giovedì 16 febbraio 2012

TERRA DI MOREA Capitolo terzo

Il mercato dei nobili
Ser Nicolò si avvia verso la dimora della principessa Cleofe e passa per la piccola piazza, circondata dal complesso residenziale del despota e dai palazzi dei suoi cortigiani.
Il nobile Andrea, capitano del Kastron di Mistrà, accompagna il veneziano attraverso il mercato che si tiene davanti al Palazzo del governo.
Dalle finestre della casa della nobildonna latina, sposa di Teodoro II Paleologo, il sovrintendente della casa del governatore osserva il brulichio di donne e uomini che ogni settimana comprano dai venditori ambulanti le merci che affluiscono in città dai porti della Morea.
La principessa gradisce sceglier personalmente i prodotti esposti sui banchi per le necessità personali e per i piccoli lavori di cucito. La moglie del figlio del basileus ama intrattenersi nelle sue stanze con le nobili fanciulle dell’aristocrazia ricamando tessuti pregiati. I piccoli lavori consentono alla padrona della dimora del principe di trascorrere le ore pomeridiane alla luce delle grandi vetrate del suo loggiato.
Il piccolo mercato del Palazzo si tiene ogni sabato ed è frequentato dai nobili e dagli amministratori governativi del despotato dei Paleologi. La fontana della piazza, alimentata da una grande cisterna sotterranea, fa sentire il gorgoglio della sua fresca acqua e invita i venditori e gli acquirenti a ristorarsi e a scambiare apprezzamenti sulle merci esposte.
I venditori elogiano a gran voce la propria merce ed invitano i passanti ad acquistarla. Le donne sono attratte dalle stoffe pregiate e dai manufatti preziosi che provengono dalle città dell’Occidente. Il commercio è gestito da uomini e donne dei quartieri bassi che acquistano i prodotti nel grande mercato della città.
Fuori della cinta muraria, vicino al ruscello che alimenta il fiume Eurota, il giorno prima delle esposizioni rionali, affluiscono da tutta le regioni della Morea i mercanti stranieri e i venditori regionali per la compravendita delle merci che arrivano dai porti e dai grandi feudi latini che circondano il dominio di Teodoro Paleologo.
Mistrà accoglie un grande mercato di transito di tutti i prodotti del Peloponneso e delle manifatture dell’Occidente per far fronte alle aggressioni e agli assedi dei Turchi che impediscono il normale movimento commerciale verso i porti di Tessalonica e di Bisanzio.
Il basileus incita i suoi figli a sostenere il despotato della Morea e ad allargare i suoi confini per ottenere una solida base al fine di riconquistare il territori perduti e di liberare Costantinopoli dalle spire del sultano. Mistrà diventa la nuova capitale dell’orgoglio dei Paleologi che vogliono riscattarsi dal giogo turco.
L’Impero romano d’Oriente ha un nuovo centro nella terra dell’antica Sparta che attira gli arconti ad investire le loro ricchezze nella costruzione di nuovi palazzi nella città governata da Teodoro Paleologo. I nobili di Costantinopoli cercano di emulare i ricchi mercanti dell’Occidente e investono i loro denari nelle banche e nelle attività commerciali che hanno sede a Mistrà. La nuova città mostra la sua grandezza e la sua prosperità, favorendo l’insediamento di un nuovo e grande emporio per facilitare il commercio interno e per agevolare il movimento delle merci tra l’Occidente e l’Oriente.
Il nobile Andrea, rivolgendosi al mercante veneziano, indica i banchi degli ambulanti ed afferma: “I venditori, pur avendo a disposizione soltanto un piccolo spazio, riescono ad esporre i campioni più significatici della loro merce. Lo scopo è quello di invogliare gli abitanti del quartiere nobile a visitare i negozi ben forniti, aperti lungo le vie della città bassa. Le donne gareggiano nell’acquistare le novità offerte per apparire eleganti durante le grandi cerimonie pubbliche e nei banchetti degli arconti più ricchi. La piazza della città alta diventa il luogo delle contrattazioni commerciali. Compratori, intermediari ed espositori del piccolo commercio contrattano anche per l’acquisto di grosse partite di manufatti e di prodotti conservati nelle vicinanze del mercato della città. L’afflusso delle merci nel grosso emporio permette di tenere i magazzini sempre pieni in grado di rifornire le botteghe e i laboratori artigianali”.
“La piazza del Palazzo del governo - sostiene ser Nicolò – è il centro della città ed è qui che si decide sul flusso delle risorse che mantengono in vita non solo questo principato ma tutto l’Impero dei Paleologi. Venezia è consapevole della ricchezza economica della Morea e dell’importanza del Peloponneso quale baluardo alla pressione conquistatrice degli Ottomani. Ser Loredan, ambasciatore della Repubblica di San Marco, ha rivelato al doge e ai suoi consiglieri che questa terra è ricca di risorse minerarie e di prodotti naturali indispensabili e ben quotati nel mercato di Rialto. Io sono venuto personalmente e non ho inviato il mio concessionario per entrare nella dimora del Principe. Sono sicuro che ripartirò da questo centro con altre commissioni e con lettere di cambio firmate dai banchieri di Mistrà”.
“Teodoro è partito - dice il castellano – ma ha lasciato gli ufficiali che provvedono a tutto ciò che necessita alla vita della città e i magistrati per l’applicazione delle leggi. I corrieri partono e ritornano con ordini per il governo del dominio e per il mantenimento dell’esercito che deve affrontare i cavalieri di Turakhan che si stanno avvicinando all’Istmo di Corinto”.
“Il pericolo ottomano è sempre incombente – afferma ser Nicolò – ma questa città è piena di vitalità. La gente si mostra vivace per le strade e interessata a un futuro sempre migliore. Questa piazza è piena di nobildonne che cercano di acquistare le stoffe pregiate e gli ornamenti più preziosi per esaltare la propria bellezza nelle feste cortigiane. I veli trasparenti che coprono i loro volti lasciano intravedere voglia di vivere bene e senza pensieri per il domani. I loro modi disinvolti per i banchi dei venditori dimostrano che Mistrà è ben protetta dal suo castello e dalle mura possenti”.
“Il flusso delle merci assicura benessere - sostiene l’arconte - e gli abitanti di questo quartiere non percepiscono la gravità del momento. Le famiglie ricche e i cultori delle nobili arti fanno a gara per ripristinare il tenore di vita e le agiatezze di Bisanzio. Gli spiriti più aperti alle novità di pensiero delle nuove generazioni, che si sono confrontate con i traguardi raggiunti dai filosofi e letterati latini, hanno aperto le scuole dei dotti per il rilancio dell’antico sapere dei Greci, arricchito dalle conquiste filosofiche degli Arabi che dall’Oriente hanno divulgato il loro sapere fino ai territori dei Catalani. Il nobile Gemisto è venuto da Bisanzio per raccogliere in una grande casa gli intelletti più perspicaci e riaffermare gli insegnamenti di Platone e dei suoi seguaci. Il nostro vescovo tollera le loro provocazioni pagane e si appella al Principe per la difesa della nostra fede. Il pericolo turco lascia passare in secondo ordine le questioni religiose e Teodoro ritiene più importante pensare alla difesa del suo dominio”.
“Le piazze e i monumenti di Costantinopoli sono in stato di abbandono - dice ser Nicolò - per mancanza di fondi necessari alla loro manutenzione. Gli assedi dei Turchi hanno impoverito le casse dell’amministrazione dei Paleologi. La vostra città ha acquisito il ruolo di nuova capitale dell’Impero con la costruzione di palazzi ed edifici religiosi in grado di rappresentare una nuova gloria imperiale ed una nuova magnificenza della corte celeste. Lo splendore della città di Costantino si affievolisce sul Bosforo e rinasce con maggiore vigore nella terra dell’antica Sparta”.
“Un nuovo spirito di forza e di grandezza - afferma il castellano - scaturisce da Mistrà che accoglie i figli del basileus e le nobili famiglie che, costrette ad abbandonare i possedimenti terrieri nell’Asia Minore, vogliono gareggiare con i mercanti di Genova e di Venezia per riempire i forzieri delle loro casate. I nuovi mercanti di lingua greca, hanno visitato i palazzi dei banchieri delle città italiane e vogliono riprodurre in questa città le magnificenze delle loro ricche dimore con la costruzione di nuovi palazzi sulle pendici di questa collina”.
“I ricchi mercanti dell’Occidente – sostiene il veneziano – hanno attirato l’attenzione e l’interesse dei nobili di Bisanzio per le città dei Latini perché si sono ingrandite e abbellite con palazzi e opere che hanno superato lo splendore di Costantinopoli. Il flusso dei prodotti ha cambiato direzione con una prevalenza dei manufatti occidentali che provengono dalle città del Nord e vengono scambiati con le spezie e l’oro dell’Oriente. Il basileus e i suoi amministratori stringono relazioni con i governanti delle città italiane non solo per difendersi dalla tracotanza degli Ottomani ma anche per stipulare contratti di affari con i banchieri italiani e le monarchie europee per la sopravvivenza delle città”.
“I prodotti della nostra terra – dice Andrea – riempiono i magazzini dei porti di Corone e Modone per essere imbarcati sulle galee veneziane. Le casse governative riescono con i proventi delle tasse e delle gabelle a far fronte alle necessità della città. Il commercio non è più considerato dal basileus disonorevole per gli arconti e membri della corte ma è diventato indispensabile per la vita della nostra città, perché permette alle nobili famiglie di acquisire quelle ricchezze che un tempo traevano dai loro possedimenti terrieri. Il piccolo mercato del Palazzo espone soprattutto le merci raffinate delle città italiane mentre i prodotti delle nostre terre vengono venduti fuori le mura o nelle botteghe della città”.
“I signori dei castelli – afferma ser Nicolò – in Italia hanno abbandonato le cime dei colli e si sono trasferiti nelle città perché qui si produce la ricchezza che serve anche a comprare le armi e a pagare i mercenari per il governo non solo dei centri abitati ma anche per il mantenimento del potere sui territori che li alimentano. Mistrà, pur essendo radicata sulle pendici di una collina, è strutturata come le città murate italiane. I mercanti hanno accumulato ingenti ricchezze e costruiscono sontuosi palazzi vicino ai loro magazzini e alle loro banche. L’oro e le spezie dell’Oriente hanno elevato il rango di tanti uomini che hanno rischiato la loro vita in terra straniera o affrontando le burrasche del mare. I re e i principi bussano alle loro porte per ottenere in prestito i fondi necessari al mantenimento del loro potere sui sudditi e sui popolani”.
“Viviamo in un nuovo tempo – dice l’arconte – dove chi ha capacità e spirito di sacrificio è libero di esprimere le proprie doti nell’impresa commerciale. Il basileus e i suoi arconti hanno perso la disponibilità di immensi territori da cui traevano le ricchezze per la costruzione di palazzi sontuosi e per il mantenimento di un grande esercito. Oggi il commercio è l’unico modo per riempire le casse del governo. Il mercato è il luogo dove la domanda e l’offerta di beni di necessità o di oggetti lussuosi permettono di ricavare un guadagno lecito che può fruttare ancora di più se ben investito in una catena di scambi e di compravendite”.
“Bisanzio per Veneziani rimane il centro degli interessi e dei traffici – afferma ser Nicolò – e questa città è momentaneamente luogo di transito dei flussi commerciali per volontà della famiglia dei Paleologi, in attesa di rompere il blocco degli Ottomani. Le famiglie più ricche dell’Impero si sono trasferite qui dove hanno avviato proficue attività commerciali e aperto agenzie per fornire ai mercanti i crediti bancari per far circolare le merci con più sicurezza. Qui si rispettano le leggi del basileus e si onorano gli accordi con i signori dell’Occidente”.
“L’intraprendenza e la sapienza degli antichi Greci sono di nuovo riaffermate nel Peloponneso – sostiene l’arconte - e Mistrà diventerà grande e operosa come Atene e Sparta. Lo spirito degli antenati rivive in noi e riaffermeremo la nostra volontà nella difesa del territorio e nella ripresa dei traffici in tutto il Mediterraneo. Dalla nostra città la famiglia imperiale trae il vigore per riaffermare la sua supremazia nella regione e per allacciare relazioni con i regnanti dell’Occidente. Il Vescovo di Roma, Martino V dei Colonna, manda continue ambascerie alla corte di Teodoro II e promuove la stipulazione di contratti per il rifornimento dei prodotti necessari al mantenimento della corte papale. I signori di Pesaro e di Rimini inviano maestranze per la costruzione di nuovi edifici. La famiglia dei Paleologi richiama pittori e scultori dall’isola di Candia per abbellire gli edifici destinati al culto e le dimore delle nobili famiglie”. È il tempo della diffusione del sapere e l’applicazione di nuove tecniche che permettono di comprendere la dinamicità della natura e di adattarla ai bisogni degli uomini”.
“Il commercio è la fonte di questo nuovo risveglio - dice il veneziano - che favorisce coloro che si adattano alle sue regole e sanno investire il frutto delle loro fatiche. I fiorini e i ducati, guadagnati con la movimentazione delle merci, rendono potenti le famiglie e grandi le città”.
Il nobile castellano e il mercante si avvicinano al banco del venditore di frittelle, vicino alla fontana della piazza, per assaggiare le dolcezze di farina e miele. L’ambulante declama le prelibatezze esposte sui piatti di terracotta, modellati dai vasai della valle, invitando i passanti a comprare la sua merce calda e fragrante.
Il pasticciere, appena scorge l’arconte, lo invita ad avvicinarsi: “Ser Andrea, faccia assaggiare i miei dolci al suo amico e lo inviti a bere il vino offerto dalla mia consorte”.
“Ser Nicolò – sussurra il castellano – conviene avvicinarsi, altrimenti l’invito diventa sempre più insistente e suscita ilarità negli altri passanti”.
“Alessio,Il profumo delle tue frittelle - dice il castellano - ha destato il desiderio del mio accompagnatore appena siamo usciti dalla chiesa di San Nicola. Il profumo dei tuoi impasti di farina e miele, immersi nell’olio bollente, stimola il desiderio non solo dei bambini ma anche degli adulti che escono dal sacro tempio. Il tuo banco non sfigura accanto alle esposizioni delle merci preziose”.
“Anche il mio prodotto - sostiene il venditore - contribuisce a rendere felici i passanti che si avvicinano con fiducia per mangiare le frittelle. Il frutto del mio lavoro è apprezzato dai grandi e dai piccoli perché piace e fa bene soprattutto ai bambini. Il mio banco è ricercato dai frequentatori del mercato perché offro un cibo salutare fatto con ingredienti delle nostra vallata e delle nostre colline. La Morea dona ai suoi abitanti frumento, olio e miele in abbondanza. La nostra è una terra generosa che permette ai suoi abitanti non solo di trarre il necessario per il proprio sostentamento, ma anche di alimentare il flusso del commercio che permette di ottenere un proficuo guadagno per i residenti”.
“Il tuo lavoro - dice ser Nicolò - non giova soltanto al benessere dei frequentatori del mercato ma serve anche all’erario del tuo signore perché versi il dovuto ai gabellieri per l’occupazione del suolo pubblico e per la vendita di un alimento che nutre e rende la vita più piacevole”.
“La farina, l’olio e il miele - sostiene Alessio – hanno subito rincari negli ultimi mesi e le tasse sono aumentate dopo la partenza del governatore. Gli esattori hanno il compito di spiegare al popolo il motivo degli aumenti. La colpa è attribuita a Turakhan, emiro del sultano, che vuole abbattere il muro di Corinto e occupare la Morea”.
“Le tue frittelle vanno a ruba – dice il castellano – anche con le variazioni di prezzo. Gli abitanti della città non si lamentano; ciò che è buono si compra, risparmiando sui generi meno appetibili. Il nostro despota deve far fronte alle spese di guerra e tutti dobbiamo contribuire per respingere i cavalieri turchi. Il flusso commerciale è aumentato e i benefici si riversano su tutti gli abitanti della città che è diventata il centro di passaggio di tutte le mercanzie tra Costantinopoli e l’Occidente. I magazzini vengono continuamente svuotati e riempiti di vettovaglie e armamenti per sostenere il nostro esercito. Le navi delle signorie italiane entrano nei porti di Modone e Corone cariche di merci e di uomini per sostenere lo sforzo bellico dei Paleologi contro lo strapotere dei Turchi”.
“Il mercato – sostiene ser Nicolò - è pieno di gente che vuole comprare. Gli abitanti della città non stanno soffrendo per l’assenza del despota e non si chiudono in casa in attesa dell’evolversi della situazione. Gli uomini passano da un banco all’altro per spendere bene il proprio denaro e le donne con gioia portano con sé i bambini per curiosare e scegliere con calma la merce più bella e più conveniente alle loro famiglie. Le fanciulle nobili, con il viso coperto da un velo bianco, si soffermano a curiosare e indicare alle donne di compagnia le novità del giorno presentate dai mercanti. Tutto questo è segno di prosperità e di serenità”.
“Questa è la piazza del Palazzo del governo - dice l’arconte - e il centro della città. Qui si sono schierati i cavalieri per rendere gli onori all’arrivo e alla partenza di Manuele II. Il basileus ha confermato con la sua presenza l’importanza del despotato, dato in beneficio al suo figlio Teodoro II. Mistrà ha ottenuto riconoscimenti imperiali e privilegi che la rendono centro del commercio di passaggio tra l’Oriente e l’Occidente. La costruzione del muro di Corinto è stata voluta dal padre del nostro Principe per impedire le incursioni dei cavalieri turchi, divenuti padroni dei Balcani. Oggi il mercato della città ha assunto una grande importanza per le mire egemoniche dell’attuale sultano. Qui si tiene il mercato rionale e si può constatare dalla merce esposta la floridezza della città, segno che l’Impero del basileus si consolida come emporio per la ricezione e lo smistamento delle merci in attesa dell’allontanamento dei Turchi dai territori abitati dai popoli dell’antica Grecia”.
“I monumenti dell’antica Sparta nella valle dell’Eurota – afferma ser Nicolò – sono ancora visibili dalla collina di questa città. Le vestigia dei Lacedemoni sono testimonianza di gloria e sono motivo di riscatto per una nuova rinascita del Peloponneso da dove partirono gli eroi del re spartano Leonida che seppe opporsi all’invasione dei Persiani”.
“Teodoro II è il nuovo eroe – sostiene il capitano - chiamato a difendere l’Impero dai guerrieri ottomani che hanno oltrepassato l’Ellesponto come gli antichi Persiani. Il sultano vuole sostituirsi al basileus, creare un nuovo impero e imporre la sua fede ai popoli assoggettati. I Turchi sono guerrieri che conoscono solo la legge del più forte. La fede dei nostri padri è in pericolo non solo per noi che parliamo la lingua degli antichi Greci ma anche per i Latini e il loro patriarca di Roma. Il grande emiro di Adrianopoli continuerà l’opera devastante dei suoi predecessori e tutte le città dell’Occidente saranno saccheggiate. I vescovi saranno eliminati e i cristiani costretti ad un nuovo modo di vivere con leggi severe che annullano il diritto dei Romani”.
“Il pericolo esiste - dice ser Nicolò – ma per il momento Venezia controlla con le sue galee tutte le rotte del Mediterraneo. Il papa Martino ha promesso il suo intervento per risolvere definitivamente il problema del concorso dei principi latini ma vuole un accordo più stretto tra i vescovi e il riconoscimento del suo ruolo di supremazia e guida di tutta la cristianità. Il momento è favorevole ed è garantito dal matrimonio tra i figli del basileus e le nobildonne latine. Si tratta non solo di mantenere il diritto romano sui popoli ma anche di salvaguardare l’unità spirituale di tutti i cristiani”.
“Tutti vogliamo la salvaguardia della nostra fede - afferma l’arconte - e il rispetto degli ordinamenti legislativi garantiti dai nostri governanti. Il basileus ha bisogno di uomini in grado di respingere gli invasori e di molto denaro per motivarli a combattere contro uomini ben equipaggiati e spronati con promesse e riconoscimenti del sultano. L’Impero dei Paleologi non dispone di eroi come l’antica Grecia e Mistrà non ha radicate le tradizioni degli Spartani che salvarono la propria città e il decoro dei propri fratelli, impauriti di fronte ai satrapi persiani. I nostri governanti sono costretti a difendere il territorio con uomini che non mirano a difendere la propria patria ma soltanto invogliati da un facile guadagno e desiderosi di arricchirsi con il bottino di guerra. Si tratta di combattenti disposti a mettere a repentaglio la vita e ad arruolarsi in un esercito perché privi di mezzi propri di sostentamento”.
“Il combattente di mestiere - dice ser Nicolò – è ricercato e ben pagato dai governanti. I coltivatori dei campi e i popolani non sono abituati all’uso delle armi come nei tempi antichi. Le loro incombenze quotidiane ed il costo degli armamenti fanno ritenere più conveniente assoldare pochi uomini per il controllo delle mura e delle porte e ricompensare i signori della guerra che dispongono di proprie milizie offrono i loro servigi a chi è disposto ad elargire denari in contanti per la difesa delle città e dei territori”.
“I giovani appartenenti alle famiglie ricche - sostiene il castellano - preferiscono le agiatezze delle città o dedicarsi alle nobili arti della conoscenza. Gli uomini della corte del despota provengono da Costantinopoli e i loro rampolli apprendono l’arte dei Fiorentini e dei Genovesi nella ricezione e nell’investimento di grandi somme di denaro per le attività remunerative del commercio. Mistrà è diventata la sede preferita per i commissionari dei mercanti latini che si avvalgono dei giovani del luogo per le loro intermediazioni ci compravendita delle merci. Il nostro Principe ha formato un esercito di uomini che provengono dai territori degli Albanesi per opporsi a Turakhan”.
“L’arte del combattimento – dice ser Nicolò – è ricercata dagli uomini intraprendenti e coraggiosi, abituati a difendere gli interessi di un signore proprietario di terre”.
“Le terre dei Kastrioti e degli Arianiti – afferma il nobile Andrea - sono state invase dall’esercito del sultano Beyazid e i superstiti dei combattimenti hanno trovato rifugio sulle montagne o nelle città costiere presidiate dai Veneziani. Molti albanesi hanno preferito emigrare nelle terre dei Paleologi. Il basileus Manuele li ha ingaggiati per costruire il grande muro sull’Istmo di Corinto e per la costituzione di un piccolo esercito a difesa del dominio di Teodoro II. Le pestilenze e le continue incursioni turche hanno privato la Morea dei suoi figli più valorosi. Il governatore di Mistrà è costretto ad assoldare gli emigranti albanesi rifugiati dell’Epiro che sanno affrontare con coraggio le milizie turche. Tra di loro ci sono capitani di guerra che hanno già esperienza di scontri armati contro gli Ottomani. Si tratta di soldati valorosi, abituati ad essere comandati con fermezza e ad accontentarsi di quanto necessita alla loro sussistenza e al mantenimento del cavallo, considerato insostituibile per la loro indipendenza e per l’affermazione del loro spirito libero e intraprendente. Questi uomini sono chiamati “stratioti” e sono fedeli alle norme di ingaggio di un signore che si cura delle loro famiglie. I Paleologi fanno affidamento sul loro risentimento nei confronti del sultano e sulla loro adesione agli ordinamenti romani”.
“I porti dell’Albania – sostiene ser Nicolò – sono presidiati dai Veneziani per dare un sicuro rifugio alle galee che percorrono l’Adriatico infestato dalle imbarcazioni dei corsari che utilizzano lo stendardo del sultano per abbordare le navi che provengono da Alessandria o da Trebisonda, cariche di mercanzie pregiate. I soldati albanesi, comandati dai capitani veneziani, sono garanzia di sicurezza per le città di Durazzo, di Scutari, di Alessio, di Drivasto. Si tratta di uomini di grande spirito, pronti ad affrontare qualsiasi pericolo, desiderosi di combattere sotto lo stendardo del Leone di San Marco. Venezia ha accolto gli emigranti albanesi ed offre ogni opportunità per il loro impiego nelle attività artigianali e nella sicurezza delle fortezze litoranee. La rivalità con le altre repubbliche marinare e le morti per le epidemie hanno indotto il Senato ad impiegarli sulle galee come marinai e come scorta dei convogli”.
“L’occupazione ottomana dei Balcani – dice ser Andrea – ha indotto i capi dei clan albanesi dei Gheghi e dei Toschi a rifugiarsi nei feudi dei baroni latini. Le nobili famiglie invocano l’intervento dei signori dell’Occidente per scacciare i pascià ottomani che con le loro scorrerie hanno indotto le popolazioni a fuggire verso la costa albanese o attraversare l’Istmo di Corinto per offrirsi come manodopera ai Principi Cantacuzeni e Paleologi”.
“Gli Albanesi – afferma il nobile veneziano - si sono mantenuti integri nella fede degli avi e nel rispetto delle leggi latine. I governi dei Bulgari e dei Serbi non hanno intaccato lo spirito di libertà che alberga nei loro animi. Si tratta di uomini disponibili come manodopera nei lavori più umili ma sempre pronti a cavalcare con lancia e spada per i feudatari che sanno apprezzare le loro doti di coraggio e di impeto focoso, per difendere i loro castelli e le loro terre o per ingrandire i loro possedimenti. I condottieri italiani utilizzano i capitani albanesi e i loro seguaci per offrire i loro servigi militari a favore dei nobili che vogliono imporre il loro predominio sulle città che si sono ingrandite con il commercio e i traffici marittimi. Manipoli di uomini, addestrati al combattimento e pronti ad offrirsi a chiunque è in grado di pagare la loro offerta all’impiego delle armi, sono in grado di ingrandire i feudi delle famiglie facoltose a danno dei vicini feudatari e delle città che non dispongono di propri soldati. Anche il papa utilizza capitani di ventura che sanno difendere i possedimenti della Chiesa sempre in pericolo per le ingordigie dei Principi stranieri vogliosi di impossessarsi delle terre dei conventi e della curia romana”.
“Il basileus – dice il castellano – non può più fare affidamento sui suoi sudditi perché sono stati uccisi dalle epidemie e dalle scorribande di predoni stranieri che hanno spopolato le fiorenti città dell’impero e hanno deportato uomini e donne giovani per la loro vendita nei mercati dell’Oriente. La compravendita degli schiavi è di nuovo fiorente con le guerre di conquista degli Ottomani ed è fonte di guadagno per i mercanti dell’Occidente che rimpinguano le loro casse traendo profitti non rispondenti alle tradizioni della nostra fede. I Paleologi offrono la possibilità agli albanesi, sfuggiti alla schiavitù ottomana, di rioccupare e difendere le terre rimaste senza uomini per le pestilenze e le guerre. Teodoro II offre protezione e possibilità di impiego agli emigranti. Gli uomini più capaci nell’arte delle armi vengono utilizzati per difendere la Morea. Il despota è partito con un piccolo esercito verso Corinto per difendere la frontiera del Peloponneso, costituita dal grande muro costruito sull’istmo”.
“Le coste dalmate e albanesi – dice il veneziano - sono sotto la continua sorveglianza dei Veneziani che hanno interesse a salvaguardare i traffici marittimi e utilizzare la manodopera albanese per la sicurezza delle vie di accesso alle città costiere dell’Adriatico. I soldati ingaggiati sono uomini sfuggiti ai predoni turchi e disposti ad accontentarsi di poche monete per un riparo nelle fortezze e per non essere oggetto di soprusi da parte dei feudatari locali”.
“Per i mercanti – sostiene l’arconte – è preminente il libero traffico delle merci; al despota interessa riaffermare l’autorità imperiale e riacquistare le terre occupate dai feudatari e baroni latini che sfruttano la protezione del sultano ottomano per mantenere i loro possedimenti. Principi catalani, angioini, aragonesi, nobili uomini delle ricche famiglie italiane contendono con i Paleologi e i Veneziani il possesso della Morea che è sempre stata abitata fin dall’antichità dalle genti che parlano la lingua degli eroi di Sparta e di Corinto”.
“Gli albanesi - sostiene il mercante - offrono ai contendenti la possibilità di far prevalere le loro legittime aspirazioni e di mantenere integre le loro capacità militari combattendo anche negli opposti schieramenti. Le milizie assoldate sul posto permettono al governo di San Marco di mantenere salde le difese dei porti e a Teodoro II di mantenere il suo dominio e di far prosperare il grande mercato di Mistrà. La città si ingrandisce e mostra agli stranieri palazzi e chiese abbellite dagli artigiani venuti dall’Italia e da Candia. Lo spirito e la fede degli uomini e delle donne che fecero grande Costantinopoli si rinsaldano qui e brillano come faro di riferimento per l’Oriente e per l’Occidente”.
“Le aspirazioni dei nostri governanti - sostiene il giovane arconte - non sempre coincidono con gli interessi dei Veneziani. I trattati di pace stipulati con gli Ottomani hanno vita breve e cambiano con l’avvento di nuovi sultani. Murad II permette ai Veneziani di entrare nei porti del Mediterraneo e ai baroni franchi di mantenere le terre acquistate o avute in eredità dai crociati latini. L’impero romano d’Oriente può mantenere ancora salda la fede dei nostri padri grazie agli aiuti che i Paleologi ricevono dal papa e dai Principi latini. I traffici commerciali saranno protetti soltanto con la presenza del basileus che mantiene integre le leggi del diritto romano, riconosciute da tutti i popoli che amano scambiare i loro prodotti e far vivere le proprie città”.
“Il basileus e i suoi figli - dice il mercante – mantengono la loro potestà imperiale grazie agli interessi commerciali di Venezia. Il leone di San Marco è ben saldo sugli alberi delle galee veneziane e garantisce non solo la sicurezza dei traffici marittimi ma anche la rinascita dello spirito di fede dei nostri padri come è visibile per le vie e nelle chiese di Mistrà”.
“Teodoro II e la despoina Cleofe dei Malatesta - dice il castellano – costituiscono il pegno, riconosciuto dal papa Martino V, per l’affermazione dell’autorità religiosa e per il riconoscimento della potestà del basileus”.