivere negli alloggi del palazzo imperiale di suo padre”.
“Le tue premure – dice il turcomanno – fanno commuovere mia moglie. I giorni del parto sono ancora lontani e la mia partenza è affrettata per partecipare al grande consiglio della mia tribù. La vicinanza alle frontiere del sultano Murad II preoccupa i capi famiglia. Gli Ottomani vogliono estendere il loro dominio sugli emirati vicini. Mio fratello, l’emiro Iskander ha indetto a Trabriz una riunione dei capi tribù. La via commerciale per Smirne sarà chiusa ai mercanti e le carovane saranno tutte dirottate su Trebisonda. Gli emirati di Izmir, Aydin, Antalya, Alanya, Karaman potrebbero passare sotto il controllo dell’emiro di Bursa che dipende dal sultano di Adrianopoli. Tutta la costa occidentale e meridionale dell’Anatolia rischia di passare sotto il dominio ottomano”.
“Mio padre - afferma la giovane comnena – è rimasto turbato dopo aver sentito l’ambasciatore ser Francesco Filelfo. I capi famiglia dei quartieri periferici di Costantinopoli vanno in processione al convento della Vergine Peribleptos e invocano l’intervento del basileus Manuele II per riattivare il monopolio imperiale della lavorazione della seta. Il patriarca non riesce più a sfamare i poveri con le rendite immobiliari della Grande Chiesa ed è costretto a chiedere aiuto ai vescovi delle altre città.
I corrieri imperiali riferiscono che il vecchio imperatore digiuna ogni giorno e si teme per la sua salute. I grandi ceri della cappella imperiale del convento sono accesi anche durante la notte per consentire all’ospite imperiale di pregare per la salvezza della città”.
“Il basileus di Trebisonda – sostiene l’emiro – non ha nulla da temere perché la sua città prospera e può mostrare con orgoglio le sue cupole dorate. Mio fratello ed io siamo sempre pronti a scendere in campo per difenderla. I mercanti continuano a riempire i loro magazzini all’interno delle mura della città e ogni giorno il mercato mostra i banchi pieni di merce pregiata proveniente dal paese del Gran Khan e dall’India. Le tende del mio accampamento sono ricolme di merci donate dai mercanti facoltosi. I miei servi non riescono più a tenere il conto delle pezze di stoffa pregiata e mi chiedono di rivenderle al più presto per alleggerire i cammelli pronti a partire per Mosul e Bagdad.
Le casse e i forzieri sono ricolmi di monete d’oro e d’argento che saranno trasportati a Tabriz per la costruzione dei grandi palazzi e per gli armamenti dei guerrieri turcomanni. La fonte della nostra ricchezza è questo mercato governato da tuo padre a cui si accede soltanto con il lasciapassare dei "Kara Koyunlu". Mio padre ha sconfitto le schiere mongole per creare il suo dominio ed io sfrutterò questa vittoria stringendo un patto di amicizia con il Khan di Herat per ingrandire il regno delle “Pecore Nere”verso Occidente e frenare le mire egemoniche degli Ottomani”.
“Prima di affrontare il sultano – esclama la principessa – devi farti eleggere capo supremo dalla federazione della tua tribù e vincere tuo fratello Iskender a cui sei tenuto a consegnare le ricchezze accumulate con i tributi dei mercanti che si recano in questa città.
Mio padre ha stretto un patto con il tuo genitore e con il capo della tribù delle “Pecore Bianche” che occupano i territori che tu vuoi conquistare con l’aiuto del signore di Samarcanda”.
“Un nuovo patto – esclama il grande condottiero turcomanno – stipulerò con tuo padre e con tutti gli altri emiri dell’Asia Minore. La città di Tabriz diventerà più grande di Samarcanda e di Trebisonda. Tutte le mercanzie che arrivano via mare ad Ormuz passeranno per la capitale del mio regno e i mercanti non pagheranno più i tributi al sultano dei Mamelucchi. Il Gran Comneno ingrandirà il porto della città per accogliere le navi delle potenze marinare dell’Occidente”.
“I miei amici Marco e Francesco – dice Maria – mi hanno accompagnato per onorare la tua dimora e rendere omaggio alla tua sposa. La loro città è conosciuta in tutto l’Oriente. Mio padre riceve tanti doni dal doge della Serenissima Repubblica”.
“I tuoi amici – risponde l’emiro – sono anche miei amici e dirò ai miei servi di riempire la loro nave con le mercanzie più pregiate. Jahan Shah è il mio nome e Venezia saprà che anche un principe turcomanno sa essere generoso come il suo doge. Il mio tesoriere esaudirà ogni loro desiderio”.
Il padiglione si riempie di musici e di danzatrici della Mesopotamia per allietare gli ospiti. I servi portano dolci e bevande. I giovani mercanti partecipano all’allegria dell’ospite che dimostra di essere un guerriero ma anche un uomo aperto alla gioia e alla compagnia degli amici.
La principessa Maria viene accompagnata da Marco e Francesco fino alla porta della città per ritornare al palazzo di suo padre. Il loro saluto è festoso e carico di promesse.
I mercanti di Costantinopoli ritornano nei loro alberghi e passano tutta la sera a discorrere sulla lista di mercanzie lasciata al tesoriere dell’emiro. Le loro speranze si caricano di progetti per il futuro.
Il nuovo giorno porta a ser Filelfo la risposta del Gran Comneno e ai suoi amici la gioia di vedere la stiva della loro nave carica di seta e di spezie.
La galea veneziana riporta l’ambasciatore alla città della Santa Sapienza.

lunedì 29 settembre 2008

MERCANTI VENEZIANI A COSTANTINOPOLI Cap. XV


Maria di Trebisonda

Il trattenimento nel giardino imperiale del basileus Alessio, Grande Comneno di Trebisonda, consente ai giovani veneziani, Marco e Francesco, di conoscere la basilissa Teodora Cantacuzena e di fare amicizia con la principessa Maria.
Una leggera brezza di mare, attraverso i finestroni del tamburo della cupola, muove le foglie delle piante che iniziano a cambiare colore nei primi giorni dell’autunno.
L’ambasciatore, ser Francesco Filelfo, conversa con gli ospiti turcomanni che vogliono conoscere le usanze dei Latini e le cerimonie del Serenissimo Principe, il doge di Venezia.
Gli occhi delle donne sono rivolti verso gli uomini dell’Occidente, attratti dai loro indumenti e dai loro visi sbarbati. L’imperatrice e le sue figliole conoscono la lingua degli antichi Romani e si esprimono nell’idioma più consono ai giovani ospiti che fanno fatica a parlare in greco. Le sorelle di Maria, già sposate agli emiri turchi, chiedono alla loro madre di invitare Marco e Francesco a raccontare le loro esperienze nella città di Costantinopoli.
“Le mie figlie vogliono conoscere – dice la basilissa – tutto quello che riguarda le spose latine dei principi Paleologhi e come sono apparse durante il loro ricevimento al palazzo delle Blacherne. Quando vivevo nella casa di mio padre, venivo sempre portata alla reggia del basileus Manuele II ed ero curiosa di conoscere quello che si diceva delle donne di Costantinopoli, date in sposa ai principi dell’Occidente che non sapevano esprimersi nella nostra lingua”.
“Le nobildonne dei principati e delle signorie dei paesi dell’Ovest – interviene l’ambasciatore Filelfo - conoscono le opere dei poeti che narravano le gesta degli imperatori di Roma. In questi anni, la lingua di Sparta e di Atene è oggetto di studio per i giovani che vogliono dedicarsi al commercio e intraprendere i viaggi verso l’Oriente. Le fanciulle delle famiglie ricche vengono educate da precettori che insegnano la filosofia di Platone e di Aristotele. Le loro opere sono oggetto di studio nei monasteri e la lingua greca è conosciuta dai dotti latini”.
“Non metto in dubbio – risponde Teodora Cantacuzena - la conoscenza delle opere greche da parte dei letterati e dei monaci dei conventi. I discorsi arditi e furbi, sui matrimoni tra le famiglie nobili che appartengono a due culture diverse, permettono ai giovani di superare la noia e i grandi silenzi del cerimoniale. La presenza delle mie figlie e dei loro consorti esalta l’importanza della venuta di un ambasciatore la cui fama è giunta alle nostre orecchie prima della sua venuta. La curiosità apre la mente e infiamma i cuori. La meraviglia della vita appartiene ai giovani che vogliono confrontarsi ed acquistare sempre nuove esperienze”.
“Le principesse – afferma il dotto segretario – sono piene di gioia di vivere e i loro occhi radiosi sono colmi di buone speranze per il futuro”.
“La nostra città – afferma la basilissa - prospera e ci permette di pensare a giorni di pace e di buoni matrimoni per le nostre figlie. Il futuro dipende dalle relazioni di buon vicinato che Alessio riesce a instaurare con gli emiri. Una sola preoccupazione è nascosta nel mio animo ed è anche la volontà del mio consorte: “Un matrimonio regale per nostra figlia Maria”. La principessa è molto bella ma è attratta dalle armi ed ama confrontarsi con i giovani nelle gare con i cavalli e con l’arco turcomanno. Il suo confessore, il metropolita di Trebisonda, ci dice che ha un animo coraggioso e un carattere fiero, doti che, unite alla sua rara bellezza, la rendono degna di stare al fianco di un imperatore”.
“La principessa Maria – esclama ser Filelfo – parla in latino ed attira gli sguardi dei due giovani veneziani che rimangono fissi nel contemplare i suoi capelli dorati. Ciò significa che sa stupire con le sue parole i figli di mercanti abituati alle feste sfarzose di Venezia, dove le donne gareggiano nel mostrare i vestiti più belli e gli ornamenti più preziosi. La figlia prediletta di un imperatore merita di sposare non un vecchio imperatore ma un principe designato a regnare su vasti territori ed essere basileus di tanti popoli”.
“Le tue parole – dice la Cantacuzena – sono un balsamo per l’animo di una madre. I principi ereditari sono sempre sottoposti al volere dei loro genitori. I regnanti non sanno pensare alle aspirazioni recondite dei cuori dei loro figli e spesso ascoltano le dicerie di consiglieri che pensano soltanto alla grandezza dei loro signori. Anch’io sono sottoposta al volere del mio consorte il cui unico pensiero è quello di pensare alla sicurezza e alla prosperità di questa città.
Gli altri ambasciatori credono di risolvere le guerre dei loro signori con la sottomissione del più debole e il pagamento di tributi. Le nobildonne sono utilizzate come trofei e la loro bellezza è valutata per risolvere le controversie di potere. Chi non è favorita dalla natura passa i giorni in attesa di colmare un vuoto di affetti senza poter compiere il proprio destino”.
“La tua casa – risponde il messo imperiale – è tutto un giardino di delizie e la fortuna si è soffermata a contemplare le gote delle tue figliole. Sono sicuro che anche la principessa Maria troverà un marito che rimarrà estasiato per la sua grazia e per la sua intelligenza”.
“Le tue parole augurali – risponde la madre – mi riempiono di gioia e mi fanno ben sperare per il futuro. In questi ultimi anni il commercio rende prosperità e benessere ma le paure riempiono i nostri cuori per le conquiste degli Ottomani. I guerrieri del sultano di Adrianopoli occupano tutte le terre ed assediano le città di Costantinopoli e di Tessalonica, grandi empori di sbocco di tutte le mercanzie che passano per Trebisonda”.
“Sono stato inviato – afferma l’ambasciatore – dal basileus designato Giovanni VIII, secondo il consiglio dato dal bailo ser Emo, per indurre il Gran Comneno ad impegnarsi nel sostegno alla famigia dei Paleologhi che governa Costantinopoli. La sede dell’imperium e dell’autorità preposta a governare l’Ecumene, con la guida spirituale del successore dell’apostolo Pietro, è assediata dai guerrieri ottomani. Anche il papa Martino V sollecita l’imperatore Manuele II per la difesa dell’unica fede in Colui che ha redento tutti gli uomini”.
“Condivido le tue aspettative – risponde Teodora - e le preoccupazioni del successore di Pietro per la difesa dell’Ecumene minacciato dal sultano di Adrianopoli. Trebisonda prospera perché il Gran Comneno riesce a instaurare con i Turcomanni un’intesa basata sulla comprensione e la coesistenza condivisa di valori indispensabili alla vita e al benessere delle genti.
Il rispetto del diritto dei popoli, riconosciuto dalle varie culture, permette di scegliere l’unica via possibile per la vita e la prosperità delle famiglie. Il pegno fondamentale per tale scelta è costituito dal sacrificio delle nostre figlie che rinunciano parzialmente alle loro costumanze per pacificare gli animi degli emiri. La via per mantenere l’unica vera fede è aver fiducia in chi può condividere il ruolo delle donne”.
“La tua saggezza – risponde l’ambasciatore – ha basi solide perché suggerita dalla Vergine. Lei ha creduto in Dio che le ha donato il Figlio, l’unica vera via della vita buona.
“Anche Alessio, mio consorte, condivide le mie aspettative – dice sottovoce la basilissa – e spera che Maria possa sposare un re o un grande imperatore”.
“La fede e la buona volontà spesso non bastano – replica l’ambasciatore – quando il sultano di Adrianopoli non rispetta il diritto delle genti di governare autonomamente il territorio su cui hanno fondato la loro cultura e costruito la loro storia.
Ogni popolo ha diritto di possedere ciò che ha ereditato dai propri avi. La loro terra, costituita da montagne, fiumi e pianure, è il punto di riferimento della vita di uomini e donne che hanno condiviso e tramandato i valori dell’esistenza, cioè il modo di adempiere in pace e prosperità il compito che ogni maschio e femmina ha impresso nel proprio spirito prima di affidarlo al Creatore.
Il nome di un popolo è strettamente legato al paese e in esso si identifica la sua storia umana. La perdita della patria genera una grande crisi nelle coscienze perché il conquistatore cancella i simboli della loro cultura che sono espressione di vita, cioè il frutto della loro coesistenza armoniosa”.
“La mia città è Trebisonda – esclama la Cantacuzena – ma la mia cultura è quella dei Romani che hanno una storia e una fede. Roma vive e vivrà in tutti coloro che riconosceranno i sacri valori dell’esistenza che permettono ad ogni spirito di potersi liberamente confrontare con gli altri per esprimere la propria umanità”.
“Il vescovo di Roma – dichiara ser Filelfo – teme la cancellazione della cultura dei Romani con la conquista di Costantinopoli da parte del sultano Murad II. Il papa si adopera con ogni mezzo per creare un’unione di tutti i credenti nella Santa Sapienza, indicata dalla Vergine Maria nei sacri templi, per arginare l’invasione dei guerrieri ottomani.
La città che ha mantenuto nei secoli il diritto di Roma come baluardo, saldo sulla roccia della fede del suo fondatore, è circondata ed assalita dai suoi nemici. I suoi abitanti rischiano di soccombere alle forze nemiche che potrebbero dilagare anche nei territori dei Latini.
Il vero pericolo è la distruzione del sacro luogo su cui gli apostoli Paolo e Pietro testimoniarono la loro fede e da cui si diffonde la parola di chi ha le chiavi dell’autorità spirituale di tutto l’Ecumene. La caduta di Costantinopoli potrebbe provocare la distruzione di tutta la cultura e le nazionalità dell’Occidente.
I nostri figli potrebbero essere fatti schiavi per servire le navi dei corsari e le nostre figlie portate per le strade come trofeo di guerra e vendute sui mercati per servire nelle dimore dei superbi signori della guerra.
Il tempo gioca in favore del nemico e bisogna affrettarsi per dividere le loro forze con ogni mezzo pur di salvare la comune fede di Roma”.
“Parole gravi – esclama la basilissa – che creano un disagio nel mio animo di madre e di regina. Una sciagura difficile da sopportare sarebbe la conquista di Costantinopoli che custodisce le sacre reliquie di tanti martiri e le spoglie degli imperatori che hanno conservato e tramandato nei secoli i valori della mia fede. Il Gran Comneno e la sua famiglia non rimangono insensibili alle richieste di aiuto dei Paleologhi e ai timori del vescovo di Roma”.
“Bisogna far presto – afferma l’ambasciatore – e trovare subito degli espedienti per trattenere il sultano che attualmente si trova in Asia Minore per sconfiggere i pretendenti al trono imperiale di Adrianopoli. Il Gran Comneno potrebbe convincere gli emiri turcomanni a spingere alla sommossa gli abitanti delle città conquistate dagli Ottomani”.
“Inviterò nei prossimi giorni – interviene Alessio – l’emiro della tribù turcomanna delle Pecore Nere, cognato di mia figlia Maria, ad un grande banchetto per chiedergli un consiglio sulla fattibilità di quello che proponi. Cercherò di convincere anche l’emiro della tribù delle Pecore Bianche a partecipare ad una grande coalizione contro Murad II. La cosa migliore sarebbe quella di coinvolgere anche il Khan mongolo di Samarcanda per infliggere agli Ottomani un’altra sconfitta ed arginare la loro avanzata”.
“La tua mirabile opera di conciliazione tra gli emiri – esclama il messo imperiale - è oggetto di considerazione e di acceso dibattito in tutte le corti dell’Occidente”.
“Il mio impero – sostiene il Gran Comneno – si regge sulla politica della conciliazione e in questa azione i miei figli mi seguono per la prosperità di Trebisonda”.
“Anch’io sono pronta – afferma sottovoce la principessa Maria – ed obbedisco alla volontà di mio padre per il benessere di tutti gli abitanti della città”.
“Il mio primo figlio, Giovanni, è stato designato a succedermi sul trono di questo piccolo impero – afferma il basileus – ma tu, figlia mia, con quel tuo viso, con la tua intelligenza e soprattutto con il tuo cuore, potrai sedere su un trono da cui poter esprimere il tuo ardore per la cultura dei Romani e per la fede dei tuoi padri. Il tempo opportuno è stabilito dalla Santa Sapienza e ad ognuno di noi è dato di aderire liberamente per contribuire alla realizzazione di ciò che è più utile al mantenimento dell’imperium del successore di Costantino il Grande”.
“Il mio tempo fertile – risponde la figlia – è già iniziato e alla mia età le principesse hanno già un marito che provvede ai loro bisogni. Io sono ancora vicino al tuo trono, in attesa di compiere la tua volontà, senza manifestare ciò che si nasconde da anni nel mio cuore”.
“Una principessa – dice il padre – non è una donna qualsiasi che segue le costumanze della città, ma una figlia generata per far parte di una missione che dovrà essere svolta con dedizione. Il tuo compito sarà quello di consigliare e collaborare all’opera di un uomo, designato per governare con saggezza e provvedere al bene del suo popolo”.
“Le donne delle famiglie dei Latini – sostiene Maria – sono più fortunate di me che discendo da una grande famiglia imperiale i cui avi hanno già governato su Costantinopoli. Il mio destino sembra quello di attendere un emiro che mi farà cavalcare per allietare, con una numerosa prole, un castello sperduto sulle montagne del Ponto”.
“Non si addice ad una principessa – sostiene con cautela l’ambasciatore – l'impazienza di avere un ruolo nella storia della propria famiglia. La sottomissione alla volontà del basileus non annulla le tue aspettative. Tuo padre ti invita ad attendere l’occasione più propizia per un’adesione coerente alle mire specifiche dei Comneni nell’ambito dell’Ecumene dei Romani. Il tuo avvenire è già dispiegato in Colui che ha beneficiato tuo padre del dominium imperiale a cui sei destinata a collaborare come figlia prediletta”.
“L’imperatore di Costantinopoli – afferma la giovane donna – volge il suo sguardo verso l’Occidente e preferisce scegliere per i suoi figli le spose dei Latini. La basilissa, sua consorte, proviene dalle terre dei Serbi e gli consiglia di allearsi con le famiglie più ricche dell’Ovest per contrastare gli Ottomani”.
“Il sultano di Adrianopoli – afferma ser Filelfo – non ha mire espansionistiche nell’Asia Minore che è sotto l’influenza del Khan dei Mongoli che hanno già sconfitto suo nonno ad Angora. Murad II vuole impossessarsi delle terre dei Serbi e dei Latini e costituisce una minaccia per Roma, dove il vescovo teme la distruzione della cultura e della fede cristiana.
Il papa Martino V ritiene che tutto l’Occidente debba contrastare l’espansione ottomana e propone a Manuele II di allearsi con i governanti latini stipulando contratti matrimoniali per i suoi figli.
Le spose latine sono chiamate per costituire legami indissolubili tra le famiglie regnanti in modo da ricostituire l’Ecumene di Costantino il Grande e fornire un esercito all’imperatore dei Romani. Il sacrificio delle nobildonne mira a salvare la cultura e la fede di tutti i popoli cristiani. La loro influenza è ritenuta determinante dal papa per suggellare l’amicizia tra i governanti dell’Occidente.
Sofia del Monferrato è sposa di Giovanni VIII che è basileus incoronato dal padre, il basileus autocrate dell’Ecumene, Manuele II che si è ritirato in convento per chiedere alla Vergine Odigitra di tendere sempre le mani verso l’alto e salvare Costantinopoli.
Il popolo attende il frutto della loro unione, benedetta dal successore di Pietro e consacrata con il rito ufficiato dal santo patriarca Giuseppe II che condivide le speranze del papa Martino V.
Il vescovo di Roma, eletto per sciogliere ogni legame e riconciliare gli spiriti per ricostituire l’unione di tutti i fedeli, avverte il pericolo che incombe sulla Chiesa universale e si sta adoperando per sostenere la lotta contro i distruttori della cultura occidentale.
La responsabilità del suo magistero è sostenuta dal patriarca Giuseppe II che, unitamente all’imperatore Manule II, avverte la necessità di unire nel vincolo sacro del matrimonio i figli di coloro che detengono il potere per costituire un grande esercito”.
“Anch’io sento questa responsabilità – afferma Maria – ed il mio confessore consiglia sempre di tenermi pronta per sottomettermi con gioia e dedizione alla volontà paterna per una richiesta di matrimonio. L’inclinazione per i genitori talvolta non consegue lo scopo di pacificare o unire le famiglie con le nozze stabilite secondo un patto.
Il matrimonio di Giovanni VIII Paleologo con Sofia del Monferrato e quello di suo fratello Teodoro II con Cleofe Malatesta sono stati celebrati da quasi due anni. Le celebrazioni nuziali non hanno generato alcun frutto né hanno riempito le casse vuote dell’amministrazione imperiale.
I corrieri imperiali, provenienti dalla reggia delle Blacherne e dal palazzo di Teodoro in Mistra, vicino all’antica Sparta, riportano alcune dicerie sulle coppie imperiali: “I due fratelli si tengono lontano dalle loro consorti per motivi culturali e non condividono con loro la camera nuziale”. Forse sono soltanto chiacchiere maligne che, però, mi lasciano alquanto perplessa sul comportamento dei principi, indotti a sposare delle donne scelte per salvare l’Impero romano d’Oriente”.
“Il contratto nuziale - sostiene ser Filelfo – condiviso dal papa e dall’imperatore Manuele II, prevede che alle spose latine siano lasciati gli usi e le loro pratiche di devozione. I principi, eredi del trono imperiale, hanno l’obbligo di generare i figli che costituiranno il pegno inviolabile dell’unione di intenti tra l’Occidente e l’Oriente per la ricostituzione dell’Ecumene: Un solo imperatore con la guida spirituale del successore dell'apostolo Pietro”.
"Sono d'accordo sulle finalità del contratto – esclama la donna – però, i figli nascono dall’amore dei coniugi e questo sentimento scaturisce dalla passione o dal moto spontaneo di due cuori che vogliono condividere le loro affettività. Le voci malevoli sull’aspetto di Sofia lasciano intendere che è già ventottenne. Il suo fisico non è quello delle giovani spose che dalle nostre parti attirano come un fiore che manifesta i suoi colori e il suo profumo allo schiudersi dei suoi petali sotto il calore ardente del primo sole del mattino”.
“Il tuo spirito – risponde l’ambasciatore – è pieno di poesia. Bisogna lasciar fare alla natura e con il tempo la scintilla della passione tra Giovanni Paleologo e Sofia si manifesterà in modo sorprendente. L’attrazione dei sensi sfugge al pensiero che vuole congetturare su ciò che attiene alla procreazione”.
“Gli ambasciatori hanno l’abilità – sostiene Maria – di trovare le giuste parole per fare un contratto di matrimonio al fine di sconfiggere un comune nemico o per ripristinare la pace tra i governanti.
La mia mente è confusa ed il mio cuore è sconcertato al pensiero che le donne latine hanno affrontato un lungo viaggio per arrivare a Costantinopoli e non sono nemmeno apprezzate dai loro sposi che, per non opporsi alla volontà paterna, si tengono le mogli, non compiono i loro doveri coniugali e le lasciano nella disperazione”.
“Manuele II – dice ser Filelfo – ama tutti i suoi figli e, pur di evitare una sciagura più grande all’Occidente, chiede ai governanti cristiani di sostenerlo nella lotta contro il sultano, condividendo con loro il futuro dell’impero. Le loro figlie potranno salire al trono imperiale e generare nuovi eredi nelle cui vene scorrerà una nuova linfa vitale per la salvezza di tutti”.
“Le principesse educate al bene - afferma Maria - sono sempre pronte a partire per incontrare lo sposo, scelto dai loro genitori per garantire il loro tenore di vita. La speranza le sostiene nel viaggio e nell’offerta d’amore, anche di fronte alle incomprensioni iniziali del promesso sposo.
Il comportamento dei principi mette in discussione le differenze culturali esistenti tra l’Occidente e l’Oriente. La questione non sta nell’attrazione dei sensi, infatti Cleofe di Malatesta suscita meraviglia per la sua bellezza e soprattutto per la sua intelligenza.
Suo marito le concede la possibilità di circondarsi di uomini illustri nelle varie arti ma non condivide con lei il letto matrimoniale. La nipote del papa non ha ancora ottenuto un figlio dal marito Teodoro che non condivide il suo attaccamento alle prescrizioni rituali dei Latini”.
“Il pontefice – afferma il dotto Filelfo - le scrive da Roma innumerevoli lettere per incitarla a rimanere salda nella sua fede e di non lasciarsi andare alle usanze del luogo. La sua missione è quella di dare un erede al basileus e rinsaldare l’unione di tutti i cristiani sotto il Soglio di San Pietro.
Il fascino, il sapere di greco e il mecenatismo della sposa di Teodoro hanno elevato il tenore della sua corte. La frequenza degli artisti e dei dotti filosofi ha trasformato il palazzo di Mistra in una reggia che offusca la magnificenza delle Blacherne. Una donna dell’Occidente è divenuta splendore di virtù che onora il governo dei Paleologhi.
I dignitari e i funzionari fanno le lodi dell’imperatore che ha scelto per suo figlio una donna colta e bella. Le nobildonne e le principesse vogliono conoscere i suoi comportamenti verso gli artisti e i letterati.
L’esposizione delle tue riflessioni, sulla vita coniugale della basilissa Cleofe, desta il mio animo e mi spinge ad indagare per far sapere al bailo, ser Emo, tutto ciò che può influire sul commercio della Repubblica di San Marco.
Il despotato di Mistra è al centro dell’antico Peloponneso e dà sicurezza ai porti veneziani dell’Egeo e dell’Adriatico. La rotta commerciale di Trebisonda è garantita dai trattati stipulati secondo il gradimento dei mercanti veneziani che non sopportano le ingerenze dei concorrenti catalani e genovesi.
I matrimoni dei figli di Manuele II con le nobildonne del Monferrato e dei Malatesta sono la garanzia per l’unione dei cristiani, voluta dall’imperatore e dal papa, contro l’invasione dei guerrieri ottomani. Le celebrazioni sono avvenute con la benedizione del vescovo di Roma e la testimonianza a Costantinopoli del patriarca Giuseppe. La loro finalità è la procreazione di un erede.
Il vincolo degli sposi non si basa soltanto sul loro consenso formale. Il matrimonio deve essere compiuto, cioè consumato tra i due protagonisti per generare in “una carne sola” una nuova creatura dell’Eterno. L’amore matrimoniale è la manifestazione della Divina Sapienza che arricchisce tutta l’umanità”.
Maria di Trebisonda cerca con il ragionamento la soluzione di un problema di matrimonio, partendo da notizie divulgate dai corrieri imperiali. La sua curiosità legittima lascia senza parole i giovani ospiti veneziani che ascoltano con interesse e stupore il dialogo che si è instaurato tra il rappresentante degli interessi dei Paleologhi e la figlia del basileus di Trebisonda.
“Figlia – interviene la basilissa Teodora – non puoi assillare l’ambasciatore di domande su questioni che riguardano la famiglia dell'imperatore Manuele II. Ci sono anche dei giovani mercanti che intendono fare dei buoni affari e ritornare a Costantinopoli con la galea piena di mercanzie”.
“Ho già promesso – risponde Maria – di accompagnarli domani per le vie della città bassa e di aiutarli a districarsi nel grande mercato della seta”.
“Non dimenticare, Maria, di farti accompagnare dal custode Oikesestos – consiglia la madre – e di chiedere la protezione di Paltotaxeios, capo degli arcieri turcomanni.
Il guardiano degli abiti cerimoniali conosce i mercanti arabi di seta e può farti ottenere la seta cinese più pregiata. Nei magazzini dei carovanieri si trova la seta grezza a buon mercato che può essere venduta al mercato di Costantinopoli”.
“I tuoi suggerimenti sono sempre utili – risponde la principessa – e mi fanno sentire sicura. La scorta di Paltotaxeios, difensore delle mura del castello, potrà proteggere Marco e Francesco che non conoscono le usanze dei guerrieri delle montagne.
I pastori turcomanni frequentano la valle dei conciatori ed amano intrattenersi nei laboratori dei forgiatori. La loro fierezza è conosciuta in tutta la città e spesso provoca l’intervento delle guardie che devono sedare dei tafferugli”.
“Penso che i giovani veneziani – dice la basilissa - vogliono conoscere i mercanti arabi che provengono da Tabriz con i loro cammelli carichi di seta.
L’aiuto dell’emiro Jahan Shah, che ha sposato tua sorella ed è qui presente, potrà esserti utile per realizzare l’intermediazione con i capo carovanieri arabi. I mercanti che vengono dall’Est attraversano i territori della tribù turcomanna delle Pecore Nere. Una parola dell’emiro, fatta pervenire dai suoi servi al mercante arabo più importante della città, potrà agevolare Marco e Francesco nella trattazione commerciale.
Il banchiere ser Paolo, fiduciario del governatore della colonia veneziana della nostra città, agevolerà i cambi delle monete e fornirà subito il danaro alla presentazione delle lettere di cambio in possesso dei giovani mercanti.
Le nave dell’ambasciatore ser Filelfo è sotto la tutela del basileus di Trebisonda e le merci imbarcate sono esenti dai normali tributi dovuti all’amministrazione imperiale”.
“L’aiuto della principessa Maria – interviene l’emiro turcomanno – e la protezione della basilissa Teodora aprono tutte le porte ed ottengono la disposizione dei mercanti a vendere le loro merci alla semplice richiesta dei giovani veneziani. Le lungaggini delle trattative saranno evitate alla presenza della figlia del Gran Comneno”.
L’intervento del guerriero dell’Est incuriosisce Marco che sussurra a ser Filelfo: “Chi è questo turco che parla con tanta disinvoltura alla presenza dell’imperatore? La fierezza del volto e la sicura padronanza delle cose commerciali mi fanno pensare a un regnante che dispone di un vasto territorio e di tanti uomini alle sue dipendenze”.
“Trebisonda è una grande città commerciale – dice la giovane donna rivolta all’emiro – e l’equilibrio tra i mercanti dell’Occidente è mantenuto rispettando le clausole dei privilegi, concessi con il diploma del basileus.
Le tariffe in percentuali dei dazi sulle merci sono stabilite in modo che ogni mercante sia certo di aver pagato il giusto tributo alla cassa imperiale e al governatore della colonia di appartenenza. Questa è la legge del commercio della nostra città e tutti, popolani, ricchi e forestieri devono rispettare per evitare la sentenza dei giudici.
Anch’io devo rispettare la legge del mercato che permette il giusto equilibrio tra gli interessi dei venditori. La pace si mantiene se la norma è rispettata da chi detiene il potere e la facoltà di aggirarla. Il popolano osserva il comportamento del nobile per giudicare il signore della città”.
“Una principessa che oltre alla bellezza manifesta anche intelligenza – dice il principe turcomanno – è degna di stare al fianco di un re che vuole governare con equilibrio e saggezza”.
“Mi lusinga – dice Maria – il tuo giudizio ma mio padre non ha ancora ricevuto alcuna richiesta di matrimonio. A una donna di rango non è concesso scegliere il momento d’inizio del suo ruolo ma solo attendere la decisione di un uomo che vuole le sue carezze e specchiarsi nei suoi occhi.
L’intelligenza femminile è come una pietra preziosa, nascosta in uno scrigno, che l’uomo scelto dal destino può far brillare per illuminare il suo cammino e scegliere con sicurezza ciò che è più utile per raggiungere il suo vero bene. Lo scopo della donna è quello di preparare un futuro migliore che potrà realizzarsi se suo marito sa apprezzare i suoi suggerimenti. La bellezza può sfiorire con il tempo ma l’intelligenza di una sposa può diventare sempre più acuta se condivisa e stimolata per una proficua collaborazione.
L’imperatore custodisce sua figlia come un tesoro e intende donarla soltanto a colui che offre garanzia di sicurezza per la prosperità di questa città. La sua preoccupazione è quella di vedere apparire sotto le mura del castello un nemico che pretende di avere le chiavi della città per controllare il traffico commerciale.
Questo regno non dispone di un esercito. Le guardie, sulle mura della fortezza più alta, spaziano con lo sguardo sull’orizzonte e riferiscono al loro signore: “Tutto è tranquillo”. Le navi possono approdare per lo scarico delle mercanzie e per stivare tutto ciò che le carovane arabe portano dal lontano Oriente.
Tutta la famiglia è coesa per la sicurezza di questo grande emporio e non ha mire espansionistiche. Il desiderio di mio padre è di essere il basileus che garantisce la ricchezza al suo popolo. La prosperità del suo impero si mantiene anche con il fascino delle sue figlie che assecondano la sua volontà e attendono con devozione ai loro doveri”.
“In tutti gli emirati si parla della tua bellezza – esclama il guerriero turcomanno – e in tutte le corti dell’Oriente i principi fanno a gara tra loro per dimostrare la loro potenza. Nessuno osa fare una richiesta precisa al tuo genitore che finge di non capire e aspetta il momento propizio per aumentare il suo prestigio di imperatore.
Non mancano gli aspiranti alla tua mano ma la tua famiglia non è disponibile ad accettare le offerte che giungono al Logoteta imperiale. La sua risposta è sempre la stessa: “In questo momento il Gran Comneno è impegnato con suo figlio Giovanni nella risoluzione di un grave problema di successione. La sicurezza del suo trono è in pericolo ed attende un giorno sereno per affrontare le questioni matrimoniali delle figlie”.
“Tu stesso stai vedendo – risponde la principessa – che mio padre non ascolta i discorsi sul matrimonio delle figlie. Il suo interesse è capire le ragioni dell’arrivo dell’ambasciatore del coimperatore Giovanni Paleologo. Non è mai accaduta una cosa simile. Il basileus di Costantinopoli chiede l’aiuto alla famiglia dei Comneni di Treisonda per allontanare gli Ottomani dalle mura della sua città. Questo significa che il sultano di Adrianopoli non ha più paura del Khan mongolo di Samarcanda e di Herat che ha concesso agli emiri di governare le regioni dell’Asia Minore conquistate da Tamerlano. Quando si parla di guerra non si può parlare di nozze”.
“I Turchi non hanno più paura dei mongoli – dice il principe – perché mio padre, capo tribù delle Pecore Nere, si è svincolato dal dominio mongolo, ha conquistato un vasto territorio ad Ovest del Mar Caspio ed ha fatto di Tabriz la capitale del suo dominio.
Mio fratello Iskander ha preso il posto di mio padre ed io sono stato costretto ad andare a Bagdad insieme ad un altro mio fratello. La città, già capitale del grande impero degli Arabi e sede del loro sultano, sta risorgendo dopo le ripetute distruzioni dei mongoli.
Il commercio, diretto al grande emporio mesopotamico per i porti del Levante, è oggi dirottato a Trebisonda. I mercanti, che a loro rischio continuano a percorrere la vecchia strada delle carovane, debbono pagare il tributo alla mia tribù. Io raccolgo nelle casse del mio palazzo tutto ciò che è dovuto a mio fratello, governatore della città per conto del capo tribù delle Pecore Nere.
I guerrieri turcomanni, che una volta pascolavano le greggi sulle montagne del Ponto, sono diventati i signori di un grande regno. I loro capi possono imporre i tributi alle città della Mesopotamia che furono conquistate da Genghiz-Khan e dai suoi successori. Oggi è il momento dei Turcomanni che sono in grado di battere i Mongoli e di resistere agli Ottomani che vogliono dominare l’Asia Minore.
Le titubanze di tuo padre per farti sposare sono giustificate perché non c’è più la pace mongolica e l’orizzonte si sta offuscando. Dall’Occidente può arrivare l’offesa. La paura non è più quella dei Latini ma quella degli Ottomani. Il loro esercito si è ingrandito inglobando Valacchi, Moldavi, Bulgari e Slavi con a capo lo stesso sultano. È necessario riconoscere la sua potenza e contrastarla con ogni mezzo unendo tutti i suoi avversari al di là di qualsiasi fede e di qualsiasi interesse di parte.
Il basileus di Costantinopoli potrebbe stringere un patto con i signori dell’Ovest per l’intercessione del vescovo di Roma. Il Gran Comneno potrebbe unirsi a tutti gli emiri turcomanni. Due branche di una poderosa tenaglia di guerrieri potrebbero stringere e annientare gli Ottomani”.
“Io sono una donna – esclama Maria – e non capisco i tatticismi dei governanti. I Paleologi cercano in Occidente la soluzione dei loro problemi e non si accorgono che il loro popolo teme ancora di essere assalito dai crociati. Il terrore del guerriero cristiano, che si arricchisce con il bottino accumulato razziando nelle case dei popolani, è ancora vivo negli animi.
I fedeli della Santa Sapienza temono di perdere le loro icone dorate e non accettano l’accordo con i Latini. Il metropolita di Trebisonda mi dice spesso: “Il patriarca Giuseppe II è convinto che solo l’unione di tutti i fedeli può salvare il popolo della Vergine che implora la salvezza con le braccia alzate al cielo”. Il nostro Primate è convinto che non bisogna aver paura del vescovo di Roma che è il successore dell’apostolo Pietro.
Anch’io sono convinta che tutti i fedeli si uniranno per contemplare il volto della Madre che indica la Santa Irene perché ci renda tutti figli di un unico Padre”.

mercoledì 3 settembre 2008

MERCANTI VENEZIANI A COSTANTINOPOLI Cap. XIV



L’ospitalità del Grande Comneno

L’ambasciatore ser Filelfo è scortato dai cavalieri di Alessio IV di Trebisonda fino al grande castello, costruito sulla cima di un alto colle che si erge sulle terre del Ponto dell'Asia Minore.
La famiglia imperiale, quella dei Comneni, ha regnato sul popolo della Grande Chiesa di Costantinopoli prima della sua profanazione da parte dei Latini della IV Crociata. Ogni sovrano comneno usa, nella stesura dei documenti ufficiali, il titolo di "Imperatore e Autocrate di tutto l’Oriente, l’Iberia e delle provincie trans marine". Il suo titolo abituale è "Il Grande Comneno".
La parentela con l’imperatore Manuele II dei Paleologhi è sentita come aspirazione recondita per un' eventuale ascesa al trono della città fondata da Costantino il Grande.
Le relazioni politiche tra i due imperatori, che esprimono la loro fede nella Santa Sapienza con la stessa lingua degli antichi filosofi della Grecia, sono sempre improntate al reciproco rispetto e all’ascolto della parola del sacro testo, proclamata dal patriarca Giuseppe II.
I saccheggi, le guerre civili e gli assedi della capitale dell’Impero romano d’Oriente hanno permesso alla città del Ponto Eusino di prosperare, di emulare lo sfarzo e la grandiosità raggiunta dall’imperatore Giustiniano che aveva perpetuato l’imperium di Augusto nella Nuova Roma.
Il messaggero del bailo della Serenissima e i due giovani mercanti, Marco e Francesco, percorrono, sui destrieri arabi bardati con le insegne della casa imperiale, le strade pavimentate e affiancate da case con le cupole scintillanti sotto i raggi del tiepido sole d’ottobre.
Gli abitanti salutano festosamente i cavalieri che avanzano con il vessillo dell’aquila d’orata dei Comneni e inneggiano al loro Signore: “Viva il nostro imperatore!”.
Le fanciulle, avvolte nei variopinti vestiti di seta orientale, lasciano cadere dalle finestre delle case tanti piccoli fazzoletti colorati che creano un’atmosfera di sogno per gli ospiti venuti dalle lontane città dell’Occidente.
Le campane a festa indicano che è mezzogiorno ed è domenica. La città è piena di donne e uomini che frequentano i mercati rionali e la fiera campionaria, nella parte basa della città, separata da alte mura e da poderosi bastioni dalla zona portuale.
L’abitato tra l’approdo delle navi e il castello dell’imperatore è suddiviso in tre zone separate da mura e da profondi burroni percorsi da piccoli fiumi, su cui vengono manovrati grandi ponti levatoi tra i cancelli dei bastioni perimetrali.
La zona commerciale, fuori del grande muro della città bassa, parallelo all’ormeggio delle navi, dispone di uno spazio per le carovane nella parte Nord Orientale, vicino alla valle dei conciatori di pelle, percorsa da un fiume che fiancheggia la strada commerciale del Sud- Est. La struttura che accoglie i mercanti è circondata da un muro e dispone di stalle, di magazzini per custodire le mercanzie, di un albergo, di una grande fontana e di una piccola moschea.
Non molto distante dal centro carovaniero si erge la costruzione ben fortificata del fondaco-magazzino dei mercanti genovesi che controllano con perizia e con grandi profitti il traffico commerciale della città in concorrenza con i Veneziani.
I mercanti della Serenissima Repubblica hanno innalzato un fondaco protetto da spesse mura vicino a un monastero nella parte Nord Occidentale del porto. La loro attività commerciale è garantita da trattati stipulati tra il Grande Comneno e il Senato della Repubblica di San Marco.
Il signore della città cerca di mantenere il giusto equilibrio tra le fazioni dei grandi mercanti dell’Occidente e impone il rispetto delle leggi per consentire la regolarità dei traffici commerciali tra l’Oriente e la città di Costantinopoli.
L’astuzia politica e la genialità dei governati comneni hanno permesso al piccolo impero non solo di sopravvivere alle invasioni dei mongoli di Gengis Khan e all’irruenza devastatrice di Tamerlano, ma di arginare le pretese di dominio e sciogliere la durezza degli animi dei capi tribù turcomanni che hanno occupato le montagne del Ponto per il pascolo delle loro pecore.
Le principesse più belle della città, scendono dal castello imperiale e vanno in sposa ai figli dei capi tribù degli emiri turchi che si impegnano a difendere la città dalle mire espansionistiche del sultano ottomano di Adrianopoli e a salvaguardare l’incolumità delle carovane che giungono dall’Oriente.
La cultura dell’Occidente è assimilata ed arricchita dai costumi ed usi dei prodi guerrieri turcomanni che vivono di pastorizia e dei tributi imposti ai mercanti in transito sui loro territori. I loro figli imparano dalle madri il senso del sacro e dai padri, emiri pastori, l’audacia e il coraggio dei guerrieri pronti a morire per la salvezza del proprio popolo.
Il corteo dell’ambasciatore imperiale, dopo aver attraversato la prima parte della città murata, si avvicina al centro della città che si stringe attorno alla cattedrale maestosa dedicata alla Vergine Maria. La sua cupola, sull’alto tamburo della chiesa, è coperta d’oro e brilla sotto i raggi del sole. La sua bellezza affascina e lascia incantati i piccoli mercanti dell’Occidente che sui loro destrieri avanzano verso il palazzo del Grande Comneno.
L’estasi, per la visione del tempio dorato dedicato alla Santa Madre, è interrotta dalla voce del cavaliere che guida la scorta dell’ambasciatore: “ Là, in cima al colle, il castello dell’imperatore! Dobbiamo prima passare sul grande ponte levatoio che ci permette di scavalcare il burrone del fiume. State saldi sulle selle e non abbiate timore, i cavalli son addestrati per superare le profonde gole che separano i tre grandi distretti della città e la rendono sicura e ben protetta”.
“Non temere – esclama Marco – i veneziani sanno destreggiarsi tra le onde del mare e superare le asperità del terreno. I figli della Grande Laguna di San Marco per tante generazioni hanno imparato dai loro padri a percorrere tutte le vie e a superare ogni ostacolo per scambiare i prodotti del commercio e per ottenere il giusto profitto”.
“Dici cose vere – afferma Francesco rivolgendosi al fiero amico – ma qui conviene stare attenti ed affiancarci all’ambasciatore per proteggerlo e sostenerlo nel morale perché vedo che incomincia a oscurarsi in volto e a guardare con preoccupazione il fondo del precipizio. La sua incolumità è preziosa per noi che siamo più agili e addestrati ad affrontare qualsiasi pericolo. Il nostro bailo ci ha raccomandato di stare sempre vicino al messo imperiale che, pur essendo esperto delle opere dei Latini e dei Greci del passato, non è abituato al superamento delle avversità e agli ostacoli della Natura”.
“Sono d’accordo con te – risponde il giovane patrizio – e penso che spetta a noi giovani dimostrare di essere sempre pronti a difendere i nostri amici anche a costo della nostra vita”.
“Vi ringrazio, giovani veneziani – esclama il messo imperiale – e sappiate che anch’io so come si superano le difficoltà, altrimenti non sarei stato inviato a far da mediatore alle controversie politiche che ostacolano le relazioni commerciali tra l’Occidente e l’Oriente. Gli ambasciatori vengono scelti tra gli uomini che hanno grande conoscenza dei sentimenti dei diversi popoli perché hanno imparato a percorrere qualsiasi strada e ad affrontare qualsiasi rischio. Un ponte su un precipizio non mi fa paura, ma mi preoccupa di più l’abisso che si crea tra i governanti che non sanno trovare il giusto accordo per la prosperità dei loro popoli”.
I cavalieri arrivano in cima alla collina percorrendo una lunga strada che la attraversa da Nord a Sud. La sede imperiale del basileus Alessio IV è costituita da una serie di edifici in pietra e mattoni, racchiusi in un grande spiazzo circondato da alte torri e mura poderose che si ergono su profondi burroni. È il castello del Grande Comneno, luogo in cui risiede l’imperatore di Trebisonda che mostra con orgoglio il suo emblema: “L’aquila dell’Impero dei Romani, con le due teste che guardano all’Occidente e all’Oriente”.
La città è diventata il grande emporio del Ponto, centro dei traffici e degli interessi dei regnanti e dei mercanti. È il traguardo di tutto il commercio dell’Asia, punto di arrivo delle grandi carovane che dall’Est e dal Nord portano le merci per scambiarle con i prodotti dell’Occidente che arrivano da Costantinopoli. L’invasione dei Mongoli e le mire espansionistiche dei Turchi hanno convogliato tutte le merci verso il porto di Trebisonda.
L’aquila imperiale del dominio dei popoli è abbarbicata al pianoro della città che si specchia sul Ponto Eusino, il Mare Ospitale che, attraverso gli stretti del Bosforo e dei Dardanelli, alimenta il commercio del Mar Mediterraneo. Il Gran Comneno scruta dalla sommità dei suoi bastioni le strade carovaniere e le acque del mare che convogliano tutte le ricchezze dei signori della Terra. Il basileus del piccolo impero, anche se non possiede un grande esercito e un grande territorio, riceve le ambascerie e le richieste di trattati per favorire il passaggio delle merci e degli uomini.
La città murata apre i suoi cancelli per accogliere tutti coloro che vogliono scambiare in pace le merci e i viaggiatori che vogliono conoscere le culture degli altri popoli. Anche il papa, premuroso dei figli della Vergine che mostra la Santa Sapienza, invia dalla Cattedra di San Pietro i monaci diretti all’Impero della Cina. Tutti gli ambasciatori vengono ricevuti da Alessio che elargisce il suo benestare con contratti scritti su pergamene d’orate arrotolate con nastri purpurei e recanti il sigillo dorato del basileus.
Il nuovo palazzo dell’imperatore di Trebisonda è al centro del castello superiore e si affaccia con le sue finestre sull’arteria che da Nord a Sud attraversa l’area fortificata. È il cuore pulsante di tutto il piccolo impero del basileus del Ponto. La sua grande cupola dorata, che sovrasta il grande salone dei ricevimenti, è il simbolo della ricchezza e della potenza raggiunta dal Grande Comneno. Il suo dominio sul commercio delle mercanzie, che giungono con le carovane arabe, è riconosciuto da tutti i governanti dell’Occidente e dell’Oriente.
Nessuno sfugge agli occhi vigili dell’aquila reale, simbolo della potestà imperiale in possesso dei discendenti di Costantino il Grande. Il suo potere è riconosciuto dall’imperatore di Costantinopoli e dal Khan dei Mongoli che hanno ereditato il grande impero di Tamerlano e dominano sulle terre dell’Est asiatico.
La guardia imperiale accoglie con gli onori gli illustri ospiti e sfoggia tutte le sue armi scintillanti. Il suono delle trombe d’argento e il battito dei tamburi da parata avvertono che sono arrivati degli uomini di grande importanza per rendere omaggio al Gran Comneno.
Le finestre e il grande poggiolo ostentano i grandi drappi di seta con i ricami dorati dei simboli della casa imperiale. È festa grande per tutti i dignitari che indossano vesti di seta ricamata e sfoggiano gioielli decorati con pietre preziose del lontano Oriente. Lo scalone d’onore, che porta al primo piano, è adornato per il ricevimento dell’ambasciatore inviato dal basileus di Costantinopoli.
Il signore di Trebisonda, circondato dai dignitari del suo impero, accoglie, insieme alla sua consorte e ai suoi figli, ser Francesco Filelfo che consegna al Grande Logoteta un piccolo scrigno d’argento in cui è custodito il messaggio imperiale. Ai piedi del trono vengono deposti due grandi forzieri, di cui uno ricolmo di iperperi d’oro con l’effigie di Manuele II Paleologo e l’altro pieno di ducati d’oro della Repubblica di San Marco, dono del bailo di Costantinopoli per conto del Serenissimo Principe, il doge Tommaso Mocenigo.
Il sorriso compiacente dell’imperatore e lo sguardo dolce della basilissa Theodora rinfrangono lo spirito dei due giovani mercanti, inviati dal bailo, ser Emo, per accompagnare il messo imperiale. La presenza delle principesse imperiali inorgoglisce lo spirito di Marco che sussurra: “Non ho mai visto donne così belle in tutti i miei viaggi”.
“Sembra di essere già nel Paradiso descritto dagli artisti – dice sottovoce Francesco – dove viene rappresentata una schiera di angeli biondi”.
“ Non fatevi sentire – dice tra le labbra l’ambasciatore – e non meravigliatevi perché questa è la realtà della corte di Trebisonda. Qui tutto appare meraviglioso e invita alla contemplazione come davanti a una icona dorata”.
Il basileus Alessio IV Comneno di Trebisonda, con accanto la sua consorte e i suoi figli, è seduto su un trono, ricoperto di porpora con ricami dorati, per ricevere le credenziali dell’ambasciatore e mostrare i simboli della sua potestà universale.
L’imperatore, un quarantenne con baffi, barba e tratti ereditati dalla madre, figlia di re Davide della Georgia, appare radioso nella sua veste nera, coperta da un grande scapolare d’oro pieno di pietre preziose dell’India. Il suo alto cappello è rivestito di verghe d’oro e di piume variopinte.
L’imperatrice, bellissima donna con i delicati lineamenti delle donne circasse, indossa una veste di seta porpora, decorata con grandi ricami in oro. Il suo diadema evidenzia molte gemme che brillano, sotto la luce meridiana dei grandi finestroni della cupola.
“Francesco, guarda sulla tua sinistra – sussurra Marco – e dimmi se sto sognando. Vedo un angelo con lunghi orecchini che indossa una trasparente sopravveste di seta candida, ricoperta di ricami doro. I suoi occhi iridescenti mi fissano e mi suscitano una sensazione inesprimibile che mi spinge ad avvicinarmi e ad esprimerle la mia completa dedizione”.
“Ogni cosa a suo tempo – dice sottovoce ser Francesco – e non essere impaziente. Mi è stato detto che si chiama Maria ed è la figlia prediletta del padre che per lei ha in serbo un futuro come regina di un grande regno. Le mire ambiziose dell’imperatore vanno a Costantinopoli e perfino ad Adrianopoli, capitale dell’impero del sultano”.
“È pronto a far sposare le sue figlie – bisbiglia Marco – anche all’imperatore dei Turchi?”.
“Gli imperatori – mormora ser Filelfo – ricevono il potere direttamente da Dio e si elevano al di sopra delle leggi e delle convenzioni dei popoli. Il metropolita di Trebisonda ha già autorizzato i matrimoni delle principesse dei Comneni con gli emiri che circondano questo piccolo impero. Le madri spesso ottengono dei miracoli inattesi anche tra i fedeli del Profeta. La Santa Sapienza si serve della Natura per far germogliare e crescere gli alberi che daranno a suo tempo i veri frutti della saggezza”.
“Cosa intendi dire con queste tue parole – chiede Marco – ed a quale saggezza ti riferisci?”.
“Le nobildonne che vanno spose ai Turcomanni possono generare figli che hanno nello loro spirito la tendenza naturale a cercare la vera via della pace tra i popoli. La coesistenza armoniosa dei popoli diversi si crea con i matrimoni che generano legami saldi basati su contratti universalmente riconosciuti, perché ritenuti inviolabili da tutte le genti.
Il patto tra un uomo e una donna per il vincolo matrimoniale è eterno perché la vita che ne scaturisce si perpetua nell’infinito delle generazioni umane. Il legame di sangue tra popoli diversi sono un arricchimento perché si traduce in benessere per tutti. È questa la vera saggezza perché permette agli uomini e alle donne di popoli diversi di creare con i matrimoni quella vita buona che è godimento della bellezza e della bontà di tutte le cose create”.
“Sono d’accordo con te – ribatte sottovoce Marco – e spero che questo si possa avverare anche con gli Ottomani che si sentono di conquistare tutte le terre”.
“Nei rapporti di forza – risponde l’ambasciatore – occorre usare anche la diplomazia paziente che con il tempo rende ragionevole gli spiriti guerrieri”.
Il cerimoniere della casa imperiale, sovrintendente al tesoro personale del basileus, interrompe la magia dell’estasi ed esclama con voce tonante: “Il Gran Comneno Alessio si intrattiene con gli ospiti nel giardino delle meraviglie”.
Un lungo corteo segue Alessio che accoglie gli ospiti e la corte imperiale nel grande padiglione. Il luogo, allestito per accogliere tutte le piante esotiche che l’imperatrice riceve in dono dagli amici mercanti, è frequentato dai principi e dalle principesse comnene sotto la sorveglianza degli eunuchi della casa che collaborano con la basilissa per la coltivazione e la cura degli alberi e dei fiori.
Al centro del padiglione, sormontato da una cupola poligonale eretta su sottili colonne, è installata una voliera dove gli uccelli esotici possono mostrare tutto il loro piumaggio variopinto. I signori turcomanni fanno a gara per regalare al sovrano trapezuntino le specie più rare.
In mezzo ai noccioli sono sistemate dei triclini, attorno ad una grande tavola intarsiata, coperti di porpora ricamata, dove il Gran Comneno è solito intrattenere gli ospiti di riguardo e offrire loro le prelibatezze della sua cucina e le fresche bevande conservate nelle cantine imperiali.
“Sono grato al Serenissimo Principe Tommaso Mocenigo – dice il basileus Alessio IV all’ambasciatore Francesco – per aver sollecitato il bailo di Costantinopoli ad intervenire in favore del coimperatore Giovanni VIII Paleologo contro il sultano di Adrianopoli che vuole estendere il suo dominio in tutta l’Asia Minore e sottomettere gli emiri turcomanni, insofferenti alle pressioni dei guerrieri ottomani.
La Repubblica di San Marco mi ha sempre offerto la sua disponibilità per la salvaguardia e la sicurezza delle vie commerciali, percorse dai mercanti che dall’Oriente portano le merci per il mercato di Costantinopoli. Trebisonda possiede tutti i magazzini per rifornire l’emporio della città di Costantino il Grande. Tutto il commercio passa per la mia città che accoglie i mercanti arabi e i rappresentanti commerciali dei paesi abitati dai Latini. I miei sudditi prosperano e assicurano la sopravvivenza della capitale dell’Impero romano d’Oriente.
Il faro del porto invita con la sua luce le navi ad un approdo che promette riparo e sicuri guadagni ai mercanti che visitano i miei magazzini. Il grande mercato a ridosso delle mura consente di fare buoni affari con la disponibilità dei banchieri a riconoscere le lettere di credito per l’acquisto di qualsiasi merce. Gli alberghi e i conventi aprono le loro porte per accogliere e fornire alloggio ad ogni richiesta.
La famiglia dei Comneni possiede sulle rive del Ponto Eusino un impero riconosciuto dal Signore dei Mongoli, discendente da Tamerlano che ha conquistato tutti i territori dell’Est. La sua amicizia permette di stringere rapporti con tutti i principi e gli emiri turcomanni che si sono opposti alle conquiste degli Ottomani. L’attuale situazione dell’Asia Minore richiede un’attenta valutazione delle mire egemoniche del sultano di Adrianopoli”.
“Lo stendardo del Leone di San Marco – afferma l’ambasciatore – è alzato con orgoglio sulle galee veneziane e garantisce le rotte commerciali dell’Est e dell’Ovest. I Veneziani ricompensano lautamente i signori che favoriscono il commercio e rispettano i trattati. Nei patti si stabiliscono regole certe e sconti che permettono di ricavare i giusti profitti dovuti a coloro che scambiano le mercanzie, affrontando un lungo viaggio e grandi pericoli per la loro incolumità fisica”.
“A tutti i mercanti che percorrono le rotte marine – afferma Alessio - è nota la protezione che Venezia offre ai loro viaggi. L’amicizia offerta dai senatori della Serenissima Repubblica mi consente di far fronte ai soprusi dei mercanti che vogliono imporre la forza per i loro guadagni senza pagare il giusto tributo alla nostra Amministrazione.
La mia città accoglie con benevolenza gli ambasciatori del bailo perché la loro venuta è garanzia di benessere per tutti e di amicizia. Il governatore della colonia veneziana di Trebisonda è sempre il mio ospite più gradito a cui sono lieto di far conoscere gli emiri turcomanni che onorano la mia casa. I loro figli sono miei nipoti e in loro scorre anche il sangue dei Comneni perché le loro madri appartengono alla mia famiglia.
L’Asia Minore da più di tre secoli è diventata la terra dei Turchi e la Rivelazione di Allah è recitata da tutti i credenti che si attengono alle prescrizioni del Corano. L’Immagine della Santa Sapienza è indicata dalla Vergine Maria soltanto nel mio dominio, circondato dai possedimenti degli emiri turchi.
Il mio regno è come un’isola a cui possono approdare soltanto coloro che pagano il tributo ai signori delle tribù turcomanne che pascolano le loro pecore sui monti che circondano la città. Le vie del commercio passano per i loro territori e ogni carovana araba proviene dalla città di Tabritz, capitale del regno della tribù delle “Pecore Nere”.
Iskander è il loro capo, signore di un regno costituito con i territori dell’Armenia, della Mesopotamia e della Persia, conquistati da suo padre Qara Yusuf ai discendenti mongoli di Tamerlano. Il suo dominio si estende dai confini meridionali della Georgia fino alle foci del Tigri e dell’Eufrate. Il Khan Shah Rukh, figlio di Tamerlano e signore dell’impero mongolo creato da suo padre, cerca di riprendersi i territori conquistati dei guerrieri turcomanni, ma non riesce a vincere la loro tenacia ed il loro radicamento alle montagne del Ponto.
Questa città è stata risparmiata dal conquistatore Qara Yusuf che ha preteso in cambio un lauto tributo e la mano di una principessa per Jahan Shah, fratello di Iskander. I miei nipoti vengono allevati nelle dimore dei signori delle montagne che controllano le vie del commercio.
Tabritz è la capitale di questo dominio turcomanno che ha trasformato i pastori delle tribù delle “Pecore Nere” in guerrieri ricchi e potenti che impongono le tasse a tutti i mercanti che trasportano seta e pietre preziose. Le loro abitazioni non sono più di legno ma di pietra lavorata. Le sete ricamate con filo d’oro adornano le sale dei loro palazzi. Le fanciulle più belle dell’Asia sono scelte per allietare le loro dimore con le grida dei bambini che si rincorrono per le stanze.
Anch’io, basileus di Trebisonda, ho donato mia figlia a un loro principe che oggi onora la mia tavola con la sua presenza e mi rassicura che la sua progenie è educata secondo le tradizioni del diritto romano. Il futuro della devozione alla Santa Sapienza è affidato alle nostre donne che sanno toccare il cuore dei guerrieri più tenaci e convincerli al rispetto delle regole di convivenza tra i popoli”.
“Costantinopoli vive – afferma ser Francesco Filelfo – perché l’Occidente ha necessità di acquisire le merci che si vendono in quella città. Trebisonda prospera per mantenere Costantinopoli. L’aquila dell’Impero romano d’Oriente deve saper scrutare l’Est e l’Ovest per tener saldi i suoi artigli e mantenere il rispetto del diritto romano su cui si basano le regole dei trattati commerciali”.
“La legge - continua Alessio – ha bisogno di essere sostenuta dalla spade e dagli scudi dei guerrieri che la sappiano proteggere dai soprusi del più forte”.
“L’esercito più forte – risponde l’ambasciatore - spesso è sconfitto dalla tenacia e dalla coesione di uomini pronti a rischiare la propria vita e a utilizzare l’arma della pazienza e la forza della convinzione che inducono alla tregua delle armi in cambio di vantaggi economici immediati”.
“Sono d’accordo con te – ribatte il Gran Comneno – e la mia famiglia da molti decenni governa la città con pazienza ed equilibrio, imponendo l’osservanza del diritto romano agli abitanti e il rispetto dei trattati a tutti i mercanti. Per gli emiri turcomanni che circondano con i loro possedimenti il mio piccolo dominio, offro sempre la mia piena disposizione per ogni soluzione equa richiesta da loro, evitando qualsiasi pretesa dettata dall’orgoglio. La pazienza esercitata con sicurezza ottiene risultati che si rilevano vantaggiosi con il passare del tempo perché acquietano gli animi turbolenti ed evidenziano la bontà degli accordi”.
“Le modalità d’azione dei Comneni di Trebisonda - afferma l’ambasciatore – sono spesso oggetto di critica da parte dei signori dell’Occidente che non capiscono le finalità dei matrimoni delle principesse con gli emiri. La cultura dei Romani d’Oriente è diversa da quella dei credenti che si attengono alla Rivelazione manifestata dal Profeta di Allah. L’imperatore Manuele II consiglia ai suoi figli di sposare le nobildonne dell’Occidente che sono educate secondo gli insegnamenti dei Santi Padri che hanno acquisito la loro saggezza con l’esperienza della Parola rivelata con il Sacro Testo dell’Evangelo”.
“Costantinopoli è riscaldata anche dal sole che tramonta sulle terre dei Latini – sostiene il basileus – e può scegliere ciò che è più conveniente alla città. La mia famiglia ha imparato a contemplare il sorgere del sole perché è la direzione verso cui gli emiri guardano con grande speranza. La ricchezza viene dall’Oriente, mentre le preoccupazioni giungono da Occidente con gli Ottomani e con i Latini.
La famiglia dei Paleologi pensa di riconquistare tutte le terre che appartengono ormai all’impero del sultano di Adrianopoli con l’aiuto del papa e con gli eserciti dei regnanti latini. Le spose, promesse ai figli di Manuele II, affrontano un lungo viaggio per sostenere le aspirazioni degli imperatori che si esprimono con la lingua di Platone e di Aristotele. La cultura degli antichi greci è oggetto di studio da parte degli uomini colti che si esprimono con le parole degli antichi imperatori di Roma. La ricostituzione dell’antico Ecumene, con un solo imperatore che riconosce la cattedra dell’apostolo Pietro, è desiderata dal papa e dal basileus di Costantinopoli.
La storia gloriosa delle legioni di Roma appartiene al passato; la nostra vita è nel presente e guarda al futuro. Oggi il pensiero è sopravvivere, mediando ciò che può essere salvato da chi dispone di un esercito in grado di abbattere qualsiasi muro difensivo. Il pericolo è in agguato ed occorre essere pronti per cercare un compromesso o per evitare la vendetta di chi, disponendo di un esercito numeroso, si sente offeso dalle scuse di chi non può difendersi con la stessa forza”.
“Trebisonda è in Oriente – incalza ser Filelfo – ma la sua cultura appartiene all’Occidente. I suoi abitanti si identificano negli eroi dell’antica Grecia e nei martiri che seppero donare il loro sangue per mantenere intatta la fede nella Santa Sapienza indicata dalla Vergine. Questa terra è stata resa fertile dal loro sacrificio e darà i suoi frutti quando i rappresentanti dei vari popoli si riuniranno di nuovo nel tempio della Santa Irene di Costantinopoli”.
“Il mio regno – incalza Alessio – è protetto dagli emiri che ogni giorno guardano nella direzione indicata dal Profeta Maometto. Ho fatto un’alleanza con i capi dei guerrieri turchi e devo osservare il patto, siglato con il sangue delle mie figlie. La città di Costantino è lontana e, per condividere le sue aspettative, devo attraversare le terre di coloro che recitano il Corano o solcare il Ponto Eusino con le navi di potenze lontane”.
“Tutti i mari – esclama l’ambasciatore – sono protetti dalle galee della Serenissima Repubblica di San Marco e nessuna imbarcazione impedirà ai Veneziani di proteggere i loro amici”.
“Il mare di Trebisonda – afferma il Gran Komneno – è infestato dai pirati e corsari che si dichiarano amici del sultano di Adrianopoli e sono costretto ad assicurarmi gli approvvigionamenti con le carovane provenienti dai paesi dei Turchi”.
“Il basileus di Costantinopoli – sostiene ser Filelfo - desidera far diminuire gli assalti alle sue mura da parte dell’esercito degli Ottomani”.
“Il sultano Murad II – dice Alessio – si trova attualmente in Asia Minore per far valere i suoi diritti nei confronti dei pretendenti al trono imperiale ottomano e per rafforzare la sua supremazia in Asia Minore. I miei informatori mi hanno riferito che vuole ingrandire i suoi possedimenti a danno dei Turcomanni e ridurre il suo tributo ai mercanti che non si servono del porto di Trebisonda e preferiscono percorrere la via della costa per giungere a Costantinopoli”.
“Le mire espansionistiche dell’imperatore degli Ottomani – afferma l’ambasciatore – sono note al Senato della Serenissima Repubblica. L’espediente consigliato dal bailo ser Emo, per uscire dall’attuale situazione difficile, è quello di ridurre le tasse per le merci che vengono caricate sulle navi in modo da invogliare tutti i mercanti a servirsi delle galee veneziane armate per il Ponto Eusino.”
“I trattati stipulati con le altre marinerie – risponde il basileus – mi impediscono di agevolare le navi di San Marco. La soluzione sarebbe quella di diminuire i noli di trasporto delle galee veneziane e ridurre le giornate di navigazione, invogliando i remigi a stare più tempo alla voga. Il risparmio di tempo è considerato prezioso per i piccoli mercanti . I tributi sono indispensabili per pagare i soldati che garantiscono la sicurezza sulle mura e per le strade della città”.
“L’ideale – suggerisce l’ambasciatore – sarebbe quello di coalizzare tutti gli emiri contro il nemico comune che vuole espandere l’impero ottomano”.
“L’azione è difficile – sostiene il Comneno - perché nessuno vuole rischiare il proprio regno di fronte al grande esercito del sultano”.
Uno dei signori turcomanni, sdraiato sul suo triclinio, interviene: “I condottieri romani solevano affrontare un nemico più potente con la divisione delle sue forze”.
“Principe, il tuo consiglio è prezioso – afferma Alessio – e richiede un’attenta valutazione. I guerrieri ottomani sono fedeli al loro sultano e non rischiano la loro vita. Soltanto un grande condottiero della stessa famiglia di Murad II potrebbe attirare a sé i suoi soldati per arrivare più in fretta al trono imperiale. Nelle famiglie numerose i principi più giovani aspirano al potere senza considerare il rischio della vita”.
“La questione dell’assedio di Costantinopoli – afferma il segretario del bailo – va risolta in Asia Minore, dove i regnanti turcomanni sono più numerosi e più vicini al pericolo di perdere il loro dominio di fronte all’espansione ottomana. In Occidente i Latini sono lontani dall’area d’interesse del sultano e sono distratti dalle beghe locali. Il papa cerca di risolvere il problema facendo appello al pericolo che incombe sulla Cristianità”.
“La sconfitta – afferma Alessio - inflitta ad Angora all’esercito del sultano di Adrianopoli dal Grande Emiro Tamerlano non fa sentire il pericolo degli Ottomani. I Mongoli governano tutta l’Asia e consentono alle tribù dei Turcomanni di costituire piccoli emirati. I loro capi cercano di scrollarsi il giogo del Khan di Samarcanda ma subiscono continue sconfitte e sono costretti a pagare un tributo più pesante al vincitore.
Solo la tribù delle “Pecore Nere” resiste al figlio di Tamerlano. Il suo capo ha occupato la città di Tabritz. Tutta la Mesopotamia è controllata da Iskander che ha insediato il fratello Jhan Shah nella ricostruita città di Bagdad. Il tributo che pagavo a Tamerlano ora lo devo ai Turcomanni.
Gli emiri si combattono tra di loro e sono intenti ad acquisire le ricchezze necessarie a sostenere le loro piccole scaramucce. Il tributo dei mercanti che passano per i loro territori è sufficiente per costruire i loro piccoli castelli sulle alture e per armare i loro piccoli eserciti.
La salvezza di Costantinopoli è avvertita dall’imperatore Manuele II e dal vescovo di Roma. Solo chi ha esperienza di vita può temere il pericolo per i propri figli. Il basileus è vecchio e conosce la forza e l’astuzia degli Ottomani che mirano a conquistare tutti i paesi che si affacciano sul Mediterraneo. L’imperium di Augusto è finito e altri conquistatori imporranno la loro volontà”.
“Il papa Martino V – afferma ser Filelfo – sostiene con la sua autorità il basileus per la ricostituzione dell’Impero di Costantino il Grande. La città da lui fondata custodisce i fondamenti del diritto romano che sono gli elementi essenziali per governare tutto l’Ecumene con la guida del successore dell’apostolo Pietro”.
“Non basta – ribatte il Gran Comneno - il desiderio di un vecchio imperatore o il carisma spirituale di un grande vescovo per abbattere la forza prorompente del popolo turco che ha l’energia e la volontà per imporre la sua legge.
L’Occidente è diviso in tante nazioni e i loro capi fanno a gara per riempire i loro forzieri ed erigere palazzi sontuosi con sculture che riproducono gli antichi miti della Roma pagana.
Le città cercano di autogovernarsi con statuti autonomi e lasciano il potere in mano ai ricchi mercanti che cercano di fare solo profitti per le loro famiglie.
Ogni uomo si riconosce autore di ciò che lo circonda e si autoproclama signore di se stesso. La sua coscienza si chiude nell’egoismo della ragione e si libera di ogni autorità costituita per leggere nell’oscurità i sacri testi sapienziali.
Ogni popolo si sente minacciato dai vicini e corre alle armi per imporre la propria giustizia. I sacri luoghi vengono derubati delle spoglie dei loro martiri e le genti non hanno più gli eroi in cui identificare il loro passato.
Ai Romani è stato tolto il loro imperatore ed anche il sultano si dichiara padrone dei territori che appartenevano all’Impero romano d’Oriente.
L’immagine del basileus di Costantinopoli non è più venerata per le vie della Tracia e della Macedonia.
La fede di un solo popolo si è sciolta in tanti rivoli a cui corrono i credenti per riempire i loro recipienti di certezze”.
“La vera via della vita è una sola – esclama ser Filelfo – e ad essa vanno ricondotte le coscienze che aspirano alla Giustizia che appaga ogni aspettativa. La pace, invocata per la prosperità di tutti i popoli, si può ottenere finalizzando ogni risorsa e ogni sforzo alla costituzione di un imperium condiviso da tutti i popoli e rappresentato dal basileus in grado di far valere il diritto della Natura e quello condiviso da tutte le genti”.
“Domani – esclama il basileus Alessio IV – mi recherò nel sacro tempio della Santa Sapienza e pregherò la Vergine di indicarmi la strada per la salvezza di Trebisonda”.