mercoledì 27 aprile 2011

Forza propulsiva dello sviluppo sociale

NUOVA RESPONSABILITÀ
PER TUTTI GLI ITALIANI

“L’Italia ha bisogno di un nuovo senso di responsabilità - afferma Giorgio Napolitano nella cerimonia per il 66° anniversario per la Liberazione - e una rinnovata capacità di coesione, nel libero confronto delle posizioni e delle idee. È nell’interesse comune che le esigenze della competizione in vista del voto non facciano prevalere una logica di acceso e cieco scontro”.
Nella vita sociale vi è sempre uno stato di tensione e di conflitto perché vi è una tendenza naturale ad assoggettare la persona, a diminuirla considerandola un semplice individuo materiale. Questo conflitto è naturale e inevitabile per cui richiede una soluzione dinamica perché la società si evolve nel tempo sotto la spinta delle energie dello spirito e della libertà. Questa spinta tende a realizzare nella vita sociale l’aspirazione dell’uomo a essere trattato come persona.
L'aspirazione del cittadino ad una vera crescita umana è espressione della sua libertà di autonomia che è piena autosufficienza della sua persona. Questo è un ideale che può essere attuato con “riforme che devono essere fatte senza mettere in forse – sostiene il Presidente della Repubblica - quei principi, quella sintesi di diritti e di libertà, dei diritti e dei doveri civili, sociali e politici che la Costituzione ha sancito nella prima parte”.
La soggettività della persona esige le comunicazioni dell'intelligenza e dell'amore, cioè domanda di comunicare con gli altri nell’ordine della conoscenza e dell’amore. Il dialogo nasce dalla ricerca della verità.
“La verità – scrive Benedetto XVI nella lettera enciclica "Caritas in Veritate " – fa uscire gli uomini dalle opinioni e dalle sensazioni soggettive e consente loro di portarsi al di là delle determinazioni culturali e storiche e di incontrarsi nella valutazione del valore e della sostanza delle cose. Accanto al bene individuale c’è un bene legato al vivere sociale delle persone che è il bene comune. È il bene di quel “noi-tutti”, formato da individui, famiglie e gruppi intermedi che si uniscono in comunità sociale. Volere il bene comune e adoperarsi per esso è esigenza di giustizia e di amore”.
La società civile esige la costruzione di una civiltà in cui possa realizzarsi quello che importa di più al cittadino, cioè la realizzazione del suo essere una persona. Occorre che la società abbia un’anima fatta di buona volontà, di relazione, di rispetto e di amore da persona a persona. Si tratta di costruire una società il cui centro non è l’individuo ma la persona che si realizza liberamente nella comunità civile.
L’idea dinamica in questo ideale concreto è quella della libertà e della realizzazione della dignità umana.
L'appello alla libertà deve impegnare ogni uomo o donna a farsi protagonista, ponendo la libertà al centro della vita quotidiana come apertura di fini e di senso del futuro degli Italiani.
La libertà è anche quella di far valere il principio di sussidiarietà che deve spronare i cittadini a controllare lo Stato per farlo intervenire soltanto quando essi non possono raggiungere con le loro forze e istituzioni i beni e servizi di cui necessitano per il loro benessere.
Ogni testimone del popolo deve sentire come sua missione il richiamo alla libertà e al benessere sociale con un proprio operato. La sua attività politica deve essere partecipazione alla costruzione di un Paese dove nessuno deve sentirsi cittadino di serie B, cioè una comunità dove ciascuno possa seguire la propria vocazione, possa realizzarsi e dare il meglio di sé, dove il cittadino non è espropriato di ciò che è riuscito a realizzare attraverso il lavoro e i sacrifici di una vita.
Si tratta di ottenere uno Stato dove ciascuno possa tenere aperta la porta alla speranza di un futuro sempre migliore.
Occorre essere accomunati nella stessa visione di libertà, di democrazia, di patria, di persona, di famiglia, di lavoro e di impresa. Nella realizzazione di Paese in cui i partiti si confrontano sulla base di valori condivisi da tutti i cittadini.
Il Partito della nazione deve essere in grado di proporre agli Italiani una società fondata sulla libertà, sullo sviluppo economico, sulla solidarietà, cioè una comunità civile basata sui valori del cristianesimo, sulla famiglia naturale fondata sul matrimonio, formata dall’unione di un uomo e di una donna, nella quale far nascere e far crescere i figli.
Si tratta di proporre una “Patria” in cui gli Italiani si riconoscano e che tutti amino come casa comune, senza distinzioni. Il problema è il futuro degli Italiani, cioè se la società civile conserverà i valori cristiani, tramandati attraverso le generazioni.
Le basi della nostra nazione, come entità permanente, sono le regole immutabili della legge naturale, la continuità culturale, la tradizione, la consapevolezza storica, l’amore della patria. A questi valori sono ancorati i cuori di tutti gli uomini e le donne.
La vita sociale richiede che la famiglia abbia un ruolo pubblico nella società perché è il perno di giunzione essenziale tra la persona, la società e lo Stato. Il suo carattere originario, antecedente allo Stato, richiede la promozione della sua funzione da parte delle Istituzioni governative.
Prima dell’impegno per i diritti dell’uomo c’è quello per il diritto ad essere uomini, cioè ad essere considerate persone che tendono a conquistare la piena autosufficienza nella comunicazione e nell’amicizia con le altre persone.
Senza il collegamento ai valori della vita, gli stessi diritti dell’uomo perdono il loro vigore, cioè divengono “semplici enunciati” che possono essere revocati in qualsiasi momento.

MERCANTI VENEZIANI A COSTANTINOPOLI Cap. XXIII

I disertori della galea
Virgilio, Tommaso, Marin e il balestriere Niccolò, da alcuni giorni, alloggiano nel quartiere di Nicola, commissionario greco del mercante arabo Muhammad e amico di Rodopios, servo fidato di ser Emo. Il prodiere, tornato da Trebisonda con un consistente gruzzolo di iperperi, avvalendosi della sua esperienza e dell’aiuto degli amici veneziani, impegna i suoi guadagni in una piccola impresa che utilizza il laboratorio dell’amica Trixobostrina per il confezionamento di seterie pregiate.
Il cibo del mattino rinvigorisce i corpi indolenziti degli uomini di mare della Capitana che si apprestano a trascorrere una nuova giornata, in attesa del ritorno. Le spettanze settimanali di carne e di vino sono aumentate per consentire ai rematori e ai marinai di riprendere la navigazione con tutte le forze e sfuggire agli arrembaggi dei pirati turchi.
Andrea, comito della nave, impartisce gli ordini ai sottocomiti per impegnare ogni uomo alla pulizia e all’approntamento dell’imbarcazione per la navigazioone lungo le rotte dell’Egeo e della Morea. I maestri d’ascia e i marangoni hanno già controllato il fasciame della galea e preparati i remi di riserva. Le vele sono pronte per e sostenere i venti autunnali del Nord all’uscita dal porto e lo scirocco dell’Adriatico.
Ser Giovanni, capitano della galea, chiama lo scrivano: “Antonio prendi il libro e controlliamo tutti gli arruolati per conto del patrono, domani si parte. Le stive sono piene di mercanzie per il mercato di Rialto. I Veneziani aspettano di ricevere la nostra merce per la nascita del Redentore”.
Gli ufficiali di coperta comunicano all’uomo di fiducia del capitano, responsabile della disciplina di bordo, i nomi degli assenti che vengono scritti sul Registro dei disertori: “Virgilio, prodiere, Tommaso e Marin, remigi di prua, Niccolò, balestriere del castello di prua”.
Ser Pietro è contento di vedere la galea piena di merce pregiata e di aver fatto un buon investimento. I suoi amici caratisti aspettano il carico prezioso per la fine del mese di dicembre. Le loro dimore sono in attesa di esporre le stoffe pregiate ai facoltosi acquirenti del mercato di Rialto.
“Non ti preoccupare dei disertori – dice sottovoce il patrono ser Pietro a ser Giovanni – i nomi degli assenti saranno comunicati al consiglio del bailo. Il registro sarà portato agli ufficiali del Gran Consiglio per la restituzione del debito e per la punizione che i giudici riterranno doveroso infliggere ai naviganti che hanno abbandonato la loro imbarcazione in un porto forestiero. La loro sostituzione può essere fatta subito oggi con l’arruolamento di uomini disposti a sedersi sui banchi dei vogatori o ad aiutare i marinai per il governo della vela e del sartiame”.
Il capitano chiama il comito della nave: “Andrea, tu sei il responsabile dei remieri di prua e dal registro dei disertori si evince che proprio i tuoi uomini risultano assenti”.
“Tutti gli uomini della nave – afferma il comito - vorrebbero rimanere qui e vivere come i grandi mercanti che costruiscono i loro palazzi sul Canal Grande. Le loro parole sono espressione di desideri reconditi che non si realizzano per i marinai e i vogatori. Il loro piccolo commercio, esente dalle tassazioni portuali, può consentire soltanto di riempire un piccolo borsello con le monete d’oro del basileus. È il sogno di ogni veneziano: vivere a Costantinopoli e respirare a pieni polmoni la libertà dello spirito e la possibilità di agiatezza per gli Occidentali”.
“Andrea, non nascondere le tue responsabilità, siamo su una galea della Repubblica di San Marco e i disertori vanno perseguiti in quanto non si attengono alle norme del contratto di arruolamento. Tutti coloro che salgono su una nave del Comune e beneficiano di un anticipo per le loro prestazioni sono tenuti ad assicurare il suo ritorno a Venezia. Il tuo compito è quello di governare i sottoposti e imporre il rispetto delle regole di ingaggio per l’arruolamento dei rematori. Il capitale, investito all’imbarco dal patrono come anticipo di pagamento, ha permesso ai familiari dei rematori di avere un immediato sostentamento e ai naviganti di acquistare a buon prezzo della merce per trarne un profitto in questa città. Ser Pietro impone l’esazione di una giusta ammenda che deve essere inflitta dal bailo o dal Gran Consiglio”.
“Costantinopoli è stata l’origine della fortuna – sostiene il comito – per la nostra madrepatria e continuerà ad esserlo con l’esistenza del suo grande mercato. La città è diventata la nostra seconda patria e ogni veneziano che vi approda o si stabilisce contribuisce a rinsaldare i legami di reciproca fiducia commerciale e di arricchimento per Venezia.
Il patrono è stato già ben ripagato con la vendita della sua mercanzia trasportata con i sacrifici di tutti gli uomini della ciurma. Il patron ricaverà per sé e per i suoi amici caratisti un proficuo guadagno con le spezie e le pietre preziose che hanno riempito le stive della galea.
In tre mesi Ser Pietro ha pagato una diecina di ducati per le prestazioni e il mantenimento di ogni remigio ottenendo in cambio un lauto profitto. I servigi dei rematori sono serviti per il sostentamento delle loro famiglie e per il benessere non solo dei pregadi di San Marco ma soprattutto per i mercanti che hanno ottenuto la concessione della’imbarcazione del Comune. La stretta di mano all’atto dell’arruolamento non impedisce ai veneziani di aspirare a una libertà più grande che si apre per la vita di ogni uomo che deve decidere continuamente sul futuro del proprio destino. L’esistenza dell’uomo che affronta i rischi del mare è piena di momenti in cui bisogna espimere con decisione la propria volontà di migliorare la propria condizione sociale ed economica. La libertà è aspirazione a una vita sempre più promettente di benessere e di appagamento dello spirito”.
“Il contratto di arruolamento per l’equipaggio di una galea – dice il capitano – è come il contratto matrimoniale. Ogni uomo della ciurma è legato indissolubilmente alla sua nave per tutto la durata del viaggio che comprende anche il ritorno a Venezia. La libertà di ognuno è parte integrante dell’anima dell’imbarcazione che si muove grazie alla volontà coesa di tutti che condividono la forza della Repubblica di Venezia testimoniata dallo stendardo del Leone di San Marco. Tutti dobbiamo rendere ragione del nostro operato al Gran Consiglio del Senato”.
“I rematori e i marinai – sostiene Andrea – appartengono al popolo e il Comune deve tener conto della libertà di ogni uomo quando la patria non è in pericolo. La nave è al sicuro nel porto. Tanti veneziani vogliono imbarcarsi per tornare a casa e abbracciare i propi familiari per dividere con loro la fortuna acquisita. Questa dispensa ricchezze di ogni genere a coloro che venerano con dedizione il santo protettore della nostra patria lontana.
Il prodiere Virgilio e i suoi amici cercano una migliore fortuna che la terra natìa non concede a tutti coloro che si accontentano di vivere senza rischiare. Venezia è diventata grande perché nel passato i suoi figli si sono imbarcati ed hanno seguito le rotte del Mediterraneo e percorso le strade di paesi lontani. Il loro coraggio e le loro virtù hanno permesso agli uomini della laguna di diventare ricchi e abbellire la loro città. I giovani rematori e marinai che hanno lasciato la galea non devono essere considerati disertori perché cercano di assecondare lo lo stesso spirito che animò i loro padri”.
“Le regole dei naviganti – dice ser Giovanni – valgono per tutti ed io stesso, capitano di questo vascello, sono tenuto a rendere conto al Gran Consiglio e ai mercanti che hanno investito i loro denari.
Il mio compito è quello di riconsegnare la galea all’arsenale e di assicurare il patrono ser Pietro per la coesione di tutti gli uomini che hanno accettato le regole dell’imbarco e assicurato la loro completa dedizione alla tenuta dell’imbarcazione anche a costo della propria vita. I rematori che abbandonano in un porto l’equipaggio della loro la nave in porto dimostrano di essere sleali e infedeli nei confronti dei compagni di viaggio e alle promesse dell’ingaggio volontario”
“Il tuo compito – afferma il capitano – è quello di assicurare il legame inscindibile tra il rematore e il suo banco anche per il ritorno della nave perché l’imbarcazione è servita al remigio ben pagato e al trasporto della sua merce, comprata e nascosta sotto il sedile senza il controllo dallo scrivano di bordo. La benevolenza nei confronti dei rematori non trova corrispondenza di lealtà se abbandonano la nave nel momento del ritorno.
La galea è piena di merce pregiata, comprata con il ricavato della vendita dei prodotti dell’Occidente e con la disponibilità delle carte di cambio. Il momento della partenza da Costantinopoli è molto critico per le imbarcazioni commerciali. Fuori del porto ci sono le navi corsare che inalberano il vessillo del Gran Turco. I pirati turchi attendono bramosi i vascelli carichi per abbordarli e ottenere un lauto bottino”.
I comandanti delle galee vogliono ai remi uomini fidati e ben conosciuti su cui poter contare per sfuggire agli abbordaggi. La diserzione di uomini esperti e l’arruolamento di nuovi remigi. reclutati sulle banchine del porto al momento della partenza, creano apprensione e sconforto nell’animo del capitano.
Il patrono e i suoi amici caratisti hanno investito gran parte della loro liquidità per ottenere un lauto profitto con la vendita delle spezie, dei preziosi e delle seterie pregiate nel perido delle festività natalizie.
“Non temere di assumere nuovi vogatori – afferma il comito – e confida piuttosto nella bravura dei più sperti che sanno tenere coesi lo spirito degli uomini seduti allo stesso banco. Si tratta di saper distribuire a prua e a poppa i più esperi in grado di rispondere prontamente agli ordini delle virate e delle accelerazioni nella voga al momento dell’assalto dei predoni del mare. Gli ufficiali del bailo potranno darti i nomi dei veneziani che desiderano tornare in patria e pagarsi il viaggio con la loro disponibilità a manovrare i lunghi remi sugli scalmi della galea”.
Ser Pietro da alcuni giorni non lascia più la nave e si sente pronto per riprendere il viaggio. I marinai e i vogatori guardano verso il castello di poppa per leggere sul volto del patrono la sua gioi quando conversa con i mercanti ed elenca le quantità di spezie e di pietre preziose depositate nella stiva per allietare il Santo Natale dei suoi compatrioti. Tutto l’equipaggio ascolta le sue parole, pronunciate ad alta voce, che descrivono la grandezza dei palazzi che sorgono sul Canal Grande e la munificenza del Serenissimo doge Mocenigo.
Ser Giovanni comunica al patrono la mancanza di alcuni rematori che di notte hanno lasciato la nave e non risultano all’appello del comito.
“L’equipaggio deve essere completato in giornata – esclama il patrono – e farò immediatamente visita al bailo per salutarlo e chiedergli consiglio per l’arruolamento di uomini fidati da destinare ai banchi dei rematori. Chi sono i disertori? Chiama lo scrivano e fai annotare su un foglio i loro nomi”.
“Tra gli assenti – sussurra il capitano - ci sono il prodiere Virgilio e i giovani remigi Marin e Tommaso”.
“Mi ricordo, ser Giovanni – dice il patrono – di aver concesso ai balestrieri Marco e Francesco, attualmente ospiti del bailo, l’autorizzazione a valersi di Virgilio per andare a Trebisonda. Il prodiere, piccolo mercante che si imbarca come rematore, per viaggiare senza pagare le tasse sulla la merce che nasconde sotto il suo banco, è dato un aiuto efficace ai giovani che non conoscono le astuzie dei mercanti stranieri. Le altre volte è sempre stato al suo posto al momento della partenza. Forse si è invaghito di una bella popolana di questa città”.
“Lo scrivano ha già provveduto – dice il capitano - a segnare sul registro i nomi dei disertori. Il prodiere ha trascinato con la sua vivace fantasia due giovani in cerca di conquiste amorose. Virgilio è un popolano che sa il fatto suo ed è capace di destreggiarsi agilmente nelle vie strette e tortuose dei rioni della città”.
“La nave perde un valente rematore - dice ser Pietro – e occorre assumerne un uomo capace di invogliare gli altri uomini a remare con costanza e a mantenere il ritmo della voga nei momenti di maggior pericolo”.
“Il comito – sostiene il capitano – sarà al mio fianco nell’arruolamento di uomini che hanno già affrontato lo scontro con le imbarcazioni dei pirati e siano in grado di remare senza paura quando infuria lo scontro armato. La scelta di un veterano del banco dei rematori dà garanzia di sicurezza e di attaccamento alla alla galea della Repubblica di San Marco”.
“Ti autorizzo – dice il patrono - a raddoppiare l’anticipo su quanto è dovuto al remigio che ha già esperienza di combattimento. L’aumento oculato delle spese per la sicurezza dell’imbarcazione sarà accettata unanimemente da tutti i caratisti quando vedranno moltiplicati i loro guadagni nel periodo di maggiore richiesta delle merci che abbiamo caricato.
Il fenomeno della diserzione è noto al Gran Consiglio e occorre conoscere le vere ragioni che hanno indotto Virgilio e i suoi compagni a rimanere a Costantinopoli. Il Senato ha già impartito precise disposizioni per evitare l’assunzione da parte dei Turchi di uomini che custodiscono i segreti dei mestieri e della arti appresi nelle botteghe degli artigiani veneziani.
Il bailo vorrà conoscere le capacità e i precedenti di mestiere dei disertori per valutare l’ammenda e la giusta sanzione penale. Ti sarei grato, ser Giovanni, di conoscere le vere motivazioni dell’allontanamento dei remigi. I tuoi informatori ti sveleranno i desideri manifestati da Virgilio e dai suoi compagni durante il rancio o durante i giochi dei dadi”.
“Il comito – dice ser Giovanni – è solito adunare attorno a sé i rematori per raccontare i fatti della città, appresi dai mercanti e dai bastagi del porto. Dopo il rancio gli uomini raccontano come hanno approcciato le belle donne delle taverne del porto”.
Il capitano chiama il responsabile dei rematori: “Andrea, cosa si dice di Virgilio e dei suoi amici? Quale taverna sono soliti frequentare? Sono riusciti a vendere la loro merce?”.
“Il prodiere è temuto dai remigi più giovani – dice il sottufficiale di bordo – ed è rispettato dai vogatori più anziani. Simone, capo dei balestrieri, mi ha riferito che Virgilio frequenta la taverna del Gallo d’oro ed ama circondarsi di giovani per narrare le sue esperienze amorose”.
“Per ser Pietro il prodiere ha già avuto il beneficio – sostiene il capitano – di accompagnare a Trebisonda i giovani mercanti Marco e Francesco. Virgilio ha guadagnato molte monete d’oro con il suo viaggio sulle sponde del Ponto Eusino. La sua amicizia con gli inviati del bailo e la permanenza nel porto del Gran Comneno gli hanno consentito di acquisire un’ulteriore ricchezza con gli iperperi d’oro del suo smercio senza tasse tra i popolani di questa città. L’assenza del rematore al momento della partenza desta meraviglia e il nostro patrono ci stimola ad effettuare un’indagine più approfondita per il bailo che dovrà prendere il disertore e i suoi amici”.
“Mastro Zuane – dice il comito – mi ha confidato che il suo amico Virgilio e i giovani rematori hanno trovato ospitalità in una casa del quartiere di Sant’Eufemia di proprietà del ricco Oikantropos. Virgilio durante il recente viaggio sulla galea di ser Filippo ha stretto amicizia con un commissionario del mercante Muhammad di nome Nicola”.
“Quali sono le intenzioni – incalza ser Giovanni – del prodiere e degli altri uomini assenti? Hanno dimenticato le leggi? Il Senato della Repubblica ha più volte condannato i rematori disertori con il pagamento di un’ammenda e con l’esclusione dagli arruolamenti volontari sulle galee del Comune”.
“I rematori del blocco di prua – dice Andrea – vanno dicendo che Virgilio e i suoi amici si sono innamorati delle popolane greche. Si sussurra che vogliono sposarsi e fare tanti figli. A bordo, il prodiere e i giovani remigi erano soliti confabulare tra loro e non partecipavano al gioco dei dadi ”.
“Affrettati per gli ultimi preparativi – dice il patrono al capitano – e serviti del tuo consigliere di bordo per uscire dal porto con la forza di tutti i remigi. La partenza è stata decisa. Il mercato di Rialto aspetta la nostra mercanzia. Mi reco subito dal bailo per salutarlo e rimettere nelle sue mani ogni decisione in merito ai disertori”.
Ser Angelo Emo, responsabile della giustizia per conto del Gran Consiglio della Repubblica di San Marco, provvede a far ricercare e arrestare i colpevoli della Capitana.
Per la diserzione dei vogatori, la pena prevista è l’amputazione di un orecchio e il carcere per sei mesi nella “prigione della torre”, vicino al quartiere dei Veneziani.
Il Gran Consigliere del bailo, giudice della colonia di San Marco, riferisce ai patrizi degli uffici governativi di ser Emo tutti i particolari delle confessioni ascoltate dai marinai della galea di ser Pietro, imprigionati nella torre delle mura del basileus.
“Il tuo amico Virgilio – dice ser Marin al giovane patrizio Marco – piange e si dispera per la condanna. Il prodiere deve scontare la sua pena insieme agli altri rematori per aver abbandonato la nave del Comune di Venezia che questa mattina è uscita dal porto dela città”.
La notizia della condanna rattrista il nobile veneziano che, ricordando il periodo eroico trascorso a bordo della galea in qualità di balestriere, afferma: “Il prodiere e i suoi amici rematori sono colpevoli e meritano la giusta pena. Il bailo deve applicare la sanzione prevista per i disertori e manifestare la severità del nostro governo. Mi riservo di comunicare la mia amarezza a Francesco e al nostro amico Francesco Filelfo che ha conosciuto Virgilio durante il viaggio a Trebisonda”.
“Ti hanno riferito – esclama Marco appena vede Francesco – quello che è accaduto al prodiere Virgilio e ai suoi amici? Ser Marin mi ha appena comunicato che alcuni remigi hanno abbandonato la nave di ser Pietro con il prezioso carico destinato al mercato di Rialto”.
“Mi è stato riferito - dice Francesco – ma non ho avuto il coraggio di comunicartelo. Virgilio ci ha espresso tante volte il suo desiderio di voler trovare una sistemazione definitiva in questa città ma non ha chiesto a nessuno di noi di essere aiutato per la risoluzione del suo contratto con il capitano della galea. Si dice che ai disertori è stato tagliato un orecchio e che ora sono rinchiusi nella torre del basileus. Cosa possiamo fare per il nostro amico che ha perso la libertà di navigare e di sognare un avvenire migliore? Nessun parente allevierà le sue sofferenze. I carcerieri stranieri non hanno compassione per un veneziano condannato secondo la giustizia della sua patria lontana e allontanato dalla colonia dallo stesso bailo”.
“È sempre un veneziano come noi - dice Francesco – che ci ha aiutato quando avevamo bisogno di un consiglio e di una guida sicura tra i Turcomanni della lontana Trebisonda. La sua esperienza di navigazione sulle rotte del Mar Pontico e il suo coraggio ci hanno facilitato il cammino nella città del Grande Comneno, contribuendo con la sua presenza alla missione dell’ambasciatore Filelfo. Il governatore della colonia di San Marco dovrebbe tener conto di questo popolano che ha vegliato sulla nostra incolumità e aperto il varco tra la folla del porto e del mercato dell’imperatore Alessio”.
“Virgilio – afferma Marco – ha investito i suoi guadagni nel laboratorio della tessitrice greca Trixobostrina. La sua intraprendenza e i suoi progetti mi sono stati raccontati da Rodopios che conosce Demetrio, un salariato del ricco Oikantropos, marito di Pomerina che abita vicino alla casa della tessitrice di seta. Il prodiere aveva preso in affitto una casa nel quartiere della tessitrice per stare vicino al suo laboratorio. Gli altri remigi si sono invaghiti delle figlie di Demetrio. Il laboratorio di seterie con gli acquisti fatti a Trebisonda ha ripreso il confezionamento delle stoffe pregiate con l’autorizzazione del Prefetto della città”.
“La diserzione del prodiere della Capitana - dice Francesco – è stata una conseguenza dello spirito imprenditoriale del veneziano che ha rischiato la pena severa e la galera per investire il frutto del suo lavoro in una impresa redditizia per lui e i suoi amici. Si tratta di coraggio e di fiuto degli affari dimostrati da un uomo del popolo che vuole emulare gli aristocratici che con un piccolo capitale hanno creato la loro fortuna e la grandezza della nostra città”.

lunedì 25 aprile 2011

La questione del voto politico

LA DEMOCRAZIA MIGLIORA
CON VERA RAPPRESENTANZA
Ci si domanda come è possibile una comunità civile di fronte alla situazione del mondo presente con tutte le minacce di degradazione e distruzione.
Il male sembra ingigantire e trionfare agli occhi di tutti di fronte alle atrocità che appaiono sugli schermi televisivi.
Uno stato di pace sociale non dipende solo dagli accordi politici, economici, finanziari conclusi dagli esponenti della maggioranza parlamentare, ma dipenderà anche dall’adesione profonda della coscienza di tutti i parlamentari e dalla coerenza delle loro azioni.
La coesione tra le persone richiede la forza vitale della solidarietà che costituisce l’anima della società; questa è costituita dall’azione delle persone che si aprono agli altri con generosità, anche a costo del sacrificio, inteso come dono di sé al servizio degli altri, che scaturisce dal profondo del loro cuore.
Solo la buona volontà e una relazione di rispetto e di carità da persona a persona e tra persona e comunità può dare al corpo politico un carattere umano.
La carità, intesa come dono di sé gratuito, permette la coesistenza e il dialogo delle persone che creano una comunità civile che si conserva nel tempo, perché “la giustizia, l’amicizia civica e la fede nell’uomo costituiscono la forza che la fanno vivere”.
L’accostamento tra le persone deve esprimersi in una “cooperazione per cose concrete e determinate” a beneficio di tutti, senza alcuna distinzione che crei ingiustizie e soprusi.
Si auspica una società fondata sul rispetto dell'uomo esistenziale e concreto, dei suoi diritti, sulla “fede nel progresso interno della vita e della storia” del popolo italiano, sulla forza della sua libertà e sul sacrificio di tutti i suoi martiri che hanno donato il sangue per la loro patria.
Gli elettori sono oggi di fronte al “male” del politico rappresentato dal democraticismo strisciante: le maggioranze parlamentari manifestano prevaricazione nelle decisioni delle Camere.
Il “mito del governo del popolo” con il continuo richiamo al “dogma” della sua sovranità, alla sua “volontà” o all’applicazione della “legge del numero” soffocano la democrazia.
La società politica necessita di rappresentanti non violenti che cercano di dare un senso all’esistenza concreta del cittadino che è soprattutto aspirazione alla libertà di realizzarsi nell’ambito di una comunità civile.
L'azione dell'eletto dal popolo deve alimentare il progresso della civiltà nel senso di arricchire il bene comune che è fatto di prosperità materiale e spirituale per tutti gli uomini e le donne.
Le virtù del politico devono basarsi sul coraggio, la disciplina, il senso dell’onore, lo spirito di giustizia e lo spirito di sacrificio.
Gli eletti devono essere in grado di mobilitare le forze morali e spirituali del popolo che conferisce loro la piena e autonoma rappresentanza democratica.
Si rivendica una discussione dentro il parlamento per una maggiore aderenza alle istanze del popolo. I problemi dell’immigrazione, quelli legati alla perdita dei posti di lavoro, quelli del precariato giovanile sembrano non aver spazio nelle proposte del potere esecutivo.
I politici dovrebbero essere capaci di dare risposte ai bisogni economici dei lavoratori e delle loro famiglie, garanti della legalità e dei diritti civili, cioè devono essere vero motore di riforme istituzionali equilibrate e condivise.

domenica 17 aprile 2011

La regola del numero alle Camere

STRAPOTERE MAGGIORANZA

SOFFOCA LA DEMOCRAZIA

“Pur in una realtà certamente molto diversa da quella del 1948 – afferma Giorgio Napolitano nel telegramma inviato il 13 aprile al convegno "BIENNALE DEMOCRAZIA", tenutosi al “Palaolimpico Isozaki” di Torino - la grande attenzione posta dalla nostra Carta al bilanciamento dei poteri e alla presenza nel corpo sociale e istituzionale di formazioni intermedie costituisce un'eredità preziosa ”. Il tema “Tutti. Molti. Pochi” per il Presidente della Repubblica “riflette una viva preoccupazione circa le insidie che la concentrazione dei poteri comporta per la vita democratica. Nulla potrebbe essere più lontano dall’idea di una democrazia temperata e funzionante dell’idea di un corpo sociale distinto, in grado di esprimersi solo elettoralmente, cui corrispondano ristrette oligarchie dotate di poteri economici e sociali senza contrappesi resi più insidiosi dagli effetti del progresso tecnologico”.


È allucinante afferma l’8 aprile a Trani il segretario dell’Udc, Lorenzo Cesa – che il Paese e il parlamento debbano rimanere impantanati nelle questioni personali del premier e non si possano affrontare con serietà i problemi delle famiglie, delle imprese, dei lavoratori e dei giovani. Alla Camera vuole la prescrizione breve, Al Senato il processo lungo. Altro che riforma epocale della giustizia: così si scassa, si manda in tilt il sistema e non si risponde a nessuna esigenza dei cittadini”.


Abbiamo la maggioranza, usiamola – sostiene il Capo del governo – per varare le riforme, giustizia e intercettazioni in testa”.


Si sta affermando nella società politica lo “Stato normativo”, cioè lo Stato del diritto come insieme di norme.


Nella democrazia si dice: “Lo Stato siamo noi”, cioè è la totalità politica che forma la società civile e lo Stato. La decisione politica dipende dal numero, cioè dalla volontà della maggioranza parlamentare. Contiamo i voti e facciamo decidere ciò che la maggioranza decide”.


In democrazia esiste il partito maggiore. Si è convenuto che sia la maggioranza a formare il governo e prendere le decisioni. C'è riduzione tra principio di maggioranza e democrazia come se democrazia fosse determinata da principio di maggioranza.


Si tratta di relativismo politico: la norma è norma perché c’è a monte un’altra norma fondamentale. Significa che tutte le decisioni sono possibili a condizione che rispettino la regola della maggioranza. La democrazia diventa semplicemente procedurale, cioè la democrazia diventa insieme di regole e procedure che stabiliscono chi è autorizzato a prendere decisioni collettive e con quali procedure.


Questa concezione lascia impliciti i presupposti della democrazia, come governo dal basso a suffragio universale, lascia impliciti i valori e i fini ma lascia imprecisati i contenuti. Una democrazia procedurale è aperta ad ogni contenuto e comporta la neutralizzazione pubblica dei valori della società civile.


C’è identità tra democrazia e metodo democratico. La democrazia procedurale entra in crisi quando nella società circolano tensioni che lacerano le coscienze delle persone. C'è controversia nella società politica.


C’è il criterio che le questioni dei valori siano portate in ambito privato e soltanto ciò che interessa è pubblicizzato. Gli interessi stanno in piazza ma i valori non possono entrarvi perché hanno “dignità”.


Dove ci sono gli interessi, si può trovare un punto di mediazione e dove sono in discussione i principi e i valori non c’è mediazione. Il valore morale non ha un punto medio. Nella società democratica libera c'è tendenza di riportare i valori nel privato perché non si trova la regola. Se bisogna decidere sui valori non si decide direttamente ma si trovano procedure neutrali dove non si decide sui contenuti ma si lascia alle procedure trovare soluzioni.


Ci si interroga come bilanciare, oggi, il pluralismo morale e la legge civile, cioè la legge del nostro ordinamento. Ci sono leggi che permettono di fare qualcosa, altre che vietano, altre che comandano e altre ancora che permettono di fare a certe condizioni o non fare. La società non dispone più di un universo ma di un pluriuniverso morale.


Negli ultimi 50 anni, il codice univoco di comportamento morale è diventato plurimo. Quello che una volta era emarginato nella piazza pubblica con giudizio negativo, a prescindere dalle legge civile, oggi non ha più rilevanza.


La democrazia procedurale della società pluralistica chiede alla legge civile di essere totalmente neutrale, cioè di dare spazio massimo alle leggi che permettono e spazio minimo alle leggi che tendono a vietare, in modo che ogni individuo possa scegliere ciò che sembra meglio.


Il 9 febbraio 2011, il premier legge il testo della riforma dell’articolo 41 della Costituzione, approvato dal Consiglio dei ministri: “L’iniziativa e l’attività economica è libera. È permesso tutto ciò che non è vietato dalla legge ”.


Il voto di lista e la regola della maggioranza non permettono di tener conto dei valori della società civile e dei bisogni reali dei lavoratori. I cittadini non hanno più potere perché i loro rappresentanti politici vengono scelti dalle segreterie dei partiti. Le liste sono bloccate e i candidati disposti secondo un ordine non modificabile dagli elettori. Uomini e donne non fanno altro che votare il simbolo del partito senza potersi scegliere gli eletti. I prescelti non rappresentano gli interessi della popolazione. Nei partiti si decide secondo la regola della maggioranza.


Le opposizioni contestano le leggi approvate secondo la regola del numero.


L’idea di alcuni partiti di poter gestire la società politica in base a regole di procedura e di forma, senza tener conto dei valori sostanziali che animano le persone, rappresenta un utopismo che mira a manipolare le coscienze per fini utilitaristici.


Il fine delle Istituzioni politiche è quello di aiutare le persone per il loro pieno sviluppo, cioè di garantire ad ogni uomo o donna l’accesso ai beni materiali, culturali, morali e spirituali che sono patrimonio di tutto il popolo.


Gli elettori voteranno coloro che vogliono favorire la libertà di autonomia delle persone che desiderano “la vita buona”, cioè il bene comune che si riversa indistintamente su ogni persona che vuole realizzare se stessa e sentirsi parte delle organizzazioni sociali entro cui può svolgere la propria esistenza.


Si auspica la reintroduzione della preferenza nella scheda elettorale. Le liste elettorali fatte a Roma non permettono di risolvere i problemi del territorio.


Il corpo politico ha bisogno di persone che mantengano la tensione morale nella comunità civile e di eletti che promuovono il benessere sociale per tutti.

venerdì 8 aprile 2011

Compito dello Stato è rimuovere gli ostacoli

NUOVA DEMOCRAZIA PER

IL PARTITO DELLA NAZIONE

La democrazia è il regime in cui il popolo manifesta la sua maturità sociale e politica ed esercita il diritto di autogovernarsi, cioè la democrazia, secondo l’espressione del padre fondatore della nazione americana, Abraham Lincoln, è: “Il governo del popolo, da parte del popolo e per il popolo”. Il popolo è governato da uomini che esso stesso designa a cariche di natura e durata determinata.

Popolo vuol dire persone umane unite dai comuni doveri, dalla coscienza comune del lavoro che ciascuno deve compiere per il bene comune, da un comune patrimonio di saggezza, da sentimenti e tradizioni umane.

Il bene comune è “il bene legato al vivere sociale delle persone, cioè il bene di quel “noi-tutti”, formato da individui, famiglie e gruppi intermedi che si uniscono in una comunità sociale”.

Il popolo ha bisogno di testimoni che agiscano per lo sviluppo dinamico del Paese dove nessuno possa avere paura se al governo c’è il suo avversario politico, cioè un Paese dove ciascuno possa seguire la propria vocazione. Si tratta di dirigenti, sorti dalle profondità della nazione, che devono vivere in comunione con il popolo e decisi a lavorare per il popolo.

La concezione attuale della società politica è fondata sulla realtà della natura umana e della persona umana, cioè riconosce un’importanza centrale alla persona umana e alla conquista progressiva della sua libertà di sviluppo.

La società politica è destinata allo sviluppo delle condizioni di ambiente che portino tutti i cittadini a un grado di vita materiale, intellettuale e morale conveniente al bene e alla pace sociale.

Questa concezione definisce una democrazia con determinate caratteristiche che sono il bene comune riversato su tutte le persone, un’autorità politica diretta verso questo bene comune, una moralità intrinseca alla vita politica, un’ispirazione personalistica, comunitaria e pluralistica dell'organizzazione sociale, un legame organico e dinamico della società civile con i valori cristiani del popolo.

In ogni persona vi è anche una parte di istinti, di sentimenti e di irrazionalità che si manifestano nella vita sociale e politica.

Il corpo politico deve svolgere sanzione penale verso chi viola la legge e deve esercitare una direzione morale verso chi si comporta da minore, tollerando molti mali per evitare mali più grandi.

I testimoni del popolo devono lottare contro lo pseudo idealismo ottimistico che alimenta gli uomini di false speranze e contro lo pseudo realismo pessimistico che fomenta gli istinti dell’uomo.

Nella società politica sono accora presenti “ le male bestie ” indicate da Luigi Sturzo, cioè lo statalismo che è contro la libertà, la partitocrazia che è contro l’uguaglianza e lo spreco del denaro pubblico che è contro la giustizia.

L’uomo di fede è convinto che l’etica non deve essere separata né disgiunta dal potere, cioè l'etica deve stare dentro la politica, perché l’etica è l’anima e il fine della politica. La politica funziona se toglie gli ostacoli che l’uomo ha nella ricerca del suo appagamento. La politica raggiunge il suo fine più profondo quando la società matura sul piano etico. Etica intesa come respiro complessivo di un popolo, come etica pubblica, cioè come trasparenza dei rapporti sociali.

Si parla di riforme della vita sociale con la pretesa di accelerare il percorso storico del popolo, sovvertendo i suoi valori fondamentali. Perché una riforma politica sia autentico cambiamento per uno vero sviluppo della società e non un sovvertimento superficiale, la riforma deve esigere maturazione lenta e capillare, quindi gradualità non per dilazionare ma per arrivare a profondità capillare, cioè la riforma deve essere per tutti gli aspetti della società.

I rappresentanti del popolo devono agire per una società fondata sulla libertà, sullo sviluppo economico, sulla solidarietà, cioè per una società basata sui valori del cristianesimo. Si tratta di promuovere una Patria nella quale tutti gli Italiani si riconoscono e che tutti amano, perché è la casa comune di tutti, senza distinzioni.

giovedì 7 aprile 2011


Con lo slogan "Forte, unita, cristiana, l'Italia che vogliamo', è stata aperta la 5° campagna adesioni dei Cristiano Riformisti. Con un chiaro riferimento al 150° anniversario dell'Unità d'Italia, il movimento ha deciso di ribadire anche nella campagna tesseramento i valori nazionali in cui si riconosce. Si ricorda che è possibile dare sia una adesione individuale al Movimento, sia fondare un punto di almeno 20 iscritti nella propria città. Il modulo individuale può essere scaricato in formato Pdf su questa pagina e va stampato, compilato in tutte le sue parti e spedito alla Segreteria Organizzativa dei Cristiano Riformisti al numero di fax 06/.67.60.50.69. I Punti dei Cristiano Riformisti, sono delle associazioni che possono condividere sia la stessa appartenenza territoriale, sia la stessa realtà lavorativa (si può fondare un punto ad esempio all'interno di un'azienda) ed hanno un minimo di 20 iscritti che delegano un rappresentante poi al Congresso Nazionale. Si ricorda che la quota associativa per l'anno 2011 è di 5 Euro. Per qualsiasi ulteriore informazione rivolgersi al numero 06/67.60.68.99Scarica il modulo di adesione