lunedì 25 marzo 2013

VENEZIANI A COSTANTINOPOLI

Capitolo dodicesimo
Viaggio a Trebisonda.
La galea di ser Filippo, ricco mercante del quartiere delle Blacherne, salpa dal porto di Orion, vicino al quartiere veneziano, il 7 ottobre 1422 per Trebisonda, capitale di un piccolo impero, governato da Alessio IV che tutti chiamano "Grande Comneno".
La famiglia dei Comneni, imparentata con quella dei Paleologi che reggono l'Impero romano d'Oriente, ha fondato un favoloso regno nel XIII secolo sulle sponde meridionali del mare che chiamano "Ponto Eusino".
La città, situata su un pianoro trapezoidale e ben difesa da mura e torri, è diventata un importante centro carovaniero per il commercio della seta che proviene dalla Cina. Il porto, dotato di un grande faro, riceve le navi delle ricche città dell’Occidente ed accoglie tutti i mercanti che portano la loro mercanzia a Costantinopoli.
Venezia vi mantiene un suo funzionario, accreditato presso la corte dei Comneni. Le direttive della Serenissima vengono trasmesse al bailo di Costantinopoli che sovrintende all’operato dei consoli veneti, residenti nei porti dell’Egeo e del Ponto Eusino.
Ser Benedetto Emo, per dirimere le controversie tra il sultano Murad II ed il coimperatore Giovanni VIII Paleologo, si avvale del suo segretario, ser Francesco Filelfo, imbarcato sulla galea per Trebisonda, per consegnare una lettera del basileus Manuele II Paleologo al Gran Comneno. L'ambasciatore straordinario del bailo è accompagnato da Marco e Francesco, inviati dal loro governatore per far esperienza di commercio e per conoscere il mercato della città che accoglie le carovane dei mercanti dell’Oriente.
I due giovani hanno avuto il consenso del mercante ser Pietro, patrono della Capitana, di essere accompagnati dal prodiere Virgilio. Marco e Francesco, hanno costituito una società commerciale con la tessitrice Trixobostrina e con il ricco mercante arabo Muhammad. Sulla galea è anche imbarcato il tintore Nicola, amico di Rodopios, inviato come agente di Muhammad, per acquistare la seta grezza all’emporio di Trebisonda.
Ser Filippo, patrono della nave, è anche agente commissionario del ricco Oikantropos e della famiglia di Ser Pietro. La sua nave trasporta un carico prezioso costituito da centoventicinque sacchetti contenenti 110 mila ducati d'oro, trecento sacchetti pieni di iperperi d’oro con l’effigie del basileus, sessantaquattro borse di grossi d’argento veneziani per un valore di 36 mila ducati d'oro. Il banco di ser Francesco ha emesso a favore di ser Filippo delle carte di credito per riscuotere somme di denaro dai banchieri e per acquistare spezie presso i mercanti della città di Alessio Comneno.
La galea, costruita nei cantieri di Venezia, viene utilizzata dai mercanti di Costantinopoli per il trasporto di carichi speciali o per proteggere le grosse navi commerciali lungo le coste settentrionali dell’Asia Minore. Il suo scafo è lungo più di quaranta metri e largo quasi sei metri. La vela latina triangolare e la forza di centocinquanta rematori permettono al capitano di manovrarla con sicurezza e di tener testa a qualsiasi nave di predoni. L’armeria, posta al centro della nave, è ben fornita di elmi, scudi, corazze e dardi per i cinquantadue balestrieri ben addestrati. Il capitano, ser Giovanni, si avvale di un gruppo di uomini, forniti dal Primo Ministro dell’imperatore, per proteggere il corriere imperiale e la galea che lo trasporta. Sul ponte di prua è stata collocata un’arma segreta che lancia palle infuocate. Il suo impiego è garantito dai lanciatori di fuoco, uomini esperti e fidati dell'esercito imperiale, saliti a bordo e alloggiati nel vano prodiero. Il viaggio sulla galea è veloce e sicuro. Il suo carico è prezioso per la merce e per gli uomini che hanno l'incarico di consegnare il plico del basileus al signore di Trebisonda. Le rotte del Ponto Eusino richiedono navi equipaggiate per il combattimento.
La potenza degli Ottomani si è estesa anche sui mari e diventa sempre più minacciosa. Il Sultano di Adrianopoli possiede una propria flotta e si avvale anche dei servigi di esperti signori del mare che dispongono di piccole navi veloci per predare i natanti commerciali. Le loro imbarcazioni sono equipaggiate con vogatori cristiani delle città marittime conquistate dagli Ottomani. Il loro impiego è soltanto quello di fornire energia ai remi e non vengono impiegati per il combattimento.
La supremazia marittima, lungo le coste dell’Asia Minore e dell’Egeo, appartiene alla Serenissima Repubblica che impone il rispetto dello stendardo di San Marco. Venezia ha stipulato dei trattati con le potenze marinare ed ottenuto permessi e privilegi marittimi dai sovrani di tutti i regni che si affacciano sulle rive del Mediterraneo. Il rispetto delle convenzioni commerciali è ottenuto anche con l’esborso di ingenti somme dell’erario per la libera circolazione delle navi. I suoi mercanti sono rispettati da tutte le città costiere e le navi che naufragano non possono essere oggetto di bottino né i suoi marinai possono essere fatti schiavi. Il trattato, firmato dalla Serenissima e dall’Amministrazione ottomana per la salvaguardia delle navi che espongono lo stendardo di Venezia, non è rispettato dalle navi isolate dei predoni.
Dopo il grande fiume Halys, il capitano della galea sollecita gli ufficiali e i marinai a scrutare attentamente la riva per non farsi sorprendere dai razziatori del mare. La galea naviga lungo la costa per scorgere la luce del grande faro di Trebisonda che permette di scorgere il porto e di non perdersi nel Mare Eusino. Il vento è favorevole e la grande vela permette di navigare spediti. I rematori sono pronti a qualsiasi sforzo in caso di attacco e anche a difendere la loro nave perché la loro cattura li porterebbe ad essere venduti come schiavi.
"Attenti ai predoni - grida il comito della nave - e mano ai remi".
Un’imbarcazione, nascosta dietro il Capo Giasonio, è sbucata dalla foce di un fiume e si dirige verso la galea. Sulla costa si intravede l’antica città di Cotyora che dista più di mille stadi dalla città di Trebisonda. Mancano pochi giorni per l’approdo.
Il capitano chiama il paron: "Antonio, fai indossare le corazze e gli elmetti ai marinai e ai vogatori. Stai attento alla vela e al sartiame. Controlla che ogni balestriere abbia un numero sufficiente di dardi. Fai disporre gli scudi per proteggere i remigi e i balestrieri. Allerta il presidio imperiale per l'impiego della catapulta".
“Ludovico, stammi vicino - ordina il capitano al suo consigliere – e controlla la rotta. Si sta avvicinando la galea dei pirati e dobbiamo speronarla sul fianco”.
Il suono delle trombe e i il ritmo dei tamburi hanno chiamato tutti gli uomini della nave a difendere le loro vite.
Marco e Francesco si sono uniti ai balestrieri della poppa.
“Ser Giovanni – esclama Marco – sono pronto a usare anche la spada e colpire il predone che osa saltare sulla nostra nave”.
“Riparati dietro lo scudo – consiglia il capitano - e non mettere a repentaglio la tua giovane vita. Ser Filippo mi ha ordinato di tenere d’occhio proprio voi che accompagnate il corriere imperiale. I predoni del mare mirano a catturare i giovani che indossano le armature più lucenti per venderli come schiavi o pretendere un grosso riscatto dalle loro famiglie. Sono sicuro che a te e a Francesco non manca il coraggio di affrontare i pirati. I mercanti devono esporsi soltanto se la nave è in pericolo. I balestrieri e gli uomini della ciurma sono per il momento sufficienti a tener a bada questo gruppo di razziatori che vogliono abbordare la nostra galea”.
“I nostri padri – sostiene Francesco – ci hanno insegnato a non nasconderci, ma a essere pronti a difendere lo stendardo di San Marco. La Serenissima ci ha addestrato a stare vicino a chi combatte per la sicurezza della nave che trasporta la nostra mercanzia. La sua salvaguardia è preziosa come le nostre vite perché ci permette di vivere e di garantire la prosperità di Venezia. Il rischio è sempre presente per chi viaggia in mare e bisogna allenarsi a combattere i pirati anche se disponiamo di ripari e di armi adeguate a fronteggiare qualsiasi azione predatoria. Non serve nascondersi dietro coloro che hanno famiglia e figli, ma sostenere con generosità chi combatte per la nostra stessa causa. Il nostro spirito ci sprona a manifestare il coraggio per vincere la paura e a dimostrare la nostra saldezza morale, vicino a chi è pronto a sacrificarsi anche per noi che sembriamo privi di esperienza. L’abitudine al combattimento ci permetterà di essere sempre in guardia e di far affidamento alle esperienze che si acquisiscono in ogni momento della vita”.
“Sono pienamente d’accordo con il mio amico – incalza Marco – e desidero stare sul ponte di comando della nave per imparare l’arte del governo degli uomini che navigano e affrontano qualsiasi pericolo. I pirati non mi spaventano perché so usare bene la balestra che permette di colpirli a distanza e di non farli avvicinare alla nave. Sono veneziano e mi sento pronto a difendere la galea che mi permette di dimostrare il mio amore alla mia gente. Il bailo mi ha chiamato per accompagnare e proteggere ser Filelfo. Il mio dovere è di portare a compimento questo incarico a costo di qualsiasi rischio. Se mi nascondessi sottocoperta non dimostrerei di saper affrontare il pericolo che potrebbe compromettere lo scopo della nostra missione. Mi sento onorato di difendere il corriere imperiale e di essere all’altezza della fiducia che ser Emo ha riposto in me”.
“Il vostro coraggio – esclama ser Giovanni – non mi meraviglia perché anch’io da giovane aspiravo a dimostrare agli altri che non avevo paura di morire. Imparai a difendere la galea che trasportava la mercanzia della mia famiglia da Alessandria a Venezia. I Saraceni e i pirati scorazzavano lungo le rotte del Mediterraneo. Il loro intento era di abbordare le navi che trasportavano l’oro dei mercanti che si recavano in Egitto o nel Levante per comprare le spezie e le pietre preziose che arrivavano dall’Estremo Oriente. L’esperienza acquisita mi permette di comandare una nave e di difenderla dai pirati e dai corsari. Questa galea è equipaggiata ed armata per respingere qualsiasi abbordaggio. Ogni uomo della ciurma è stato scelto per garantire la sicurezza dell’imbarcazione che trasporta merci pregiate e soprattutto l’incolumità dei mercanti. La presenza di un corriere imperiale impone di adottare ogni precauzione per respingere qualsiasi azione piratesca. La conquista delle città costiere dell’Asia Minore da parte dellesercito degli Ottomani ci costringe ad entrare soltanto nei porti dove è presente un governatore veneziano".
"Alcuni pirati - dice il capitano - inalberano lo stendardo del sultano per scorazzare liberamente nel Mar Pontico ed abbordare le navi mercantili. La loro sottomissione ai nuovi conquistatori è un pretesto per ottenere dei privilegi o il governo di una città costiera. Molte famiglie nobili delle isole dell’Egeo devono pagare il tributo agli Ottomani. I loro figli amano coprirsi il capo con turbanti e mettersi al comando di uomini già abituati ai rischi del mare. I rematori delle loro imbarcazioni sono schiavi delle conquiste ottomane e non vengono utilizzati per la difesa degli scafi”.
Timonieri – ordina il capitano – preparatevi a virare per colpire la galea nemica. Pronti a lanciare il fuoco con la catapulta greca. Se si avvicina colpiamola con il rostro”.
La galea dei pirati cerca di prevenire la manovra del capitano e di affiancarsi sul lato sinistro. Il presidio imperiale sul ponte di prua scaglia ininterrottamente palle di fuoco sui pirati. Il fuoco greco incendia la loro vela e crea scompiglio tra i rematori incatenati. Le palle di pece e di catrame catapultate bruciano le loro tuniche intrise di sudore. Le grida di disperazione e di sofferenza degli schiavi vengono acutizzate dalle staffilate degli aguzzini che cercano di imporre un ritmo di voga sempre più accelerato. Il capo dei pirati fa lanciare un nugolo di dardi sulla galea di ser Giovanni e ordina ai suoi guerrieri di prepararsi per l'abbordaggio della galea veneziana.
Il paron incita i prodieri a vogare con più forza: "Ser Filippo ha promeso un ducato d'oro a tutti i rematori, se riusciamo ad affondare la nave dei pitati".
Il ritmo del tamburo rincuora gli animi e li sprona a muovere con più forza i remi. La galea veneziana è più veloce e sperona la nave pirata sul lato sinistro della poppa. Il suo timone è fuori uso e la nave è ingovernabile.
“Proseguite la rotta – ordina il capitano – e non perdiamo tempo. I predatori del mare non ci daranno più fastidio. Manca soltanto qualche giorno per scorgere il grande faro del porto di Trebisonda. Un ducato d’oro al marinaio che vede per primo la sua luce”.
La ciurma, piena di orgoglio e di riconoscenza per l’uomo che sa governare bene la nave e sa essere generoso, grida: "Viva il capitano".
"Vino per tutti - ordina ser Giovanni - e riposo per i remigi. Il vento del Nord ci porterà spediti alla nostra meta".
Il capitano si rivolge al giovane Marco: “Vai giù ed annuncia a ser Filelfo che i pirati sono stati sconfitti e non c’è più nulla da temere. Il Leone di San Marco protegge con le sue ali coloro che sanno vigilare con coraggio ed essere pronti ad offrire la propria vita per l’onore della Serenissima Repubblica. Mi rallegro che i giovani veneziani sanno emulare i loro padri ed affrontare il pericolo senza temere per la loro incolumità”.
“La sua determinazione – esclama Marco – nell’affrontare con intrepidezza la nave dei pirati è per noi un esempio e un ammaestramento che ci spronano ad essere sempre più coraggiosi e a confermare le speranze dei nostri genitori”.
“Il vostro comportamento, di fronte all’imminente pericolo, supera le loro aspettative. Le mie parole non siano motivo di vana gloria ma certezza per continuare a percorrere più spediti e sicuri le rotte del mare. Chi impara a navigare senza timore può essere chiamato a far parte del Grande Consiglio della Serenissima per rendere sempre più ricca e bella la nostra patria”.
I due giovani si recano nell’alloggio dei mercanti per rincuorare il messo imperiale.
“Le tue preoccupazioni – esclama Marco – sono comprensibili e mi sento onorato della tuo richiamo alla nostra missione. Io sono consapevole dei miei limiti e prendo ogni precauzione per essere pronto a far fronte a qualsiasi ostacolo che si frapponga al buon esito del viaggio. Ho indossato la corazza e ho preso le armi per respingere qualsiasi offesa. Il suono delle trombe, per un pericolo immediato che incombe sulla sicurezza della nostra nave, mi richiama al mio dovere di veneziano che è quello di difendere il vessillo di San Marco. Il ritmo del tamburo mi sprona a vigilare e aiutare coloro che combattono per noi. Sono giovane e mi sento forte”.
“Essere considerati giovani – continua Francesco – non ci consente di tenerci al riparo nel momento del pericolo e di lasciare a chi ha più esperienza di rischiare per la nostra incolumità. Bisogna iniziare a mettersi in gioco per dimostrare a noi stessi di essere in grado di poter mettere in pratica tutti gli ammaestramenti ricevuti. L’addestramento in patria e l’esercitazioni continue durante la navigazione ci bastano per stare al fianco degli ufficiali e dei marinai per la difesa della galea. La maestria nella difesa non si improvvisa ma si acquista ogni volta che ci sentiamo in pericolo. Il fatto di essere stati chiamati ad accompagnare un ambasciatore ci rende orgogliosi e ci spinge a prendere tutte le precauzioni necessarie alla difesa e alla incolumità di chi ci è stato affidato”.
“Non capisco – dice Marco – il comportamento di questi predoni del mare che invocano un uomo di Dio per commettere atti ostili alle navi che trasportano le mercanzie in tutti i porti. Tutti sanno che il Profeta, prima di ricevere la rivelazione, era un grande mercante che conosceva le regole del commercio tra i popoli”.
“Mi congratulo con te – risponde ser Filelfo – e mi domando chi ti ha parlato del Profeta di Allah. Le tue considerazioni nascono da un animo che rispetta ciò che è ritenuto sacro”.
"Durante la sosta in Sicilia della galea "Capitana", un ricco mercante arabo è salito a bordo. Il suo viaggio è terminato a Costantinopoli. Il comportamento dell'uomo mi incuriosiva perchè si prostrava e pregava il suo Dio. Era diventato amico del consigliere del capitano, esperto delle rotte marine, per conoscere, in determinate ore della giornata, la direzione della città in cui era nato il suo Profeta. Aveva una cultura vasta e profonda. Sapeva parlare in latino e conosceva le opere dei filosofi dell'antica Grecia. I viaggiatori mi sussurravano: " È un musulmano. La sua religione è l'Islam ". Il suo fervore era di esempio a tutti noi ".
“Hai avuto modo senz’altro – continua il messaggero - di parlare con lui durante le tempeste, quando tutti i viaggiatori si riuniscono sottocoperta. Sono curioso di conoscere tutto quello che ti ha detto. Gli arabi amano parlare con i giovani dell’Occidente della loro grande civiltà, delle loro grandi costruzioni e dei loro matematici e filosofi. Il mio amico ser Aurispa, mercante di libri antichi, è molto interessato ai filosofi arabi perché traducono gli antichi testi greci”.
“Il mercante – racconta Marco – mi ha detto che la sua famiglia era originaria di Damasco ed aveva sempre scambiato tessuti di seta con i minerali della Sicilia. Un giorno gli ho chiesto: " Perché preghi più volte al giorno? ".
L’arabo così mi ha risposto: “È stato cosi rivelato al Profeta Maometto di dire: " Compi la preghiera del declinar del sole al primo calar della notte ed esegui la recitazione dell'alba, ché la recitazione dell'alba è fatta innanzi a testimoni... Volgi la tua faccia verso la Sacra Moschea ... Gloria a Dio, quando entrate nella sera e quando entrate nel mattino, e lode a Dio nei cieli e sulla terra e nel pomeriggio e quando entrate nell'ora meridiana... Ognuno agisce secondo la sua maniera... La mia preghiera, il mio culto e la mia vita e la mia morte appartengono al Signore dell'Universo...Così mi è stato ordinato, ed io sono il primo dei Musulmani... O credenti... Entrate tutti nella dedizione completa...La religione presso Dio è l'Islam... Se amate Dio, seguitemi, ché Iddio vi amerà e vi perdonerà le vostre colpe, poiché egli è perdonatore e misericordioso...Obbedite a Dio e al Profeta...Iddio comanda la giustizia, la buona condotta verso i parenti, e proibisce la turpitudine, le cose biasimevoli e la prepotenza... A chi, credente, sia maschio o sia femmina, avrà fatto del bene noi concederemo una vita beata e corrisponderemo un premio comutato in base alla migliore delle sue opere... Iddio è con i timorati e con coloro che fanno il bene”.
“Sembra che l’arabo – afferma Filelfo – ti abbia rivelato la sua sottomissione ad Allah e la sua credenza nel Corano che riporta la rivelazione fatta al Profeta dall’angelo Gabriele. Prima delle conquiste delle tribù mongole e di quelle turche, gli Arabi hanno fatto conoscere l’Islam a tutti i popoli ed hanno costituito dei grandi regni. Ora amano soltanto commerciare e vivere nel rispetto della rivelazione ricevuta da Maometto.”
“Non capisco - afferma Francesco - il timore che hanno tutti i popoli dell’Occidente per i musulmani che sono molto religiosi e riconoscono la giustizia di Dio. Il mercante di Damasco mi è sembrato una persona timorata delle cose sacre e rispettoso di tutte le leggi che permettono il libero scambio delle merci”.
"Hai colto nel segno - incalza l'inviato del basileus - e mi congratulo con te perché distingui la giustizia divina da quella degli uomini. Gli Arabi, sdopo aver conquistato grandi territori e innalzato favolose costruzioni in nome dell'Islam, hano lasciato ai Turchi il governo delle città. I nuovi guerrieri dell'Oriente, provenienti dagli sterminati territori dell'Asia, hanno abbandonato le credenze dei loro avi ed hanno riconosciuto che c'è un solo Dio".
" Dimmi, Marco, con quali appellativi l'arabo invocava il suo Dio? "
" Il mercante soleva dire: " Lode a Dio, Signore dei Mondi, - il Clemente, il Misericordioso, - Sovrano del Giorno del Giudizio... Il Clemente - ha insegnato il Corano; - ha creato l'uomo, - gli ha insegnato l'eloquio ".
“Mi hai detto che si recava a Costantinopoli e vorrei conoscere il suo pensiero sui governanti della città”.
" Il mio amico dell'Islam - afferma Marco - ha parlato molto bene del basileus: " L'imperatore Manuele II Paleologo si dimostra molto tollerante; ha permesso la costruzione delle moschee nei quartieri musulmani di Costantinopoli. Il sultano, Mehmet I Celebi ha riconosciuto la sua autorità imperiale e lo ha addidato come padre a tuti i credenti in Allah. La città della Santa Sapienza sente la voce di colui che dall'alto della torre chiama alla preghiera tutti i credenti che si radunano Nel nome di Dio Clemente e Misericordioso. Tutti si sentono sicuri dentro e fuori le mura della città. I conquistatori Ottomani scelgono una città della Tracia, Adrianopoli, come la capitale del loro impero. Le vie commerciali attraverso l'Asia Minore sono ripristinate dopo le distruzioni dei mongoli di Tamerlano".
“L’arabo – sostiene Filelfo – ha detto il vero. Le cose adesso sono cambiate perché il coimperatore Giovanni VIII, avendo appoggiato un pretendente al sultanato contro l’attuale imperatore ottomano, ha suscitato le sue ire. Il prestigio di Manuele II è crollato. Gli Ottomani hanno scatenato una grande offensiva che si ritorce contro i traffici commerciali nel Mediterraneo Orientale e nel Ponto Eusino. I pirati si sentono autorizzati ad abbordare le navi. L’ invocazione del Profeta serve solo a coprire la loro avidità di ricchezza”.
“Anche l’arabo aveva paura dei predoni del mare e diceva: " Non è lecito a un credente uccidere un credente se non per errore... Iddio non ama gli agrressori".
“Le conversazioni con il viaggiatore arabo – continua Marco – hanno eliminato i miei pregiudizi su Maometto”.
“Soltanto il dialogo sereno – sostiene l’ambasciatore - tra due uomini di diversa cultura può dirimere le incomprensioni che nascono dalla diffidenza e dall’ignoranza. Gli uomini dell’Oriente non sono diversi da noi. La loro completa dedizione al Dio di Abramo appare incomprensibile a chi non ha approfondito il Corano. Il Profeta Maometto ha il merito di aver combattuto l’idolatria e di aver fatto conoscere agli Arabi del deserto che c’è un solo Dio. Nel Libro che parla della sua rivelazione, Gesù di Nazareth è l’Inviato da Dio nato dalla Vergine Maria. L’Onnipotente si è servito e si serve di un mercante a cui è stato rivelato di essere il più grande e l’ultimo dei profeti senza togliere nulla al Verbo di Dio”.
“Il mercante arabo mi diceva che al Profeta è stato rivelato: " Ricorda Colei che custodì la propria verginità... Alitammo in essa del nostro spirito e facemmo di lei e di suo figlio un segno per l'Umanità. - Questa è la vostra Comunità: una comunità unica, ed io sono il vostro Signore...A Gesù figlio di Maria abbiamo dato prove manifeste e lo abbiamo confortato con lo Spirito Santo ". Sosteneva che a Maometto è stato ordinato di dire: " O gente della scrittura. Venite a una parola comune: di non adorare se non Iddio... Crediamo in Dio e a ciò che è stato mandato dall'alto ad Abramo, Ismaele, Isacco, Giacobbe e Tribù, e a ciò che hanno ricevuto dal loro Signore Mosè, Gesù e i Profeti; non facciamo differenza fra nessuno di essi, e siamo interamente dediti a Lui... Ognuno ha la sua direzione verso cui si rivolge. Voi dirigetevi a gara verso le buone azioni: che dovunque vi troviate Iddio vi riunirà tutti assieme. Egli è onnipotente ".
“Questo è sorprendente – esclama ser Filelfo - e non viene capito dagli uomini dell’Occidente e dell’Oriente. Il Corano esorta tutti i credenti alle buone azioni perché Iddio è il Signore di tutta l’Umanità”.
“Se i popoli dell’Est e dell’Ovest - sostiene Francesco - orientano la loro attività su dei libri sapienziali che ammettono una comune origine degli uomini, vi si potranno trovare dei punti condivisi per vivere meglio nel rispetto reciproco”.
“La strada maestra – sostiene Filelfo - è la verginità di Maria, ritenuta l’unica donna che abbia partorito un figlio senza conoscere l’intervento di un uomo. Il Profeta Isaia in nome di Dio rivela il parto dell’Emmanuele da una Vergine. L’apostolo Matteo rivela nel suo Vangelo che Gesù di Nazareth è l’Emmanuele. L’apostolo Luca scrive nel suo Vangelo che alla vergine Maria è annunciato il concepimento di un figlio e lei risponde: " Come è possibile? Non conosco uomo " .
“L’arabo – interviene Marco – mi raccontava che nel Corano è rivelato: " O Maria. Iddio ti dà la lieta novella di un Verbo da Lui. Il suo nome sarà Gesù figlio di Maria...Parola di Verità ".
“E cosa ti ha detto ancora?”.
" Al Profeta Maometto - sosteneva il mercante - è stato rivelato di ricordare Nel nome di Dio Clemente e Misericordioso ciò che Maria ha risposto all'inviato del Signore: " Come potrò avere un bambino, quando nessun uomo m'ha toccata e non sono donna disonesta? ".
“I dottori delle Sacre Scritture - sostiene ser Filelfo - non approfondiscono il carattere divino dell’evento e non chiariscono il motivo di questa verginità. La procreazione di un uomo al di fuori della normale relazione di maschio e femmina è un evento che trascende l’umanità ed entra nel novero del mistero e del sacro. Questo avvenimento deve avere uno scopo che va ricercato nel frutto del parto di Maria. Il Figlio della Vergine, pur essendo un vero uomo, manifesta una personalità che si riscontra nelle sue opere e nelle sue parole: " Non sono venuto per abolire la Legge e i Profeti... Io sono la Via, la Vita e la Verità " . Nessun uomo ha mai proferito sulla terra queste parole. I sapienti dovrebbero riflettere su ciò che manifesta il Figlio della Vergine. Tutti gli uomini hanno cercato e cercano una via per conoscere la verità della loro vita e non si rendono conto che uno di loro ha manifestato di essere la Verità”.
“Ci sono tante vie nel mondo – afferma Marco – e tanti uomini che sostengono di dire la verità, ma nessuno, al di fuori del figlio di Maria, ha mai detto di essere la Vita. Penso che la confusione nasca proprio dal fatto che gli uomini non sono concordi sul significato della vita, cioè sulla sua origine, sulla sua motivazione e sul suo scopo”.
“Ogni uomo – dice Francesco – è inserito in una società, riceve gli ammaestramenti dai suoi genitori ed è sottoposto alle leggi della sua città. La diversità dei costumi e le contrastanti opinioni non consentono di avere una concezione unica sulle cose più importanti della vita”.
“È vero – afferma l’inviato imperiale – che ci sono tante opinioni. La loro diversità nasconde una essenzialità unica, cioè l’uomo è una persona, dotata di pensiero e di libertà, che si esprime attraverso la parola e gli atti concreti. Questa essenzialità ha un unico fondamento di verità. Ognuno vuole vivere e cercare la strada per affermare la propria umanità che si corrobora nelle relazioni umane senza mai giungere, nel tempo presente, a una sua pienezza”.
“I pirati – afferma Marco - dicono di essere seguaci del Profeta e credono di essere autorizzati all’arrembaggio delle navi dei cristiani”.
“È soltanto un pretesto. Il tuo amico arabo ti ha detto quello che è scritto nel Corano ed ha condannato le loro azioni alla luce della rivelazione. Anche i cristiani praticano la pirateria nel Mediterraneo Occidentale. Questo dimostra che la religione non c’entra con le azioni dei pirati. I loro delitti sono condannati dal Vangelo”.
“L’Occidente - afferma Marco – ha paura dell’Islam”.
“È vero – risponde ser Filelfo – e questo non dipende dalla rivelazione fatta al Profeta. L’Islam è la dedizione completa a Dio, annunziata e richiesta da Maometo al popolo arabo. È parola rivelata a un uomo da Allah attraverso l’angelo Gabriele. Anche noi cristiani crediamo nell’Annunciazione fatta alla Vergine dall’arcangelo Gabriele e non abbiamo alcun dubbio sulla veridicità della Sacra Scrittura rivelata agli apostoli da Gesù. Tutto quello che viene da Dio è santo. Anche il Corano è parola che chiama alla conversione all’unico e vero Dio di tutti gli uomini. L’umiltà e la grandezza di Maometto fino ad oggi non è stata capita dall’Occidente perchè si confonde la fede dei credenti con il potere dei più forti. Anche la popolazione araba, costituita dalle tribù del deserto, pur avendo avuto il dono di un grande Profeta, prediletto da Dio, è stata sottomessa e conquistata dai guerrieri dell’Asia che si erano convertiti all’Islam”.
“Come è possibile – afferma Francesco – che il popolo del Profeta, dopo aver acquisito una grande cultura, diffusa in tutto il Mediterraneo e nelle regioni orientali, sia stato conquistato da guerrieri venuti da lontano? ”.
“Il Profeta - sostiene il dotto ambasciatore - è l’uomo di Allah, scelto per far conoscere agli Arabi che c’è un solo Dio che chiama alla conversione, cioè chiama all’Islam che è dedizione completa al Dio di Abramo. La sua missione è quella di conquistare i politeisti e indurli a distruggere gli idoli e a iniziare una nuova vita fatta di preghiere, elemosine e digiuni. La parola del Profeta è parola rivelata per la conversione dei cuori e non per conquistare territori. I capi delle tribù arabe, dopo la morte di Maometto, hanno deciso di far conoscere anche agli altri popoli la rivelazione fatta al Profeta. Le loro aspirazioni sono comprensibili e lodevoli. La comunità dei credenti in Allah si confronta con le culture degli altri popoli dell’Oriente. Le loro buone ragioni si scontrano con le altre culture e nascono incomprensioni. Il confronto delle opinioni dei regnanti porta alle offese e allo schieramento in armi degli uomini intesi a difendere i costumi tramandati dai loro avi. Il sacro si confonde con le passioni e scaturiscono guerre e conquiste.
“Tu sostieni – afferma Marco – che la religione dell’Islam non è ispiratrice delle conquiste degli Ottomani”.
"Hai detto una cosa giusta - risponde l'ambasciatore del basilus che riporta l'opera del Profeta nella sua giusta condiderazione. Maometto è l'arabo che si è dedicato completamente al suo Dio. È l'uomo che dice di essere il più grande dei profeti perché così gli è stato rivelato dall'angelo Gabriele. Le parole rivelate richiedono rispetto perchè hanno il mistero del sacro. Nessun uomo può comprenderne il significato se non viene illuminato dalla Sapienza di Dio. L'opera del Profeta mira a scuotere le tribù arabe dedite al politeismo e a spingere gli ipocriti ad agire con convinzione secondo la rivelazione. La recitazione della parola rivelata non consente di agire diversamente dalla giustizia. Il comportamento del credente è rispetto di tutto ciò che è stato creato dal Dio di Abramo. Le relazioni umane, improntate alla parola del Corano, trovano un fondamento di verità nell'adesione completa ad Allah e nel riconoscimento di quanto detto dal Profeta.. Maometto riconosce veri tutti i profeti che hanno rivelato l'unicità di Dio. La sua determinatezza e la sua fiducia, nell'accettare la sua missione, lo collocano in una posizione predominante su tutti gli uomini che hanno manifestato la volontà dell'unico Dio di riportare le sue creature a riconoscerLo come Signore degli uomini ".
"Il mercante arabo – racconta Marco – soleva parlarmi del culto esclusivo di Allah e diceva che nel Corano è scritto: " Dì: Egli, Iddio, è Uno. - Iddio l'eterno, - e non ha l'eguale ”.
" Anche noi, cristiani, abbiamo appreso nel catechismo - afferma Francesco - il Decalogo. Il Primo Comandamento: "Io sono il Signore Dio tuo. Non avrai altro Dio fuori di me ".
“Tutti noi abbiamo acquisito dalla Sacra Scrittura – afferma ser Filelfo – che c’è un solo Dio. Gesù stesso, secondo il Vangelo di Matteo, così rispose a un dottore della legge: "Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente. Questo è il più grande e il primo dei comandamenti ".
“Il Profeta – sostiene Marco – riconosce che Gesù è il Verbo di Dio”.
“Questo riconoscimento gli è stato rivelato – risponde l’ambasciatore – e ci deve indurre a onorare un uomo che dedicò tutto sé stesso ad Allah. La sua completa dedizione non deve essere confusa con l’impeto dei guerrieri o con il desiderio di potere dei Principi”. Le paure nei confronti dell’Islam sono infondate. I timori nascono con gli Ottomani che hanno l’esercito più potente”.
“Perché – chiede Francesco - i capi delle tribù turche e mongole che hanno travolto l’Impero romano d’Oriente hanno adottato la religione degli Arabi?”.
“Anche in Occidente - risponde l'ambasciatore - è successo la stessa cosa con Roma. Le tribù barbare, dopo aver sconfitto le sue legioni, si sono impossessate del suo impero ed hanno abbracciato la religione cristiana. La cultura del mondo romano è stata assorbita dalle popolazioni che provenivano dall’Est. La cultura romana ha amalgamato i vincitori con i vinti ed è servita come base per nuovi regni e domini. La religione cristiana ha eliminato le diversità sociali e sono nati tanti governi. I loro territori hanno ospitato nuovi popoli che si sono affacciati sul Mediterraneo. L’impero romano d’Occidente si è trasformato in tante entità nazionali con tanti re e Principi che fanno sentire il loro potere. La loro sottomissione alla Chiesa conferisce una riconoscimento che permette di estendere la loro autorità sugli altri popoli. L’alternanza delle loro egemonie crea un continuo stato di tensione tra le varie città. I continui conflitti di potere tra i vari Signori hanno permesso agli agglomerati urbani di erigersi ad autonomie con propri governanti. La loro sopravvivenza ha innescato nuove fonti di sussistenza del popolo. Si sono intraprese le attività commerciali che hanno reso grandi e potenti i piccoli villaggi. Anche Venezia è sorta dall’agglomerato di piccole capanne ed è diventata la città più ricca di tutto l’Occidente”.
“L’Impero romano d’Oriente – afferma Marco – esiste ancora e il suo l’imperatore è Manuele II”.
"Il basileus - risponde ser Filippo - ha perso tutti i suoi possedimenti e rischia di perdere anche Costantinopoli. Il sultano tiene sotto assedio la città e cerca di punire il coimperatore Giovanni VIII che ha osato immischiarsi nelle faccende della casa imperiale ottomana. La situazione si presenta drammatica ed ocorre arginare l'avanzata dei nuovi conquistatori che stanno costruendo un grande impero che minaccia l'Occidente e la sua cultura.
Francesco Liparulo - Venezia




lunedì 18 marzo 2013

Il 17 marzo 2013 la festa dell'Unità d'Italia



                         
Giornata dell’Unità nazionale, della Costituzione, dell’inno e della bandiera.
“Siamo oggi noi Italiani – ha detto Giorgio Napolitano – di nuovo in un momento difficile e duro per l’economia che non cresce, per la disoccupazione che aumenta e dilaga tra i giovani, per il Mezzogiorno che resta indietro, per quello che non va nello Stato, nelle Istituzioni, nella politica e che va modificato e che richiede già da tempo di essere riformato. Ritroviamo dunque orgoglio e fiducia e ritroviamo il senso dell’unità necessaria. Unità, volontà di riscatto, voglia di fare e stare insieme nell’interesse generale senza dividerci in fazioni contrapposte su tutto, senza perdere spirito costruttivo e senso di responsabilità. La memoria degli eventi, in occasione del 152° Anniversario dell’Unità d’Italia, che condussero alla nascita dello Stato unitario e la riflessione sul lungo percorso successivamente compiuto, possono risultare preziose nella difficile fase che l’Italia sta attraversando, in un’epoca di profondo e incessante cambiamento della realtà mondiale”.
C’è un nuovo Parlamento. Il centrosinistra ha la maggioranza alla Camera con 340 seggi ma non al Senato dove ne ha 105 e il centrodestra ne ottiene 113. Il Movimento 5 Stelle di Beppe Grillo è il primo partito a Montecitorio.
Il leader del Partito Democratico riesce a far eleggere due rappresentanti della sua coalizione. Laura Boldrini, 52 anni, si insedia alla Camera con un discorso sui giovani, i disoccupati, i precari, i piccoli imprenditori strangolati dalla crisi, i carcerati, le donne umiliate. Pietro Grasso, ex procuratore Antimafia di Palermo, al Senato con 137 voti, superando al ballottaggio Schifani che ottiene 117 voti.
“Bisogna andare a votare il più velocemente possibile – ha detto Berlusconi – cercheremo di ottenere un presidente di garanzia al Quirinale, ma sarà dura, tenteranno di occupare militarmente tutto”.
“Hanno conquistato due poltrone – ha sostenuto Maria Stella Gelmini del Popolo della Libertà – magari riusciranno a formare un governo con numeri risicati grazie ai 5 Stelle, la nuova Rifondazione, ma non andranno lontano”.
“L’atteggiamento di preclusione nei confronti del Popolo della Libertà da parte del Partito Democratico – ha riferito il senatore Mario Mauro di Scelta Civica – non ha lo spirito di conciliazione. Durante tutta la campagna elettorale abbiamo denunciato un clima di cultura del conflitto che tiene in ostaggio il Paese”.
Per Giorgio Squinzi, presidente di Confindustria, occorre “un governo che sia capace di governare, che restituisca i debiti alle imprese e che anche prima di qualsiasi intervento politico o istituzionale parta dalle’economia reale”.
Oggi occorre vincere il "dispotismo" delle maggioranze parlamentari che, imponendo la loro volontà, non tengono conto del continuo aumento del distacco -tra le persone e lo Stato. La regola del numero alle Camere e lo “strapotere della maggioranza” soffoca la democrazia. La decisione politica dipende dal numero, cioè dalla volontà della maggioranza parlamentare. “Contiamo i voti e facciamo decidere ciò che la maggioranza decide”.
In democrazia esiste il partito maggiore. Si è convenuto che sia la maggioranza a formare il governo e prendere le decisioni. C’è riduzione tra principio di maggioranza e democrazia come se democrazia fosse determinata da principio di maggioranza. Si tratta di relativismo politico. Significa che tutte le decisioni sono possibili a condizione che rispettino la regola della maggioranza. La democrazia diventa semplicemente procedurale, cioè la democrazia diventa insieme di regole e procedure che stabiliscono chi è autorizzato a prendere decisioni collettive e con quali procedure.
Questa concezione lascia impliciti i presupposti della democrazia, come governo dal basso a suffragio universale, lascia impliciti i valori e i fini ma lascia imprecisati i contenuti. Una democrazia procedurale è aperta ad ogni contenuto e comporta la neutralizzazione pubblica dei valori. C’è identità tra democrazia e metodo democratico. La democrazia procedurale entra in crisi quando nella società circolano tensioni che lacerano le coscienze delle persone. C’è controversia nella società civile. C’è il criterio che le questioni di valori siano portate in ambito privato e soltanto ciò che interessa è pubblicizzato. Gli interessi stanno in piazza ma i valori non possono entrarvi perché hanno “dignità”.
Dove ci sono gli interessi, si può trovare un punto di mediazione e dove sono in discussione i principi e i valori non c’è mediazione. Il valore morale non ha un punto medio. Nella società democratica libera c’è tendenza di riportare i valori nel privato perché non si trova la regola. Se bisogna decidere sui valori non si decide direttamente ma si trovano procedure neutrali dove non si decide sui contenuti ma si lascia alle procedure trovare soluzioni.
Ci si interroga come bilanciare, oggi, il pluralismo morale e la legge civile, cioè la legge del nostro ordinamento. Ci sono leggi che permettono di fare qualcosa, altre che vietano, altre che comandano e altre ancora che permettono di fare a certe condizioni o non fare. La società non dispone più di un universo ma di un pluriuniverso morale. Negli ultimi 50 anni, il codice univoco di comportamento morale è diventato plurimo. Quello che una volta era emarginato nella piazza pubblica con giudizio negativo, a prescindere dalle legge civile, oggi non ha più rilevanza morale.
La democrazia procedurale della società pluralistica chiede alla legge civile di essere totalmente neutrale, cioè di dare spazio massimo alle leggi che permettono e spazio minimo alle leggi che tendono a vietare, in modo che ogni individuo possa scegliere ciò che sembra meglio.
Il voto di lista e la regola della maggioranza non permettono di tener conto dei valori della società civile e dei bisogni reali dei lavoratori. I cittadini non hanno più potere perché i loro rappresentanti politici vengono scelti dalle segreterie dei partiti. Le liste bloccate e i candidati disposti secondo un ordine non modificabile dagli elettori. Uomini e donne non fanno altro che votare il simbolo del partito senza potersi scegliere gli eletti. I prescelti non rappresentano gli interessi della popolazione. Nei partiti si decide secondo la regola della maggioranza.
Le opposizioni contestano le leggi approvate secondo la regola del numero.
L’idea di alcuni partiti di poter gestire la società politica in base a regole di procedura e di forma, senza tener conto dei valori sostanziali che animano le persone, rappresenta un utopismo che mira a manipolare le coscienze per fini utilitaristici.
Il fine delle Istituzioni politiche è quello di aiutare le persone per il loro pieno sviluppo, cioè di garantire ad ogni uomo o donna l’accesso ai beni materiali, culturali, morali e spirituali che sono patrimonio di tutto il popolo.
L'imposizione della “volontà generale” della rappresentanza parlamentare di maggioranza crea distacco tra il popolo e lo Stato perché è solo un’autorità lontana dalle vere esigenze degli Italiani.
Si auspica un diverso rapporto tra individui e corpo politico, un diverso modo di concepire la dignità della persona e la dignità del lavoro, cioè si chiede una maggiore cittadinanza attraverso una maggiore attenzione alla persona e ai suoi bisogni di esistenza.
La società civile è tale se fondata sul rispetto dell’uomo esistenziale e concreto, dei suoi diritti, se è ben salda sulla fede nel progresso interno della vita e della storia del popolo italiano e se si avvale della forza della libertà.
“Valorizziamo quel che ci unisce come nazione - dice Giorgio Napolitano - e ci impegna come Stato unitario di fronte ai problemi e alle sfide che ci attendono”. L'attuale momento storico europeo è segnato dal dualismo Stato – mercato e dalla mescolanza di neoliberalismo e di socialismo democratico. Di fronte allo Stato e al mercato sta l’individuo, sottoposto alle decisioni del potere economico e del potere politico.
Le attuali democrazie devono fare i conti con le sfide del mondo globalizzato . Si auspica un diverso rapporto tra individui e società civile, un diverso modo di concepire la dignità della persona e la dignità del suo lavoro, cioè si chiede una maggiore cittadinanza attraverso una maggiore attenzione alla persona e ai suoi bisogni di esistenza. La libertà per ciascuno, di seguire qualsiasi codice di comportamento in base al fatto che non viene ritenuto possibile stabilire un ordinamento unitario di valori, impedisce la coesione nelle associazioni civili. Il riconoscimento eccessivo dato alle regole nei confronti dei contenuti, entra in crisi quando nelle società si neutralizzano i valori fondanti della vita civile. Le democrazie devono risolvere il problema della ridistribuzione dei beni per evitare la scissione dei legami sociali. Le "male bestie " di Sturzo sono ancora oggi lo statalismo, la partitocrazia e lo sperpero del denaro pubblico.
I valori cristiani del popolo italiano (dignità della persona umana, famiglia, solidarietà e sussidiarietà) sono indispensabili ad una valida democrazia perché promuovono un sentimento della vita, ancorato alla centralità dell’uomo, e permettono una convivenza ordinata e feconda. Le basi della nostra nazione, come entità permanente, sono le regole immutabili della legge naturale, insite in ogni uomo e donna, la continuità culturale, la tradizione, la consapevolezza storica, l'amore di patria. A questi valori sono ancorati i cuori di tutti gli Italiani.
Francesco Liparulo - Venezia

venerdì 15 marzo 2013

VENEZIANI A COSTANTINOPOLI

Capitolo ventunesimo
Il kadì del sultano
Il basileus Manuele II ha concesso piena autonomia ai mercanti ottomani di Costantinopoli. Il loro governatore è stato scelto dal sultano Yildirim Bayezid I, per le sue capacità di impresario logistico nelle conquiste dei vasti territori dei Serbi e dei Bulgari.
Il funzionario turco è conosciuto in città come il kadì del sultano. Il suo palazzo si erge maestoso sulla via che unisce la Mesè al porto del Corno d'Oro, nelle vicinanze del mercato del Leomakellon, dietro le mura marittime dell’Heptaskalon. La dimora del rappresentante del governo di Adrianopoli è alle pendici del quarto colle della città.
Mehemet, discendente da una ricca famiglia di giudici di Brussa, è il garante degli interessi dei Turchi ed invita i credenti ad obbedire a Dio, al suo Messaggero e a quelli che detengono l’autorità. Il kadì fa osservare la legge, attenedosi alla Parola rivelata del Corano.
Il quartiere musulmano, ad Ovest di quello veneziano, si abbellisce ogni giorno di nuove case che ostentano il raggiungimento di un benessere diffuso per tutti i residenti. Gli Ottomani e quelli che seguono l’esempio del Profeta si lasciano guidare dal Kadì che promuove ordine e sicurezza tra le vie del suo rione.
Tutti i capitani delle imbarcazioni turche, che attraccano alle banchine del porto, sentono il dovere di pagare il giusto tributo, per il trasporto delle marcanzie, agli esattori del governatore locale, incaricato dal Gran Logoteta di percepire non solo la tassa del basileus ma anche di trarre la gabella per il mantenimento delle strade rionali e per il sostentamento dei poveri, alloggiati nell’edificio adiacente alla moschea.
I mercanti del Levante, dell’Africa e dell’Asia Minore, all’arrivo e alla partenza delle navi, si recano a far visita a Mehemet, per testimoniare la loro riconoscenza al giudice del sultano o ascoltare il suo parere per la composizione delle controversie sullo scambio e la compravendita delle merci .
L’edificio del rappresentante della corte ottomana è ben visibile dagli approdi per lo splendore delle sue cupole dorate. È una costruzione in pietra e mattoni, abbellita con finestre i cui davanzali marmorei spiccano sotto i raggi del sole. Gli amministratori della colonia spesso aprono le imposte per scorgere nel porto del Corno d’Oro le navi commerciali che inalberano i vessilli degli emiri. Gli ufficiali di dogana sanno sempre quante imbarcazioni attraccano o partono cariche di mercanzie preziose.
La via che conduce al palazzo del kadì è sempre affollata di donne e uomini che con passo celere entrano nell’edificio del giudice ed escono pieni di ammirazione e gratitudine per l’accoglienza ricevuta. Mehemet è sempre disponibile ad esaudire non solo le richieste della sua gente ma anche degli altri residenti che intendono avere buone relazioni con la comunità turca e portare a buon fine qualsiasi attività commerciale.
I mercanti della città del basileus, romei di lingua greca, latini, saraceni, arabi, armeni, russi, giudei e di altre nazionalità, si sentono rassicurati dalla presenza del Kadì del sultano e si rivolgono con fiducia ai suoi uomini, per ottenere i lasciapassare che permettono di uscire dalle porte della città ed entrare nei territori del Grande Emiro Murad II. Il salvacondotto è indispensabile per tutti coloro che escono dalle mura terrestri per non essere assaliti, derubati e fatti schiavi dalle milizie turche.
Il monastero del Cristo Pantokrator si trova a breve distanza della strada che unisce il quartiere musulmano alla grande arteria commerciale della Mesè. Il complesso è anche sede di un ospedale per uomini e donne, con annessa scuola di medicina, per la cura degli ammalati, una biblioteca, un grande ricovero per poveri e bisognosi, un bagno con acqua proveniente dall’acquedotto della città, un luogo di accoglienza per bambini abbandonati ed orfani.
Le famiglie imperiali dei Comneni e dei Paleologi, gli arconti, proprietari di terre prima della conquista ottomana, hanno sempre dimostrato con donazioni e sovvenzioni il loro attaccamento al tempio e agli altri edifici.
Il sacro luogo è anche centro di aggregazione di tutti gli aristocratici contrari all’unione con i Latini dell’Occidente e favorevoli a un compromesso con il sultano. La basilissa Elena Dragas, dopo il ritiro di Manuele II in Santa Maria Peribleptos, dimostra la sua devozione con frequenti visite alla chiesa del monastero. Si tratta di un posto dove si riuniscono gli uomini più influenti dell’Impero romano d’Oriente per gli studi di medicina, per le attività culturali e per le grandi decisioni, legate alla vita e alla sopravvivenza di Costantinopoli.
Il ricco Oikantropos, senatore autorevole, capo del Partito degli antichi aristocratici, rappresentante degli arconti moderati e contrari alla guerra contro il sultano, è un assiduo frequentatore delle sedute e delle discussioni tra i sapienti monaci e gli uomini più ricchi della città.
Nei grandi refettori e sotto i portici del complesso, religiosi dotti e responsabili delle sorti dei cittadini cercano di risolvere i problemi connessi ai continui assedi, alla chiusura dei laboratori degli artigiani, alla scarsità di risorse per le famiglie dei popolani e alle diminuzioni di proventi per le chiese.
Il Patriarca, gli uomini responsabili dei luoghi di culto e i religiosi dei monasteri devono provvedere alla manutenzione dei loro edifici, al vitto dei poveri, alle spese degli ospizi per la degenza dei malati, al seppellimento dei morti, ai rimedi per arginare e tenere lontano le pestilenze dalle case e dalle vie, al soccorso dei bisognosi che non hanno nulla per sfamare i loro figli.
Il basileus e i suoi figli non vivono più nella sovrabbondanza dei proventi commerciali del passato e devono interessarsi con il Grande Logoteta dei mercenari che esigono il pagamento delle loro prestazioni con iperperi d’oro. La difesa della città dipende dalla loro continua vigilanza alle porte e sui bastioni della città continuamente assediata.
Le mura difensive hanno bisogno di riparazioni urgenti e l’erario non è in grado di iniziare i lavori. Manuele II e suo figlio Giovanni lasciano al Patriarca e ai responsabili dei monasteri l’incombenza di provvedere ai bisogni dei poveri e al decoro dei loro quartieri. Le opere di carità e di benessere dei cittadini sono lasciate alla Chiesa.
La ricchezza e la disponibilità di denaro, non più prerogative esclusive del basileus che incarna l’autorità della legge e il potere di dispensare monopoli e privilegi, appartengono a coloro che sanno gestire i guadagni, investendoli in quei beni che rendono un ulteriori profitti.
I rischi e le fatiche di chi deve viaggiare per terra e per mare vengono riconosciuti nel giusto corrispettivo della rivendita o dello scambio delle merci e dei metalli preziosi, fusi in lingotti o coniati dai vari popoli.
Anche i re e i principi bussano alle porte dei mercanti e dei banchieri che offrono i loro denari. L'oro e l'argento servono per pagare gli uomini che combattono e i fabbri che forgiano le armi, indispensabili per procacciarsi o mantenere il possesso delle terre e il dominio delle città.
Anche per le guerre di difesa occorrono tanti ducati e iperperi d'oro. Soltanto i governanti che possono disporne in abbondanza sono sicuri di assicurare la pace ai loro sudditi e di respingere gli assalitori.
I Turchi-Ottomani sono valenti guerrieri e molti hanno imparato l’arte del commercio. I seguaci di Maometto sono diventati indispensabili intermediari nei grandi flussi di scambio e di copravendita di tutte le ricchezze e i manufatti dei popoli dell’Asia e dell’Africa. I residenti del quartiere musulmano dicono: “È la nostra città, l’hanno desiderata tutti i credenti ed ora l’abitiamo per sempre”.
La vicinanza del Pantokrator al quartiere musulmano permette all’igumene, responsabile del complesso monastico, di cogliere l’occasione della presenza del kadì del sultano e predispone nell’ospedale dei posti per i malati delle ricche famiglie turche.
Mehemet e sua moglie soffrono di reumatismi e sono ben lieti di ricevere le cure dei medici o comprare i farmaci preparati dai monaci nei loro laboratori.
Il rappresentante del governo imperiale di Adrianopoli è accolto con tutti gli onori quando giunge con il suo seguito di alti funzionari, perché sa apprezzare l’accoglieza, l’esperienza e la dedizione dei monaci. Il portinaio del Pantokrator, quando sente lo scalpitìo del cavallo di Mehemet, avverte frate Basilio, responsabile del monastero. Si tratta di accogliere con devozione l’uomo che, con le sue donazioni personali, permette ai monaci e ai loro aiutanti di continuare, in un momento di crisi, quell'attività di socorso e di cura per tutti i poveri e i malati.
Il coimperatore Giovanni VIII spende tutti i denari, versati nelle casse imperiali, per difendere la città dagli attacchi esterni del sultano di Adrianopoli; il governatore del quartiere ottomano dà con generosità gran parte delle sua ricchezza, per mantenere il complesso monastico.
Il Grande Emiro vuole abbattere le mura terrestri e dall’interno il suo kadì cerca di tenere in piedi la città della carità.
I Romèi nel momento del bisogno vedono che i loro concittadini ottomani si arricchiscono e spendono le loro fortune per la comunità, assediata da guerrieri turchi che vogliono imporre con la spada la loro legge.
La generosità del kadì lenisce i dolori e le privazioni dei popolani. Si percepisce un’atteggiamento di rassegnazione e di speranza per un avvenire migliore e, nello stesso tempo, ci si compiace dell’aiuto di coloro che traggono le loro ricchezze dall’espansione della dominazione ottomana.
L’opulenza dei mercanti del quartiere musulmano è visibile non solo per la grande arteria commerciale della Mesè ma anche per tutte le vie che la collegano al Corno d’Oro. La colonia turco-ottomana non solo fa da cerniera tra il distretto delle Blacherne, sede del potere della corte dei Paleologi, e il quartiere veneziano, ma diventa anche il centro di interessi finanziari tra i banchieri del distretto di Galata e i commercianti del Foro di Costantino.
Il giudice Mehemet è diventato negli ultimi tempi il modello di riscontro tra i cittadini moderati, favorevoli alla supremazia del sultano e i gruppi radicali, capeggiati dal coimperatore Giovanni, che vogliono scompaginare il grande dominio di Murad II.
I residenti, beneficiati dal commercio con gli emiri dell’Asia Minore e i governanti ottomani dei Balcani, parlano a favore di una sottomissione all'autorità del sultano che garantirebbe libertà religiosa e abolizione dei privilegi concessi agli Occidentali.
Tra i moderati, oltre gli arconti del partito di Oikantropos, ci sono anche i rappresentanti dell’alto clero e i monaci che hanno sempre tratto le loro rendite dalle fattorie fuori città o dagli immobili urbani, utilizzati come laboratori nei quartieri o come magazzini nelle zone portuali.
Nel complesso del Pantokrator si ritrovano gli aristocratici che non accettano l’intervento di Martino V nelle scelte dei Romèi. I signori dell’Occidente, obbedienti al papa, continuano a organizzare crociate contro l’esercito degli Ottomani. Il sultano scatena le ire dei suoi pascià nella Macedonia e spinge i corsari saraceni a devastare le isole dell’Egeo, le coste della Morea e della Dalmazia.
Il terrore dei guerrieri della IV Crociata, partiti per liberare il Santo Sepolcro e traviati dalla cupidigia per rubare gli oggetti d’oro e d’argento delle chiese di Costantinopoli o depredare i monumenti e le case dei suoi abitanti, è sempre ricordato per giustificare l'avversione alle ingerenze del Patriarca di Roma.
I Franchi e i Latini, partiti da Venezia per uno slancio di generosità e il conseguimento di un nobile fine per la liberazione dei sacri luoghi della Palestina, si sono lasciati spingere dalle loro passioni e hanno sprigionato la loro sfrenata libidine di ricchezza e di potere sulla città della Santa Pace. La devastazione subita dalla città è una ferita sanguinate che non si rimargina.
La Grande Chiesa, inorridita, ha visto i sacrileghi crociati profanare i simboli della fede e spezzare l’altare del sacrificio. I sacri ministri invano hanno proteso il Figlio innocente della Vergine ai guerrieri latini, scomunicati per le loro nefandezze. Sul seggio del Patriarca si è assiso il miliziano blasfemo, provocando l’indignazione e la costernazione del papa. I sacrileghi guerrieri si sono divisi i sacri paramenti e i loro capi si sono spartiti il suolo dell'Impero romano d'Oriente.
Gli antiunionisti ricordano e non vogliono il ripristino del dominio dei Latini. L’edificio più grande del monastero è già stato occupato dai loro principi che hanno fatto mercato delle sacre icone, espressione dello spirito mistico dei religiosi. Gli oggetti più preziosi sono stati venduti dal regnante franco.
I dominatori stranieri hanno prelevato e trasportato nelle loro dimore e negli edifici pubblici delle loro città le preziose manifatture della fede del popolo. Le ragioni di commercio o di legale compravendita non bastano a giustificare il depauperamento degli edifici religiosi.
Gli oggetti di voto e di devozione che hanno ornato gli altari, manifestazione spontanea di sentimenti religiosi di un popolo, espressione tangibile di spiritualita vissuta, testimonianza della fede dei Romèi, sono andati ad impreziosire gli edifici di lontane contrade.
I popoli dell’Ovest si sono arricchiti di una nuova linfa vitale, fatta di ammirazione estatica di fronte alle sacre immagini di Costantinopoli, di una rinnovata fede, di fronte all'espressione visiva e profondamente sentita delle anime dei mistici dell’Oriente. Dall’Est è giunta di nuovo una certezza di verità soltanto per gli spiriti liberi dall'egoismo e dal possesso sfrenato delle ricchezze.
Le signorie occidentali hanno acquisito con la spada i tesori della città della Santa Sapienza e non si impegnano per la sua difesa contro le incessanti conquiste ottomane.
Venezia è certa che la ricchezza della città del basileus non dipende soltanto dai tesori delle sue chiese e dei suoi monumenti ma anche dall'operosità commerciale e artigianale dei suoi abitani.
La Repubblica di San Marco trae motivo di interesse e di nuovo slancio dal possesso delle ricchezze, conquistate con la IV Crociata, per investire le sue fortune nella difesa della città di Manuele II, considerata emporio insostituibile del Mediterraneo e fonte inesauribile di ricchezza. I senatori legano il loro destino alla sopravvivenza dell'Imperto romano d'Oriente. La cultura, gli apparati strutturali e manifesti del potere del basileus vengono ereditati dai nobili e trasmessi a tutta la città lagunare che vive e prospera solcando i mari e percorrendo le vie carovaniere dell’Asia e dell’Africa.
La tradizione della corte imperiale della reggia delle Blacherne si trasferisce a Venezia dove la sovrabbondanza di ricchezza e l’ingente flusso di oro permettono ai suoi abitanti di estendere il dominio non solo sul mare ma anche sulla terraferma.
La restaurazione dell’autorità del basileus Michele VIII Paleologo e dei suoi discendenti, fino a Manuele II e alla sua consorte, di nobile famiglia serba, ha dato al popolo la possibilità di manifestare la propria devozione alla Vergine e alla gloria di suo Figlio. Nuove e preziose offerte votive hanno sostituito gli antichi oggetti del culto, portati via dai crociati.
L’insediamento monastico del Pantokrator ha avuto particolare sostegno negli ultimi anni dalla famiglia imperiale. Ora, il complesso, ingrandito con le strutture per la cura dei corpi e per l'approfondimento delle ricerche filosofiche degli uomini colti, non è più soltanto luogo di elevazione spirituale o di guarigione degli ammalati ma è diventato anche un centro fondamentale di questioni sociali per coloro che si oppongono alle pretese dominatrici degli Occidentali.
L'antica aristocrazia antiunionista vuole contrastare il radicale atteggiamento antiturco del coimperatore Giovanni VIII e desidera un’autonomia dalla dominazione commerciale delle repubbliche marinare dell’Occidente.
Arconti, alti prelati, igumeni, uomini di pensiero e maestri delle arti nobili, decidono di diffondere nuovi sentimenti di accondiscendenza alle pretese del sultano e di fomentare il malcontento tra le masse popolane per l’ospitalità concessa al giovane principe Mustafà che vuole sostituirsi al fratello, legittimo imperatore di Adrianopoli.
I propagatori delle nuove idee, ben prezzolati e motivati con promesse di ulteriori ricompense, vengono fatti girare per i mercati e per tutti i locali pubblici di ritrovo e di divertimento. Si fa sussurrare che è meglio il governo di un sultano che vince e lascia vivere nel decoro coloro che si sottomettono alla sua legge.
I mercanti stranieri che entrano in città e girano per le piazze dicono di essere trattati bene dai nuovi padroni che agevolano con ordinanze e capitolazioni, affisse nei luoghi pubbici, le attività necessarie al movimento delle merci e alla diffusione del benessere. Il popolo del sultano della Rumelia e dei Balcani plaude alle nuove leggi per il rifornimento dei generi necessari alla vita quotidiana e per l’apertura dei negozi. Con il nuovo ordine ottomano la vita continua, dopo le scorribande dei guerrieri vincitori, desiderosi di bottino e di ruberie nelle case. Si riprende a lavorare nei campi con i nuovi signori che si avvalgono dei servigi dei vecchi sudditi del basileus per la gestione delle fattorie.
L’erario del sultano necessita di ingenti introiti per mezzo di una tassazione, rispondente ai bisogni dell’Aministrazione ottomana. Il Grande Emiro di Adrianopoli lascia gestire i suoi territori conquistati a coloro che si sottomettono e sanno amministrare le case e gli opifici a beneficio della sua corte. I vecchi padroni diventano fattori e consulenti dei pascià del sultano. La sua espansione continua e deve essere alimentata da risorse continue per mantenere i guerrieri pronti alle opere di conquista e di sottomissione.
Il sultano ha bisogno di un uomo fidato nel grande emporio di Costantinopoli e questo è Mehemet, kadì fedele e intelligente che sa districarsi nel mercato degli interessi tra Occidente e Oriente.
Il giudice ottomano è amico degli uomini più influenti della città che orientano a proprio favore le dispute cortigiane o che decidono il movimento dei flussi commerciali e finanziari nei consigli delle grandi imprese della città. Mercanti, banchieri, arconti che gestiscono i monopoli imperiali, fanno a gara per invitarlo ai loro banchetti. Anche la basilissa consiglia il figlio Giovanni di riservare nei banchetti della reggia un posto al suo tavolo per il governatore della colonia ottomana.
Il Pantokrator, centro di interesse spirituale, sanitario e sociale, diventa luogo prescelto dove si manifesta la magnanimità del kadì e di tutti i ricchi mercanti del quartiere musulmano.
La scuola di medicina e i laboratori di farmacia e di erboristeria sono frequentati non solo da uomini e donne di lingua greca ma anche da altri residenti ricchi che possono pagare il soggiorno, le attività di studio e di pratica per apprendere l’arte della cura e del sollievo dei corpi.
L’ospedale è gestito dai monaci e dalle monache che si avvalgono dell’aiuto e dell’esperienza di medici e infermieri che hanno imparato a curare le malattie, secondo le antiche tradizioni della cultura greco-romana e delle varie scuole arabe di Bagdad e dell’Egitto.
L’insediamento costituisce una struttura articolata in vari settori della medicina per accogliere tutti gli abitanti della città affetti da malattie o bisognosi di cure particolari. I costi vengono sostenuti dalla generosità dei mercanti e dei banchieri più sensibili alle esigenze della propria gente.
La disponibilità dei religiosi, di accogliere esponenti di culture appartenenti alle varie nazionalità presenti nei quartieri, è motivo di continue elargizioni spontanee da parte dei turchi ottomani che si sentono accolti e ben voluti da uomini e donne che vivono nell’amore, secondo il nuovo comandamento del Figlio della Vergine.
I seguaci del Profeta che bussano al monastero sanno di trovarsi tra veri amici che non tengono conto dell’azione del sultano che incita i suoi guerrieri alla conquista della città del basileus. Tutti i residenti della città soffrono per le restrizioni imposte dal Prefetto per lo stato d’assedio e il responsabile è il Grande Emiro di Adrianopoli che vuole punire i Paleologi.
L’igumene Basilio, dotto monaco responsabile della disciplina dei religiosi, scelto dal basileus, con l’approvazione del Patriarca, si avvale dei suoi confratelli più esperti per la conduzione dell’ospedale e dei laboratori, provvedendo al reperimento dei fondi necessari per il mantenimento e la vita di tutto il complesso monastico, compreso il cenobio delle monache che svolgono la loro opera di carità per le donne ricoverate nel luogo di cura.
L’eminente monaco, affiancato dal suo tesoriere Demetrio, attende l’arrivo di Mehemet che ha l’abitudine di recarsi all’ospedale, dopo la preghiera nella moschea del suo quartiere. Il musulmano sente l’esigenza di ottemperare alla Parola rivelata del Corano, facendosi accompagnare al Pantokrator per visitare i suoi connazionali ammalati e per informarsi sulle opere di manutenzione delle strutture sanitarie, per le quali offre sempre con generosità il suo contributo.
“Sono veramente lieto – dice l’igumene appena scorge il kadì – di rivederti e ringraziarti per la tua generosità. Il monaco Demetrio ha ricevuto questa mattina il tuo segretario Mustafà che gli ha consegnato un cofanetto pieno di ducati d’oro della Repubblica di San Marco. Il padiglione della scuola dei giovani medici e infermieri ha bisogno di un tetto nuovo. Il tuo dono giunge proprio nel momento giusto”.
“Il tuo monastero - risponde Mehemet – è argomento di dibattito nei simposi dei dotti e nei ricevimenti dei principi ottomani. Anche il sultano è informato di quello che accade in questo monastero.
L’accoglienza dei malati e dei bisognosi, le cure e l’ospitalità, offerte a maschi e femmine, secondo le loro necessità, da monaci e monache che non tengono conto della fede dei loro assistiti, sono fatti di saggezza e di buon senso per i savi e gli studiosi dei Sacri Libri.
Le argomentazioni e le stesse parole dei commensali dei convivi o degli esperti delle regole giuste, sul comportamento da tenersi nelle relazioni tra coloro che osservano religioni diverse, non mi hanno mai convinto.
Io seguo l’esempio del Profeta Muhammad e mi attengo alla parola rivelata del Libro: Così rivela a te e a coloro che ti precedettero Iddio, il Possente, il Saggio. Eseguite la preghiera, corrispondete l'obolo e curvatevi insieme con quelli che si curvano. Perchè raccomandare agli altri la pietà, dimendicandovi di farne obbligo a voi stessi? Proprio voi che recitate la Scrittura? Pio è chi crede in Dio; che offre il suo denaro, per quanto lo ami, ai parenti, agli orfani, ai poveri, al viaggiatore, ai mendicanti. A ognuno di voi noi abbiamo dato norma e una via. Coloro che spendono le loro ricchezze per la causa di Dio sono come un granello che produce sette spighe ognuna con cento granelli...Coloro che daranno in elemosina, per l'amor di Dio, quelli sì che riavranno il doppio ".
“ Noi siamo monaci – afferma Basilio – e seguiamo la mitezza e la misericordia del nostro Maestro”.
“Ognuno ha la sua direzione verso cui si rivolge – dice il kadì – ed io amo recitare la parola del Corano: … I maggiori simpatizzanti verso i credenti li troverai in coloro che dicono “ noi siamo cristiani ”. Ciò perchè fra essi vi sono preti e monaci, e perchè essi non sono superbi ”.
“Io sono un ieromonaco – dice l’igumene – e i religiosi dotti di questo monastero hanno comunicato al basileus e al Patriarca il mio nome per amministrare questo complesso ed essere il loro priore, in sostituzione del defunto monaco Teodoro che per tanti hanni ha sostenuto il peso e la responsabilità di provvedere al mantenimento di questo sacro insediamento.
Un tempo gli arconti della Tracia manifestavano la loro devozione al Pantokrator e si sottomettevano alla famiglia imperiale con doni in oggetti d’oro per ornare le pareti della chiesa. Una parte delle loro ricchezze veniva versata nelle casse del monastero per il mantenimento dell’ospedale e per il sostentamento delle centinaia di religiosi che si dedicavano alle opere di pietà e di misericordia, per la salute delle anime e dei corpi di tutti quelli che bussavano alla porta di questo comlesso.
Le conquiste del sultano hanno interrotto il principale sostentamento di questo centro perché dall’esterno non giungono più i versamenti in denaro degli arconti proprietari di terre e amministratori di città per conto dell’imperatore. Le guerre civili e gli assedi si abbattono come catastrofi non solo sul popolo, che trae sostentamento dall’attività commerciale e artigianale, ma soprattutto sui luoghi dove vivono i religiosi che si dedicano alla preghiera e alle attività di aiuto e assistenza dei più poveri”.
“Il tuo monastero – sostiene Mehemet – è sempre frequentato dai principi dei Paleologi e dagli aristocratici più influenti del senato imperiale. La mia presenza è testimonianza di attaccamento a un’istituzione benefica per tutti gli abitanti della città.
I residenti turchi, pur vivendo in autonomia sotto la mia giurisdizione, voluta dal sultano, sono onorati di essere ospitati e curati dai monaci cristiani che per loro hanno un particolare atteggiamento di benevolenza e di affetto proprio perché appartengono ad un’altra nazionalità e ad un’altra fede”.
“È vero - risponde Basilio – spesso qui convengono gli esponenti moderati dell’aristocrazia per uno scambio di opinioni, rispondente ai loro bisogni di vivere in pace, cercare una via per uscire dall’attuale stato di assedio e di blocco di tutte le attività commerciali.
L’attuale crisi non permette il sostentamento dei popolani e degli artigiani, costretti a bussare alle porte dei ricchi per un lavoro giornaliero, alle dipendenze dei loro servi, e sostenere le incombenze più umili delle loro case. La devozione all’icona dell’imperatore non è più sentita dalla gente dei quartieri poveri. I piccoli oboli non vengono più versati alle chiese per le spese dei ceri e per la pulizia dei pavimenti.
Non è possibile lasciare che le cose si evolvano spontaneamente ed occorre porre rimedio a un situazione insostenibile. In questa città ci sono coloro che prosperano con il commercio mentre altri non riescono nemmeno a prendere gli spiccioli che possono cadere dai banchi dei ricchi mercanti, uomini abituati a maneggiare senza scrupoli immense fortune in monete d’oro e d’argento.
La ricchezza della città è nelle mani dei mercanti stranieri che fanno a gara per ottenere esenzioni e privilegi. I banchieri veneziani hanno ottenuto il controllo sul monopolio della coniazione imperiale delle monete d’oro e d’argento. Il commercio delle materie pregiate e delle manifatture lussuose è nelle loro mani. Le loro navi trasportano solo merci pregiate che consentono ai mercanti della Serenissima Repubblica di riempire sacchi di ducati e iperperi, ottenendo crediti in cambiali da spendere in Occidente o nei mercati di Tabriz e di Trebisonda.
I nostri mercanti riescono a sopravvivere con le mediazioni o con il commercio al minuto che rende soltanto agli uomini più intraprendenti, capaci di districarsi tra le consorterie e le associazioni di maestri d'arte e di impresari stranieri”.
“Ci sono tanti arconti – sostiene il kadì – in grado di tener testa alle astuzie e alle intraprendenze dei mercanti e banchieri veneziani. Alcuni sono diventati amici delle signorie italiane, ottenendo titolo alla loro cittadinanza per commerciare sotto le loro bandiere. Le famiglie della vecchia aristocrazia, private dei loro possedimenti terrieri, hanno mantenuto in città le loro rendite di immobili e si fanno pagare ingenti somme dai mercanti turchi per l’affitto dei magazzini che si affacciano sul Corno d’Oro. I redditi cospicui permettono ai possessori di questi immobili di investire il loro denaro in altre attività commerciali.
Il sultano è sempre generoso con i sudditi del basileus che impegnano le loro fortune nei noli o nelle costruzioni delle imbarcazioni. Il piccolo commercio della Propontide e lungo le sponde del Mar Pontico non interesa ai capitani veneziani, comandanti di ciurme e balestrieri sulle grandi galee di mercato. I generi di prima necessità per il popolo e i materiali per le costruzioni delle case urbane sono sono ancora sotto il controllo di Romei che hanno imparato l’idioma dei mercanti turchi con i quali fanno buoni affari.
Da quando gli Ottomani sono venuti in aiuto di Giovanni VI Cantacuzeno, acclamato basileus dalle sue milizie della Tracia, i principi turchi sono diventati ospiti graditi della corte di Paleologi e visitatori acclamati dal popolo. I generali e i pascià di Adrianopoli inviano in città i loro sottoposti per l’acquisto delle pregiate manifatture degli artigiani. Grandi somme vengono elargite agli orefici e agli argentieri per l’acquisto di gioielli e di oggetti pregiati, per ornare le braccia e le chiome delle loro donne. Le monete dei guerrieri ottomani si riversano in mille rivoli tra i quartieri della città.
I popolani e i mercanti di lingua greca traggono beneficio dalla presenza ottomana e sono consapevoli che gli Occidentali mirano soltanto ad ottenere forti percentuali di guadagno dalle imprese per arricchire le loro signorie o trasferire i proventi su altri mercati dell’Oriente.
La città è assediata militarmente dal’esercito del sultano ma i piccoli commercianti riescono con le loro amicizie e con la conoscenza del territorio a stipulare buoni contratti che permettono sia alle loro famiglie un decoroso benessere sia di far ricadere parte dei loro guadagni sugli uomini addetti al trasporto e all’immagazzinnaggio dei prodotti.
 residenti turchi sono cittadini affidabili che vogliono convivere in armonia con i loro amici del luogo. Io amministro la giustizia nel mio quartiere, per conto del sultano e per concessione del basileus. Le controversie con i Romèi sono sempre composte con soddisfazione e consenso dei presenti”.
“Il ricco Oikantropos - afferma il religioso - viene spesso in questo monastero, accompagnato dai suoi amici, per chiedere consiglio ai monaci più dotti e per le decisioni più importanti, lontano dai cortigiani di Giovanni VIII.
Il coimperatore vuole liberarsi dalle prepotenze delle milizie ottomane che hanno sottomesso tutte le popolazioni dei Balcani. Il suo scopo è quello di liberare i territori della Tracia dalle scorribande dei pascià del sultano e ripristinare il commercio in tutti i territori che si affacciano sul Mare della Propontide.
L’agire di Giovanni è considerato troppo radicale dagli aristocratici del partito di Oikantropos perchè le sue scelte non consentono di ripristinare la pace tra Murad II e il basileus.
Anch’io ritengo che sia indispensabile trovare una via pacifica per risolvere la vertenza tra il sultano e il figlio di Manuele II. I monaci di questo complesso sono tutti concordi con gli arconti moderati e vogliono favorire una riconciliazione, aprendo un dialogo tra i mercanti ottomani e gli aristocratici, responsabili del benessere della città, per mitigare il risentimento del Grande Emiro. La sua vendetta, per l’ospitalità data dai Paleologi al fratello Mustafà, si è tramutata in un danno per tutto il popolo”.
“Il sultano - sostiene il kadì – è sempre minacciato da nuovi pretendenti, prima lo zio Mustafà, adesso, anche il fratello più giovane trama alle sue spalle e fomenta la rivolta tra le tribù turche.
La ribellione è appoggiata apertamente da Giovanni Paleologo e dagli aristocratici della sua amministrazione. La sua avversione non è soltanto limitata alle mire espansionistiche di Murad II ma provoca la corte ottomana e gli alti prelati locali perchè riceve messi religiosi del papa. Martino V intende estendere la sua autorità di Primo Patriarca con la proclamazione di nuove crociate contro i Turchi.
La coalizione delle signorie occidentali e la discesa in campo di un esercito contro l’espansione ottomana nei Balcani preoccupa il sultano che non è riuscito ancora a far accettare la sua supremazia sugli emirati turchi e sulle eminenti famiglie dei Serbi e dei Bulgari.
Il coimperatore intende emulare il suo genitore e prepara un viaggio in Occidente per sensibilizzare i regnanti ad eliminare la presenza turca nelle terre danubiane. Tedeschi e Ungheresi, influenzati dal Vescovo di Roma e dai suoi alti prelati, preparano una grande offensiva per eliminare la presenza turca dai territori conquistati.
Giovanni VIII promette titoli imperiali ai principi italiani per riavere la Tracia e liberare Costantinopoli dall’assedio. Il condottiero delle Blacherne sostiene di essere ancora forte e di ottenere l’appoggio incondizionato dei suoi fratelli che dispongono di ampi possedimenti nel Peloponneso. La Morea è ben salda sotto la sua famiglia e gli arconti locali sono in grado di finanziare un esercito in grado di contrastare le milizie dei pascià turchi che devastano la Macedonia e la Tracia.
I mercanti veneziani finanziano i suoi mercenari e mantengono la sua corte per continuare a godere dei loro privilegi. Il potere incontrastato sui mari delle loro navi li rende miopi perchè non si rendono conto che le vie terrestri sono presidiate dagli Ottomani e le rotte marine sono sorvegliate notte e giorno dalle imbarcazioni dei pirati e dei corsari turchi.
Ogni carovana è ispezionata e costretta a pagare un dazio per il transito. Ogni imbarcazione è oggetto di arrembaggio se non è in grado di difendersi in modo autonomo con uomini armati e pronti al combattimento. I capitani saraceni hanno spie in tutti i porti del Ponto e della Propontide. Ogni carico di merce pregiata, in partenza dagli scali marittimi controllati dagli amici del basileus, viene riferito all’autorità turca più vicina che provvede ad inviare una nave corsara, per intercettare l'imbarcazione e imprigionare i naviganti che saranno venduti al mercato degli schiavi.
Le coste della Bitinia e lo stretto del Bosforo pullulano di piccole e veloci imbarcazioni, comandate da uomini assoggettati al dominio turco e pronti a morire per avere un titolo onorifico dell’Amministrazione di Adrianopoli.
Gli esperti marinai delle città costiere dell’Asia minore, diventati tributari del governo ottomano, hanno coperto il loro capo con vistosi turbanti. Si tratta di sudditi devoti che si sono improvvisati capitani audaci, pronti a sacrificare le ciurme di schiavi e rematori, comprati al mercato, pur di dimostrare la loro bravura nell’arte del comando e nell’acquisizione dei ricchi bottini, strappati ai vascelli dell’Occidente.
Anche loro hanno imparato a chinare il capo verso la città del Profeta, diventando credenti che osservano la parola rivelata del Corano. Il sultano sa premiare tutti coloro che collaborano nei territori conquistati all’applicazione della sua legge, contribuendo e facilitando il compito degli amministratori ottomani. I religiosi delle altre fedi sono liberi di continuare la loro attività, riconoscendo le nuove autorità e versando le tasse alle loro amministrazioni.
Il bailo veneziano fa sapere che la Repubblica di San Marco rispetta i patti stipulati con il defunto sultano Mehemet I e non si schiera apertamente contro Murad II. Le sue parole non lasciano adito a discussioni ma i banchieri residenti della sua colonia sostengono di essere autonomi e di finanziare ogni emiro che promette nuovi privilegi.
Il denaro dei mercanti sostiene le pretese dei capi tribù turchi nei confronti della corte di Adrianopoli. Il ribelle Mustafà è sicuro degli investimenti, promessi dagli uomini dei banchi, per l’acquisto di equipaggiamenti necessari ai suoi combattenti. La sua tracotanza è condivisa da altri turchi padroni di terre e di antiche fortezze. I loro possedimenti sono merce di scambio per i sacchi di ducati d’oro e d’argento necessari per arruolare uomini ed armarli. Le strade carovaniere dell’Anatolia sono percorse da manipoli di armati comandati da guerrieri che si schierano per i due contendenti ottomani. Gli stretti che dal Mar Pontico portano al Mar Egeo sono attraversati da imbarcazioni carichi di milizie pronte al combattimento.
Il Grande Emiro, per colpire alle spalle il Paleologo, invia i suoi pascià ad attaccare le città della Macedonia e i suoi corsari a depredare le città e ad attaccare i castelli lungo le coste della Morea, presidiate dalle milizie del despota Todoro II, figlio del basileus. Il suo scopo è quello di evitare la formazione di un esercito diretto a difendere il Nord del Peloponneso e sconfinare nei possedimenti dei baroni latini, sostenuti dall’Amministrazione di Adrianopli contro le mire espansionistiche di Giovanni VIII e dei suoi fratelli. Corsari e pirati turchi collaborano per attaccare anche le fortezze e gli approdi veneziani lungo i litorali della Dalmazia e le coste del Mar Egeo”.
“I senatori della Serenissima Repubblica – dichiara il monaco – non tollereranno gli attacchi alle loro strutture portuali fortificate lungo le rotte commerciali del Mediterraneo”.
“Il mio signore – dice Mehemet - è deciso a sferrare una grande offensiva per eliminare tute le strutture difensive dei sostenitori dell’Impero romano d’Oriente ed isolare la città di Costantino. È giunto il momento di riconoscere la supremazia del sultano dei Romèi su tutti i territori conquistati ed aprire le porte della città del basileus, per rendere il giusto tributo d’omagggio al Grande Emiro, comandante di invincibili guerrieri ottomani.
L’esercito più potente non conosce sconfitta e i raggruppamenti di mercenari latini, capeggiati dai loro principi tedeschi e polacchi non riusciranno a sconfiggere gli Ottomani.
Anche la Repubblica di San Marco capirà che è più conveniente la neutralità nel momento di in cui la spada ottomana decide del destino di tutti i popoli che hanno riconosciuto la potestà imperiale dei Paleologi.
Il vessillo della famiglia dei Paleologi prima o poi cadrà e sarà innalzato l’emblema del condottiero degli Ottomani in grado di rifondare un nuovo impero. Gli aristocratici di lingua greca sono stanchi di servire un basileus che non è in grado di condurre un esercito a sicura vittoria ma intento a proteggersi, ricorrendo all’oro di Venezia e alle armi di altri sovrani dell’Occidente, desiderosi di conferme regali o aspiranti a nuove supremazie territoriali.
Il sultano è in grado di valorizzare questa città, ponendola al centro di un grande dominio turco che unisce tutti i popoli del Mediterraneo. L’imperium romano finirà e una nuova capitale risorgerà dalle sue ceneri, centro di traffici e sede di un’unica giustizia, uguale per tutte le nazioni che si sottomettono”.
Francesco Liparulo - Venezia