giovedì 31 dicembre 2009

L'alleato del PdL vuole convincere i cittadini

IL POLITICO DELLA LEGA DI BOSSI
SI APPELLA A JACQUES ROUSSEAU
Luca Zaia, laureato in “Scienze della Produzione animale” alla
Facoltà di Medicina Veterinaria dell’Università degli Studi di Udine, nominato nel 2005 vice presidente della Regione del Veneto, ministro dall’8 maggio 2008 delle Politiche agricole alimentari e forestali del governo, è stato scelto quale candidato PdL – Lega alla presidenza del Veneto per la successione dell’attuale governatore Giancarlo Galan.
In una recente intervista ha affermato: “Ricordo l’esperienza al fianco di Galan come una delle più belle della mia storia politica … Ripartirò da lì per cercare di fare ancora meglio ... Noi siamo dei manager. Il problema è l’obiettivo: il manager ragiona per obiettivi da raggiungere … A livello Veneto, penso che dobbiamo trovare l’aggregazione su un programma, sul quale cercherò di fare squadra, di fare famiglia, per realizzarlo. È il cittadino destinatario del nostro lavoro… Il Contratto Sociale di Rousseau dice che il popolo delega le istituzioni a esercitare alcune competenze”.
L’onorevole è “convinto che la Lega in questo momento sia l’unico partito che rappresenta il Contratto Sociale. Rousseau dice che il popolo delega lo Stato a gestire alcune funzioni, quindi i politici”.
“Noi sappiamo – sostiene Zaia - come scrive… addirittura Jean Rousseau, che chi governa deve interpretare la volontà generale”.
L’uomo comune che legge i quotidiani italiani si chiede: “Chi è Jean-Jacques Rousseau? Cos’è il Contratto Sociale? Quali politici nel passato si sono ispirati al suo pensiero? Di chi è la Volontà Generale e dove ci portano i politici che vogliono imporla alla società civile?”.
Lo svizzero Jean-Jacques Rousseau con l’opera il “Contratto Sociale”, scritto nel 1762, manifesta il suo pensiero antidemocratico. Attraverso un patto o contratto, ciascun cittadino, in perfetta indipendenza dagli altri e dalla città, attribuisce la sua volontà al sovrano, cioè alla “volontà generale”.
L’idea del contratto sociale non è reale ma è un canone astratto di ragionamento. Si forma una struttura di pensiero che attua il mito di volontà generale. Rousseau ha l’idea di uno “stato di natura” originario dell’umanità, cioè un’antropologia ottimista. Gli uomini per il moralista svizzero hanno una socievolezza originaria deformata dalla creazione delle istituzioni sociali che impoveriscono l’umanità e creano una diseguaglianza tra gli individui.
La volontà generale per Rousseau è il popolo, cioè un essere collettivo.
Il politico della Lega Nord nell’estate 2009 ha affermato: “Per citare il contratto sociale di Rousseau intendiamo rispettare il mandato che il popolo ci ha conferito e che è riportato sul programma”.
La forma di governo migliore per il pensatore illuminista del Settecento è quella democratica e nello stesso tempo ritiene che una forma così perfetta non conviene agli uomini, cioè non pensa a una democrazia rappresentativa per i cittadini. La sua volontà generale non può essere rappresentativa perché è solo un'autorità lontana dal popolo. Il contratto sociale dà al corpo politico il potere assoluto.
Il popolo nell’unità di volontà generale rappresenta se stesso. La sua autorità è un potere forte e non ha bisogno di essere controllato dal basso. Il cittadino è indipendente dagli altri e dipende dalla città, cioè tra cittadino e Stato non c'è alcuna società. Il cittadino costretto a fare quello che vuole la volontà generale in quanto non c’è possibilità di dissenso. Quest’idea che non vi sia alcuna società parziale tra cittadini e volontà generale genera nel 1794 la Rivoluzione francese.
Il terrore rivoluzionario è conseguenza dell’astrazione, cioè della sovrapposizione della ragione alla realtà. Dietro la volontà di abuso dell’astrattismo c’è la volontà di potenza degli “illuminati”. Coloro che non si piegano alla progettualità astratta della volontà generale sono piegati con la forza.
Di fronte ai problemi dell’aristocrazia invecchiata, ai privilegi di alcuni uomini del clero, gli intellettuali illuministi francesi, che rappresentano la volontà generale, evocano forze irrazionali per civilizzare la società. Si scatena il caos dei giacobini che pretendono di usare le parole di Jean-Jacques Rousseau e di plasmare la società per organizzarla.
Dopo Rivoluzione la libertà dei moderni diventa sfera privata, cioè sfera della libertà individuale.
Pierre-Joseph Proudhon, teorico francese del socialismo e lettore di Rousseau, nel 1840 con la sua opera “Che cos’è la proprietà”, sostiene che il dispotismo e i privilegi scompariranno con l’abolizione della proprietà. Il suo desiderio è quello di realizzare una democrazia federalista, cioè un patto, un contratto tra le persone responsabili che si danno delle regole, come una nuova religione dell’umanità.
Proudhon dice : “Federazione è pluralità, autogoverno, è diritto, è diritto determinato dal libero contratto; la legge, il diritto, la giustizia sono statuto e fondamento del movimento federalista.
I promotori del movimento abusano, eccedono nella loro razionalità che è pura astrazione, cioè sovrapposizione alla realtà con promesse irrealizzabili. Non si tratta più di prescindere dalla religione, come affermavano gli illuministi, ma di sostituirsi alla religione cristiana. Si prende di petto la religione cattolica e si propone di ripensare un nuovo cristianesimo come vincolo sociale a vantaggio di tutti i seguaci. La società viene divinizzata, quello che conta è la società e la persona non conta più nulla. Si tratta di trasformare la società in una forma di collettivismo.
In Italia i seguaci di Proudhon presentano il federalismo come rivolta libertaria contro l'autoritarismo. Si tratta di democraticismo.
La democrazia auspicata dal “Popolo della Libertà”, i cui fondatori sono Silvio Berlusconi e Gianfranco Fini, è quella indicata dal pensiero di don Luigi Sturzo che prevede un “sistema politico e sociale che comprende l’intero popolo, organizzato su una base di libertà per il bene comune”.
L'uomo di fede pensava a una democrazia non individualista, cioè intendeva ripristinare nella vita civile quel giusto rapporto tra “Religione e Politica”, interrotto dall’antireligiosità degli illuministi del Settecento e dagli atteggiamenti a-religiosi degli uomini della Rivoluzione francese, per il radicamento in Europa delle idee assolutistiche e totalitaristiche di Rousseau.
Le attuali democrazie devono fare i conti con le sfide del mondo globalizzato.
Si auspica un diverso rapporto tra individui e società civile, un diverso modo di concepire la dignità della persona e la dignità del suo lavoro, cioè si chiede una maggiore cittadinanza attraverso una maggiore attenzione alla persona e ai suoi bisogni di esistenza.
Si tratta di costruire una civiltà in cui possa attuarsi quello che importa di più all’essere umano, cioè la realizzazione della dignità della persona umana. Il Popolo della Libertà si è impegnato per questo ideale di società civile fondata sul rispetto dell’uomo esistenziale e concreto, dei suoi diritti, sulla fede nel progresso interno della vita e della storia del popolo italiano, sulla forza della libertà.

venerdì 11 dicembre 2009

Valori condivisi per Fini, Casini e Pisanu

AL LAVORATORE IMMIGRATO

SPETTA ANCHE UNA VITA BUONA

Gianfranco Fini, Pierferdinando Casini e Giuseppe Pisanu
partecipano, il 7 dicembre 2009 a Capodarco di Roma nella Comunità per disabili di via Lungro, 3, alla tavola rotonda su Accoglienza, Integrazione e Diritti di Cittadinanza.
L’incontro è coordinato da mons. Vinicio Albanesi, presidente del Coordinamento Nazionale delle Comunità di Accoglienza.
L’intera materia dell’immigrazione è regolata dalla legge n.40 del 6 marzo 1998. Il decreto legislativo 286/1998, emanato in ottemperanza all’art.47 comma 1 della medesima legge, contiene il “Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e le norme sulla condizione dello straniero.
I tre deputati sono d’accordo nell’auspicio che le forze politiche nel Parlamento italiano discutano la proposta di legge Granata-Sarubbi su immigrati e cittadinanza.
Gli onorevoli Andrea Sarubbi e Fabio Granata propongono di dare la cittadinanza a chi nasce in Italia da genitori stranieri, di cui uno legalmente soggiornante da cinque anni senza interruzioni e residente al momento della presentazione della domanda, a chi è arrivato in Italia con un’età fino a 5 anni e abbia la residenza continuativa fino alla maggiore età. Si considerano anche i minori stranieri che completano un corso di studi in Italia. Si prevede di sanare anche la posizione degli immigrati che, avendo i requisiti richiesti, sono già maggiorenni.
Sono due milioni i lavoratori stranieri in Italia e un milione è iscritto ai sindacati. Circa il 50% sono donne che operano per le famiglie italiane.
Pierferdinando Casini, leader e capogruppo alla Camera dell’Unione di Centro, afferma: “Dobbiamo incominciare a ragionare per unire, perché ho paura di una politica che esaspera le paure e instilla veleni. Compito della Politica è di guidare il Paese, senza sollecitare le paure di fronte all’immigrazione”.
Si tratta di ragionare sui “problemi umani complessi” e affrontarli utilizzando il metodo della “concertazione” che per il card. Dionigi Tettamanzi significa “mettersi insieme” e non combattersi l’uno contro l’altro”.
La cittadinanza per il politico dell' UDC è maturazione comune, è valore, senso di appartenenza morale. Il tema della cittadinanza non è eludibile e riguarda il 6,5% della popolazione italiana. I conti previdenziali salterebbero senza gli immigrati e le fabbriche si fermerebbero senza di loro.
Giuseppe Pisanu, senatore del Popolo della Libertà, afferma: “Sono largamente d’accordo con le cose dette da Casini. Mi unisco alla deplorazione dell’attacco rozzo e volgare reiterato questa mattina al cardinale Tettamanzi. La Chiesa lo obbliga ad esercitare la missione tra gli uomini e dare un suo giudizio morale anche su questioni che investono i valori e i diritti fondamentali della persona umana”.
Il senatore sostiene che i problemi dell’immigrazione e integrazione sono interpretati in termini di sicurezza. Questi temi dovrebbero essere considerati affari sociali ed affidati al Ministero degli Affari Esteri e al Ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche Sociali.
Per Pisanu il futuro ci dice che nei prossimi 30 anni per mantenere l’attuale tasso di attività della popolazione in età di lavoro e di sviluppo economico dobbiamo ricevere dai 200 ai 300 mila lavoratori l’anno.
Per l’Italia come per l’Europa, il livello di benessere dipenderà dalla capacità di attrarre i lavoratori stranieri. Il problema è inserire gli immigrati nel tessuto produttivo e farli partecipare alla vita sociale senza pretendere con ciò che essi rinuncino alla loro identità culturale e religione. Occorre che essi rispettino la nostra identità e gli ordinamenti.
Per Fini il concetto di integrazione, cioè di piena cittadinanza è relativo allo straniero presente sul territorio. Ma attenzione a non dare una accezione limitativa. Riguarda non solo gli stranieri ma anche tanti italiani. Quando l’immigrato giunge in Italia, entra a far parte della nostra realtà. L’immigrazione nell’immediato è parametro su cui definire i nostri obiettivi generali di sviluppo economico, sicurezza e coesione sociale.
“La cittadinanza – sostiene il leader del PdL - non può essere più concessa come semplice adempimento burocratico amministrativo, bensì al termine di un percorso più partecipato di adesione ai valori di fondo della società italiana”.
Per il Presidente della Camera, alla parola “integrazione” si oppone l’emarginazione che è non pienezza della cittadinanza e finisce per accomunare in un unico destino tutti coloro che vengono giudicati più per quello che hanno che per quello che sono.
La politica deve essere consapevole che la questione della cittadinanza riguarda non solo gli stranieri ma anche tanti italiani meno fortunati degli altri, cioè interessa l’essere umano in quanto tale.
L’Italia è diventata una società plurale dove convivono molteplici concezioni di vita in continuo aumento per via del mescolamento di civiltà e culture.
Ugo Sartorio, Direttore editoriale della rivista mensile “Messaggero di sant’Antonio”, nella sua prefazione al volume “LA VITA BUONA” di Angelo Scola e Aldo Cazzullo, afferma: “Il cardinale Angelo Scola, quando parla di forme sostanziali di vita buona, solleva al contempo la questione del buon governo, nel tentativo di promuovere una convivenza partecipata da tutti con autentico protagonismo dei soggetti”.
Si tratta di “una nuova laicità”, cioè di un metodo per una vita buona per tutti.
“Noi Occidentali - sostiene Scola nel libro sopracitato – non possiamo continuare a pensare che la nostra visione della società civile e delle istituzioni statuali, la nostra idea di razionalità, valgano anche per le altre aree culturali. Asia, Africa, America Latina, hanno altri parametri”.
Le autorità costituite devono essere “garanti di una pluriforme società civile”.
Le organizzazioni sindacali dei lavoratori sono chiamate a farsi carico – secondo la lettera enciclica Caritas in Veritate - dei nuovi problemi della società, cioè volgere lo sguardo anche verso i lavoratori dei Paesi in via di sviluppo.
Gli Italiani per il Patriarca non devono farsi “scrupolo di chiedere a un musulmano che viene in Italia di rispettare la Costituzione”. Si devono costruire “nuove forme di relazione e riconoscimento” tra tutte le persone della comunità civile.

domenica 6 dicembre 2009

Gli Italiani votano con liste elettorali bloccate

LA DEMOCRAZIA DELLE NORME
ANNULLA LA LIBERTÀ POPOLARE
Lo Stato per Hans Kelsen, giurista tedesco nato nel 1881 a Praga, naturalizzato americano e morto nel 1973 a Berkeley, è lo Stato normativo, Stato del diritto come insieme di norme. Nella democrazia si dice: “Lo Stato siamo noi”, cioè è la totalità politica che forma la società civile e lo Stato.
Kelsen pensa che ci sia un’affinità tra democrazia e relativismo politico. I relativisti sono fortemente fautori di democrazia. Dal pensiero del giurista si evince quanto segue: “Là, dove i cittadini sono relativi di fronte alle scelte di valori e verità assolute, si sottopongono a regole di maggioranza”.
Si tratta di relativismo: la norma è norma perché c’è a monte un’altra norma che sanziona fino ad arrivare alla norma fondamentale.Per il giurista non esiste nessuna verità ferma e tutte le decisioni sono possibili a condizione che rispettino la regola della maggioranza; viene rifiutata l’idea che l’autorità politica sia limitata da principi non negoziabili.
Il giurista sostiene la democrazia esclusivamente procedurale, intesa da tutti come un insieme di regole che stabiliscono chi è autorizzato a prendere le decisioni collettive e con quali procedure. Questa concezione lascia impliciti i presupposti della democrazia, come governo dal basso e suffragio universale, lascia impliciti i valori e i fini ma lascia imprecisati i contenuti. Una democrazia procedurale sarebbe aperta a ogni contenuto e comporta la neutralizzazione pubblica dei valori.
C’è identità tra democrazia e metodo democratico. La democrazia procedurale entra in crisi quando nella società circolano tensioni che lacerano le coscienze delle persone. C’è controversia nella nostra società.
Il voto di lista e la regola della maggioranza non permettono di tener conto dei valori non negoziabili e dei bisogni reali dei lavoratori.
I cittadini non hanno più potere perché i loro rappresentanti politici vengono scelti dalle segreterie dei partiti. Le liste sono bloccate e i candidati disposti secondo un ordine non modificabile dagli elettori. Uomini e donne non fanno altro che votare il simbolo del partito senza potersi scegliere gli eletti. I prescelti non rappresentano gli interessi delle popolazioni locali. Un cittadino veneziano è costretto a votare per un politico dell’Umbria o della Toscana.
I cattolici si sentono emarginati nel Partito democratico e nel Popolo della libertà.
Nei partiti si decide secondo la regola della maggioranza.
“Il Partito Democratico – afferma la quarantatreenne cattolica Dorina Bianchi – è stato una delusione. Lo spazio per una presenza identitaria dei moderati cattolici si è ridotta al lumicino. Il Pd potrà consolarsi sul fronte laico. Un’anima moderata e cattolica ha difficoltà a stare in quel partito”.
Gli altri usciti dal partito di Bersani sono Francesco Rutelli, Linda Lanzillotta e Gianni Vernetti..
Nel Popolo della Libertà, i cattolici veneti hanno visto l’affermarsi di culture minoritarie: liberal - socialista, socialista e cristiano - sociale. Si avverte la necessità di ricostruire nel partito una presenza di ispirazione popolare, liberale, cattolica e sociale che si ispiri ai valori del popolarismo di Don Luigi Sturzo. La politica degli interessi ha dimenticato i valori del popolo veneto.
Nel Veneto il PdL non è strutturato dal basso e non è radicato sul territorio; questo denota una mancanza di democrazia. Si auspica la reintroduzione della preferenza nella scheda elettorale. Le liste elettorali fatte a Roma non permettono di risolvere i problemi del territorio. Nelle riunioni delle associazioni politiche si grida che il popolo non è più disponibile a votare liste e uomini calati dall’alto.
Nel 43° Rapporto sulla situazione sociale del Paese, fatto dal Centro Studi Investimenti Sociali il 4 dicembre 2009 a Roma, si evidenzia che c’è un disagio sociale fortemente territorializzato. I politici si esprimono più come opinionisti che come portatori di interessi concreti delle popolazioni locali.
Il card. Angelo Scola afferma: “È ora di rimboccarsi le maniche, i mesi che ci attendono chiedono a tutti i cittadini di gareggiare per il bene di Venezia e del Veneto. Sono in atto iniziative che partono dal basso per un buon governo. Amare Venezia e il Veneto chiede una partecipazione personale e diretta di tutti noi che incomincia dal quotidiano. Quanti sono scelti dal popolo sovrano dovranno fare squadra per il bene comune che è la vita buona per tutti senza distinzione”.
La democrazia è un sistema politico in cui il popolo ha bisogno di uomini, di testimoni che gli insegnino ad essere autenticamente popolo. Il corpo politico necessita persone che mantengano la tensione morale nella comunità civile, perché ha esigenza di ritrovare la propria identità attraverso l’azione di politici ispirati dai propri elettori e che ridestino i cittadini al senso dei loro compiti: promuovere il benessere sociale per tutti.

sabato 5 dicembre 2009

Italiani “in apnea” per la crisi

LA RIPRESA È NEL SOSTEGNO A

FAMIGLIE CON FIGLI E AI GIOVANI

Giuseppe De Rita, presidente del Centro Studi Investimenti Sociali, dà dell’Italia il 4 dicembre 2009, nel 43° Rapporto sulla situazione sociale del Paese, tenutosi a Roma, il seguente giudizio: “Siamo una società replicante che vive in apnea”.
I comportamenti degli Italiani sono sempre gli stessi e, di fronte alla crisi economica – finanziaria, emerge l’inclinazione ad adattarsi. Si reagisce con i risparmi accumulati nel tempo e a ripetere l’arte dell’arrangiarsi per non essere travolti dall’uragano.
Le famiglie vivono in ansia e aspettano la fine della recessione che si è dimostrata ancora più dannosa negli Stati Uniti e in alcuni Paesi europei.
Il problema degli Italiani nel 2007 era di non “aver fiducia nello sviluppo di popolo” perché le istituzioni, la cultura erano diventate “parole svuotate”, cioè valori che non significavano più nulla.
Da una realtà al collasso, da una società “mucillagine”, indifferente per un obiettivo comune, si era passati nel 2008 a una tenuta delle famiglie e del sistema imprenditoriale italiano.
Il sociologo De Rita aveva notato una metamorfosi di fronte alla crisi globale, grazie al ruolo degli immigrati, dei piccoli imprenditori coraggiosi e a una gestione oculata dei consumi. Il suo rapporto si concludeva con una esortazione a dare spazio alla metamorfosi con più soggetti economici, più tempo e con più slancio dinamico. Si auspicava una maggiore ricchezza di relazioni.
Il Rapporto 2009 del Censis evidenzia la richiesta di aiuti per le famiglie con figli e per i giovani. Si avverte la necessità di “comunità”, cioè bisogna fare gli interessi di tutta la società civile.
In Veneto la percezione sull’economia è preoccupante e il 44% ritiene che è indispensabile l’applicazione del principio di sussidiarietà da parte dello Stato.
Il fine delle Istituzioni politiche è quello di aiutare le persone per il loro pieno sviluppo. L’azione morale di ogni persona si realizza nella costituzione del bene comune, cioè nell’agire sociale attraverso varie forme espressive che sono la famiglia, i gruppi sociali intermedi, le associazioni, le imprese di carattere economico, le città, le regioni.
Il card. Angelo Scola, in occasione della festa della Madonna della Salute del 21 novembre, ha detto: “I mesi che ci attendono chiedono a tutti i cittadini di gareggiare per il bene di Venezia e della nostra regione. Quanti sono scelti dal popolo sovrano dovranno fare squadra per edificare la vita buona per tutti”.

giovedì 3 dicembre 2009

Il potere della leadership del PdL è trasparente

I CAPRICCI DEL RE E DELLA REGINA
DIVIDONO I FANTI E I CAVALIERI
Gianfranco Fini, leader del Popolo della Libertà, in un’intervista del 10 novembre 2009 a Sky, ha affermato che il suo partito è stato appena costruito.
“Dobbiamo farlo crescere – ha detto il leader - affrontare le questioni e in alcune circostanze verificare l’opinione prevalente democraticamente”.
Si rivendica una discussione dentro il partito per una maggiore aderenza alle istanze del popolo italiano. I problemi dell’immigrazione e quelli legati alla perdita dei posti di lavoro sembrano non aver spazio nel PdL dove, secondo i gossip dei mass media, regna il culto del "re" Berlusconi e c’è una disattenzione per i veri problemi della società civile.
Claudio Scajola, ministro dello Sviluppo, afferma: “Le dichiarazioni di Fini dimostrano una volontà e un’azione diversa dalla considerazione e dalla linea del Popolo della Libertà”.
Il presidente della Camera risponde: “Essere super partes non vuol dire rinunciare alle proprie idee e al confronto delle opinioni perché la cultura democratica si fonda sul confronto delle idee. Sarei pronto a sottoscrivere di nuovo il programma di governo”.
Fini immagina un partito costituito da contenuti valoriali e interlocutore privilegiato con il Paese. Il politico sostiene che bisogna reagire per occuparci di ciò che accade al popolo italiano in un momento di crisi finanziaria.
Bossi assicura: “La tensione tra il fondatore e il co-fondatore del PdL si scioglierà come neve al sole”.
La leadership del Popolo della Libertà è oggetto di scherno e il segretario del Pd, Pierluigi Bersani, afferma: “Mi pare che il governo e la maggioranza sono in una situazione di confusione micidiale”.
Gli atteggiamenti e le dichiarazioni di Berlusconi e di Fini, compresi gli orientamenti dei loro portavoce, sono nutrimento alla leadership del Popolo della Libertà.
Esiste un’interazione continua tra i principali componenti interni del partito e i due depositari della leadership, fin dalla sua nascita. I sostenitori dei due leader fanno parte di un processo di relazione dialettica, per cui le loro azioni influenzano in modo determinante il modo di reagire e di comportarsi dei due fondatori dentro e fuori del partito.
Si tratta di una collaborazione dinamica e viva tra tutti gli elementi del PdL, una contribuzione consensuale e valoriale che favorisce l’interazione tra i politici stessi.

martedì 17 novembre 2009

APPELLO ALLE VIRTÚ DEGLI ITALIANI

PER UNA SOCIETÀ CIVILE
FORTI NELLA LIBERTÀ
Il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, in occasione del Convegno Internazionale al Centro Congressuale “Le Ciminiere” di Catania, per le celebrazioni del 50° anniversario della morte di Don Luigi Sturzo, ha inviato il 2 ottobre 2009 ai partecipanti il seguente messaggio: “Il Convegno rappresenta una significativa occasione di riflessione sul pensiero di uno dei principali artefici dell’impegno dei cattolici nella vita politica del Paese.
La viva attualità del pensiero di Sturzo e il patrimonio di idee scaturite dalla concezione cristiana della storia, insita nella sua visione religiosa e da una esperienza di vita improntata alla strenua difesa dei principi della democrazia, sono ancora oggi, a cinquanta anni dalla scomparsa, indiscussa testimonianza di una lezione morale ed intellettuale ispirata ai valori di libertà, solidarietà e coesione sociale”.
Il neo Presidente del Parlamento Europeo, Jerzy Buzek, presente al Convegno, ha detto: “Don Sturzo ci ha insegnato che i valori religiosi sono importantissimi e ancora attuali. È nostro dovere metterli in pratica e dare seguito alla loro attualità.
L’Europa deve occuparsi dei diritti umani fondamentali: oggi è necessario prendere coscienza dei veri problemi, anche quelli che temiamo. Le vere sfide da affrontare sono quelle dell’energia e dell’ambiente: soltanto avendo fiducia nel pensiero cristiano possiamo ricostruire il tessuto sociale della nostra Europa”.
Wilfried Martens, presidente del Partito Popolare Europeo, citando Don Sturzo, ha affermato: “…I padri fondatori del PPE avevano convinzioni radicali di libertà, responsabilità e dignità dell’essere umano, considerato come soggetto e non come oggetto della storia… Con le buone idee stimoleremo le linee economiche per la sicurezza dei cittadini...Siamo pronti ad affrontare le sfide con i valori comuni del PPE … per un mercato sociale ... Siamo forti e uniti per l’Europa”.
La “rettitudine intellettuale e morale”, la “testimonianza di amore, libertà e di servizio al popolo” del prete di Caltagirone, fondatore nel 1919 del Partito Popolare Italiano, costituiscono valori fondamentali per tutti gli Italiani. Il suo appello “A tutti gli uomini liberi e forti” di combattere per difendere nella loro interezza “gli ideali di giustizia e libertà” scuote gli animi e sprona i cuori generosi per affrontare le sfide della globalizzazione e dell’immigrazione.
La comunità politica ha bisogno di testimoni che le insegnino la razionalizzazione morale della vita sociale. Si avverte la necessità di uomini che mantengano la tensione morale nei cittadini e li aiutino a ritrovare la propria identità.
Le prove del riconoscimento dei fini essenzialmente umani della vita politica e delle sue istanze più profonde sono essenziali per affrontare le “male bestie” di Sturzo che sono, ancora oggi, lo statalismo, la partitocrazia e lo sperpero del denaro pubblico.
Lo Stato, espressione e strumento del corpo politico, deve essere “veramente popolare”, riconoscere i “limiti della sua attività”, rispettare gli organismi naturali e sociali intermedi, applicare il principio di sussidiarietà, cioè aiutare economicamente, istituzionalmente e legislativamente tutte le entità sociali più piccole, iniziando dalla famiglia.
La famiglia italiana di oggi deve affrontare l’attuale crisi finanziaria, economica e valoriale. Si tratta di recuperare “le radici della crescita delle Regioni per promuovere le loro qualità produttive che fanno vincere le sfide della globalizzazione. Milioni di Italiani vivono, secondo le recenti statistiche, con la metà del reddito medio nazionale (circa 600 euro al mese) . La crescita degli indigenti evidenzia una forte disuguaglianza tra ricchi e poveri e un fenomeno di ingiustizia sociale.
La famiglia genera legami di appartenenza, dà forma sociale alle persone, trasmette valori culturali, etici, sociali, spirituali, essenziali per lo sviluppo della società civile.
“I programmi di aiuto – scrive Benedetto XVI nella lettera enciclica “Caritas in Veritate” devono essere erogati coinvolgendo … anche gli attori economici e i soggetti della società civile portatori di cultura. I programmi di aiuto devono assumere in misura sempre maggiore le caratteristiche di programmi integrati e partecipati dal basso”.
La razionalizzazione morale dell'agire politico deve fondarsi sulla giustizia, la legge e la reciproca amicizia. Si tratta di sforzarsi per applicare le strutture politiche al servizio del bene comune, della dignità della persona e del senso dell’amore fraterno.
L’attività politica deve basarsi sui bisogni più intimi della vita delle persone e dell’esigenza della pace sociale, dell’amore, delle energie morali e spirituali. Occorre agire nella comunicazione e utilizzare mezzi morali per essere liberi. La forza della società politica presuppone la giustizia perché si avvale delle energie dei cittadini in quanto energie di uomini liberi che sanno esprimersi con l’amore.
Il compito politico della società è un compito di civilizzazione e di cultura che si propone di aiutare i cittadini ad essere liberi. Questo compito è morale perché ha lo scopo di migliorare le condizioni della vita quotidiana. I mezzi devono essere proporzionati e appropriati al fine del corpo politico che è la giustizia e la libertà.
Lo slogan degli aderenti al Partito Popolare Europeo è “forte per i cittadini
”. La virtù della fortezza è il mezzo per il conseguimento dei fondamenti della vita della società. Si tratta di essere saldi e stabili nell’adesione al bene comune che deve riversarsi su tutti i cittadini, cioè sostenere e affrontare con pazienza, sofferenza e generosità le ingiustizie politiche ed economiche. L’uso della forza spirituale è regola di condotta per coloro che vogliono vivere conformemente alla dignità della persona umana.
L’attività politica non deve essere fondata sull’odio, l’avidità, la gelosia, l’egoismo, l’orgoglio e l’astuzia. La “forza dell’amore” significa amare il proprio avversario politico ed essere umani nei suoi confronti, cioè essere aderenti alla verità dell’uomo.
“Lo sviluppo, il benessere sociale, un’adeguata soluzione dei gravi problemi socio-economici che affliggono l’umanità – scrive il papa nell’opera sopracitata – hanno bisogno di questa verità”.
La politica della verità è basata sul coraggio personale e sulle energie di coloro che orientano la politica al suo vero fine, cioè aderire coscientemente con tutte le forze per l’affermazione della dignità di ogni uomo con spirito di carità. Questo modo di agire è politica di solidarietà e la comunità civile si mantiene tale se è coesa nell’amore fra tutti i cittadini.
La democrazia può vivere e svilupparsi se è ispirata dal principio essenziale della spiritualità cristiana che è la carità. I valori del popolo italiano sono cristiani e devono penetrare la cultura e promuovere il benessere della comunità civile. La politica, l’economia, la sociologia possono realizzare i loro fini attuando ciò che si deve fare oggi per il benessere di tutti.
La virtù dei forti in politica deve superare la potenza dell’egoismo e la cupidigia delle ambizioni, nell’interesse della giustizia, della libertà, della pace e dell’amicizia fraterna.
Nella lotta politica a cui è sottoposto un raggruppamento politico, l’etica cristiana chiede l’instaurazione integrale dei valori cristiani. Sul piano della vita politica e sociale, l’accostamento tra le persone deve esprimersi in attività comuni per il bene comune della città di appartenenza senza alcuna distinzione che generi ingiustizie e soprusi.
Una morale aperta, estesa ad ogni uomo, una morale del bene e del male e non solo dell’utile, del rapporto umano, della libertà solidale costituisce per i cattolici “la cornice più appropriata per incentivare la collaborazione fraterna tra credenti e non credenti”.

martedì 10 novembre 2009

Forza propulsiva per lo sviluppo della società

RELAZIONE RESPONSABILITÀ SOLIDARIETÀ
SENTIMENTI DI LIBERTÀ PER UN PARTITO
Il 9 novembre 2009, ventesimo anniversario della caduta del Muro di Berlino, è giorno di festa per tutti gli uomini e le donne che celebrano “la vittoria della libertà come bisogno insopprimibile dell’animo umano”. I leader dei Paesi dell’Unione europea esprimono la loro gioia a fianco della signora Angela Merkel, cancelliere della Germania. Berlino è la capitale della libertà.
“Dobbiamo avere coscienza – scrive in una nota ufficiale Silvio Berlusconi – che la libertà non è sinonimo di individualismo, non significa libertà di fare ciò che più ci aggrada e ciò che è possibile fare grazie ai progressi della scienza e della tecnica.
La libertà è vera libertà quando è relazione con gli altri, quando rivendica non solo i legittimi diritti, ma si fa carico dei doveri nei confronti dell’intera società.
La libertà esplica tutte le sue potenzialità quando diventa relazione, quando diventa responsabilità, quando diventa solidarietà verso chi ha bisogno di noi, non solo all’interno dei confini nazionali, ma anche al di là dei nostri confini nei confronti degli altri popoli.
Questo è il nostro sentimento della libertà”.
Per Berlusconi la libertà è l’essenza dell’uomo, l’essenza della nostra intelligenza e del nostro cuore, l’essenza della nostra capacità di amare, l’essenza della nostra capacità di operare.
L’essere umano è una persona, cioè un universo dotato della libertà di scelta e destinato alla libertà di autonomia. Il libero arbitrio, cioè la libertà di scelta è proprietà della natura intellettuale nel senso che essere libero appartiene all’essenza di ogni spirito per cui la radice della libertà è costituita dalla ragione e ogni natura spirituale deve necessariamente essere dotata di libertà.
L’uomo è un individuo che si regge con intelligenza e con la volontà; non esiste soltanto al modo fisico, ma sovresiste spiritualmente in conoscenza e in amore.
L’uomo è persona perché è dotato di spirito, di linguaggio e intelletto. Si porta verso le cose buone non per istinto ma per volontà poiché le conosce per intelligenza. L’intelligenza libera conosce la forma oggettiva del bene, ciò di cui la conoscenza puramente sensitiva è incapace.
In ogni natura che abbia l’intelligenza deve esistere un potere di desiderare e di amare che tende al bene in quanto bene che conviene al soggetto. Questo potere è l’appetito intellettivo o volontà. La volontà ha una determinazione necessaria, cioè vi è qualcosa che essa vuole in virtù di ciò che essa è, nel senso che vuole il bene in quanto tale.
Quando la mia intelligenza interviene per pensare la mia attività, l’intelligenza risveglia la capacità di amare, di volere questo bene fino al punto che determina il mio atto. Volere e amare spetta al dominio libero dell’essere umano, perché ciò dipende da un giudizio pratico della sua intelligenza che solo la volontà può far emettere. L’atto libero è il frutto comune dell’intelligenza e della volontà.
La libertà presuppone la natura spirituale, cioè l’intelligenza e la volontà. Questo fatto significa che il retto uso della nostra libertà presuppone la conoscenza del mondo della natura, ciò che è, e la conoscenza delle leggi di ciò che ha natura spirituale.
L’etica poggia sulla conoscenza del reale ed è un sapere pratico. La morale si costituisce su una linea propria distinta ed appartiene all’ordine pratico che concerne un oggetto pratico, cioè gli atti da fare.
La morale vuole sapere ciò che bisogna fare e come bisogna fare perché sia ben fatto. La morale è scienza della libertà, cioè scienza pratica del libero arbitrio, per cui l’intelligenza penetra nell’ambito della volontà per regolare gli atti umani.
L’essere umano, per conoscere e giudicare con perfetta e costante rettitudine i singoli atti che deve porre in determinate circostanze, ha bisogno di un mezzo di conoscenza e di discernimento pratico, cioè ha bisogno della prudenza che è virtù intellettuale e morale.
La prudenza per giudicare con rettitudine ha bisogno che la volontà sia retta, perché la prudenza regola immediatamente l’uso della libertà di ogni uomo o donna. La prudenza è la prima delle quattro virtù naturali che insieme alla giustizia, la fortezza e la temperanza permette di discernere il bene dal male, cioè di valutare con ponderazione ciò che è opportuno fare e agisce in modo da evitare rischi inutili a sé e agli altri.
L’atto morale appartiene al mondo della libertà che è il mondo delle relazioni tra le persone. La radice del mondo della libertà è il libero arbitrio o libertà di scelta che riceviamo con la nostra natura ragionevole, cioè è una libertà iniziale.
Ogni uomo o donna deve diventare persona con il suo sforzo, cioè deve governare la sua vita senza subire costrizione, deve essere libero di poter badare a se stesso. Il libero arbitrio è ordinato alla conquista della libertà di autonomia ed in questa conquista consiste il dinamismo della libertà richiesta dall’essenza della persona umana. La libertà di scelta è pre-requisito alla moralità ma non costituisce la moralità in quanto solo la regolazione dell’atto libero, attraverso la ragione, costituisce la moralità.
La crescita umana non è nel libero arbitrio ma nella libertà di autonomia che è la piena autosufficienza della persona. L’uomo è un essere in movimento verso il suo compimento, cioè deve conquistare la sua personalità e con essa la sua libertà di indipendenza per cui egli è chiamato alla conquista della libertà.
L’autonomia non consiste nel non ricevere alcuna regola o misura da un altro che non sia essa stessa, ma consiste nel conformarsi volontariamente alle regole, perché si sa che sono vere e perché si amano la verità e la giustizia.
La soggettività della persona esige le comunicazioni dell’intelligenza e dell’amore, cioè domanda di comunicare con gli altri nell’ordine della conoscenza e dell’amore. Alla personalità è essenziale domandare un dialogo per poter dialogare realmente. Il dialogo nasce dalla ricerca del logos, cioè della verità.
“La verità – scrive Benedetto XVI nella lettera enciclica “Caritas in Veritate” - fa uscire gli uomini dalle opinioni e dalle sensazioni soggettive e consente loro di portarsi al di là delle determinazioni culturali e storiche e di incontrarsi nella valutazione del valore e della sostanza delle cose”.
L’essere umano ha per natura l’esigenza di vivere in comunione con altri uomini in virtù della sua apertura alle comunicazioni della conoscenza e dell’amore e che esigono di entrare i relazione con altre persone. Per le sue indigenze e per i suoi bisogni la persona deve integrarsi a un corpo di comunicazioni sociali senza il quale è impossibile pervenire alla sua vita piena e al suo compimento.
“La persona per essere se stessa – scrive il card. Angelo Scola nel volume La dottrina sociale della Chiesa: risorsa per una società plurale – è chiamata a riconoscere la sua strutturale apertura e quindi dipendenza rettamente intesa da un altro e questo emerge nelle tre polarità costitutive dell’umana esperienza elementare: in quanto unità duale di “natura spirituale e natura materiale”, la persona deve la sua stessa vita ad altro da sé; in quanto unità duale radicata nella differenza sessuale la persona dipende per il suo compimento dall’incontro con la persona dell’altro sesso; in quanto in se stessa unità duale di individuo e di comunità, la persona dipende dalla relazione con altre persone significative per il compimento della sua naturale socialità”.
Nella vita sociale vi è sempre uno stato di tensione e di conflitto perché vi è una tendenza naturale ad assoggettare la persona, a diminuirla considerandola un semplice individuo materiale. Questo conflitto è naturale e inevitabile per cui richiede una soluzione dinamica perché le società si evolvono nel tempo sotto la spinta delle energie dello spirito e della libertà. Questa spinta tende a realizzare nella vita sociale l’aspirazione dell’uomo a essere trattato come persona e questa aspirazione è un ideale attuabile con lo sviluppo del diritto, della giustizia e con lo sviluppo dell’amicizia civica.
“Accanto al bene individuale - scrive il pontefice nella succitata opera – c’è un bene legato al vivere sociale delle persone che è il bene comune. È il bene di quel “noi-tutti”, formato da individui, famiglie e gruppi intermedi che si uniscono in comunità sociale. Volere il bene comune e adoperarsi per esso è esigenza di giustizia e di amore”.
La società politica è destinata essenzialmente allo sviluppo delle condizioni di ambiente che portino tutti i cittadini a un grado di vita materiale, intellettuale e morale conveniente al bene e alla pace sociale.
La comunità politica contribuisce, così come la comunità familiare, a procurare nella persona gli inizi di quella crescita che la persona conduce al suo termine.
Non basta l’instaurazione di nuove strutture politiche, sociali ed economiche, ma occorre che la società abbia un’anima fatta di buona volontà, di relazione, di rispetto e di amore da persona a persona e tra persona e comunità che possono dare alla vita del corpo politico un carattere veramente umano.
La società civile esige la costruzione di una civiltà in cui possa realizzarsi quello che importa di più all’essere umano, cioè la realizzazione del suo essere una persona.
Si tratta di costruire una società il cui centro non è l’individuo, ma è la persona che si realizza liberamente nella comunità civile. L’idea dinamica dominante in questo ideale concreto è quella della libertà e della realizzazione della dignità umana.
Il popolo della libertà si è impegnato a realizzare questo ideale di società civile fondata sul rispetto dell’uomo esistenziale e concreto, dei suoi diritti, sulla fede nel progresso interno della vita e della storia del popolo italiano sulla forza della libertà.
L’appello alla libertà impegna ogni uomo o donna a farsi protagonista di una storia aperta, cioè la libertà al centro della vita quotidiana è apertura di fini e di senso del futuro degli Italiani.
“La libertà – proclamava Berlusconi il 25 febbraio 2001 al Convegno di Bilbao dei giovani del Partito Popolare Europeo – deve essere libertà nell’economia che si deve sviluppare secondo i principi della libera iniziativa, del libero mercato, della competizione.
Il mercato deve tenere conto di tutti, perché così può essere non solo morale ma anche efficiente, perché non si può escludere dal benessere, abbandonare nell’emarginazione, nella malattia e nella miseria una parte importante dei cittadini”.
La libertà è anche quella di far valere il principio di sussidiarietà. Il principio di sussidiarietà sprona i cittadini a controllare lo Stato per farlo intervenire soltanto quando essi non possono raggiungere con le loro forze e istituzioni i beni e servizi a cui tengono.
“Noi siamo presenti in Europa con il nostro gruppo – sosteneva Berlusconi nel sopracitato convegno - a controllare che anche l’Europa non prenda decisioni che possono essere prese meglio dai singoli Stati. La libertà che ci viene dall’Europa è per noi una volontà, una necessità perché ci ha dato e ci da benessere e libertà.
È questa la missione che ciascuno di noi, con il proprio operato, facendo attività politica, deve sentire come missione principale, per poter partecipare alla costruzione di un Paese dove non ci siano cittadini di serie B, un Paese dove nessuno possa aver paura se al governo c’è il suo avversario politico. Un Paese dove ciascuno possa seguire la propria vocazione, possa realizzarsi e dare io meglio di sé, dove lo Stato non espropri i cittadini di ciò che sono riusciti a conquistare attraverso il lavoro e i sacrifici di una vita. Uno Stato dove ciascuno posa tenere aperta la porta alla speranza e tenere alta la bandiera della libertà”.
La vera data di nascita del PdL ( Il Popolo della Libertà) è il giorno della grande manifestazione del 2 dicembre del 2006, con due milioni di partecipanti, convocata in Piazza San Giovanni a Roma dalla Casa delle libertà contro la “Finanziaria” del governo Prodi. Tra le persone sventolavano anche tante bandiere dell’UDC (Unione dei Democratici Cristiani e Democratici di Centro).
“Voi qui rappresentate la maggioranza del popolo – esordiva Gianfranco Fini nel suo discorso ai cittadini che scandivano slogan contro il governo Prodi”.
“Noi vogliamo l’Italia della libertà – gridava Silvio Berlusconi – ai manifestanti riuniti quel giorno nella storica – piazza rossa – della politica. Siamo un popolo operoso di donne e di uomini che sanno essere tenaci e pazienti che vogliono difendere la libertà. Siamo qui perché vogliamo impedire alle sinistre di impoverire l’Italia moralmente e materialmente.
Sentiamo intorno a noi il calore di questa nostra comunione politica che ormai da molti anni, e per molti anni in futuro, si è fatta garante della libertà di tutti. Siamo un popolo che condivide gli stessi valori, la stessa visione del futuro. Ci accomuna la stessa visione della libertà, della democrazia, della patria, della persona, della famiglia, del lavoro, dell’impresa. Nella nostra visione del mondo di liberali e di cristiani, i partiti nascono sulla base dei valori condivisi dai cittadini.
Noi proponiamo agli Italiani una società fondata sulla libertà, sullo sviluppo economico, sulla solidarietà. Proponiamo una società basata sui valori del cristianesimo, sulla famiglia naturale fondata sul matrimonio, formata dall’unione di un uomo e di una donna, nella quale far nascere e far crescere i figli. Proponiamo una Patria nella quale tutti gli Italiani si riconoscano e che tutti amino, perché è la casa comune di tutti, senza distinzioni”.
Le tradizioni cristiane sono ancora radicate e continuano a produrre frutti. “È sentita con crescente chiarezza – riporta il card. Angelo Scola nel testo sopracitato – l'insufficienza di una razionalità chiusa in se stessa e di un'etica troppo individualista: in concreto, si avverte la gravità del rischio di staccarsi dalle radici cristiane della nostra civiltà. I cattolici italiani sono dunque chiamati a cogliere questa grande opportunità, e anzitutto ad esserne consapevoli”.
“L’esclusione della religione dall’ambito pubblico - scrive il papa nella sua ultima enciclica – come il fondamentalismo religioso impediscono l’incontro tra le persone e la loro collaborazione per il progresso dell’umanità. La vita pubblica si impoverisce di motivazioni e la politica assume un volto opprimente e aggressivo. Nel laicismo e nel fondamentalismo si perde la possibilità di un dialogo fecondo e di una proficua collaborazione tra la ragione e la fede religiosa”.
Il dialogo tra fede e ragione incentiva la collaborazione fraterna tra credenti e non credenti. Per la collaborazione è essenziale il principio di sussidiarietà che favorisce la libertà con la partecipazione delle persone e dei corpi intermedi della società.
Il Popolo della Libertà lo abbiamo appena costruito – ha detto Giancarlo Fini – e dobbiamo farlo crescere. Cioè discutere, affrontare le questioni e in alcune circostanze verificare l’opinione prevalente democraticamente”.
“La società in cui viviamo – afferma il 7 novembre c.a. al Convegno di Belluno Zabeo Giorgio, presidente dell’Associazione “Insieme” – è individualista, materialista e poco rispettosa dei principi cristiani, vale solo la grande voglia di apparire, di arrivare in fretta all’obiettivo senza rispetto della persona”.
I politici avvertono che non esistono partiti radicati sul territorio, con personalità di riferimento. Questo è considerato un male per la democrazia. Alcuni elettori vengono invitati a votare per i leader nazionali che decidono di far confluire i voti su persone non appartenenti al territorio Veneto.
“In riferimento al PdL - sostiene il dott. Zabeo – non basta che esso dica di essere un partito di popolo e delle libertà, bisogna che testimoni sul territorio e nelle istituzioni questa sua identità”.
Si sente in Veneto la necessità di ricostruire nel Pdl una presenza popolare, liberale, cattolica e sociale che si ispiri ai valori secondo le indicazioni della “Caritas in veritate”.
Venezia ai Veneziani e il Veneto ai Veneti.
Viva l’Italia.
Viva la libertà.

martedì 3 novembre 2009

L'amore di Cristo e il freddo laicismo

IL POPOLO ITALIANO SOTTOPOSTO
ALL'AUTORITÀ GIUDIZIARIA EUROPEA
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SCUOLA: MAZZOCCHI (PDL), CORTE STRASBURGO ALLONTANA EUROPA DA CITTADINI
Roma, 3 nov. - (Adnkronos) - 'Non siamo abituati a commentare le sentenze, ma abbiamo le idee molto chiare sui crocifissi nelle classi. Guai a chi vuole imporci dall'alto una laicizzazione dello Stato'. E' quanto afferma Antonio Mazzocchi deputato del Popolo della Liberta' e Presidente dei Cristiano Riformisti, commentando la sentenza della Corte di Strasburgo che proibisce il crocifisso nelle scuole.'L'Italia - aggiunge - e' orgogliosa delle sue tradizioni, dei suoi valori e della sua cultura religiosa e vede nel crocifisso una identita' culturale ben precisa. Noi cattolici faremo sentire la nostra voce in Italia e in Europa e non accetteremo passivamente nessuna imposizione'.'Quando con Gianfranco Fini chiedevamo un riconoscimento delle radici giudaico-cristiane dell'Europa - sottolinea - intendevamo attribuire una appartenenza culturale ben precisa a questo nostro continente. Mentre negli Stati Uniti si giura sulla Bibbia e sui dollari c'e' scritto 'In God we trust', qui qualcuno vorrebbe proibirci anche i crocifissi. E' la strada sbagliata. Non meravigliamoci poi - conclude - se di fronte ad un referendum per la Costituzione europea, i cittadini boccino sonoramente questa istituzione. Sarebbe anche da domandarsi il perche'.. '.

domenica 27 settembre 2009

MERCANTI VENEZIANI A COSTANTINOPOLI Cap. XIX


La basilissa di Bisanzio

Il custode della dimora dell’imperatrice Elena Dragas, il saggio eunuco Pistandros, bussa alla porta dorata ed annuncia l’imminente arrivo del basileus Giovanni che ha lasciato il suo seguito di cavalieri nel cortile del palazzo.
La basilissa madre, intenta con le nobildonne a tessere la seta per i sacri paramenti della Chiesa della Vergine Blachernissa, accoglie con premura il figlio, diventato il vero sostegno della famiglia dopo il ritiro monastico dell’autocrate Manuele II Paleologo.
“Ho ricevuto questa mattina – esclama Giovanni alla presenza della madre – il tuo messaggio, affidato al nobilissimo Giorgio Sfranze. Le sue parole mi hanno sorpreso ed eccomi qui per ascoltarti ed esaudire ogni tuo desiderio. Mio padre ha lasciato a te il compito gravoso di condividere le responsabilità delle decisioni importanti”.
“L’arconte Oikantropos – dice la donna – è venuto ieri pomeriggio per confidarmi le sue preoccupazioni e per esprimere il suo parere sul tuo proposito di indurre i sovrani latini a contrastare con un grande esercito l’espansione nei Balcani dei guerrieri del sultano.
Tuo padre aveva inviato i suoi ambasciatori al Sinodo latino di Costanza per indurre i sovrani dell’Occidente a liberare la nostra città dalla morsa ottomana. L’emiro Mehmet I aveva unito tutti i territori, conquistati da suo padre Beyazid nei Balcani, ai possedimenti dell’Asia Minore, costituendo un impero che soffocava la nostra città. Adrianopoli, città della Tracia divenuta sede dell'amministrazione centrale degli Ottomani, attirava gli interessi delle potenze marinare dell’Occidente che stipulavano con i Turchi nuovi contratti commerciali.
Il Papa Martino aveva compreso il grande pericolo ottomano ed aveva accolto le richieste di aiuto. Il nuovo vescovo di Roma si era subito impegnato ad eliminare le controversie che separano i vescovi dell’Occidente e dell’Oriente con l’autorizzazione di un Concilio da tenersi a Costantinopoli. Il sinodo ecumenico doveva essere preparato con la premessa di contratti matrimoniali.
Il tuo matrimonio con Sofia del Monferrato e quello di tuo fratello con Cleofe Malatesta dovevano unire il sangue della nostra famiglia con quello delle famiglie latine per conciliare gli animi e predisporli ad un’intesa per la formazione di uno schieramento contro le pretese di conquista degli Ottomani.
La lungimiranza di tuo padre e le scelta delle famiglie nobili, decisive del papa, per le spose latine, non hanno prodotto alcun beneficio per l’impero. Soltanto la Repubblica di Venezia ha interesse a farci credito e inviare le sue galee per presidiare il porto della città.
Murad II si è vendicato per l’appoggio dato ai suo zio Mustafà che intendeva governare i territori occidentali dell’impero ottomano e mantenere gli accordi di pace stipulati con tuo padre. Le sue milizie bivaccano fuori le mura terrestri e tengono sotto assedio Tessalonica. La fiera di fine ottobre della città macedone è stata rinviata perché i portuali si oppongono al governo di tuo fratello Adronico e pretendono di aprire le porte della città ai principi ottomani.
Il tuo proposito di andare in Occidente non è gradito ai vescovi che provengono dai monasteri e ai loro fedeli. Le nostre credenze sono ancora scosse dalle azioni dei crociati che lordarono con le loro mani insanguinate i sacri paramenti delle nostre chiese. Il Patriarca ci ricorda sempre la profanazione della Santa Sapienza operata dai Latini. La cupidigia dell’oro e l’ebbrezza delle loro passioni hanno causato eccidi e nefandezze nelle dimore e nei luoghi sacri.
L’ostilità dei successori del sultano Mehmet I, morto lo scorso anno, ha impedito al nostro Patriarca di far valere le sue ragioni nella riunione dei Padri conciliari, auspicata da tuo padre e autorizzata dal papa. La nostra città è continuamente sotto assedio e le milizie ottomane impediscono di accogliere i vescovi e i legati dei principi franchi”.
“Io ho sposato una donna latina – sostiene Giovanni – secondo gli accordi e il volere di mio padre. Ho disposto che una parte della reggia fosse trasformata per accogliere il seguito di Sofia nelle stanze dove vengono celebrati i riti dai presbiteri del Monferrato. Mi tengo lontano dalla mia sposa per non disturbare il suo raccoglimento spirituale. I miei amici mi fanno notare l’assenza di Sofia nelle cerimonie del nostro Patriarca”.
“Posso fare a meno della compagnia di tua moglie – dice la basilissa – e tollerare che sia lasciata libera di seguire il culto latino. Tuo padre mi ha espresso più volte la sua volontà di rispettare il rappresentante del vescovo di Roma che intona gli inni sacri nella lingua latina. Le clausole del contratto matrimoniale devono essere rispettate per ottenere l’aiuto militare e finanziario da parte dei signori dell’Occidente.
La tua lontananza dalle stanze nuziali è stata notata dalle donne addette al mantenimento del decoro dei pavimenti. I pettegolezzi delle popolane alimentano i risentimenti da parte delle donne di Pera che si recano al monastero francescano per il rito domenicale. Il priore ascolta le dicerie sul conto del basileus Giovanni che trascura la moglie latina e si diletta con le cortigiane durante i ricevimenti delle Blacherne.
Il bailo veneziano spesso si confida quando mi reco al monastero della Vergine Peribleptos, dove tuo padre si è ritirato con la sua collezione di reliquie sacre. Ser Emo mi riferisce le parole del governatore genovese: “ I legati pontifici, residenti nella chiesa dei Santi Sergio e Bacco, riferiscono tutto ai cardinali della curia del papa”. Martino V vuole essere informato sull’osservanza delle clausole matrimoniali e sul comportamento del marito della basilissa Sofia del Monferrato.
Tuo padre aspetta da te un erede che possa servire come pegno ai Signori dell’Occidente. I Franchi e i Latini non hanno dimenticato il dominio dei crociati sulle terre dell’impero e sperano di ottenere, in cambio del loro aiuto, i titoli per le loro legittime pretese. Il loro sostegno, per sconfiggere il sultano che assedia le nostre città, è ritenuto indispensabile dagli arconti unionisti che fanno a gara per ottenere la cittadinanze delle ricche repubbliche e delle signorie latine. I ducati e i fiorini aurei hanno più valore delle nostre monete. Tutti vogliono dedicarsi al commercio ed arricchirsi come i mercanti stranieri che costruiscono i loro palazzi nel quartiere della sede imperiale.
La galee veneziane proteggono i nostri porti e questo non è più sufficiente per frenare gli Ottomani che hanno iniziato a costruire le loro navi a Gallipoli e controllano il traffico dei Dardanelli. Gli emiri utilizzano anche le navi dei Latini per approdare facilmente sulle coste dei Balcani. Il loro esercito spadroneggia nelle terre dei Serbi e dei Bulgari.
Mio padre, il potente Costantino Dragas, devotissimo di Giovanni Battezzatore, è stato soggiogato, ha dovuto riconoscere l’emiro di Adrianopoli come suo signore ed è morto combattendo a fianco del sultano per mantenere la gestione delle sue terre.
Le tribù slave dei Balcani si sottomettono alla forza inarrestabile degli Ottomani. La spada del più forte incute timore perché può disporre della vita del più debole che deve accettare la volontà del vincitore.
Soltanto il nuovo papa ha avvertito il pericolo imminente ed ha accettato le proposte di fede e di speranza espresse dagli ambasciatori di tuo padre. L’imperatore si è rivolto al Vescovo di Roma e lo ha riconosciuto come Padre spirituale universale che ha l’autorità, conferita all’apostolo Pietro, di legare e di sciogliere sulla terra tutto ciò che attiene alla Legge divina.
Martino V ha riconosciuto la potestà divina del basileus di chiamare tutti i vescovi per un Concilio ecumenico in cui possano ricevere l’Illuminazione che infiamma i cuori per capire la parole del Verbo.
La Santa Sapienza rivela lo Spirito del Padre che è amato dal Figlio della Vergine. Il segno vincitore di Costantino il Grande è la manifestazione dell’Eterna Forza che lega reciprocamente il Padre e il Figlio. Il Vangelo ci manifesta l’Amore del Creatore per tutto ciò che è visibile e invisibile. Costantinopoli è la città dove l’unità della Chiesa può essere riaffermata con il riconoscimento che la vera via della verità è quella che ci mostra Maria nell’abside della Grande Chiesa: “L’opera dello Spirito Santo”. L’unione di tutti i Patriarchi confermerà questo dogma universale”.
“Parli con l’ardore della tua fede – sostiene il figlio - ed io seguirò i tuoi consigli nelle discussioni e nelle decisioni conciliari. Non sono pratico di queste cose. Le armi e la caccia sono le mie passioni. Fin da piccolo mi hai insegnato gli atti di devozione e ad aver fiducia in te”.
“Hai deciso – dice Elena – di percorrere la stessa strada di tuo padre. I signori dell’Occidente ti offriranno consigli e finanziamenti per il tuo viaggio ma non risolveranno il nostro problema. Il sultano Beyazid fu sconfitto dalle orde sterminatrici di Tamerlano. I pretendenti al trono ottomano hanno di nuovo assediato la nostra città e sono diventati sempre più minacciosi.
Chi fermerà la spada del sultano? Da Oriente non giunge più la nostra salvezza. Il nuovo condottiero ottomano vuole le nostre terre e la nostra città. La strada percorribile è quella auspicata dal senatore Oikantropos, cioè patteggiare una soluzione commerciale con il capo degli Ottomani per consentirgli di arbitrare il movimento delle merci nel Mediterrabeo.
Gli arconti dell’Asia Minore e i senatori che hanno perso le proprietà terriere sono antiunionisti e non vogliono l’accordo con i Latini. I loro interessi sono di non esasperare Murad II ed ottenere almeno la gestione delle fattorie prese dai suoi generali. Hanno accettato la perdita dei loro palazzi e della servitù ma non vogliono perdere l’occasione offerta dall’Amministrazione di Adrianopoli, cioè quella di servire il nuovo padrone per la riscossione delle tasse necessarie al sultano per il suo esercito e per la costruzione delle moschee in tutte le città conquistate.
I guerrieri turchi conquistano nuovi territori, requisiscono le dimore dei ricchi ma non sanno utilizzare la servitù della terra e non sanno gestire gli uomini e le donne degli opifici. Le coltivazioni e l’industria dei tessuti richiedono di essere amministrate da fattori e direttori che conducono le aziende in modo proficuo per il consumo locale e per il commercio.
Il sultano, unico padrone di tutte le terre e di tutte le case delle città ha bisogno di servitori fedeli, conoscitori dei popoli e dei territori conquistati. I nostri arconti, a cui erano stati dati appannaggi, privilegi e monopoli sono pronti ad inchinarsi al nuovo signore e offrire i loro servigi in cambio di una nuova ricchezza.
La nostra città non riceve più i prodotti alimentari e non dispone della seta grezza per la tessitura delle vesti e dei sacri paramenti liturgici. I senatori che non hanno più i monopoli del basileus vogliono sostituirsi ai mercanti veneziani ed ottenere i loro privilegi per servire l’emiro di Adrianopoli. I portuali non ambiscono ai titoli concessi dal Gran Logoteta e preferiscono accordarsi con i pirati ottomani che offrono le mercanzie razziate ai galeoni latini. Il prefetto non riesce a controllare le imbarcazioni turche che approdano di notte al di fuori delle mura marittime”.
“La salvezza dell’impero – sostiene il figlio - dipende dalle nostre decisioni e dagli accordi commerciali che possiamo stipulare con le repubbliche marinare e con i re latini. Gli Ottomani non hanno nessuna esperienza di commercio e desiderano soltanto renderci tutti servitori del loro capo.
Anche mio padre, come i serbi Dragas hanno piegato il capo all’emiro Beyazid che costringeva i suoi servitori a combattere contro i propri fratelli nella stessa fede. Il basileus Manuele II ha rischiato la propria vita per le ambizioni del sultano e, come suo padre e suo nonno si è recato in Occidente.
I re franchi e tedeschi che si fanno incoronare dal Patriarca di Roma, per riconoscere i loro diritti di governare i popoli dell’Europa, riconoscono l’arbitrato del papa e desiderano difendere i loro possedimenti ungheresi e polacchi.
Il re Sigismondo è amico di mio padre e fedele combattente per il pontefice romano. A lui interessa mantenere la sua indipendenza dagli Ottomani e a combattere in ogni momento per la difesa delle sue terre ungheresi e per la Chiesa romana.
La fede dei Romei e dei Latini è la stessa e si identifica nel mantenimento di Costantinopoli come baluardo difensivo contro gli Ottomani. Il papa si è sempre dimostrato pronto ad accogliere le richieste di aiuto della nostra famiglia e a frenare le mire dinastiche degli Angiò e degli altri pretendenti latini.
Non bisogna temere le crociate per frenare il sultano ma diffidare di coloro che si inchinano al nostro passaggio e nel loro cuore si cela il tradimento. Le nostre mura sono ancora solide, anche se richiedono di essere riparate. Il logoteta, responsabile della sicurezza della città, vigila con le sue spie per le vie e nelle taverne, per scoprire e debellare qualsiasi complotto. Il tuo compito, o madre, è sempre quello di ascoltare i sussurri dei cortigiani e di vigilare sull’operato dei miei fratelli per evitare gli scontri di sangue tra le fazioni della città”.
“Tuo fratello Teodoro – sostiene la basilissa – è stato prescelto per sostenere le speranze di tuo padre ed ha sposato la giovane Cleofe dei Malatesti. Il suo contratto matrimoniale è simile al tuo e spera di affiancarti per dividere con te le responsabilità dell’Impero.
Il papa conosce la sua predilezione per le cose sacre e spera di portarlo alla potestà imperiale, per costituire l’unità del popolo dei credenti nel Figlio della Vergine.
Io gli ho insegnato la devozione alle icone. Tuo padre lo ha affidato fin da bambino agli arconti della Morea che non sopportano i soprusi dei signori latini. I feudi del Peloponneso, conquistati con le crociate dei Franchi, vengono acquistati dai mercati catalani e genovesi che utilizzano i mercenari per imporre il loro potere. Il popolo si rifugia nei castelli presidiati dai veneziani e abbandona le zone costiere depredate dai pirati ottomani. Il popolo invoca il nostro aiuto.
Tu hai il compito di governare questa città, lasciando al patriarca Giuseppe e a me di seguire le controversie ecclesiastiche. Gli igumeni dei monasteri della città hanno il compito di provvedere al mantenimento dei monaci e si appellano al custode della Grande Chiesa, per difendere i loro possedimenti dalle brame dei mercanti stranieri. I vescovi romèi si preoccupano della miseria dilagante tra il popolo e non riescono a sostenere le opere di carità. I loro monopoli e le loro proprietà sono state acquistate dai rappresentanti dei latini.
Le città del Peloponneso vengono date in feudo alle famiglie legate alla curia di Roma. Le sacre icone vengono asportate dalle chiese deserte e trasportate per la venerazione di fedeli che non si attengono al rito della lingua greca. Il popolo invoca il ritorno del basileus e la cacciata degli usurpatori latini che non riescono a impedire le scorribande dei pirati turchi.
“Teodoro – dice Giovanni - è il signore della città di Mistrà, circondata da mura poderose, che si erge su un alto colle, vicino al Taigeto degli antichi Spartani. Mio fratello ha una dimora regale, frequentata da dotti e da artisti, richiamati dai ricchi arconti della sua corte. Il basileus ha fatto ricostruire il grande muro sull’istmo di Corinto per impedire il dilagare sfrenato dei turchi. Io stesso ho aiutato Teodoro a ingrandire il suo dominio con migliaia di cavalieri per contrastare le prepotenze dei signori latini.
Il Despotato della Morea è stato concesso a mio fratello per riconoscere il suo diritto di erede al trono dopo di me, basileus designato. Mistrà è la città scelta dalla nostra famiglia per diffondere e far conoscere all’Occidente la luce divina della Santa Sapienza. Gli arconti fanno edificare chiese e case sontuose alle pendici della collina su cui si erge la rocca della città.
Il trono del signore è situato al centro della sala più grande del suo palazzo per ricevere gli ospiti del Principe. La dimora rinnova lo splendore della reggia delle Blacherne e mostra all’Occidente il nuovo volto della potestà di Manuele II che vuole al suo secondogenito una corte degna delle signorie e dei regni visti in Occidente durante i suoi viaggi.
La riscossa del basileus di tutti i Romani è già iniziata. Il suo impero risorgerà dall’antica Grecia e Costantinopoli ritornerà ad essere il centro di tutto l’ecumene. I miei fratelli saranno inviati nel despotato per affermare la presenza dei Paleologi accanto a Teodoro”.
“La parentela di tuo fratello con il papa Martino e con i Malatesta – sostiene la madre - è ostacolata dagli arconti antiunionisti che temono il ritorno dei crociati e la ricostruzione del loro funesto impero. La città di Patrasso, testimone del martirio dell’apostolo Andrea, venerato da tutti i patriarchi perché per primo seguì la chiamata del Maestro, è governata dall’arcivescovo Stefano Zaccaria ed è sotto la protezione della curia romana. I signori latini di Atene e dell’Acaia, pur essendo beneficiati da tuo padre, fanno il doppio gioco e si alleano con i Genovesi e con i Veneziani. Il sultano ha inviato le sue milizie che, attraverso il territorio di Tessalonica, dilagano per la Tessaglia e la Beozia”.
“Venezia – dice Giovanni - è interessata a proteggere il porto di Patrasso e Le fortezze di Modone e Corone. I mercanti di Pera, protetti dai banchieri genovesi, vogliono eliminare la concorrenza della Serenissima e mettono a disposizione le loro navi per favorire il sultano. Il fratello dell’alto prelato, Centurione, paga un tributo al sultano per evitare che il suo dominio venga assalito dai corsari catalani e dai pirati turchi. Anche gli Acciaiuoli di Atene e i Tocco non riescono a evitare i saccheggi degli amici degli Ottomani. Le baronie latine non hanno milizie in grado di fronteggiare i nostri cavalieri e Teodoro è in grado di tener testa ai loro mercenari albanesi”.
“I dotti della corte di Mistrà – sostiene la basilissa - sognano la gloria dell’antica Sparta e non permetteranno a tuo fratello di diventare basileus con l’aiuto dei Latini. Sua moglie Cleofe è sempre sorvegliata dai fedeli arconti che controllano con discrezione tutte le ambascerie dei Malatesti, legati per vincolo di parentela alla famiglia Colonna. Martino V è cugino della despoina e auspica il trono imperiale per Teodoro. La nascita di una progenie malatestiana, destinata a ricevere l’eredità dei Paleologi, potrebbe portare a una sollevazione di tutto il popolo, aizzato dagli antiunionisti.
I nobili del luogo non sopportano la perdita dei loro servi della terra e si oppongono ai veneziani e agli altri baroni latini che hanno frantoi e mulini sulle coste della Morea. I cortigiani inducono il despota controllare continuamente i confini del suo dominio, attraversati dagli agricoltori che fuggono nei feudi vicini dove le riparazioni dei bastioni latini permettono a loro di vivere liberi e di essere compensati con monete d'oro".
“I Veneziani – risponde il figlio - hanno bisogno del nostro grano per i soldati che presidiano gli scali fortificati dello Ionio e dell’Egeo. Conviene anche a noi il loro presidio perché non disponiamo di una flotta in grado di ostacolare lo sbarco dei predoni. La Repubblica di San Marco vuole solo controllare le vie marittime ed avere buone relazioni con l’entroterra delle città costiere. Il Despotato della Morea è solo una parte del Peloponneso ed occorrono altri finanziamenti per conquistare gli altri territori fino a Corinto.
Gli Ottomani hanno amici anche tra i Latini e si avvalgono di ogni contesa tra noi e i baroni legati alla protezione del re di Napoli o dei re aragonesi. Angioini, Catalani, Aragonesi, Signorie lombarde e mercanti genovesi di Pera, contrastano la supremazia veneziana e agevolano il sultano nelle sue mire espansionistiche. I matrimoni che abbiamo stipulato con i signori del Monferrato e con i Malatesti non hanno dato alcun frutto per la nostra sicurezza.
Le donne latine che portano la corona dei Paleologi non frenano i guerrieri ottomani e non agevolano la costituzione di un esercito contro Murad II. Le loro famiglie non dispongono di risorse finanziarie ma emergono per i loro servigi ai Franchi. La loro intermediazione è utile soltanto con la volontà del re latini che nel passato finanziarono le crociate voluta dal papa per la liberazione del Santo Sepolcro di Gerusalemme.
Martino V è impegnato a frenare gli ardori di alcuni cardinali che, appartenendo alle varie nazionalità, sostengono o gli Aragonesi o gli Angioini. La sua famiglia è legata al re Sigismondo sostenuto dai Tedeschi e dagli Ungheresi. Il Papa non può aiutarci perché i regnanti spagnoli e francesi vogliono estendere la loro influenza sull’Italia e sui territori della Chiesa. I cardinali sostengono le pretese dei loro re. La Chiesa dell’Occidente è ancora dilaniata dal conciliarismo. Il Vescovo di Roma deve sottostare alla potestà del sinodo ecumenico. I Padri conciliari dell’Occidente pretendono la completa sottomissione di tutte le nostre chiese e non vogliono che il nostro Patriarca possa discutere le attuali controversie religiose nella nostra città”.
“Il viaggio in Occidente ci serve – dice Elena - per far valere i nostri diritti e per stringere alleanze con coloro che sono pronti a impegnare le loro milizie contro il sultano. I Principati danubiani, baltici e moscoviti non sopportano la prepotenza dei Turchi e fanno appello al nostro Patriarca per difendere i popoli devoti alle sacre icone della Vergine. Le regioni costiere della Valacchia e della Moldavia da molti anni sono sotto il giogo dei generali del sultano che minacciano i regni di Ungheria e di Polonia.
La potestà di decidere il luogo e i tempi per la convocazione di un concilio ecumenico spetta al basileus secondo la tradizione iniziata con Costantino il Grande. Tuo padre è sempre stato dell’avviso di tenerlo secondo determinate condizioni che tengono conto dello stato attuale dell’impero e delle deliberazioni già condivise nei precedenti concili ecumenici. La tua figura di arbitro tra i Patriarchi e i vescovi di tutte le chiese è minacciata dagli Ottomani e non può esercitarsi per il sinodo dei vescovi che devono giungere in pace ed essere ospitati in sicurezza nell’ambito della città. I Padri conciliari devono potersi riunire senza alcun pericolo o timore per le proprie vite. La ragione ha bisogno di tranquillità per ascoltare e conoscere l’oggetto della propria fede, condiviso da tutti i componenti del concilio.
Il Patriarca Giuseppe è dello stesso avviso. La vera via della verità è una sola e tutti i vescovi devono essere unanimi nel proporla al popolo, sotto un’unica autorità sacerdotale e sotto un’unica potestà imperiale. La rivelazione divina è il dono della Santa Sapienza per tutti coloro che credono nel Figlio della Vergine. Tutti devono essere uniti nell’unico luogo per ricevere lo Spirito che dona la capacità di apprendere la Verità del Verbo incarnato. I credenti si attengono rigorosamente all’insegnamento dei vescovi che hanno già condiviso in tutti i concili ecumenici la fede comune alla presenza dei legati del patriarca di Roma. I tempi sono prematuri e il popolo non è preparato ad assecondare le inclinazioni religiose dei mitrati latini perché è assillato da problemi pratici che riguardano la sopravvivenza giornaliera delle famiglie. La pace è indispensabile per la convergenza dei ragionamenti dei Padri e per la condivisione serena delle decisioni conciliari.
Puoi andare in Occidente e tralasciare l’invito per il prossimo sinodo dei Latini. Spagnoli, Francesi e duchi italiani impongono la presenza dei loro delegati fidati in tutte le riunioni degli alti prelati della chiesa per sostenere i loro interessi territoriali. La tua figura per loro non ha alcun valore divino perché non sei stato incoronato dal vescovo di Roma. Il sultano non minaccia i regni dei loro sovrani e le tue richieste di aiuto cadono nel vuoto senza una contropartita.
I senatori della Serenissima ti accoglieranno con grandi preparativi di festa ma non potranno impegnarsi apertamente contro Murad II, per l’accordo stipulato con suo padre Mehmet I. Gli Ottomani hanno riconosciuto alla Serenissima di possedere l’isola di Negroponte e molte fortezze sulla costa della Morea. Le galee veneziane hanno la supremazia sui mari e navigano libere lungo le coste. Il sultano teme soltanto gli eserciti dei crociati e non sopporterebbe la tua sottomissione al papa.
Ti conviene tenerti lontano da Roma e incontrare coloro che sono interessati alla conquista o al mantenimento dei loro possedimenti nei Balcani. Invia pure alla Curia romana gli ambasciatori per spiegare i nostri desideri e puntualizzare le nostre determinazioni sulle pergamene. Le parole scritte possono esprimere chiaramente ed in modo inequivocabile la volontà del basileus, evitando ad occhi indiscreti di interpretare in diverso modo l’omaggio al Patriarca di Roma.
Martino V appartiene alla famiglia Colonna che si fa proteggere dai Principi tedeschi. Il loro re, Sigismondo di Lussemburgo, si dichiara difensore dei diritti della Chiesa ed è già impegnato a contrastare l’esercito turco. Tedeschi, Ungheresi e Polacchi combattono uniti contro il nostro nemico ed anche noi possiamo unirci ai loro sforzi. Il tuo sostegno è avvalorato dai crediti della Repubblica di San Marco. Se i mercanti veneziani ci sostengono, tutte le porte si aprono al tuo arrivo. Il difensore del papa Martino V accoglierà le nostre richieste perché vedrà riconosciuto dal basileus di Costantinopoli la sua dignità regale già riconosciuta dai suoi elettori.
Sigismondo e i Veneziani hanno interessi contrastanti sui territori costieri della Dalmazia e tu potrai favorire la loro conciliazione con la promessa di privilegi commerciali e con l’accreditamento di ambasciatori alla corte del re d‘Ungheria. La tua potestà imperiale potrà agevolarlo nelle sue mire di consolidamento del suo imperio nelle regioni che confinano con i territori conquistati dagli Ottomani”.
“Sono d’accordo con te – dice Giovanni – e mi recherò a far visita al re Sigismondo passando per Venezia. Il Serenissimo doge è sempre stato amico di mio padre ed il bailo mi ha suggerito di recarmi nella città lagunare per dimostrare la nostra riconoscenza a Venezia e venerare le spoglie di San Marco. La visita servirebbe anche a cancellare le incomprensioni e le piccole scaramucce della Morea. Le nostre conquiste a danno delle baronie latine e la ricostruzione del muro sull’istmo di Corinto hanno fomentato risentimenti e prese di posizione tra gli arconti e i castellani locali per i disordini tra gli agricoltori e l’aumento delle tasse. I servi della terra vengono obbligati a produrre più grano e nello tempo a versare nei magazzini dei proprietari una parte delle loro spettanze. I feudatari sono stati chiamati a sostenere i lavori per arginare l’invasione ottomana.
L’ingrandimento e il potenziamento del Despotato di Mistrà servono per dimostrare agli Ottomani che la potestà del basileus è affermata con vigore e rispetto nel cuore dell’antica Grecia. Il sultano assedia Tessalonica e noi dal Sud riconquisteremo l’Arkadia, l’Achaia e attraverso l’Attica punteremo al centro della Grecia.
La Repubblica di San Marco è consapevole che l’affermazione del nostro imperium su tutti i proprietari terrieri della penisola costituisce una certezza per i suoi interessi e una barriera allo sbarco dei predoni. Stipulerò un accordo con i banchieri veneziani, in cambio della concessione di qualche privilegio, per ottenere un finanziamento e formare un grosso contingente di mercenari, per estendere il dominio concesso a Teodoro”.
“Tuo fratello – dice la basilissa – è sostenuto da Martino V e non può esporsi per ingrandire il suo territorio a discapito dei signori protetti dagli Angioini e dai regnanti di Napoli. I loro cardinali sono potenti ed hanno acconsentito alla elezione di Martino per eliminare le separazioni ecclesiastiche e non per perdere il favore dei loro protettori. La sua consorte non ha ancora partorito un erede in casa Paleologo e un discendente dei Malatesta sul trono imperiale è soltanto una congettura priva di fondamento.
Tu hai dei fratelli molto giovani che possono aiutarti in città e in ogni nostro dominio. Costantino ha il tuo stesso carattere ed ama come te la caccia e l’addestramento alle armi. Si è dimostrato coraggioso nell’ultimo assalto dei Turchi ed è molto stimato da tuo padre. Chiamalo al tuo fianco e mettilo pure alla prova nelle azioni rischiose. Le sue confidenze mi lasciano presagire per lui un avvenire glorioso per la nostra famiglia. La sua fede è solida e il suo braccio è fermo nel brandire la spada contro i nemici di Costantinopoli. Nei giorni festivi chiedo al Patriarca di invocare per lui la protezione della Vergine Blachernissa”.
“Costantino è abile nell’uso delle armi - dice Giovanni - ed è capace di comandare uomini ben addestrati al combattimento. Durante il mio viaggio in Occidente affiderò a lui la difesa della città e metterò al suo fianco i miei generali più fidati. Il suo valore è stato apprezzato dai difensori dei baluardi terrestri e le sue doti militari sono riconosciute da tutti i guerrieri.
Mio fratello è un buon combattente e la sua preminenza sugli altri fratelli potrebbe ingenerare sentimenti di invidia e solleticare la malizia dei cortigiani. La tua premura potrà tenerlo lontano dagli intrighi dei funzionari che aspirano soltanto agli onori e agli incarichi lucrosi. Dovrai avere vista e udito acutissimi per conoscere e sventare qualsiasi trama ai suoi danni”.
“Costantino porta il nome di mio padre – dice Elena Dragas – e alla sua nascita ho eseguito sul suo capo il sacro segno della nostra fede. Il Patriarca lo ha unto con l’olio ed ha profetizzato: “Questo bambino è destinato ad una gloria perenne di tutto il nostro popolo”. Veglierò su mio figlio come una sentinella durante la tua assenza. La città sarà sicura con mio figlio, posto al comando dei mercenari, e con la lungimiranza di una basilissa.
Tu prepara il viaggio in Occidente, inviando alla corte di Sigismondo un uomo fidato che possa discutere i preliminari per una grande offensiva contro gli Ottomani e permettere l’ingrandimento del Despotato di Mistrà.
Ser Angelo Emo ti ha sempre consigliato più volte di servirti del suo segretario, il giovane Francesco Filelfo, capace di significare con la lingua degli antichi Romani i tuoi desideri al re dei Germani e degli Ungheresi. L’intermediario ha imparato le nostre usanze e i modi di esprimerle nella maniera più rispondente al diritto del nostro popolo.
Il re guerriero dell’Occidente sostiene le intenzioni del papa di contrastare il sultano ed è l’unico regnante in grado di combattere con determinazione Murad II. Il suo palazzo di Buda accoglie con interesse gli italiani eruditi nelle operazioni contabili e nella conoscenza delle opere scritte dagli antichi.
Filelfo è l’uomo giusto in grado di far capire a Sigismondo la nostra situazione e le nostre aspirazioni per il Peloponneso. La presenza di legati papali alla corte del re potrebbe servire a convincerli a sostenere le nostre richieste. Martino V può conoscere le nostre intenzioni attraverso i vescovi che accompagnano il sovrano dell’Ungheria.
I senatori della Repubblica di San Marco lo hanno inviato come segretario del bailo e sarebbero ben lieti del suo impiego come nostro ambasciatore per far aprire le porte delle città ai suoi mercanti. Sigismondo si è irritato per l’acquisizione della Dalmazia da parte dei Veneziani. L’intervento del nostro inviato potrebbe far riconoscere i diritti dei Veneziani nel Mediterraneo e le prerogative imperiali del basileus sui territori che appartenevano all’Impero romano d’Oriente. Tessalonica, Atene, Tebe, Corinto, Patrasso. Sparta e le altre città dell’antica Grecia dovranno essere restituite ai Paleologi”.
“Il territorio di Patrasso – dice Giovanni - è sotto la protezione del Leone di San Marco per conto del vescovo Zaccaria e potremmo suscitare le ire di coloro che devono aiutarci per liberare la città. La conquista delle baronie latine attireranno le ire dei loro alleati Ottomani. I senatori veneziani vorranno una contropartita e ti chiederanno di controllare il golfo di Corinto per impedire ai corsari di Murad II di consolidarsi sulle coste e attaccare le galee che riforniscono le nostre città dell’Egeo”.
“Fai conoscere le nostre intenzioni – dice la madre – a Ser Emo che informerà i governanti veneti. Le nostre rivendicazioni territoriali hanno un fondamento basato sulla forza delle armi e sulle richieste dei metropoliti che dipendono dal nostro Patriarca. Centurione Zaccaria ha poco da offrire a Venezia, chiamata a pacificare le contese territoriali. Il Serenissimo doge Mocenigo sosterrà le nostre richieste perché siamo in grado di opporci con fermezza ai pirati saraceni. I mercenari albanesi, assoldati dagli Zaccaria, fuggiranno al suono delle nostre tombe”.
“Seguirò il tuo consiglio – risponde il figlio – e coinvolgeremo i Veneziani per estendere il dominio del despotato di Mistrà e per proteggere con le nostre milizie il territorio dell’Istmo dove è in costruzione il muro voluto da mio padre. La raccolta dei denari per la sua edificazione potrà essere affidata a un banchiere della Serenissima. I nostri arconti locali potrebbero investire le loro monete e ottenere anche dei benefici dai loro prestiti per l’acquisto dei materiali e per il pagamento dei muratori provenienti dall’Epiro”.
“Ti conviene chiedere un parere al bailo – suggerisce Elena – prima di iniziare qualsiasi azione nel Nord della Morea che possa insospettire il sultano e provocare il risentimento dei suoi alleati dell’Occidente.
Francesco Filelfo ha svolto con abilità e discrezione l’incarico di portare un nostro plico segreto al Grande Comneno di Trebisonda. Ser Emo ha offerto alla nostra amministrazione l’uomo più rispondente alle nostre esigenze. Alessio si è impegnato per coalizzare in Asia Minore gli emiri turcomanni ostili agli Ottomani.
La migliore soluzione al problema dell’assedio è quella adottata da tuo padre, cioè rompere la forza degli Ottomani, appoggiando un pretendente al trono imperiale di Adrianopoli in grado di fomentare le divisioni tra i Principi. Questa azione è servita a far desistere Murad II dall’ultimo assedio alla città. Anche Tessalonica può essere liberata dalla morsa ottomana appoggiando le pretese dinastiche di Mustafà, fratello del sultano.
Il giovane ambasciatore italiano ha convinto con parole convincenti la famiglia dei Comneni ad agire per impedire lo strapotere ottomano in Anatolia. Ci conviene utilizzate ancora ser Filelfo per i regnati dell’Occidente. La sua capacità di intrattenersi con i cortigiani e le sue doti oratorie hanno destato meraviglia tra gli ospiti di Alessio e apprezzamento da parte della basilissa Teodora. Il latino esercita un grande fascino su chi lo ascolta ed è capace di intrattenersi piacevolmente in compagnia delle donne durante i conviti.
I signori dell’Occidente amano circondarsi di uomini dotti che narrano le storie dei Greci e dei Troiani. Le opere degli scrittori dell’antica Roma sono copiate e divulgate anche dai monasteri dei Latini per sciogliere i dubbi e per risolvere i problemi di coloro che gestiscono il potere. La bramosia di conoscere le glorie degli eroi e le leggi applicate dal Senato romano per i popoli conquistati si è radicata nelle famiglie nobili e nelle corti. Filelfo è venuto a studiare la nostra lingua e le nostre usanze per leggere le opere degli Ateniesi conservate nelle nostre biblioteche.
La corte di Sigismondo è piena di dotti italiani che sono ben lieti di fare amicizia con lui che conosce Costantinopoli e la corte del basileus. Gli Ungheresi sono legati al papa e invitano nelle loro dimore più ricche chi conosce le opere di Virgilio e di Cicerone. Abbiamo l’uomo giusto da inviare a Buda.
La sua erudizione è vasta e profonda e può essere utile ai signori che circondano Sigismondo. La sua conoscenza precisa del Libro di Maometto attirava l’attenzione dei Turchi invitati ai conviti dei Comneni. È un uomo pieno di garbo nel trattare argomenti delicati e potrebbe essere inviato anche come ambasciatore presso il sultano.
Invita alla tua mensa l’uomo che può preparare il tuo viaggio in Occidente, mostragli la tua casa e fallo partecipe dei tuoi progetti. Accoglilo con premura e cordialità. Riempilo di doni. Presentalo ai i tuoi amici più fidati e scegli coloro che lo accompagneranno alla corte di Sigismondo”.
Farò come tu dici – esclama Giovanni - ed oggi stesso inviterò il bailo veneziano per un accordo sull’impiego di Francesco Filelfo. Il viaggio dovrà essere preparato con cura ed occorrerà molto oro”.
“Il Papa dovrà essere informato con una lettera – dice la basilissa - in merito alle tue intenzioni di preparare una coalizione contro gli Ottomani, manifestando il tuo desiderio di un Concilio per risolvere le questioni ecclesiastiche. I vescovi di Buda ti accoglieranno con benevolenza, sapendo delle tue buone relazioni con Martino V. Il nostro ambasciatore conquisterà anche le loro simpatie per invogliare il re ad ascoltare le tue proposte.
I grandi ecclesiastici latini, chiamati dal Patriarca di Roma come suoi ambasciatori presso i regnanti, provengono dai grandi monasteri e sono eruditi come Filelfo. Tra di loro si instaurano grandi intese per la comune passione dei testi antichi. Le opere di Aristotele e Platone sono oggetto di scambio e di discussioni per rintracciare le analogie con le scritture dei Padri della Chiesa.
Una nuova umanità è auspicata con la proclamazione e la diffusione del pensiero degli antichi Greci. Tra i Latini e i Romani si fanno sempre più stretti i legami culturali e i popoli si riconoscono nel segno del Figlio della Vergine".

lunedì 20 luglio 2009

MERCANTI VENEZIANI A COSTANTINOPOLI Cap. XVIII


I banchieri delle Blacherne

La strada che porta alla reggia delle Blacherne è fiancheggiata da portici e palazzi fino alla grande piazza dell’omonimo quartiere, dove sono dislocati gli uffici degli amministratori del basileus. La vicinanza della sede dell’imperatore conferisce importanza e prestigio al rione che è diventato il centro economico in cui si decide la vita stessa della città e dei suoi abitanti.
I mercanti si alternano nei cortili e nelle grandi sale delle dimore lussuose dei banchieri veneziani che investono nelle mercanzie orientali. I loro notai e scrivani riempiono i libri contabili del dare e dell’avere per annotare tutti i trasferimenti di denaro necessari per le imprese commerciali. I forzieri custoditi nelle stanze segrete sono pieni di oro e argento a disposizione di coloro che sanno farli fruttare, offrendo come garanzia il possesso di immobili nella città o di titoli nobiliari riconosciuti dalla Repubblica di San Marco.
Anche la rendita percentuale dei denari, affidati alle nuove istituzioni che controllano la circolazione monetaria, è una certezza di guadagno per gli aristocratici che hanno perso i propri possedimenti terrieri con l’avanzata dei Turchi e si sono rifugiati nella città del basileus. I loro gioielli di famiglia vengono lasciati in pegno per ottenere un credito necessario a mantenere un certo decoro familiare o per essere investiti nell’acquisto di qualche magazzino vicino al porto che possa dare una buona rendita edilizia. Alcuni residenti più coraggiosi provano a utilizzare i denari, ottenuti dai banchi, nelle piccole manifatture non soggette ai monopoli imperiali.
Gli uomini che conoscono il greco e le lingue degli altri popoli vengono utilizzati come intermediari nell’attività dei banchi. Il loro compito è quello di facilitare il compito dei notai che devono redigere gli atti necessari al cambio delle valute o al riconoscimento delle carte di credito redatte da mercanti di città lontane.
Il commercio con l’Oriente è protetto dai trattati che Venezia e Genova hanno stipulato con i principi delle città costiere dell’Asia Minore e con i signori che controllano le vie carovaniere dirette ad Est o agli scali marittimi arabi di Ormuz a cui approdano le navi provenienti dall’India.
Tutti a Costantinopoli si sentono sicuri e garantiti dalle famiglie veneziane che sostengono con i loro prestiti l’amministrazione della città. La famiglia dell’autarca da molti anni si mantiene con la fiducia accordata dal Senato della Repubblica di San Marco per mezzo di ingenti versamenti nelle casse del Grande Logoteta che controlla tutti gli uffici imperiali. Il governatore della colonia dei Veneziani, ser Angelo Emo, rappresenta la volontà della Serenissima e la esprime con la sua presenza e la vicinanza ai governanti dell’impero.
Gli uomini d’affari, mercanti attempati che hanno accumulato ingenti fortune con le spezie, preferiscono gestire, stando nei loro palazzi, i denari propri e quelli degli altri con l’apertura di edifici in cui operano con contabili e scrivani. La loro attività principale è quella di finanziare privatamente il noleggio, l’armamento delle navi e le compagnie d’impresa per il commercio. I cortili interni delle loro case hanno porticati che permettono di allineare al coperto i banchi degli uomini adibiti a ricevere qualsiasi pegno o moneta d’oro straniera in cambio di monete d’argento.
La moneta in argento è utilizzata per gli acquisti all’ingrosso della mercanzia custodita nei magazzini o per le compravendite dei popolani benestanti ai mercati fuori le mura, lungo le rive del Corno d’oro. I denari veneziani con l’effigie del Leone alato di San Marco riempiono di orgoglio i piccoli commercianti locali che si recano al mercato per gli acquisti e fanno gioire i venditori di lingua greca che abitano nelle città che si affacciano sul mare tra il Bosforo e i Dardanelli o nelle isole dell’Egeo.
Ser Francesco, ricco mercante residente da molti anni nella città di Costantino, controlla attraverso la porta del suo ufficio la sala dei notai. I contabili sono intenti a ricevere i clienti che portano piccole casse piene di monete e le depongono sui tavoli. Gli esperti dell’oro e dell’argento pesano e osservano con scrupolo tutti i pezzi di metallo coniati dalle zecche per trascrivere sui libri il loro valore in ducati d’oro o iperperi con l’effigie del basileus.
Il signore dei banchi, già esperto nel trarre il giusto guadagno nella compravendita delle spezie, delle stoffe e di tutti i materie prime ricercate dai Latini, considerano le monete d’oro e d’argento, utilizzate nell’acquisizione dei beni, come una merce perché da esse riescono ad ottenere delle percentuali di profitto che superano anche il venti per cento.
La Repubblica di Venezia utilizza il mercato di Costantinopoli come centro del commercio tra l’Est e l’Ovest e acquisisce il monopolio di tutto il flusso monetario per l’acquisto dei prodotti naturali e manifatturieri.
I mercanti acquistano le merci con i denari dei banchieri e questi stipano grossi quantitativi di metalli preziosi con le monete che le compravendite portano nelle loro casse. Ogni prodotto ha un valore in un determinato luogo e viene acquistato con i soldi messi a disposizione dai governanti. Le singole regioni hanno bisogno di determinati beni a cui conferiscono un particolare valore a seconda della loro posizione geografica.
Alcuni popoli hanno troppo grano perché hanno acqua e irraggiamento solare favorevole alla crescita del frumento. Altri hanno tanta lana perché la natura dona pascoli erbosi indispensabili per l’allevamento degli animali. Coloro che vivono nelle zone aride o montuose hanno bisogno della lana per trasformarla in indumenti caldi. I popoli del Nord hanno tante foreste e possono cacciare per ottenere le pellicce necessarie a chi deve coprirsi durante gli inverni rigidi. Ogni uomo ha le sue esigenze e conferisce importanza a ciò che è indispensabile per la vita di tutti i giorni.
Il Senato della Serenissima conosce, attraverso la fitta rete dei suoi informatori commerciali, ciò che avviene in qualsiasi territorio secondo gli eventi naturali e secondo i fatti politici. Le carestie legate agli eventi naturali e alle guerre civili si alternano alla caduta di re e al sorgere di nuove signorie.
I generi alimentari, le materie prime e le monete sono soggetti ai cambiamenti climatici e alle variazioni politiche delle singole società. Le oscillazioni dei prezzi, dei fatti naturali e politici si traducono in cambiamenti dei rapporti tra i valori dell’oro e dell’argento.
Gli aristocratici del governo veneziano riescono a gestire con lungimiranza il flusso delle loro monete ricavando ogni anno degli utili, sulle entrate e sulle uscite dei ducati d’oro e d’argento, che oscillano tra il trenta e il quaranta per cento. L’argento, in forma di moneta o lingotto, esce dalle casse dell’amministrazione veneziana già con la sua potenziale percentuale di guadagno perché è diretto ai porti o mercati dove i denari in quel metallo riempiono le tasche del popolo. I loro governati sono disposti a cederlo in abbondanza, per ottenere ciò di cui hanno bisogno. I mercanti veneziani portano la merce nei luoghi in cui possono ottenere le percentuali più alte di guadagno.
I popoli dell’Occidente ricavano grossi quantitativi d’argento dalle loro miniere per tramutarli in moneta necessaria per importare i generi necessari alla vita e le materie prime per le manifatture. I mercanti raccolgono le monete in argento in cambio di prodotti o di monete in oro coniate con l’effigie di San Marco. I regnanti sono lieti di riempire i loro forzieri con le monete in oro che possono essere fuse per ricavare il metallo prezioso. La valutazione diversa del rapporto tra l’oro e l’argento permette di guadagnare sulla merce venduta e sul metallo delle monete che vengono portate alla fusione e tramutate in ducati d’argento.
I Veneziani vivono in una laguna dove il flusso e il riflusso delle maree permettono alla loro città di ricevere e di far partire le navi cariche di merci. L’osservazione delle oscillazioni delle onde è oggetto di studio da parte dei dotti della natura e le loro deduzioni vengono trasformate in piani di progresso economico e ricchezza per coloro che sanno adeguare il commercio agli avvenimenti fisici e sociali.
Il Mediterraneo è il mare con cui ogni anno il doge celebra lo sposalizio per indicare a tutti i popoli il dominio marittimo di Venezia. I suoi mercanti sanno sfruttare il flusso e il riflusso dei bisogni e delle ricchezze dei popoli con cui si intessano relazioni commerciali. Se ad Ovest c’è tanto argento e i popoli necessitano di spezie, seterie cinesi e pietre dell’India, le navi arrivano cariche di merci e ripartono cariche d’argento e di legname ricercati dai popoli dell’Africa e dell’Asia che dispongono di molto oro.
I Mongoli di Gengis khan e di Tamerlano, con le loro conquiste e distruzioni di città, rinomate per i loro palazzi pieni di oggetti preziosi, hanno accumulato ingenti quantitativi d’oro. I loro governanti scambiano a gran dovizia l’argento necessario per la coniazione delle loro monete, le manifatture militari e le diverse esigenze di vita sociale.
La Serenissima fa pervenire ai popoli e ai governanti dell’Oriente l’argento e i manufatti di lana prodotti in Occidente. Ciò che è in abbondanza in un luogo è trasportato con le navi veneziane nei porti dove è maggiormente ricercato per le necessità delle città dell’entroterra.
Il denaro in argento dei Latini è ricercato dai mercanti veneziani che lo scambiano con le merci e ducati d’oro, ottenendo una doppia percentuale di utile.
Le galee portano merci e uomini fidati del Senato di San Marco che notificano tutto ciò che accade nei più remoti angoli della Terra. I funzionari veneziani fanno pervenire al Maggior Consiglio tutte le informazioni che permettono ai loro governanti di formulare previsioni e ordini che si traducono in politiche commerciali e in protezione di tutti i convogli navali e di tutte le carovane. I signori delle città portuali e delle regioni interne facilitano il passaggio delle merci perché sottoscrivono contratti con cui ottengono il pagamento delle imposte di passaggio e ricchi doni da parte del Serenissimo doge.
L’attività dei banchieri è quella di far fruttare il denaro, ricevuto o prestato, in tutti gli affari pubblici e privati, intessendo in tutte le piazze commerciali, una fitta rete di amici, mercanti, banchieri e commissionari. I corrieri postali portano qualsiasi notizia che possa agevolare la concessione dei crediti o il trasferimento delle somme nei luoghi più redditizi.
Il mezzo bancario più richiesto da coloro che si trasferiscono da un mercato all’altro è la lettera di cambio. Un semplice pezzo di carta o di pergamena, avente le annotazioni e i sigilli di colui che presta il denaro, permette di ottenere le somme pattuite nel luogo giusto all’affare e nel momento più propizio per ottenere il maggior utile possibile nelle compravendite. Il mercante può ottenere una cambiale versando prima della partenza una certa somma e sottoponendosi a determinate condizioni. I suoi viaggi sono esenti dal rischio di perdere la propria ricchezza che, in caso di naufragio o di abbordaggio dei pirati, rimane a disposizione della propria famiglia.
“Ti vedo da alcuni giorni assorta nei tuoi pensieri – dice ser Francesco, rivolgendosi a sua figlia sedicenne, seduta vicino alla finestra – e i nostri clienti non vedono il tuo sorriso”.
“Sono preoccupata – risponde Maria – perché sono giunte due galee dalla Tana e non ho ricevuto nessuna lettera da parte di Lorenzo, mio promesso sposo”.
“Ho rimandato di un anno – afferma il padre – il giorno del tuo matrimonio perché il padre del tuo amato, ser Antonio, banchiere anche lui come me, ha voluto inviarlo, insieme a un suo commissionario, a far pratica di commercio alle foci del fiume Tanais. La filiale della Tana, diretta da mio fratello Giacomo, è ben avviata e tramuta in denari sonanti le nostre cambiali per tutti i nostri clienti. Le popolazioni locali, sotto il governo del Khan mongolo, producono pellicce e offrono, in cambio dei nostri ducati d’oro, dei giovani forti per gli emirati dell’Asia Minore e l’esercito del sultano dei Mamelucchi.
“I mercanti del Ponto Eusino – sostiene la fanciulla – riferiscono ai nostri contabili che i pirati ottomani assalgono tutte le navi per impadronirsi delle merci e rendere schiavi gli uomini per venderli al mercato”.
“Non angustiarti – risponde il genitore – i mercanti veneziani sanno combattere e difendere con valore i rematori. Lorenzo è anche un ottimo balestriere e ben presto ritornerà con una galea carica di merce. Il suo credito
“L’anima di una donna – sostiene Maria con i suoi occhi neri e umidi per l’ansia – soffre nell’attesa che l’amato possa mantenere le promesse fatte”.
“Un giovane mercante – risponde il banchiere – prima del suo matrimonio deve consolidare la sua posizione economica per poter onorare il suo pegno d’amore”.
“ Ser Antonio – dice la giovane – è molto ricco e i suoi fratelli posseggono banchi e palazzi lungo il Canal Grande di Venezia. Il figlio unico di un patrizio non ha bisogno di dar prova di possedere grandi capacità nelle transazioni commerciali perché rischia la sua vita e compromette la trasmissione dell’eredità paterna”.
“Le tue parole – dice il padre – sono sagge ma un veneziano deve saper rischiare per salire i gradini del governo della Serenissima. La nostra prosperità si basa su tradizioni di famiglia. Il mare è favorevole a chi sa avventurarsi con fedeltà per qualsiasi impresa. Il profitto è sempre legato al rischio che va ponderato soprattutto da chi è giovane per acquisire esperienza e sicurezza nelle transazioni commerciali, indispensabili per l’attività del nostro banco”.
“Tu parli il linguaggio della ragione – dice Maria – e dimentichi gli anni in cui, balestriere sulle galee veneziane, ti tormentavi al pensiero di stare lontano da mia madre”.
“La chiave del mio cuore – risponde il genitore emozionato – è nei tuoi sguardi e sulle tue labbra che mi ricordano gli anni più belli della mia vita, quando, con un gruzzolo di ducati d’argento, percorrevo le rotte marine della Romania, sognando di diventare ricco e acquistare una casa sul Canal Grande dove vivere insieme alla mia promessa”.
Davanti all’ufficio del banchiere si presenta, accompagnato da un notaio della sala, l’arconte Xrusantros, gestore della Zecca del basileus.
“Spero di non interrompere la tua conversazione – esclama sulla soglia della porta il banchiere greco – e di gioire nel vederti in buona salute”.
“Sei sempre il benvenuto nella mia casa – risponde ser Francesco – e le tue parole presagiscono sempre un futuro foriero di ricchezza e di prosperità. Ti presento mia figlia, promessa sposa a ser Lorenzo di ser Antonio”.
“Sono onorato di fare la tua conoscenza – esclama l’aristocratico - e di essere amico del padre di Lorenzo”.
“Mia figlia mi aiuta nel lavoro del banco – dice il padre – e mi è preziosa nelle transazioni con i mercanti arabi per aver imparato, nella casa della sua nutrice, il linguaggio del Profeta Maometto”.
“Soltanto a Costantinopoli – sostiene il banchiere greco – il commercio consente di far crescere i nostri figli in armonia e nel rispetto delle tradizioni delle diverse famiglie che riconoscono l’autorità del nostro imperatore. Nell’Asia Minore il culto alla Vergine Maria è rispettato da tutti quelli che vogliono vivere in pace secondo la Parola di suo Figlio. Gli emiri e il popolo del Profeta rispettano i luoghi sacri fondati dai discepoli del Maestro della Santa Sapienza”.
“Il nostro mondo – afferma ser Francesco – non è più come prima. La potenza degli Ottomani e le distruzioni di Tamerlano hanno rotto gli antichi equilibri. Le rotte commerciali sono disturbate dai pirati e le carovane sono assalite dai predoni. Il Senato dei Veneziani cerca di mantenersi neutrale nei confronti del sultano ottomano di Adrianopoli che mira a estendere il suo dominio sui territori dei principi latini e a sostituire i governanti degli emirati con i suoi pascià. I guerrieri turchi assalgono le città dell’Occidente e distruggono i sacri luoghi dei popoli conquistati. Il papa Martino si rivolge al Serenissimo Principe e chiede che vengano inviate galee in soccorso del basileus”.
“Bisogna ostacolare – afferma il banchiere greco – la supremazia militare degli Ottomani e cercare il male minore favorendo l’ascesa dei loro principi che rispettano il governo del nostro imperatore e dei suoi familiari. Il fratello minore del sultano, l’emiro Mustafà, è attualmente ospite del nostro coimperatore Giovanni VIII. Il giovane principe turco potrebbe bilanciare lo strapotere del primogenito e frenare l’irruenza dei suoi miliziani”.
“Murad II possiede un grande esercito – risponde il veneziano – e dispone delle ricchezze accumulate con la conquista dei Balcani e delle coste orientali del Ponto Eusino. Il sultano lascia vivere alcuni aristocratici greci e slavi per garantirsi le loro rendite agrarie e fondiarie. La sua benevolenza nei confronti dei vinti permette il regolare flusso delle tasse nell’erario ottomano. La vita in cambio della fedeltà al nuovo padrone”.
“Il potere di chi comanda gli Ottomani – dice Xrusantros – non è riconosciuto da tutti i musulmani. La loro guida spirituale è il califfo che appartiene alla tribù del Profeta ed è ospitato dal sultano d’Egitto, dopo la distruzione di Bagdad da parte dei Mongoli di Gengis Khan.
Il signore dei guerrieri mamelucchi controlla il commercio del Levante e quello che passa attraverso il Mar Rosso. I porti della Siria e dell’Africa, che ricevono gran parte delle merci orientali provenienti dall’India, gli forniscono immense ricchezze. Al Cairo sono custoditi immensi forzieri pieni di lingotti e di grossi d’argento portati dai mercanti veneziani in cambio di spezie.
Le signorie dell’Occidente mandano i loro ambasciatori alla corte del sultano d’Egitto e ricchi doni al califfo abbaside per ottenere un’alleanza contro il dilagare dell’esercito ottomano che minaccia gli emirati siriani”.
“Il bailo – afferma ser Francesco – mi ha confidato che il signore di Trebisonda ha ricevuto ingenti quantitativi d’argento per organizzare in Asia Minore una coalizione di emiri a sostegno del giovane Mustafà, per aiutarlo a detronizzare il fratello Murad II. Il Principe dimostra coraggio ed ha grandi doti per comandare un esercito. Per sostenerlo occorrono oro e argento da parte di finanziatori, disposti a impegnare i propri denari in cambio di benefici commerciali o di cariche pubbliche”.
“I miei clienti, mercanti arabi e turchi della città – dice il greco – sono d’accordo per il versamento nel mio banco di seicento sacchetti di iperperi che io posso cambiare con ducati d’oro e con grossi d’argento veneziani. Il tasso di cambio è favorevole in questo momento per tutti e due. Ho già approntato un adeguato numero di lettere di cambio per i banchieri di Trebisonda e di Tabriz. I mercanti hanno bisogno di avere monete sonanti per comprare spezie e pietre preziose. Gli uomini abili al combattimento chiedono in anticipo monete d’argento per le loro famiglie e per il loro equipaggiamento da guerra”.
“Il tuo imperatore – sostiene ser Francesco – non nasconde le sue simpatie per l’ascesa di Mustafà al sultanato ottomano. Giovanni VIII è giovane e spera di ottenere i Balcani con l’aiuto dell’amico turco, appoggiato dagli emiri dell’Asia Minore. Suo padre Manuele II ha posto tutto il futuro nelle sue mani e spera che possa arginare l’avanzata ottomana creando dispute e rivalità tra i fratelli della famiglia imperiale ottomana.
Il giovane pretendente è uscito dalla corte di Adrianopoli ed è stato inviato dalla sua tribù per apprendere l’arte del governo in un piccolo territorio. I suoi consiglieri gli sussurrano che è già pronto per sostituire il fratello maggiore e può fare promesse di benefici a tutti coloro che lo sostengono.
Murad II ha già sconfitto suo zio che voleva spodestarlo ed ora gli emiri dell’Anatolia hanno eletto un giovane senza barba quale loro capo per governare tutte le tribù turche.
Il vecchio pretendente disponeva di ingenti fortune e autorità tribale. Il suo clan aveva prestigio a Brussa, sede del fondatore degli Ottomani, e poteva contare su molti simpatizzanti dei fratelli del sultano Maometo I, favorevoli alla conquista dei Balcani e delle sponde occidentali del Ponto Eusino.
Il comandante della flotta veneziana ha già inflitto una sconfitta alle navi turche vicino Gallipoli ed ha imposto il rispetto del Leone di San Marco che sventola sulle galee della Romania e del Levante. Venezia non vuole impegnarsi in altre avventure per rispettare le clausole di pace e mantenere le fortezze costiere lungo le coste del Peloponneso.
L’appoggio al giovane turco deve essere finanziato soltanto in autonomia e libertà senza coinvolgere i funzionari della Serenissima Repubblica. Il bailo non ci può sostenere ufficialmente. Il rischio è grande, la posta in gioco è alta e i tassi di sconto sono bassi. Molti mercanti ci hanno rimesso con l’assedio dell’estate scorsa e ora non vogliono perdere il loro pegno per preparare una nuova guerra di successione al sultanato in cui Venezia si mantiene neutrale. Le promesse del giovane turco non bastano. I depositi e i prestiti bancari devono essere garantiti dalla concessione governativa di un monopolio sulla raccolta delle gabelle o anche l’esclusiva per il conio delle monete con l’effigie del basileus.
Il coimperatore prevede di estendere il suo impero, il giovane ottomano di ascendere al sultanato ma il banchiere deve poter aumentare le sue entrate per far fronte ai tassi di interesse richiesti dai depositari. L’erario dei Paleologi, depositato nei forzieri dei banchi della città, è per noi una garanzia sicura per qualsiasi investimento o prestito”.
“Le nostre mire coincidono – afferma Xrusantros – e possiamo trovare un accordo. Il tuo banco mi fornisce i ducati in oro e i lingotti d’argento per coniare gli iperperi con l’immagine del nostro imperatore, necessari al pagamento delle milizie mercenarie e all’approvvigionamento del grano proveniente dal porto della Tana. Il Gran logoteta farà versare nelle tue casse le gabelle per il commercio stabilite per i mercanti stranieri. I tassi di cambio e la caratura delle monete della Zecca imperiale li stabiliremo secondo il momento più favorevole ai nostri intendimenti”.
“Nella prossima riunione dei consiglio del bailo – dice ser Francesco – manifesterò la tua proposta. Sono certo che il governatore della colonia dei Veneziani non vuole immischiarsi nelle faccende che riguardano il principe turco Mustafà che aspira a scalzare il fratello maggiore dal trono.
Il desiderio del coimperatore Giovanni di frenare la prepotenza di Murad II, opponendogli un giovinetto che si fida dei consiglieri della sua tribù, pronti a tradirlo alla prima occasione e a passare dalla parte del fratello in cambio della loro salvezza, non convince ser Benedetto Emo.
La Serenissima non vuole compromettere la sua libertà di percorrere le rotte marine lungo le coste occupate dai Turchi. Il Senato ha inviato i suoi corrieri a tutti i responsabili delle colonie e ha imposto di non utilizzare il vessillo con Leone alato di San Marco sulle galee noleggiate dai cospiratori, per non compromettere la pace con il governo ottomano.
Il sultano è interessato a vendicarsi soltanto contro i Paleologi.
Il basileus ha la facoltà di intraprendere le azioni più idonee a raggiungere il suo scopo. Poiché non dispone di un esercito da mettere in campo, cerca di allearsi con un membro della famiglia imperiale ottomana, per distogliere il l’imperatore turco dal suo intento di impadronirsi di Tessalonica e di invadere il Peloponneso”.
“Gli affari dei privati – sostiene il banchiere greco – non hanno l’ufficialità delle azioni dei governanti che devono mantenere il potere sul popolo. Il commercio e il flusso dei denari interessano ugualmente gli schieramenti contrapposti. L’oro e l’argento non hanno nemici ma tutti li vogliono da chi li possiede o con la prepotenza della spada o in cambio di pegni e di donazioni lusinghiere, trascritte su atti notarili.
Nella nostra città esiste la legge garantita dal basileus che la fa rispettare e condanna con pene severe coloro che la infrangono. Le percentuali di interesse per i contraenti delle transazioni commerciali, anche se sono stabilite dalle norme imperiali, lasciano a noi banchieri un largo margine di libertà nella comprensione dei rischi e dei servizi di intermediazione.
La disponibilità delle monete per gli affari nei vari mercati permettono ad alcuni di guadagnare sulle compravendite e a noi di trarre il giusto utile dai denari offerti nel momento giusto a chi li chiede per i suoi bisogni.
Gli iperperi d’oro sono fatti coniare dal coimperatore per pagare i suoi soldati. L’uso della moneta imperiale è imposto nel pagamento delle tasse governative e nel commercio interno alla città. Le monete straniere, non autorizzate dalle bolle imperiali, devono essere cambiate nei nostri banchi.
Ai mercanti turchi che si rivolgono ai nostri cambiavalute non viene chiesto la provenienza o la destinazione del denaro. Ci sono famiglie provenienti dai territori governati da emiri favorevoli al rovesciamento del sultanato di Murad II e fautori di Mustafà, aspirante al trono ottomano, che promette un futuro di pace e di benessere per tutti.
Il crogiuolo della Zecca fonde tutte le diverse monete per coniare soltanto quella con l’immagine del basileus. La percentuale di oro della lega metallica dell’iperpero viene stabilita dall’autarca per far fronte alle esigenze belliche del momento. La circolazione monetaria è resa difficile dall’assedio e il valore del denaro cresce, apportando utili apprezzabili per i nostri contabili e per coloro che investono nella compravendita dei magazzini vicino ai porti del Corno d’Oro.
Le conquiste ottomane hanno accumulato l’oro nell’erario del sultano che lo distribuisce ai suoi fedeli pascià. I nuovi signori fanno sfoggio di ricchezza e vogliono superare in magnificenza le dimore dei vecchi arconti greci. I loro amministratori si rivolgono ai nostri banchi per depositare il bottino in monete d’oro e chiedere dei prestiti per le loro corti in attesa di ulteriori conquiste. I contabili ricevono le monete di tutti i regni e offrono carte di cambio riscuotibili in ogni luogo e per qualsiasi esigenza. Noi riceviamo l’oro anche dai mercanti ottomani, pur sapendo che è bottino di risulta delle conquiste del sultano. Murad II si rivolge a loro per mantenere il suo esercito e paga con le monete dei popoli conquistati. Il diritto di togliere al vinto quello che gli appartiene è una consuetudine che nasce dalla prepotenza del guerriero più forte che uccide l’avversario o lo rende schiavo per farlo vendere dai suoi seguaci”.
“Il nostro compito – sostiene ser Francesco – è quello di seguire con cura il flusso del denaro che entra ed esce da Costantinopoli. Le leggi imperiali sui tassi di sconto e di interesse sono per noi le regole di comportamento e tutti i passaggi di proprietà del denaro sono trascritti da notai riconosciuti dall’Amministrazione imperiale.
La correttezza dei nostri contabili e la giusta tenuta dei loro libri sono garanzia per i creditori di avere quello che hanno versato con l’aggiunta degli interessi. I mercanti sono sicuri di trovare sul mercato, dopo un lungo viaggio e innumerevoli rischi e pericoli , un rappresentante del banco che mette a disposizione la somma pattuita e accreditata alla partenza.
La stabilità di un governo si basa sulla nostra solidità e serietà di corrispondere ad ognuno quello che è pattuito e di garantire con la forza della legge l’osservanza delle regole condivise dal popolo e sostenute dai suoi maggiorenti.
La Serenissima Repubblica con le deliberazioni dei suoi senatori guida con la sua lungimiranza l’azione dei suoi governatori in tutte le colonie di mercanti e favorisce la loro residenza nei luoghi di maggiore possibilità di scambio commerciale. La loro attività è garantita dai trattati dei sovrani che sanno mantenere le promesse con il loro sigillo d’oro.
Il basileus è riconosciuto in Oriente e in Occidente. La legge da lui garantita è universale e vale sempre in ogni epoca. Venezia la rappresenta e mantiene, con il vessillo del Leone di San Marco, il diritto romano della libertà a percorrere tutte le rotte marine e le vie delle carovane per lo scambio delle merci, frutto della natura, del lavoro e dell’ingegno del suo popolo. La sua moneta è riconosciuta e preferita per la sua massima caratura in ogni angolo della terra. Ogni porta si apre ai mercanti veneziani che sanno offrire i prodotti che ogni uomo, ricco o povero, desidera per vivere e per manifestare con vesti e ornamenti appropriati il suo posto nella società.
Costantinopoli è l’unica città che custodisce il diritto di Roma. La validità della sua legge si basa sul riconoscimento del progetto che la Divina Sapienza ha proclamato per gli uomini che vogliono percorrere la vera via della vita”.
“Il governo presieduto dal doge Mocenigo – afferma Xrusantros – proclama il suo sostegno al coimperatore e nello stesso tempo si dichiara neutrale nella contesa tra il sultano e il basileus. Murad II ha un esercito di uomini che mirano ad arricchirsi con il saccheggio delle città e denari per mantenerlo. Le milizie che difendono le mura della nostra città sono mercenari provenienti da popoli che parlano lingue diverse. Il loro scopo è mettere da parte un gruzzolo di denari e ritornare nel loro paese di origine.
La soluzione ottimale sarebbe quella di costituire un esercito come quello del sultano d’Egitto che è riuscito a sconfiggere i guerrieri mongoli di Tamerlano con un esercito di uomini del Nord comprati alla foce del fiume Tanais dove è stata costruita una colonia veneziana. Si tratta di uomini della Circassia, fatti prigionieri nelle scorribande dei Mongoli e venduti nei porti della Krimea. Alcuni dicono che sono prigionieri appartenenti a tribù turche che si sono stanziate nel Caucaso durante l’invasione di Grengis Khan. I mercanti ottengono buoni guadagni con il loro trasporto a Tabriz e alle città della Siria governata dal Signore del Nilo”.
“Il coimperatore Giovanni – dice ser Francesco – vuole mercenari addestrati all’uso della balestra e alle macchine che lanciano pietre per colpire gli assedianti oltre le mura. I signori dell’Occidente spendono tutte le loro sostanze per accaparrasi i mercenari più valenti e difendere i loro possedimenti.
L’autarca preferisce rivolgersi al papa per invogliare le signorie latine a offrire le loro milizie per difendere la città in cambio della proclamazione del primato del Patriarca di Roma e la promessa di titoli nobiliari alle famiglie nobili per governare le terre dell’Impero romano d’Oriente che ora sono sotto il dominio degli Ottomani.
La soluzione dei Paleologi non sembra per il momento realizzabile per l’ostilità degli arconti favorevoli a un compromesso con il sultano. Le sottomissioni all’autorità religiosa fatte dal basileus Michele VIII Paleologo e da altri imperatori non hanno cambiato la mentalità dei popolani guidati dai prelati e monaci antiunionisti.
Martino V, eletto successore dell’apostolo Pietro per eliminare le divisioni che si sono create tra i credenti, è favorevole a un Concilio per ascoltare la voce di tutti i vescovi. Il suo amore paterno per i credenti dell’Oriente non trova accoglimento favorevole tra i sovrani europei, impegnati in scaramucce locali per questioni di confine e di avvicendamento dinastico delle corti regali.
I banchieri lombardi e toscani rischiano continuamente i loro crediti per il sostegno dei pretendenti locali che non mantengono le promesse e non onorano i contratti notarili. Il Serenissimo Principe Mocenigo consiglia sempre ai Pregati del Senato di volgere l’attenzione ai traffici marittimi e di non interessarsi delle beghe territoriali dei nobili che disperdono le loro ricchezze, facendo fallire i mercanti che prestano il loro denaro.
La situazione qui è diversa perché la città è centro di commerci e la sua difesa è indispensabile per mantenere la legge dei naviganti, salvaguardata dall’autorità del basileus. I prestiti alla casa imperiale sono finalizzati al mantenimento del grande emporio, punto di riferimento di tutti i mercanti del Mediterraneo.
L’esistenza di Costantinopli è ormai legata ai suoi magazzini e alla possibilità offerta dalle Repubbliche marinare dei Latini di mantenere libero l’approdo delle navi ai suoi porti. Il centro del nostro mondo economico è qui, nella città della Santa Sapienza. I potenti dell’Occidente da più di mille anni guardano l’Oriente pieni di speranza per il loro futuro.
Il sultano ottomano vuole impadronirsi della città per diventare il nuovo signore dei traffici e il padrone di tutte le ricchezze della Terra. Il suo desiderio di imporre una nuova legge ai mercanti è avvertito come una tragedia per i governanti della Serenissima che perderebbero la disponibilità delle rotte marittime. I senatori veneziani sono disposti a mettere in gioco tutto l’oro e l’argento accumulato nei loro forzieri”.
“Sono d’accordo con te – esclama il greco – ed occorre finanziare il giovane Mustafà senza compromettere le concessioni ottomane al commercio veneziano. Si tratta di frantumare la compattezza dell’esercito nemico con la creazione di fazioni antagoniste a Murad II, per distoglierlo dal suo proposito egemonico. È un problema di denari e noi li abbiamo per investirli con sicurezza, avendo alle nostre spalle lo stesso imperatore.
Il governatore della colonia veneziana non estende la sua giurisdizione negli affari privati e acconsente tacitamente che i banchieri possano emettere cambiali anche a favore dei principi ottomani.
Il credito serve per acquistare le merci dei nostri mercanti in qualsiasi porto o città senza destare sospetti di compromissione negli affari dei regnanti. I denari vengono utilizzati per compravendita di generi di largo consumo che possono essere trasformati dagli utilizzatori in oggetti per usi pacifici o per gli armamenti.
A noi interessa che il denaro prestato ai ricchi possa fruttare un lauto guadagno quando ritornerà sui nostri banchi. Io, Xrusantos, ho ottenuto il beneficio della Zeccca del basileus, dopo aver versato all’erario tre casse piene di monete d’oro provenienti dalle città dell’Asia conquistate dall’esercito di Tamerlano e governate dal Khan di Herat. Il Gran Logoteta le ha fatto fondere per pagare le milizie che difendono la nostra città.
Ho a disposizione un periodo breve di tempo per far rientrare nel mio banco l’oro che ho offerto all’Amministrazione imperiale. I mercanti del Ponto Eusino ottengono i prestiti nei miei banchi di Caffa e di Tana per noleggiare le navi, caricarle di uomini e donne, ceduti dai mercanti delle tribù del Nord, e farle approdare a Trebisonda.
Il commercio dei giovani tartari o circassi rende ai miei clienti che sanno offrire un buon prodotto naturale. Il loro vanto è quello di saper offrire, ai figli delle popolazioni impoverite dalle razzie, la possibilità di elevare le loro condizioni di vita. Gli uomini intelligenti servono nei palazzi e nelle dimore per controllare le economie dei nobili, impegnati nelle corti dei sovrani. I più forti saranno utilizzati nelle aziende agricole per far fruttare i terreni dei grandi proprietari. Le fanciulle più belle sono al servizio personale delle signore per ornare le loro dimore ed allietare con i loro canti le serate dei loro padroni. Le giovani meno appariscenti possono avere fortuna con impieghi di responsabilità nel governo domestico dei loro signori.
Non riesco a capire la chiusura mentale dei signori dell’Occidente che non aprono i loro mercati all’acquisto dei giovani, offerti dai mercanti del Caucaso. Soltanto le corti dei regnanti fanno sfoggio di uomini che hanno una lontana provenienza asiatica o africana”.
“Le popolazioni barbare – sostiene ser Francesco – dopo aver distrutto l’Impero romano d’Occidente hanno assimilato la sua cultura. Roma ha conquistato gli invasori con il diritto e con la fede dei suoi credenti che hanno trasmesso la parola del Maestro.
Gli uomini hanno imparato a venerare il Segno che ha permesso a Costanino il Grande di vincere i sostenitori degli dei pagani. La schiavitù degli antichi è schiacciata con la diffusione in tutto l’Occidente di un nuovo modo di considerare l’essere umano. I credenti, ricchi o poveri, dicono di essere tutti fratelli perché figli di un unico Padre. Lo schiavo viene affrancato e tutti si sentono liberi di vivere seconda la propria coscienza”.
“Sono d’accordo con te – dice il greco – e anche qui diciamo che siamo tutti fratelli perché i nostri padri ci hanno insegnato che in ogni uomo c’è un’anima immortale ed doveroso aiutare i poveri. I ricchi fanno a gara per costruire luoghi sacri e abbellirli con mosaici”.
“Il continuo avvicendarsi in Oriente delle culture dei popoli che non hanno assimilato il diritto romano - sostiene il veneziano – ha cambiato il comportamento reciproco degli uomini. Un uomo dell’Impero dei Cesari poteva appellarsi al diritto di essere un cittadino romano e giudicato secondo leggi condivise da tutti. Le invasioni dei Mongoli e le conquiste ottomane hanno fatto dimenticare le leggi dell’antico senato romano e ognuno si sente in balia dell’uomo che distrugge intere città e trasporta gli abitanti vivi nelle città sottomesse per venderli al miglior offerente. L’antica schiavitù è ritornata nei territori conquistati dall’imperatore Costantino.
In Occidente, anche il più audace guerriero che conquista le città si astiene dalla pratica della vendita dei vinti. Ai vinti si preferisce imporre la scelta di inchinare il capo al nuovo governante o di fuggire in esilio per non soccombere ai sicari del nuovo padrone”.
“Il desiderio del denaro – afferma Xrusantos – non conosce ostacoli e anche il nostro simile può servire ad ottenere un guadagno quando la sua vita non è considerata pari a un animale da soma. La fede tiene a freno i comportamenti dei potenti quando vivono in una società che rispetta le istituzioni primarie della vita in comune”.
“Sono d’accordo – dice ser Francessco – ed occorre batterci anche sacrificando tutto il nostro denaro perché sia mantenuta la libertà di vivere secondo le tradizioni dei nostri padri”.