martedì 24 ottobre 2017

Lo Stato primo responsabile della politica del lavoro

I GOVERNI SI ALTERNANO E NON RISOLVONO 
LA  QUESTIONE  DEL  LAVORO  DEI GIOVANI


Secondo l’OCSE, il tasso di occupazione, tra il 2000 e il 2016 è cresciuto del 23% tra gli anziani di 55-64 anni, dell'1% tra gli adulti di età media (54-25 anni) ed è crollato dell'11% tra i giovani (18-24 anni).
La realtà sconcerta il Paese. La povertà in Italia - si evince dal Rapporto 2016 della Caritas italiana - è da sette anni in aumento esponenziale: "Si è passati da 1,8 milioni di persone povere nel 2007, il 3,1% del totale, a 4,6 milioni del 2015, il 7,6%”.
La Banca d’Italia ha già invitato il governo a "procedere con decisione e tempestività nelle misure già adottate" per la ripresa dell’economia. Un ritorno alla crescita contribuirebbe "a un miglioramento delle condizioni del credito e del clima di fiducia".
In Italia per l'Istat ci sono oltre 8 milioni di poveri, pari al 13,6% della popolazione. La soglia di indigenza è fissata a 1.011,03 euro al mese.
Negli ultimi anni, dall'esplosione della crisi economica, sono aumentati gli Italiani che si sono rivolti alla Caritas, raggiungendo il 33,3%. La Caritas ha già sottolineato "evidente incapacità" dell'attuale "welfare" a far fronte alle emergenze sociali della crisi economico - finanziaria.
Lo Stato è il primo responsabile di tutta la politica del lavoro, cioè il datore di lavoro indiretto che deve provvedere all’emanazione delle leggi che disciplinano il settore lavorativo. Le attività delle società produttive esigono una politica che garantisca il rispetto degli inalienabili diritti delle persone, considerate come soggetto del lavoro e non come “merce”.
Il compito dei governanti è quello di emanare una legislazione che garantisca un’ordinata convivenza sociale nella vera giustizia perché tutti i lavoratori possano trascorrere una vita dignitosa. Il lavoro è una dimensione fondamentale dell'esistenza dell'uomo che rimane sempre il soggetto della sua attività e di qualsiasi prodotto che ne scaturisce. L’operaio ha anche una vita familiare che è un diritto e una sua vocazione naturale. La perdita del salario del capofamiglia per l’attuale recessione mina alla radice l'unità fondamentale della società.
Si chiede di ritrovare il primato dell'economia reale su quella finanziaria, governando la globalizzazione e risolvendo il problema del debito pubblico. I pilastri del popolo italiano rimangono “il senso della famiglia, il gusto della qualità della vita, la tradizione religiosa e l’amore del bello”.
Lo Stato, espressione e strumento del corpo politico, deve essere “veramente popolare”, riconoscere i “limiti della sua attività”, rispettare gli organismi naturali e sociali intermedi, applicare il principio di sussidiarietà, cioè aiutare economicamente, istituzionalmente e legislativamente tutte le entità sociali più piccole, iniziando dalla famiglia.
La famiglia italiana di oggi deve affrontare l’attuale crisi finanziaria, economica e valoriale. Si tratta di recuperare “le radici della crescita delle Regioni per promuovere le loro qualità produttive che fanno vincere le sfide della globalizzazione. Milioni di Italiani vivono, secondo le recenti statistiche, con la metà del reddito medio nazionale (circa 600 euro al mese). La crescita degli indigenti evidenzia una forte diseguaglianza tra ricchi e poveri e un fenomeno di ingiustizia sociale.
La famiglia genera legami di appartenenza, dà forma sociale alle persone, trasmette valori culturali, etici, spirituali, essenziali per lo sviluppo della società civile.

Sul piano della vita politica e sociale, l’accostamento tra le persone deve esprimersi in attività comuni per il bene comune della città di appartenenza senza alcuna distinzione che generi ingiustizie e soprusi. Occorre una morale aperta, estesa ad ogni uomo o donna, una morale del bene e del male e non solo dell’utile, del rapporto umano, della libertà solidale quale “cornice più appropriata per incentivare la collaborazione” fra tutti i cittadini.
Francesco Liparulo - Venezia
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