martedì 16 giugno 2015

Il sistema operativo del Movimento 5 Stelle si chiama : "Rousseau".

GIAN ROBERTO CASALEGGIO NON SA
CHI  ERA  LO  SVIZZERO  "ROUSSEAU"

"Sarà il sistema operativo del Movimento 5 Stelle - spiega Gianroberto Casaleggio nell'intervista del giornalista Gianni Barbacetto, già pubblicata su Il Fatto Quotidiano del 9 aprile 2015 -. Il nome Rousseau deriva da uno dei padri della democrazia diretta, Jean-Jacques Rousseau, e ha l'obiettivo di offrire servizi a eletti e iscritti: per votare, condividere, promuovere iniziative attraverso la Rete". Sarà "lanciato" fra tre o quattro settimane con alcune funzioni già operative, come quelle legate al processo legislativo tra eletti e iscritti. "Rousseau" ha l'ambizione di rendere il M5S fruibile in ogni sua manifestazione. Il suo fine è il funzionamento del Movimento on line".
Lo svizzero Jean-Jacques Rousseau, con l’opera il “Contratto sociale”, scritto nel 1762, manifesta il suo pensiero anti democratico. Il filosofo riprende il concetto di sovranità come “volontà generale”. Attraverso un patto o contratto il corpo politico dà il potere assoluto al sovrano. Il contratto ha una forma simile a quella di Hobbes. Ciascun cittadino, in perfetta indipendenza dagli altri e dalla città, attribuisce la sua volontà e i suoi beni al sovrano, cioè alla “volontà generale”. L’idea del contratto sociale non è reale ma è un canone astratto di ragionamento. Si forma una struttura di pensiero che attua il mito di volontà generale.
Rousseau si confronta con le teorie sociali del tempo ed ha l’idea di uno “stato di natura” originario dell’umanità, cioè un’antropologia ottimista. Gli uomini hanno una socievolezza originaria deformata dalla creazione delle istituzioni sociali che impoveriscono l’umanità e creano una diseguaglianza tra gli individui. La nascita della proprietà privata diffonde l’oppressione.
Il filosofo è convinto che la democrazia diretta può essere realizzata soltanto in piccole comunità politiche (Svizzera).
La volontà generale è la volontà del sovrano e questo cancella ogni società intermedia, cioè si instaura un rapporto diretto tra cittadino e Stato. I rappresentanti della volontà generale sono semplici commissari con vincolo di mandato. L’idea di sovranità o volontà generale è la stessa di Bodin in cui il soggetto della sovranità è il monarca che detiene il possesso e l’esercizio del potere assoluto che non può essere rappresentato.
Rousseau cambia il soggetto della sovranità senza cambiare la struttura, cioè il sovrano è il popolo. Si trasferisce la sovranità dal monarca al popolo, cioè ad un essere collettivo. La forma di governo migliore per il filosofo svizzero è quella democratica e nello stesso tempo ritiene che una forma così perfetta non conviene agli uomini ma solo per gli “dei”.
Il pensatore illuminista non è democratico perché non pensa a una democrazia rappresentativa per i cittadini. La sua volontà generale non può essere rappresentativa perché è solo un’autorità lontana dal popolo. Si tratta di un’autorità suprema, cioè un potere supremo che non può essere trasferito.
Il patto sociale o contratto sociale dà al corpo politico il potere assoluto che è inalienabile, cioè non può essere dato a nessuno.
Il sovrano, che è il popolo nell’unità di volontà generale, rappresenta se stesso. La sua autorità è un potere forte ed è sempre retto, cioè non ha bisogno di dare garanzie nel senso che non ha bisogno di essere controllato dal basso. Il sovrano è sempre il dover essere.
La volontà generale non è la volontà della maggioranza, cioè non può essere accertata tramite la conta di maggioranza o minoranza. Si tratta di democrazia totalitaria attraverso la volontà generale di un’assemblea di cittadini che non dà garanzie e che non può essere controllata dal basso perché è sempre retta, cioè è sempre giusta.
L’errore di Rousseau è quello di voler costruire il diritto non sull’elemento della ragione ma su una base irrazionale al diritto perché lo fonda su uno “stato di natura” anteriore alla ragione. La ragione è considerata dal pensatore svizzero come potenza straniera, non come parte integrante dell’uomo, ma come qualcosa che si sovrappone all’uomo e lo soffoca. Si riscontra una contraddizione nell’immaginazione di una società che corrompe l’uomo.
Nello Stato non ci sono società parziali e l’individuo non ha alcuna socialità per inclinazione.
Il cittadino è indipendente dagli altri e dipende dalla città, cioè tra cittadino e Stato non c’è alcuna società.
Questa idea, che non vi sia alcuna società parziale tra cittadini e sovrano, genera nel 1794 la Rivoluzione francese che abolisce ogni società particolare nello Stato.
L’assolutismo e lo statalismo distruggono ogni società intermedia; il cittadino rimane indifferente di fronte allo Stato, cioè è costretto ad andare o a fare quello che vuole la volontà generale in quanto non c'è possibilità di dissenso.
Il terrore rivoluzionario è conseguenza dell’astrazione, cioè della sovrapposizione della ragione alla realtà. Coloro che non si piegano alla progettualità astratta della volontà generale sono piegati con la forza. Dietro questa volontà di abuso dell’astrattismo si cela la volontà di potenza degli “illuminati”. La realtà della società viene impoverita perché privata del suo aspetto qualitativo dall’intellettualismo dei rivoluzionari. L’uomo vuole dominare la realtà e non lasciare parlare il cittadino con la sua totalità di essere persona, come unione dell’individuale e dello spirituale.
La Costituzione francese, cioè l’assetto prima della Rivoluzione rimane indietro perché i rivoluzionari perdono i contatti con “l'ethos” del popolo, cioè con il suo sentire reale. L’ordinamento artificiale scaturito dalla ragione si sovrappone all’ordinamento naturale, spontaneo. La pretesa della ragione di porre un ordine maggiore e di decretare la realtà si trasforma in patologia.
L’esplosione patologica è espressione drammatica dello spirito rivoluzionario che anima alcune classi sociali che non accettano lo scorrere naturale della storia. I rivoluzionari tentano di accelerare la storia e non mirano a un cambiamento graduale per riformare tutti gli aspetti della società. C’è impazienza e si vuole agire subito forzatamente per eliminare la miseria e l’ingiustizia. Lo spirito rivoluzionario vuole sostituirsi alla religione della tradizione popolare per risolvere con forza i problemi che assillano i cittadini.
Nel Settecento la politica è lo Stato e questo non promuove la vita personale, cioè gli uomini non hanno la possibilità di svilupparsi e di progredire. Lo Stato perde il sottofondo coscienziale del popolo perché le istituzioni si dissociano dalla realtà e la persona diventa sempre più un individuo gracile che vive solo, fuori delle istituzioni sociali e politiche. Ogni uomo è separato dagli altri. La vita individuale sprofonda nell’individualismo e lo Stato si insinua e si sostituisce alle relazioni fra gli individui. La debolezza individuale genera soltanto uno statalismo e lo Stato diventa Stato etico perché cerca di sostituire l’etica spontanea che nasce tra i cittadini. Questo aspetto paradossale dello Stato genera l’individualismo esasperato che sfocia nell’orrore del terrore giacobino.
L’illusione perfettistica dei rivoluzionari pretende di esaurire tutto ciò che è umano e si allontana dalla realtà della società. Si tratta di utopismo legato a una visione meccanicistica della realtà sociale. La ragione esasperata del razionalismo si lega alle componenti istintuali volontaristiche che vogliono plasmare a piacimento la realtà sociale.
Alcuni pensatori, gli “illuministi radicali”, muovono dal desiderio di eliminare la tortura ed hanno un punto in comune con Rousseau che è quello di criticare la concezione del “peccato originale”, perché considerano l’individuo naturalmente buono e benefico nei confronti degli altri. Per loro il peccato originale è pura leggenda e pura frode. La caduta di questo punto è drastico ridimensionamento che comporta pesanti conseguenze.
I filosofi del “secolo dei lumi” esaltano la ragione e Rousseau ritiene che la riflessione della ragione generi l’egoismo; il calcolo del piacere e del volere porta all’utilitarismo. L’individuo invece di aprirsi alla vita, si raggomitola su se stesso, inizia ad avere paura di tutto e non ha più slancio per la vita.
Gli intellettuali avvertono che la società ha bisogno di progresso e, invece di presentare un complesso di norme equilibrate, soffiano sul fuoco della rivoluzione. La società civile vuole ma non è in grado di dare da sé una forma al progresso. I pensatori illuminati propongono e impongono una forma. Si tratta di partire da una idea e plasmare la società per organizzarla. Si apre la strada al totalitarismo.
Di fronte ai problemi dell’aristocrazia invecchiata, ai privilegi del clero, alla monarchia cieca e timorosa delle cose nuove, i filosofi dei “lumi” pretendono di evocare le forze irrazionali per civilizzarle. Si scatena il caos dei giacobini che pretendono di usare le parole di Jean Jacques Rousseau.
La libertà del nuovo uomo moderno non è più la libertà degli antichi che si manifesta come partecipazione di uomini che si sentono parte della città. La libertà del cittadino dopo la rivoluzione è la libertà del singolo individuo, cioè è riconosciuta la sfera privata e ognuno ha una sua dignità, un suo diritto.

Francesco Liparulo - Venezia

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